28 febbraio 2009

Cinqueterre 2005 Forlini Cappellini

Angelo Peretti
Ricordo che il vino mi colpì quando lo assaggiai per la prima volte, un tre anni fa, alle Cinque Terre. E come poter dimenticare quell'odore così iodato, così salmastro, così marino? Come se il mar di Liguria si fosse impossessato delle sparute vigne che s'abbarbicano su quelle rocce strapiombanti. E vi avesse infuso, nelle uve (di bosco, albarola e vermentino: ecco l'uvaggio del vino), la propria essenza.
N'ho ritrovata una bottiglia in cantina del Cinqueterre 2005 di Forlini Cappellini: non ricordavo neppure d'averla portata con me da quella breve vacanza. E immediata è riaffiorata la sensazione.
Sì, al naso è il mare, l'alga sbattuta dall'onda sul bagnasciuga, lo scoglio, il mollusco, lo iodio. E ancora lo zolfo. E la resina dei pini marittimi.
In bocca è freschezza spiccata, pure salina. E i toni quasi violenti avvertiti all'olfatto qui s'attenuano. Ed esce una qualche vena agrumata. E un certo che d'anice, accennato.
Vino estremo, sta scritto sull'etichetta: mai definizione fu più corretta. Non solo per via della difficoltà di coltivar vigneto da quelle parti. Ma anche perché rifugge ogni ruffianeria, e punta tutto sulla personalità. Rustica, ruvida, ostica, permalosa, scontrosa.
Bianco mica per tutti.
Due lieti (e un po' sorpresi) faccini :-) :-)

27 febbraio 2009

L'aperitivo, le mani, i batteri: ossia di certa hotellerie italiana a quattro stelle

Angelo Peretti
Oh, accidenti, mi sa che se vado avanti così, a continuare a lamentarmi, non mi ci fanno mica più entrare negli alberghi. Epperò dicono che siamo un paese che vive di turismo, e i turisti spesse volte dormono in hotel, e insomma dovrebbero esser questi i biglietti da visita dell'italica ospitalità. Ma se tanto mi dà tanto, c'è di che preoccuparsi della nostra maniera d'essere ospitali.
Oddìo, mica si può generalizzare. E d'alberghi dove ci si sta gran bene ce ne sono. Ma io che in hotel ci dormo spesso perché sono in giro per lavoro, be', non posso dire di trovare una media eccelsa, parlando di tre-quattro stelle a prezzi ancora abbordabili (diciamo sui 100-120 euro a notte suppergiù, che in ogni caso non mi pare mica così poco).
Accoglienze così così. Saluti formali e sbiascicati. Persone trattate come numeri ("Prova a vedere quelli della 316 cosa vogliono...": ti identificano con la stanza, altroché). Pulizia discutibile. Bagni-bugigattolo che puzzettano di muffa. Moquette puzzolenti dalle chiazze inquietanti. Tappezzerie strappate. Acqua che viene e non viene. Servizi web da terzo mondo, ammesso che nel terzo mondo non siano più avanti. Colazioni mattutine da dimenticare. E la professionalità, quella è troppo spesso calpestata.
I primi tre giorni di questa settimana, per esempio, li ho passati a congresso in un albergo neanche tanto lontano da casa mia. Un quattro stelle, che non sarà da divi del cinema, ma neppure da famigliola metalmeccanica in ferie agostane. Avevo un appartamentino, e tutto sommato mi è andata bene: da me mancavano solo il tappetino nella doccia e due lampadine in altrettante lampade, e la prima mattina, quando ho tentato di far la doccia, un filo d'acqua veniva, e pazienza se era solo o gelida o incandescente. Ad altri è andata peggio.
Ma la cosa più "simpatica" è successa la seconda sera, quand'ho offerto un aperitivo a certi amici al bar dell'albergo. Abbiamo preso un analcolico. Di quelli in bottiglietta, mica chissà che cosa. La preparazione è andata in questa maniera: bottiglietta stappata e versata nel bicchiere, fettina di arancia presa con le mani da un secchiello e infilata nel bicchiere (il ghiaccio non ho visto come fosse stato recuperato). Tra me e me tiro un'imprecazione: con le mani ha preso la fettina d'arancia! Pago: ovvio che prende i soldi con le mani. E poi passa a preparare un altro apero per altri infelici. I miei quattro ospiti credo non se ne siano accorti, e si son bevuti il loro beverone. Io non potevo esser da meno, e l'ho mandato giù. Pregando che la sorte fosse generosa, e che le mani della signora al bar fossero meno sporche di quanto potessi pensare, e che i batteri non avessero insomma voglia d'esser feroci. E confidando nel potere antisettico dell'anidride carbonica: magari se l'aperitivo lo prendevo alcolico, l'alcol aiutava di più a pulire.
Ma dico: se questo è il bar di un quattro stelle...

