11 maggio 2008

Quelli del Tai Rosso

Angelo Peretti
Premesso che non mi piacciono le premesse, stavolta tocca farne una anche a me. E si tratta di premettere un concetto che ho già espresso altre volte: una denominazione, un vino. È così che mi piacerebbe l’assetto delle doc: un nome geografico, un vino corrispondente, e poi semmai le sottozone, i terroir, i crû. Invece no.
Prendiamo la doc dei Colli Berici, nel Vicentino. Già era abbastanza complessa di suo. Ma quand’è stato il momento di trovar soluzione alla rogna d’avere una tipologia che si chiamava Tocai Rosso, e che come ogni altro Tocai doveva esser bandito in ossequio ai diritti ungheresi e alle disposizioni comunitarie, s’è pensato di farne due. Cosicché adesso con quell’uva, al posto di quello che simpaticamente al Consorzio di tutela chiamano «il - vino- che- non- si - può - più - chiamare - Tocai», si fanno due tipologie, entrambe a denominazione d’origine: il Barbarano e il Tai Rosso.
Dicono che sia per distinguere la zona storica, quella attorno a Barbarano, appunto, da quell’altra, di più recente estensione. Sarà.
Devo però ammettere che i già-Tocai rossi di Barbarano e dell’altra zona hanno elementi distintivi. Soprattutto nel colore. Intendo che le due aree hanno continuità cromatica interna, ma anche distinzione l’una dall’altra: un po’ più chiaro il Tai Rosso, un po’ più carico il Barbarano, senza peraltro raggiungere chissà quale densità.
E tutti i Barbarano hanno la medesima tonalità, e tutti i Tai Rosso l’altra. E quest’è un bene, ché offre riconoscibilità - diciamo - di terroir.
Detto questo, che cos’è mai ‘sto vitigno fu-tocai ed oggi tai? Dicunt sia parente stretto del cannonau sardo e del grenache del sud-est francese e dell’alicante ispanico. Come sia arrivato in terra vicentina, vallo a sapere. S’è però bene acclimatato. Ed offre vini che un tempo erano magari scipitini e che oggi invece sono d’interesse. E stilisticamente migliorano, mi par di poter dire. Ed hanno carattere piacevole senz’esser piacione, e beva simpatica, epperò anche, nei casi migliori, bella personalità. Ed è quel tipo di rosso che accompagna il pasto con nonchalance, che gioca sulla beva e non per forza sulla ciccia, sul muscolo, sul tannino, sull’alcol, sul colore. Ché anzi qui di colore ce n’è poco, e tante volte verrebbe d’affermare che più che rosso è cerasuolo. Un po’ come dalle mie parti, in terra di Bardolino. Ed anzi, ci trovo parecchie affinità stilistiche fra il Tai-Barbarano e il mio Bardolino. E c’è pure quel tratto aromatico che accomuna molti tai ad alcuni rossi bardolinisti: il sentore spiccato di lampone, intendo. Succoso, dissetante, appagante.
Insomma: c’è una via ad un «nuovo» stile di rosso che accomuna in certi tratti la terra gardesana e quella berica. E sarebbe un concetto da approfondire.
Ma torno all’ex-Tocai. Rosso. Di recente, m’è capitato d’assaggiarne, sia nella versione Barbarano che in quella Tai Rosso. L’occasione è stata offerta dal fatto che quelli di OlioVinoPeperoncino, il web magazine intendo (andate a vederlo: vale la pena), s’erano messi in testa di approntare una sorta di disfida dalle parti di Montalcino fra i vini di là e quelli di Vicenza. E siccome si stappavano le bottiglie, c’era posto al tavolo. E n’ho approfittato, dunque. E qui di seguito dico qualcosa delle tre o quattro bocce che mi son più piaciute, col mio solito giudizio in faccini, da uno a tre.
Colli Berici Barbarano 2007 Faccin
Buono. Al naso c’è frutto maturo, più della media dei vini che ho assaggiato nella giornata. E bocca in parallelo. Con note quasi da vin brulè, e non è certo un male: frutto rosso, intendo, e vene di scorza d’agrumi, e spezia (cannella e garofano). Piacevole. C’è bella freschezza e discreto tannino. Mi dicono che è vino di Cognola, un locus barbaraniano che ha proprie specificità. E questa specificità andrebbe valorizzata ulteriormente, credo. Magari cambiando anche la bottiglia, che oggi è di vetro incolore, e non è il massimo per garantire stabilità.
Due lieti faccini :-) :-)
Colli Berici Barbarano 2007 Cantine Colli Berici
Oh, che naso intrigante, di karkadè! Ce l’avete presente quell’infuso dal sapore un po’ retrò, che si beve caldo, in tazza? Viene dalle foglie dell’ibisco. Ed ha aroma particolarissimo. E lo ritrovi in questo vino. Che aggiunge la rosa canina, e il fiore macerato. E poi in bocca s’offre sapido, quasi asprigno nella percezione fruttata. E c’è lampone. Un vino ragazzino, nervosetto, birbantello. Che si fa bere volentieri, soprattutto se si cerca non già la perfezione stilistica - che a volte annoia - ma un po’ di genuina rusticità.
Due lieti faccini :-) :-)
Colli Berici Tai Rosso Cà Basso 2004 Graziano Basso
Leggerissimo, anche qui c’è un tono di karkadè. Che dunque è una sorta di carattere peculiare del tai. E c’è speziatura minuta. La bocca è una spremuta di fruttini di bosco, di lampone, di mirtillo. E c’è, leggera, la memoria di prugna un po’ acidula. E c’è discreta persistenza e buona beva.
Due lieti faccini :-) :-)
Colli Berici Tai Rosso 2007 Cavazza
Fruttino dolce, quasi da caramellina, al naso. Caramellina al lampone, of course. E bocca beverina, salina: ti verrebbe voglia di finire il bicchiere e versarne da subito un altro. Col fruttino succoso ed asprigno che disseta. Il ribes, direi, è ben presente. E c’è discreta persistenza.
Due lieti faccini :-) :-)
Colli Berici Tai Rosso 2007 Colli Vicentini
Ecco qua un altro Tai che ricorda, lievissimamente, il karkadè e la rosa canina. E c’è speziatura sottile, anche, all’olfatto. E un che di lampone e di fruttini di bosco. E un cenno erbaceo. In bocca l’acidità si fa avanti a spallate. E sotto c’è il frutto che attende d’uscire. Vino rusticheggiante, nervoso. Da riprovare magari in estate. Ma gli tributo fiducia.
Un faccino e quasi due :-)

