31 marzo 2009

La fine del mondo e i vini da invecchiamento

Angelo Peretti
L'allarme pare l'abbia lanciato lo scienziato-capo del governo britannico, o almeno così ho letto su un quotidiano: i cambi climatici e l'aumento della popolazione mondiale starebbero innescando quella che si può definire una "perfetta tempesta" globale che sconvolgerà il pianeta.
La crescente carenze di cibo, di acqua e di energia, i disastri ambientali prossimi venturi, le guerre e le migrazioni farebbero prevedere che la fine del mondo si abbatterà sul mondo entro il 2030.
Alla luce di quest'autorevole parere, credo siano necessari drastici provvedimenti: non comprerò più vini che richiedano affinamenti superiori ai 20 anni.
Non farei in tempo a berli.

30 marzo 2009

Champagne Ambonnay Grand Cru Cuvée Rosé Eric Rodez

Angelo Peretti
Cuvée rosata champagnista della maison Rodez. Buona. E bella già nel colore: d'un rosa appena appena sfumato nell'aranciato. Brillante, cristallino.
Al naso ha fruttini rossi e speziatura fine e pasticceria (croissant alla marmellata d'albicocca). E perfino, direi, un che di tartufo nero: incredibile...
In bocca c'è tensione e personalità e polpa. Ed ha struttura di rispetto. Eppure è anche ammiccante, con quella sua morbidezzaa accattivante e setosa. Ed ha bolla cremosa e minuta.
Tanto frutto di bosco piccolino e addirittura, mi pare, cenni di confettura.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

29 marzo 2009

Rustici rossi da Nizza Monferrato

Angelo Peretti
I vini li ho tastati a un’iniziativa mess’in piedi di recente al Castello di Novello, Langa, da Terra dei Vini. E devo dire che m’hanno intrigato. Ché li ho avvertiti di bella personalità. Rusticamente belli, intendo, e vedrete di sotto, nella trascrizione delle note che mi son fatto sul posto, che l'aggettivo rustico diventa un tormentone, ma ho scelto di non cercar giri di parole o sinonimi: quella era l'impressione, e quella ho lasciato. E per far completa la faccenda, l'ho ripresa, l'aggettivazione, anche nel titolo.
Mi verrebbe da aggiungere che li ho trovati vini “veri”, se l’aggettivo non fosse un po’ abusato da qualche tempo in qua.
Ora, non credo sia mica facilissimo presentarsi al mercato con un nome aziendale così poco moderno ed appealing come Erede di Chiappone Armando. Ma evidentemente in quest’aziendina astigiana da Nizza Monferrato - dieci ettari di vigna in tutto, e appena 30mila bottiglie, leggo on line - non badano alla forma, quanto piuttosto alla sostanza. E in effetti, per via di forma, magari dare una rimodernata al sito internet non sarebbe poi così male. Ma tanto, che importa? L’importante è che il vino sia buono, e questi qui il vino lo fanno, appunto, buono.
Di vini n’ho provati tre, ossia le due Barbere e il Freisa, e credo siano le punte di casa. O meglio, a dire il vero n’ho messo nel bicchiere anche un quarto, una curiosa Barbera Chinata (e io sono un fan della china), che ho trovato niente male insieme con certi biscotti all’amaretto che avevo sgraffignato a un tavolino, ma, appunto, non è stato assaggio coi sacri crismi, e dunque non mi ci soffermo oltre.
Qui di seguito, invece, dico dei tre assaggi.
Barbera d’Asti Brentura 2006 Erede di Chiappone Armando
Oh, che buona Barberina, ‘sta Brentura. Fatta in acciaio, e non lo diresti, ché la trovi rustica (ed è, come ho detto più sopra, imprinting aziendale, questa rusticità) e minerale e perfino evoluta su tracce di liquirizia a intridere il frutto, ch’è maturo assai. Ed è frutto al naso e in bocca, con continuità, ed è piacevole questa corrispondenza. E poi c’è gran beva e bella freschezza e tannino spiccato e gran lunghezza. E anche buon prezzo: 6 euro in cantina a privati, mi si dice.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Barbera d’Asti Superiore Nizza Ru 2004 Erede di Chiappone Armando
Ci credono, questi, alla sottozona di Nizza. E ci tirano fuori una Barbera, la selezione del Ru, che è un rosso coi controfiocchi. All’olfatto ci scovi ricchezza di fruttino e vene di terra bagnata e un che di cacao. In bocca il vino è nel contempo rustico (e ci risiamo, dunque) nella pasta e piacevole di frutto. Ha gran trama tannica, intendo, e insieme una fruttuosità succosa e, a completare il quadro, anche una bella freschezza. Insomma, ti vien voglia di berlo, nonostante una certa scontrosità di carattere, che però trova equilibrio nell’ampiezza del frutto. Un vino che intriga per una sorta di doppia personalità. Mica per tutti.
Due lieti faccini :-) :-)
Freisa d’Asti Sanpedra 2003 Erede di Chiappone Armando
Ora, chi pensa che il Freisa sia sempre e comunque quel vinello beverino e un po’ frizzantino che, insomma, non me ne voglia nessuno, somiglia un poco a un Lambrusco fatto però in Piemonte, be’, di fronte a questa bottiglia gli tocca ricredersi. Questo qui è un vinone, invece, ma di quelli che si fan bere. Ha naso terroso e minerale. E c’è frutto perfin macerato. La bocca è robusta, tanica e ruvidamente rustica (e gtre!), eppure avvincente per carattere. E trovi frutto nero. Mora. Ciliegia stramatura. Ed è notevole la persistenza.
Due lieti faccini :-) :-)