22 febbraio 2009

Sancerre Blanc Grand Cuvèe La Chadouillone 2005 Domaine Fournier Père

Mauro Pasquali
Un grande Sauvignon: al naso una freschezza intensa accompagnata da buona mineralità, che si esprimono in una eleganza notevole. Poi ancora frutta esotica, bosso, fiori bianchi.
In bocca grande equilibrio con una sapidità avvolgente e una grandissima lunghezza gustativa.
Un Sauvignon elegante, intrigante.
E, cosa da non trascurare, ad un prezzo inferiore a quello di molti Sauvignon italiani che non sono neppure lontani parenti di questo splendido prodotto della valle della Loira.
Tre beati faccini pieni e convinti :-) :-) :-)

18 febbraio 2009

Il Fice, il Toni e il piccolo prezzo: le conferme che vengono dal Soave

Angelo Peretti
Mi si dice, da parte d'un conoscente che è stato là a prender vino, che quei Tessari da Monteforte d'Alpone che si son dati, come azienda, il nome de I Stefanini, tengano in vista un intervento ch'ebbi a scrivere su InternetGourmet nel dicembre del 2006, preso com'ero dalla singolarità e dalla bellezza dei loro due cru del Monte Tenda. L'uno dei vini è il Soave Monte de Toni, l'altro il Soave Superiore Monte di Fice, Classici entrambi.
Se sia verità o leggenda, quella della stampata dal mio web magazine, non lo so e poco me ne importa. Quel che conta invece è che quei due bianchi soavesi continuano ad essere fra le cose "nuove" più interessanti in assoluto della zona.
Torno a scriverne ora perché ho avuto modo d'assaggiarne, l'una in fila all'altra, alla mia tavola, le due etichette dell'annata del 2006. E ci ho trovato polpa e beva e personalità, in entrambi. E finezza aumentata. E insomma un gotto tira l'altro, con bottiglie del genere. Con appagamento.
Il Fice e il Toni, spiegavo due anni e mezzo fa, sono i nomignoli dei lavoranti che coltivavano quei pezzi di vigna. Distanti fra di loro non molto, gli appezzamenti, l'uno un po' più in alto dell'altro lungo il fianco del monte, eppure diversi per quel che alla garganega, l'uva soavista per definizione, qui coltivata a pergoletta, riescono ad elargire in termini di carattere.
Fatti tutt'e due in acciaio, i vini, stan sulle fecce a lungo, per cavar fuori tutto lo spirito della zona Classica, classicamente vulcanici e fruttatissimi come sono.
Ha, il Monte de Toni del 2006, bel frutto maturissimo e gran vena speziata e una mineralità a tutto tondo e una freschezza di mezzo che appare quasi salina e un finale che raspa sulla lingua, quasi che sia tannico, e fa venir fuori di nuovo la frutta della garganega soavista.
Ha, il Monte di Fice del 2006, freschezza che mi par d'avvertire ancora maggiore, e al frutto stramaturo aggiunge vene più floreali, direi, ma anche di fiore essiccato, e note che vorrei dire mandorlate, e ancora vene di mineralità e freschezza salina e bel finale lungo e asciutto, pure sul frutto di nuovo.
Confermo: due gran bei bianchi. Per niente ruffiani. Ed anzi a tratti scontrosi. Ma invitanti, succosi, umorali. Da appassionati.
Per entrambi, la vita che han davanti è ancora lunga. E son bottiglie di prezzo piccolo: approfittatene.

16 febbraio 2009

Il mangiare del perfetto palermitano (e l'invidia del nordico)