Il parere contenuto in questa segnalazione è rapportato alla tipologia di vino e poggia in primis sulla piacevolezza che la bottiglia ha saputo trasmettere.
Il giudizio è dato in faccini stile sms.
- un faccino è per un vino di corretta e comunque piacevole beva
- due faccini per un vino di bel piacere
- tre faccini per i vini appaganti, le punte massime delle rispettive tipologie.

4 maggio 2008

Bollicine gardesane

Angelo Peretti
Ma sì, va bene: il lago di Garda, spumantisticamente parlando, non è certo mica come il lago d’Iseo. Là, nel Sebino sud, ci hanno i loro Franciacorta, che stanno spopolando, brut o satèn, poco importa. Qui dalle mie parti, sul benacense laco, si fa soprattutto vino fermo, e la bolla la si mette invece in bottiglia quasi per sfizio. O per completezza di gamma: giusto magari per i pacchi-regalo di fine anno. Epperò, adesso che si fa avanti (spero) il caldo, qualche bollicina nostrana la si può anche infilare nel ghiaccio, pronta all’uso. Ché ce n’è di buone. E perfino di curiose.
Un’occasione per un assaggio di bell’ampiezza delle bolle del Garda l’ho avuta a Manerba un paio di settimane fa, grazie all’invito gentilissimo della pro loco e dell’amico e collega Luigi del Pozzo. Insieme, Gigi e la pro loco, han riproposto la mostra, appunto, degli spumanti gardesani. E li ho provati tutti,. quelli che c’erano (una trentina, mica poco), assistito con garbo dal piccolo staff dell’Ais - leggi Associazione italiana sommelier - mentre nel palasport finiva il rito dello spiedo all’ora di pranzo.
Ora, va chiarito quali siano le tipologie di spumanti che si fanno in terra gardesana. E dunque parto dalla zona dov’ero ospite: la riva bresciana, la Valtènesi in particolare. Lì se ne fanno di due tipi, essenzialmente: i Garda Chardonnay Brut, e qualcheduno di buono c’è, ma non era presente all’assaggio, e i metodi classici «di fantasia», spesso a base pur’essi d’uve di chardonnay, ma anche, qualche volta, di groppello vinificato in bianco (e perché no? somiglia o no il groppello al pinot nero? e allora?).
Più giù, s’entra in zona luganista. E la doc del Lugana prevede anche la versione spumante, che ha il mio disaccordo, ma mica per cattiva qualità, ché anzi di bolle luganiste ce n’è di buone. Gli è che ho un connaturato rifiuto per la troppa confusione ne’ disiciplinari: una denominazione, un vino, è questo che vorrei. Nulla vieta poi di far spumante coll’uva di turbiana, ma sotto magari a un’altra denominazione: perché no Sirmione, ad esempio?
Passiamo il Mincio, ed eccoci fra le colline del Custoza e del Bardolino. E anche qui c’è bolla. L’una e l’altra delle doc prevedono versioni spumantizzate: il Custoza Brut da una parte, il Chiaretto Spumante dall’altra. Il Custoza quasi solo charmat. Il Chiaretto (sei produttori in tutto, per ora) con qualche escursione nel metodo classico.
In alto, nel Sommolago - leggi Garda Trentino - torna di scena lo chardonnay col Trento doc (oggi si dovrebbe leggere & scrivere, stando allo slogan lanciato al Vinitaly, Trentodoc tutt’attaccato, ma a me non piace molto), ma - ahimé - di questi non ve n’era boccia a Manerba (e credo che in realtà siano due o tre in totale).
Di seguito dò qualche cenno degli assaggi: le dieci bolle che più mi son piaciute. Ma, nell’insieme, il livello è buono, lasciatemelo dire. Ed è molto, molto meglio di com’era una manciata appena d’anni fa.
Eccoci con le recensioni: solito criterio dei faccini di piacevolezza, da uno a tre.
Costaripa Brut metodo classico Costaripa
Mattia Vezzola è star della spumantistica italiana: firma bolle in Franciacorta, per la maison Bellavista. Meno conosciuta è la sua microattività gardesana, nella Moniga natìa, col fratello Imer. E questo loro Costaripa Brut è da applauso. Grande naso: crosta di pane, frutta secca, spezia, vena minerale. In bocca, densità carnosa, carattere a iosa. E terziari che avanzano in mezzo a un frutto polposo. Succoso.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Cuvée dei Frati metodo classico 2004 Cà dei Frati