28 marzo 2009

Poveri i miei rosé: qui va a finire peggio che con l'olio

Angelo Peretti
Ma sì, avanti, liberalizziamo: cosa gliene frega alla fin fine alla gente che il vino sia buono? Il business è quel che conta, altroché. E chi si sbatte per far qualità, per rispettare il territorio e le sue tradizione, ma che vada a farsi benedire!
Non vorrei fossero questi i pensieri che passano per la testa agli eurogovernanti. Perché a veder quel che stanno combinando con le produzioni agricole, e col vino in primis, vien da inorridire. Liberismo sfrenato: è questa la regola.
Pensate all'ultima innovazione: consentire che si mettano assieme vini bianchi e rossi per farne un altro dal colore rosa. Va di moda il vino rosato? E allora facciamolo rosato. Et voilà: il rosé miscelato è bell'e pronto! Rosé giusto nella tinta, sia chiaro. Chi se n'importa se non ha per nulla la fragranza e la freschezza d'un rosato di quelli veri?
Già, ché con le nuove regole degli eurolegislatori, all'annate non si fa proprio riferimento. Avete un rosso che non riuscite più a piazzare? Un bianco che neanche se lo regali? Un fondo di magazzino qualunque? Fateci un miscuglio e il gioco è fatto. Alla faccia del consumatore, alla facciaccia del vignaiolo.
Dicono, a motivazione: ma gli australiani lo fanno già, e allora c'è concorrenza sleale, ché in Cina il mercato se lo beccano tutto loro. E allora avanti: se lo fanno loro, facciamolo anche noi. Spero che domani gli australiani non si mettano a fare i vini che sanno di "tutti i gusti più uno", alla Harry Potter, ché sennò ci metteremmo a rincorrerli anche noi. Ricordo solo, per inciso, che il professor Silente, prendendone una di quelle caramelle, si beccò quella al sapore di cerume...
La cosa che più mi fa specie è che ad aver avuto qualche dubbio su questa scoperta siano stati solo i francesi. Italia e Spagna han detto ok: ma ci pensate? Sul Garda, in Abruzzo, nel Salento c'è una tradizione straordinaria in fatto di vini rosati. Ecco: il sapere accumulato nel tempo, le fatiche di vigna e di cantina, tutto spazzato via in un attimo.
O meglio, no: al danno ci si aggiunge la beffà. Ché gli eurosapienti, visto che qualcuno se l'è presa male per questa storia degli pseudorosé, han tirato fuori dall'eurocilindro magico un'altra ideona: i rosati veri in etichetta scriveranno "metodo tradizionale". Gli altri, invece, potranno far quello che vogliono. Col risultato che il consumatore non capirà niente di niente, ma in compenso chi ha sempre fatto rosato coi sacri crismi dovrà ristampare tutte le etichette. Avanti così! I piccoli vigneron non ci stanno più dentro coi loro bilanci familiari? E allora aumentiamogli le spese, facciamogli buttar via tutte le etichette: che se le ristampino, così si rimette in moto l'economia. O che stiano zitti: tanto loro non se li fila nessuno.
Mi par di rivedere un film già visto: quello dell'olio.
La sapete, vero, com'è la storia dell'olio? Ve la riassumo qui sotto.
Se l'olio lo fai con le olive, allora in etichetta lo devi chiamare così: "Olio extravergine di oliva olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive ed unicamente mediante procedimenti meccanici". Già, tutta questa pappardella qui per dire: l'ho fatto con le olive.
Se invece l'olio lo fai coi processi chimici, allora puoi scrivere: "Olio di oliva".
Che dite: è truffa? No, è legge.
Ecco, coi rosé finirà alla stessa maniera. Il bello (bello?) è che l'Italia ha detto di sì.