Angelo Peretti
L’Antica Focacceria San Francesco è uno dei simboli di Palermo e di quella Sicilia che esiste con orgoglio e che resiste altrettanto orgogliosamente all’altra Sicilia, quella deteriore del potere imposto con la forza. E nonostante vi soggiornino dinnanzi le camionette dei carabinieri giorno e notte, perché certe minacce van prese seriamente - soprattutto quando, come han fatto lì, hai denunziato e fatto condannare chi ti domanda il pizzo -, il locale è sempre pieno a ogni ora, soprattutto di giovani, ma mica solo.
Ci sono stato con amici che è ormai un anno e mezzo e ancora ho nella memoria, saldissima, la sensazione d’un perfetto panino con la milza. Che mi dicevano avrebbe messo a prova la mia capacità digestiva, e invece è stato anzi di sollievo allo spirito.
Sulle pagine aperte su Facebook, patron Vincenzo Conticello ha pubblicato un testo che m’ha fatto venire un groppo allo stomaco e una mezza voglia di prender l’aereo e volare dritto a Palermo. Ci si legge l’elenco del “mangiare del perfetto palermitano”, che suscita assoluta invidia in me nordico oggi preso dal freddo. E a Palermo si mangia proprio a tutte le ore, di giorno e di notte, nelle trattorie, nei mercati, nelle strade. Nelle case, ovvio. E bene, praticamente sempre.
Riporto il testo, così metto in crisi qualcun altro.
“Mattino: arancina, calzone fritto, sfincione, pane e panelle o crocchè, spitinu, rizzuola, ravazzata, calzone al forno, rollò, pizzetta, pani ca mieusa, iris, cartoccio, taralla.
Pranzo. Antipasti: sarde a beccafico, involtino di melanzana, insalata di mare, caponata, olive e sarde, melanzane alla parmiggiana, peperonata, peperoni imbottiti, melenzane ammuttunate. Primi piatti: anelletti al forno, pasta con le sarde, pasta ki vrocculi arriminati, pasta a glassa, pasta canciuva, pasta a palina, pasta ki tinniruma e cucuzza, pasta con i ricci, pasta ku pik pak. Secondi piatti: sasizza, bruciuluni, spitini, involtini di pesce spada, involtini di spatola, capone apparecchiato, sgombro all'agrodolce. Contorni: insalata arancia finokkio e aringa, insalata di patate bollite fagiolina pomodoro e cipolla arrostita, pomodoro e cipolla calabrese, canazzu.
Spuntino pomeridiano: quarumi, stigghiola, frittola, mussu e carcagnuolu, puirpu vugghiutu.
Cena. Antipasto: giri, cozze scoppiate e a zuppa, fasulari, granchi. Primi: paste o riso prevalentemente con il pesce. Secondi: pesce in tutti i modi, spezzatino o capretto agglassato, crastu arrustutu, sgaluppina palermitana ca cipudda, pollo alla brace.
Spuntino di mezzanotte...: pasta cu l'agghia e luogghiu... e prima di andare a letto cornetto rigorosamente al cioccolato”.
Che dire di più? Che, come dice ironicamente Vincenzo, “come vedete è una dieta mediterranea...”
Poi ci mette la frutta: “muluni rigorosamente agghiacciatu e pessica cu vinu”. (E i fichi d'India già sbucciati che ho divorato al mercatino della Vucciria?)
Aggiunge (a ragione) che “per i dolci c'è l'imbarazzo della scelta, ma ne elenco qualcuno per essere più preciso: cassata normale o al forno, cannolo, sfincia di san Giuseppe, setteveli, sciù, brioscia cu gelato”.
Non condivido, ahimè, la bevanda: “Per bibita rigorosamente birra Forst con il collo lungo” sostiene Conticello, e la mancata condivisione non è per la qualità della birra, che apprezzo, soprattutto quand'è appena messa nel vetro, ma perché preferisco un bicchier di vino. Concordo invece con la conclusione: “E per rinfrescarsi durante le calde giornate d'estate acqua cu zammù (anice)”.
Oh, che voglia di Palermo!
(Fortuna che l’Antica Focacceria sta per aprire una succursale a Milano: il contesto è meno fascinoso, ma insomma, non si può aver tutto dalla vita)

15 febbraio 2009

Champagne Brut Blanc de Blancs Bouzy Grand Cru Cuvée du Mélomane Herbert Beaufort

Angelo Peretti
Cremoso: mi piace usare quest'aggettivo per i vini con le bollicine. E mi capita d'adoperarlo di frequente soprattutto per gli Champagne. Ché parecchie volte propongono proprio questa sensazioni in bocca: la crema. Per la morbidezza, certo, ma anche per la bolla che si porge quasi come velluto.
Ecco, lo Champagne d'Herbert Beaufort che recensico stavolta m'ha (ri)dato quest'impronta. Ed è un piacere bere un vino del genere, e si finisce che un bicchiere tira l'altro e la boccia è subito finita.
Al naso il fruttino, la crosta di pane, la nocciola, classicamente.
In bocca c'è corrispondenza, e morbidezza per niente ruffianetta, ed anzi è vino che ha personalità, eppure anche malizia, se mi si passa il termine. E tanto, tanto frutto bianco. E fiore. E sul fondo la brioche con la confettura d'albicocche.
Gran bella bolla.
Si può comprare on line attorno ai 30 euro.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