Ma dico: alla Cà dei Frati le imbroccano tutte. Prendete questa Cuvée: trovar gente che non gli piaccia è proprio difficile. È bollicina ben fatta, vivaddìo. Al naso, i lieviti, la nocciola, la frutta gialla. Bell’ampiezza, definizione. In bocca, eccolo che si offre avvolgente, denso, morbidamente cremoso. E c’è frutto pulitissimo: giallo. E c’è la nocciola appena raccolta. Lunghezza. Densità. Buono.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Lugana Brut Tenuta Roveglia
Adesso anche lo spumante si son messi a fare elegante, alla Roveglia? Al naso c’è frutto: pesca bianca, vena d’agrume, magari ancora da perfezionare un pochetto. Ed è più avvincente il palato: compare, ampio, il fior d’arancio. Eppoi ancora la pesca bianca, croccante, quand’è ancora un po’ indietro. E l’albicocca un po’ acerba pur’essa. E un cenno tropicaleggiante, d’ananasso. E lunghezza, densità.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Bardolino Chiaretto Spumante metodo classico Monte Saline
Romano Giacomelli ha il Chiaretto spumante nel sangue. Quanto ci ha ragionato, sudato, progettato sopra a quel suo rosato bardolinista metodo classico! I risultati gli rendono onore. Il vino ha delicatissima fragolina e lampone e petalo di rosa ed erbetta di prato. La bocca è intrigante: tanto fruttino, succosamente denso. E bolla sottilissima. E sale, sapidità. Uh, salato e succoso assieme. Bel bere.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Lugana Brut Cascina Maddalena
Con quel loro fantastico microvigneto in mezz’alle case, alla Cascina Maddalena mica ci possono fare vini che non abbiano personalità, e infatti eccolo qui uno spumante per chi ama le bollicine senza mezze misure. Al naso tanta pesca gialla. E poi frutta in composta, fieno, nocciola. In bocca densità, potenza. Epperò anche crema. E grassezza. Sul fondo, sottesa, la vena minerale del trebbiano luganista.
Due lieti faccini :-) :-)
Lugana Brut metodo classico Pilandro
Frutto dalla polpa bianca, e fiori (biancospino) e anche un po’ di fieno secco: ecco quel che trova l’olfatto, ed è interessante bouquet. In bocca, parecchio fruttino di bosco e una vena di nocciola e un pizzichino di spezia (di cannella, direi). E buona cremosità. E polpa ce n’è un bel po’, confermando carattere. Dal fondo, la vena minerale ecco che s’avanza pian piano, all’insegna dell’argille luganiste.
Due lieti faccini :-) :-)
Bardolino Chiaretto Spumante Villabella
Nuovo nato della casa vinicola di Calmasino, questo Chiaretto Spumante è figlio del metodo charmat lungo. Ed è un bel prodotto, che non potrà che strapiacere - ritengo - nell’estate. Fruttino e spezia (cannella), classicamente, al naso. Il bocca ha un’invidiabile consistenza cremosa, vellutata perfino. Stuzzichevole e avvolgente assieme. E fruttino e leggerissima cannella. Ben fatto, ben fatto.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Lugana Brut metodo classico Cà Maiöl Provenza
Uh, che ostico che è al naso questo brut luganista: canna di fucile, polvere da sparo. Insomma: bolla che sfodera carattere al primo impatto. In bocca, stessa mineralità. Ma, sotto, c’è la nocciola, la crosta di pane, il croissant, la confettura d’albicocca. La carbonica è decisa, nervosa. Eppure c’è consistenza cremosa. Bollicina d’impegno. Da piatto d’una certa importanza, perfino.
Due lieti faccini :-) :-)
Il Pelèr Bottarelli
Leggo ch’è uno spumante fatto con uve di prosecco e pinot bianco. Da dove provenienti, non so. Però l’azienda è della riva bresciana e il vino è aperitivo disimpegnato. All’olfatto propone fiore bianco, margheritine di prato, biancospino. In bocca è morbidello, ma quest’è il tono che piace ai più, oggi. Epperò c’è anche bel fruttino, e del fieno secco, e un leggerissimo tocco di spezia. Semplice, leggero.
Un lieto faccino e quasi due :-)
Lugana Brut La Rifra
Verde. Vegetale intendo, al naso. Di erbe pratensi primaverili. E con cenni floreali, di margheritina. Insieme, vegetalità erbacea e florealità. Accattivante direi. In bocca, ecco, magari è un po’ morbido, come del resto s’usa sovente oggidì, ché c’è tanta gente che la bolla l’ama, appunto, all’insegna della morbidezza. Epperò c’è anche buon corpo. E fruttino di bosco: ribes. E discreta lunghezza.
Un lieto faccino e quasi due :-)