27 marzo 2009

Barbaresco 2005 Angelo Pastura

Angelo Peretti
Non è tra i nomi big del Barbaresco, ma il suo vino l'ho trovato interessante.
N'ho bevuto un bicchiere al simposio che Davide Canina, ingegnere elettronico con la passione per la sommelierie, ha organizzato con una serie d'aziendine al Castello di Novello.
Il vino? Barbaresco di Serraboella. Producer Angelo Pastura.
Un po' tanto giovine, ancora, 'sto rosso langarolo, e dunque ovviamente non perfetto in fatto d'equilibrio, ma mi par bottiglia degna d'interesse (non so il prezzo, confesso, e può essere una discriminante, ma a occhio e croce sarà sulla diecina d'euro in cantina).
Colore mica tanto carico, ed è bene, a mio vedere, per un nebbiolo.
Naso che pure nebbioleggia per benino, ed ha fruttino e spezia, e fa apprezzare per buon'eleganza.
La bocca, è vero, è parecchio tannica, su toni di caffè e di cacao, ma sotto avverto ancora il fruttino e un che di violetta.
Due lieti faccini :-) :-)

26 marzo 2009

Birra Pedavena

Angelo Peretti
Certo non avrà portato chissà che contributo, ma anche quest'InternetGourmet era stato tra i "siti amici" della storica birreria bellunese Pedavena, quando c'era il rischio, concreto, che chiudesse.
Era il 2004: la proprietà era allora della Heineken, che aveva deciso di chiudere. Inefficienze, dicevano.
Gli operai e la comunità locale s'erano mobilitati.
Alla fine, nel gennaio del 2006, la buona notizia: lo stabilimento se la comprava la Birra Castello di Udine. La tradizione era salva.
Non m'era più capitato di berla, la Pedavena. Finché qualche giorno fa non ho trovato al supermercato le bottiglie da mezzo litro: inevitabile metterne una nel carrello.
E ora dico: meno male che non ha chiuso. Ché stapparla e annusarla e berla è stato come fare un salto indietro nel tempo. A ritrovare quel tono luppolato delle birre italiane d'una volta. Di quand'ero giovanissimo e bere birra era una specie di roba da grand'occasione. Esclusivamente estiva.
Eh, sì: 'sta superpremium paglierino-dorata, dalla schiuma cremosa e dall'amarognolo di luppolo ha proprio un sapore stampato nel ricordo.