14 febbraio 2009

Valpolicella Classico Superiore Caterina Zardini 2006 Giuseppe Campagnola

Angelo Peretti
Mi vien da pensare che nel mondo valpolicellista (amaronista) ci sia una zona che, per amore o per forza, è tornata ad esprimere appieno il proprio terroir, superando le tendenze tecnicistiche, che privilegiano lo stile dell'appassimento e semmai il vitigno. Dico per amore o per forza, perché è in primis vallata nella quale sembra prevalere lo spirito d'appartenenza, e perché lì comunque il vino non sarà mai ciccione, neanche con l'appassir l'uve. La valle è quella di Marano, che dà i Valpolicella e gli Amaroni più snelli e bevibili del panorama valpolicellese, da sempre. E prepotentemente è tornata a esser sé stessa. E dico evviva!
Dello stile maranese è gran bell'esempio il Valpolicella Superiore che Giuseppe Campagnola ha dedicato alla nonna Caterina Zardini, ché le vigne erano quelle che le appartennero, in valle. Il 2006 l'ho bevuto in trattoria, e col desinare ci stava alla grande. E nonostante i quattordici gradi d'alcol, è andato giù in gotto dietro all'altro. E se non è beva questa...
Figlio d'appassimento breve (una ventina di giorni) d'uve prese dalle pergolette, capisci qual è lo stile già dal colore, che non è carichissimo.
Al naso il fruttino rosso, anche un po' in confettura, ma senza sentori stramaturi. E poi la spezia fine.
In bocca la ciliegia, soprattutto. E una rinfrescante vena officinale d'erbe alpestri. E ancora la speziatura elegante. E una bella freschezza che non ti fa avvertire l'alcol. E una lunghezza appagante, senz'esser mai prevaricante.
Oh, questo è un rosso di Marano, e come tale lo riconosceresti a occhi chiuso.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

12 febbraio 2009

L’acqua cotta

Amedeo Ciminelli
Piatto della tradizione maremmana, dei butteri, della cultura agro-pastorale; quando la Maremma andava dalla pianura pontina al grossetano.
Piatto della transumanza e della semplicità contadina, quando gli ingredienti seguivano le stagioni e arricchivano la pentola con gli odori dei campi e degli orti.
Il lardo, la conserva, il cacio. E poi una cipolla, un mazzo d’erbe, di quelle spontanee dei campi: crespigno, farinelli, ramoracce, papavero. Oppure le piante tolte dall’orto per far posto alle nuove colture. Le cucuzze. Con i cicci, le foglie e gambi, ed i fiori…
Una cipolla soffritta, il peperoncino, le erbe pulite, il pomodoro (o la conserva). Aggiungi l’acqua e porti a bollore. Il sale grosso. La cotica e le croste di formaggio (immancabili). La cottura lenta, mite, che fonde insieme gli umori e gli aromi. Plo, plo, plo, plo… Quasi all’ultimo le uova, cotte come in camicia, ad arricchire quell’acqua cotta che a chiamarla brodo è un complimento… Il pane secco nel piatto, il pecorino…
Un piatto della mia fanciullezza, della mia nonna, nei profumi dei miei ricordi.
Chiudo gli occhi e sorrido.