Il parere contenuto in questa segnalazione è rapportato alla tipologia di vino e poggia in primis sulla piacevolezza che la bottiglia ha saputo trasmettere.
Il giudizio è dato in faccini stile sms.
- un faccino è per un vino di corretta e comunque piacevole beva
- due faccini per un vino di bel piacere
- tre faccini per i vini appaganti, le punte massime delle rispettive tipologie.

Champagne Grande Réserve Veuve Devaux

Angelo Peretti
Quando nel mondo dello Champagne si parla di vedova, si pensa subito a Veuve Cliquot. Ma ce n’è un’altra che va annoata: Veuve Devaux.
Ho provato un paio d’estati fa il rosé, ed era davvero interessante, anche per il buon rapporto qualità-prezzo. Adesso ho appena bevuto il Grande Réserve, e confermo che la maison dal punto di vista del raffronto fra soldini sborsati e valore del vino è di quelle da segnarsi.
È fatto – ho letto – per il 61% di pinot noir e per il resto di chardonnay, e quanto son puntigliosi i francesi a dire delle loro percentuali in cuvée...
Il naso coglie il fruttino di sottobosco e cenni di florealità.
In bocca, la spuma è cremosa, la bolla sottile. Avvolge. Ed esce, in pienezza, il frutto bianco, di buona polpa, e un ricordo abbastanza preciso d’albicocca un po’ acerba. E, sul fondo, quelche lievissimo cenno balsamico.
Comprato on line a 21 euro, e ne vale la pena.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

Il parere contenuto in questa segnalazione è rapportato alla tipologia di vino e poggia in primis sulla piacevolezza che la bottiglia ha saputo trasmettere.
Il giudizio è dato in faccini stile sms.
- un faccino è per un vino di corretta e comunque piacevole beva
- due faccini per un vino di bel piacere
- tre faccini per i vini appaganti, le punte massime delle rispettive tipologie.