11 febbraio 2009

L'Aglianico, il frutto e le stranezze di Facebook

Angelo Peretti
Strana cosa che è Facebook. Un posto dove si chiacchiera in modo virtuale. E s'incontra magari gente che non ti saresti mai aspettato. Io ci ho trovato per esempio una produttrice della Basilicata, Sara Carbone. Che ha dato la stura qualche tempo fa ad un can can sui comunicatori del vino. E m'ha colpito la sua - direi - facciatosta, tant'è che le ho chiesto, come s'usa tra i frequentatori di social network, l'amicizia. Lei m'ha mandato pure i vini suoi, sicché conosco ora le bottiglie sue in concreto e lei solo in pagina web. Ringrazio. Eppoi avevo curiosità di sentirli, i vini di questa donna.
Lasciamo perdere Facebook e parliamo di vino, dunque.
L'ho provate tutt'e tre le versione d'Aglianico dell'azienda vinicola Carbone, da Melfi. Una più semplice, in veste meno lussuosa, le altre con maggior ambizione, anche per via di vetro e d'etichetta.
Leggo sul sito: "La filosofia di fondo che guida le scelte dell'azienda vinicola Carbone è l'esaltazione del Milieu, il Terroir, il legame con la terra fertilissima del Vulture frutto di millenni di generoso lavoro lasciatoci in eredità da questo vulcano". Ma come giudicare la rispondenza a un terroir che non conosco? Mi limiterò dunque a dire come ho trovato - soggettivamente, of course - i vini nel bicchiere. E se v'ho trovato personalità e quale.
Aglianico del Vulture Terra dei Fuochi 2006 Carbone
Il base. Dice il sito aziendale che quest'è "la linea dei vini diretti ed immediati". Il vino risponde all'identikit. Giovin giovane (forse anche le vigne da cui viene, domando?), affinato in acciaio. Si beve senza troppi pensieri e devo dire che in tavola sta bene. Tannino presente, magari un pochettino crudo, ma per nulla in eccesso. E freschezza vibrante. E così si libera il fruttino di bosco, succoso.
Un faccino e quasi due :-)
Aglianico del Vulture 400 Some 2006 Carbone
Ecco, forse è un po' giovane (senza forse, direi), e dunque ha bisogno - ritengo - ancora d'assemblarsi al meglio. Matura nel legno piccolo, e s'avverte nella vanigliatura al naso, che però è accattivante, per gli amanti del genere moderno. Porge di poi all'olfatto vene decise e precise di piccolo frutto del bosco, di mora, e magari di prugna maturissima. In bocca è ancora frutto rosso, con dolcezza. Ed ha velluto nella trama tannica. E c'è lieve sentore di pepe, che rinfresca. Ben fatto, certo, e piacerà a molti.
Due lieti faccini :-) :-)
Aglianico del Vulture Stupor Mundi 2005 Carbone
Leggo che fa dodici mesi di barrique, ma il rovere non copre, e semmai porta quella vena balsamica officinale che intriga, fusa com'è col fruttino rosso ben maturo. In bocca è di nuovo frutto ben maturato. E c'è buona freschezza. E una vena di verde che, lungi dall'esser limitante, dà invece slancio. E tannino che russticheggia un pochetto (c'è traccia perfino di pellame, direi) e fa il vino più personale ancora. Sul sito dicono che è vino "da conversazione". Dissento: è invece proprio vino da mettere in tavola col cibo, e sta benone, ché ha beva, e ne sono contento. L'ho messo perfino assieme al risotto con la zucca e se l'è proprio cavata alla grande. Mi piace, per personalità e carattere.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

10 febbraio 2009

Amarone Classico della Valpolicella 2000 Antolini

Mauro Pasquali
Un bel colore rubino, limpido, con sfumature granate.
Al naso senti subito che è un Amarone di Marano: note quasi iodate, gessose, eleganza, finezza, la classica ciliegia croccante.
In bocca tutta l'eleganza si sprigiona in un frutto che si accompagna a morbidi tannini e una buona sapidità. Ma, soprattutto, una grande freschezza che sorprende in un vino a otto anni dalla vendemmia.
Un bel vino e una bella beva, che riassume le caratteristiche migliori del prodotto e che permette di pronosticare una longevità straordinaria.
Tre beati faccini pieni e convinti :-) :-) :-)

8 febbraio 2009

Dell'Amarone e delle anteprime: e se occorresse un metodo nuovo d'assaggio?

Angelo Peretti
Ma le anteprime servono o no? Quelle del vino, intendo.
Se n'è parlato qui e là in questi giorni sul web. Dopo l'anteprima dell'Amarone 2005. E già questo direbbe che le anteprime servono: se n'è discorso, e dunque l'obiettivo è raggiunto, dal punto di vista della comunicazione. Ma non basta.
C'è chi dice che no, non servono. La pensa così, mi par di capire, Roberto Giuliani, sul blog Esalazioni etiliche. O quanto meno solleva dubbi. "Sono molti - scrive - ad ammettere che le anteprime dove si presentano anche 80 vini in una sola giornata, molti dei quali ancora in fase 'tormentata', chi appena imbottigliato, chi addirittura sottratto alla sua maturazione in botte, chi turbato dal viaggio, chi per ragioni inspiegabili puzzolente come un cavallo morto, solo la dimostrazione lampante di un sistema che è sospinto con forza dalla pressione commerciale, dimentico del fatto che il vino è cosa viva, non è una saponetta o una confezione di piselli novelli".
Io dico che l'anteprime servono. Che sono una buona maniera per farsi l'idea di un'annata. Non già del singolo vino, forse, ma dell'annata proprio sì. Sarebbe quasi impossibile altrimenti. Come fai sennò a passare in lungo e in largo decine d'aziende quasi in contemporanea per cercar di capire com'è andata?
Certo, ha ragione Giuliani, il vino è cosa viva. Per quel che attiene alla singola bottiglia, occorre rispettarne il divenire. E un giudizio comunque vale per quel che vale: una valutazione soggettiva in quel preciso momento. Nulla di più. O forse poco di più: non mi faccio illusioni. Se lo ricordi chi scrive. Se lo ricordi chi legge (e si faccia un parere per conto suo).
Per aiutare però nella valutazione credo potrebb'essere utile rivedere la maniera di far degustare i vini. N'ho già accennato intervenendo nel dibattito aperto sul social network Terroir Amarone. Proprio a proposito dell'anteprima amaronista.
Dicevo: "Sarò in controtendenza, ma condivido assolutamente l'esigenze di presentare un'annata. Diverso il discorso sulla degustazione, nella quale vorrei maggiore omogeneità per trarre migliori valutazioni. Vorrei cioè che nella degustazione alla cieca gli Amaroni fossero suddivisi fra: vini già in bottiglia da più di 6 mesi; vini già in bottiglia da meno di 6 mesi e da più di 3 mesi; vini già in bottiglia da meno di 3 mesi; vini ancora in vasca. Mi pare evidente che le quattro diverse situazioni evidenziate (non mi importa se invece di quattro fasce se ne facessero tre, o se si cambiassero i limiti temporali: è il concetto di diverso stadio di maturazione che mi interessa) necessitano l'applicazione di criteri di valutazione diversi".
Mi capita spesso di provare vini in vasca o anche bottiglie appena appena tappate, e da quand'ho preso quest'abitudine mi si sono cambiate le prospettive di valutazione. Se posso (e talvolta ho la fortuna di poterlo), qualche vino lo seguo nell'iter di nascita e di maturazione: assaggio i mosti, e poi riprovo in cantina a fermentazione conclusa, e poi avanti ancora più volte nella maturazione, e poi subito prima dell'imbottigliamento, e immediatamente dopo il passaggio nel vetro, e poi ancora mi porto via qualche bottiglia e riprovo a distanza di tempo. E mi son così fatto l'idea che conoscere la fase alla quale il vino è arrivato è fondamentale per meglio tarare le proprie impressioni. Vale per i vini più semplici, figurarsi per gli altri.
Ecco, credo che per le anteprime delle denominazioni più ambiziose un passo in avanti potrebbe essere questo: dividere gli assaggi (alla cieca, sempre alla cieca) per fasce, distinguendo fra quelli che han già fatto vetro a sufficienza, quelli che sono in bottiglia da meno tempo, quelli ancora in vasca (in legno, in acciaio, da assemblare, assemblati). Di una cosa son certo: mischiarli è comunque un errore. Troppe le aberrazioni (spesse volte in peggio, altre volte in meglio) del vino in vasca rispetto a quello di già in boccia. E dunque quando assaggi devi tararti per tenerne conto, ma se nessuno t'avvisa... E se tieni conto poi della fatica, della stanchezza di tastare diecine di vini, allora questa ripartizione è ancora più utile, e direi anzi necessaria. Per cercare di rendere più giustizia al produttore, certo, ma soprattutto per consentire a chi tasta di meglio comprendere. O almeno di provarci.
La cedo come (modesta) proposta al Consorzio della Valpolicella: perché non fare una prova il prossimo anno coll'anteprima dell'Amarone 2006?

7 febbraio 2009

Zuan 2006 Borin

Angelo Peretti
Devo dire che a lasciarmi stupefatto, dopo aver tastato il vino, è stato veder la gradazione in etichetta. Dichiara 14 gradi e non te ne accorgi. Ed è una gran bella cosa, ché vuol dire che ha equilibrio. E a darglielo è quell'acidità rinfrescante che hai sentito in bocca e che sa conferire slancio al frutto, tanto, di questo rosso.
Rosso dei Colli Euganei, taglio bordolese in terra veneta. Da quelle parti, in collina euganea, i cabernet e il merlot ci son di casa. Frutto della ricerca, questo Zuan, del professor Gianni Borin e dei suoi figli. Ed è un bel vino: provare.
Leggo che lo si fa da vigne in fascia pedecollinare a Monticelli, comune d'Arquà Petrarca. Per metà è cabernet sauvignon, per il 35% franc e il resto merlot.
Ha naso proprio bordolese. Ma è quel bordoleggiare che parla dialetto veneto. Lo riconosci il cabernet delle terre che furon della Serenissima.
C'è prugna matura, cassis succoso, amarena fin che ne vuoi. E una vena boisée che in questo caso è delicata e non guasta.
In bocca di frutta ne ha di nuovo parecchia, e corrisponde. E quella vena acida le dà bella snellezza, ed è un piacere. La spezia pure è lì, intrigante.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

6 febbraio 2009

Médrac Haut Médoc 1996 Domaine du Haut-Brugas

Angelo Peretti
Fatto tutt’e solo di cabernet sauvignon, questo rosso bordolese (bordolese per davvero: aoc di Médrac, nell’Haut Médoc) è di quello che fanno andare in solluchero i fan dei vini cosiddetti naturali, e tale si dichiara, tradizionale, sull’etichetta (le note di servizio: scaraffare quattr’ore prima, sono scritte a pennarello bianco direttamente sul vetro, e invero secondo me bastano pochi minuti in bicchiere grande). E dirò di più: niente solfiti aggiunti, niente legni nuovi.
Ora, quand’ho di fronte vini così ideologici, da subito mi vien l’orticaria. Però…
Però quando i risultati son come questi, mi vien da pensare. Ché questo ’96 preso da pochissimo (ed è tuttora in vendita) è così giovane giovane da metterti in crisi.
Il colore magari non è dei più accattivanti, torbidino e con un’unghietta già mattoneggiante.
Il naso ha bisogno di tempo per aprirsi: da subito è osticamente chiuso, con un che di riduttivo e di legno vecchio e forse perfino un sospetto di brett (della cui cosa francamente poco mi preoccupo) in quelle sue vene di pellame.
Poi assaggi, e porca miseria che giovinezza: ed è un ’96!
Tannini rustici e ruspanti e graffianti. Acidità in rilievo. Il fruttino maturo – il cassis – che si fa largo pian pianino, ma che è succoso ad onta dell’alcol elevato, ché in etichetta si dice che son 14 gradi. Ma insomma: ha beva. E va giù un bicchiere dopo l’altro. E la spezia che si avanza lo rende ancora più accattivante.
Certo, il legno non è di quelli ruffianetti, ed anzi un po’ polveroso lo sembra. Ma è l’assieme che è attrattivamente old fashiones. E lo bevi.
Insomma: non è l’esempio della finezza, ma di personalità ne ha a palate. E tutto fa pensare che, se il tappo tiene, sia rosso pressoché eterno come longevità.
Comprato on line a 25 euro più uno sproposito di spese di spedizione (calcolate alla fine, tasse incluse, un prezzo attorno ai 30-32 euro a bottiglia, comunque spesi bene).
Due lieti faccini :-) :-)

5 febbraio 2009

Agriturismo Cà del Re - Verduno

Angelo Peretti
In Langa, a poca strada da Bra, da La Morra, da Alba. La famiglia è quella del Castello di Verduno, cantina ipertradizionalista che fa Barolo e Barbaresco, a due passi. Ed anche qui, all'agriturismo, è la tradizione a dominare, la cucina famigliare. Con garanzia di donna Gabriella Burlotto, che racconta i piatti, raccoglie gli ordini, porta in tavola.
Si mangia nella sala d'inverno (ed è bella la parete dipinta con sagome di persone del luogo, e in foto qui ce n'è un assaggio) e in cortile d'estate, sotto le piante, a ridosso della legnaia. Cucina semplice, eppure (o forse ancora di più per questo) invitante e saporita. Che so: per cominciare peperoni, lingua in salsa, tomini. Poi, agnolotti, tagliatelle (farina di mais) al ragù o ai fegatini di coniglio. I bocconcini di vitello al Barolo. E alla fine, immancabile, il bonet.
A proposito di Barolo: a me 'sto posto piace poi per la lista vini. Che è monomarca o quasi, ché le bottiglie son quasi solo quelle del Castello. Ma ci trovate anche le vecchie annate, ed è cosa rara assai, soprattutto ai prezzi, stra-abbordabili, che fanno qui. In luglio ci ho bevuto un Barbaresco del '96. E se prima volete provare qualcosa di ruspante per davvero, cominciate con un Pelaverga.
Cà del Re - via Umberto, 14 - Verduno (Cuneo) - tel. 0172 470281

4 febbraio 2009

Recioto di Soave Calprea 2004 Filippi

Angelo Peretti
I giovani Filippi, in una zona baciata da Dio, sulle colline di Soave, d'un metro appena di là dal confine della zona classica, e non capirò mai perché questa delimitazione, quando il colle è invece un unicum territoriale, fanno vini che certo non mirano a passar per ruffiani.
Viticoltura estrema, metodi naturali: manca poco alle certificazioni del caso, e non è in ogni caso che me n'importi granché del sigillo di questo o quest'altro ente, ché a parlare dev'essere alla fin fine solo e soltanto il vino.
A mio avviso, e certamente mi sbaglierò, il loro vino fin qui più intrigante è il Recioto soavese del vigneto Calprea. Che è dolce sì, ma nello stile di casa, e dunque per nulla orientato alle mode, ma anzi personalissimo con quella nota un pelo ossidativa che fa così tanto vin santo, ed è politicamente scorretta ed old fashioned.
Tutto e solo da uve di garganega a lunghissimo appassimento (e da vigne di già abbastanza vecchiotte, se non ricordo male), senz'uso di ventilazioni forzate, ma solo con l'aiuto dei venticelli che tirano da quell parti, panoramicamente esposte. Poi il mosto, zuccheroso, passa a fermentare pian pianello nel legno (e magari una traccia di rovere si avverte, e qui forse occorrerebbe limare) .
Colore ambrato, dorato.
Al naso il dattero e il miele di castagno e le frutta secche, e la nocciola tostata.
E in bocca c'è corrispondenza. Epperò l'alcol (16 gradi, se non ricordo male) e lo zucchero sono ben integrati. E c'è anche un che di freschezza che rende più piacevole il sorso.
Piacevole, ripeto, questo vino. Che abbino a nocciole e noci e mandorle, a fine pasto.
Due lieti faccini :-) :-)

3 febbraio 2009

Ristorante Oste Scuro - Verona

Angelo Peretti
Ecco, io non capisco come facciano a non dargli la stella quelli della Michelin ad un posto come questo, e invece gli assegnano, se non ricordo male, una sola forchetta. Mah.
Vero: il locale è piccolino, i tavoli ravvicinati(ssimi). Ma l'atmosfera è davvero piacevole, il servizio impeccabile, la cortesia notevole.
E la cucina, oh, la cucina per chi cerca il pesce di mare è di quelle che ami a prima vista. E lo chef Simone Albertini, giovane, è proprio proprio bravo.
E la carta dei vini? Anche quella è ben composta, e ci trovi belle bottiglie italiche e buone bolle francesi e anche qualche intelligente escursione bianchista fuori confine (in terra tedesca, per esempio: un paio di Riesling teutonici di bel livello).
Pesce, dicevo. Solo pesce, e marinaro. Crudità. Ostriche. Tartare delicatissime. Un fritto da leccarsi le dita. Insalatina di polpo. Una zuppa di mare che è un'apoteosi di profumi. E poi non limitatevi alla carta, ché c'è sempre qualche sorpresa. E in ogni caso è delicatezza e sicurezza dei sapori e cura.
Il prezzo? Dipende da quel che scegliete: ovvio, col pesce è così. Ma non vi svenerete con un pranzo. Ricordando che il crudo di qualità ha il suo costo.
In un vicoletto a due passi da Castelvecchio e poche centinaia di metri da piazza Brà.
Ristorante Oste Scuro - Vicolo San Silvestro, 10 - Verona - tel. 045 592650

2 febbraio 2009

Côtes de Provence Rosé Cru Classé 2007 Domaine de Rimauresq

Angelo Peretti
Ecco, quest'è uno di quei rosé che non tradiscono mai. Mi ci sono affidato a cena, dopo una giornata passata ad assaggiare Amarone. Mi ci voleva un vino di personalità spiccata e nello stesso tempo di bell'eleganza, di freschezza dissetante e ancora di giust'asciutezza, ché avevo il palato tormentato dall'alcol e dagli zuccheri amaronisti. E la scelta s'è dimostrata ancora una volta felice.
Il rosé provenzale del Domaine de Rimauresq è, per me, un classico.
Salmone pallido di colore, brillantissimo.
Al naso, accenni lievissimi di pompelmo rosa e d'erbe officinali (menta, direi, ma appena appena tratteggiata). E poi petali essiccati.
Ma più che all'olfatto, impressiona al palato. Ché è vino di gran carattere. Teso, asciutto. Nervoso. Gratta come carta vetrata. Ha vaghe vene di mineralità terragna e una speziatura minuta, finissima, accattivante. Grand'equilibrio d'alcol e d'acidità. Armonico, armonioso: non so mai qual sia l'aggettivo corretto.
E c'è da dire che d'inverno rende ancora meglio che in estate, trovando abbinata con cucine più sostanziose: è bottiglia da stappare senza preoccupazione con piatti anche d'importanza.
Fatto per il 35% d'uve di cinsault, per altrettanta parte di grenache, per il 25% di tibouren e per il 5% appena di syrah. Tredici gradi di alcol.
Costa attorno agli 11 euro on line.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)