25 marzo 2009

Dell'aristocrazia del nebbiolo: il Faset e il Monvigliero del Castello di Verduno

Angelo Peretti
Non sono, ahimè, esperto di vini di Langa. Eppure ne sono innamorato. Amore fugace, mai approfondito. Chissà: un giorno, magari...
Ma quand'hai nel bicchiere un nebbiolo che non tradisca sé stesso e la sua terra, be', hai "il" vino.
L'anno passato ero, di questi tempi, in Langa, e ho tentato la sorte di suonare al cancello del Castello di Verduno per veder di comprar qualche bottiglia d'antan. Avevo, del resto, ottima raccomandazione per il padrone di casa, Franco Bianco, ché a consigliarmi d'andare era stata la consorte Gabriella Burlotto, dalla quale avevo mangiato gran bene, al vicino agriturismo Cà del Re.
Ora, è da sapere che il Castello di Verduno è stato castello per davvero. Nel 1838 l'acquistò re Carlo Alberto. La direzione della tenuta e della cantina venne affidata al generale Carlo Staglieno, celebre enologo del tempo. Che vi sperimentò la vinificazione dell'uve di nebbiolo con quello stile ch'era suggerito da Giulia Falletti Colbert. Insomma: i primi vagiti del Barolo odierno.
Poi nel palazzo abitò Oddone, figlio di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide. E nel 1909 la proprietà passò di mano: l'acquisì da Casa Savoia la famiglia Burlotto. Col '53 parte del castello venne adibita ad albergo. Ma si continuò, nelle antiche cantine, a farci vino.
Fin qui l'excursus storico. Ora debbo dire com'è andata al mio suonar di campanello. E dico che la sorte m'è stata favorevole, e padron Franco m'ha lasciato portar via una doppia mini verticale: il '96, il '97, il '98 e il '99 sia del Barbaresco della vigna Faset, sia del Barolo della vigna Monvigliero.
Sul sito dell'azienda leggo che la vigna aziendale del Faset, nel comune di Barbaresco, è di 0,97 ettari: esposizione est-sud-est, terreni bianchi con venature sabbiose accanto ad altri di tipo calcareo marnoso. Il vino che ne vien fuori lo definiscono, loro, "affascinante ma scontroso".
La collina del Monvigliero, a duecentottanta metri d'altitudine, è esposta a mezzodì: marne bianche. La proprietà è d'appena 0,30 ettari, reimpiantati nel 1969. Al Castello dicono che è Barolo "che si distingue per la delicata finezza dei profumi e per un’eleganza da apprezzare nel tempo".
Finita la lunga premessa, eccomi agli otto vini, che ho stappato in compagnia. Ed è stata gran serata.
Qui di sotto i miei appunti. Assegno un punteggio centesimale, e sembra un'eresia, ché vini così non si dovrebbero "votare". ma è per capir l'ordine del gradimento, tutto qui.
Prima i Barbaresco, poi i Barolo.
Barbaresco Faset 1996 Castello di Verduno
All'olfatto si concede con ritrosia, ma n'avverti con immediatezza l'eleganza. Aristocraticamente nebbiolo. Trovi sottilissime vene balsamiche di mentuccia. E resta fine e seducente alla distanza nel bicchiere. In bocca è da subito insieme fresco e tannico. Ed ha frutto lunghissimo, interminabilmente succoso. Esce di poi la liquirizia, ad arricchir l'assieme.
88/100 - Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Barbaresco Faset 1997 Castello di Verduno
Il naso è più austero del '96. Su toni che direi terrosi. Di terra rossa. E pellame. Tracce di tamarindo. E poi, alla lunga, il cioccolato al latte. In bocca è immediatamente rotondo, su toni invitanti di piccol frutto e di viola. C'è bella freschezza. Ed è morbido nel tannino e nel frutto. Succoso e invitante. Amarena, ciliegia cotta come facevan le nonne, con le spezie. Bastoncino di liquirizia. Origano. E bella lunghezza.
89/100 - tre lieti faccini :-) :-) :-)
Barbaresco Faset 1998 Castello di Verduno
Oh, caspita! Ch'eleganza di profumi che hai di colpo, appena messo nel bicchiere. Affascinante: piccolo frutto nero maturo (mora, in particolare), spezia fine, pellame, terra, pepe, canfora, mentuccia, maggiorana, liquirizia, china calissaia in un succedersi interminabile. E anche la bocca è da subito ammaliante. E c'è di nuovo il frutto maturissimo. Perfino l'amarena, la prugna. Ed erbe aromatiche: origano. Strepitosa morbidezza di frutto e di tannino. Che buono!
94/100 - Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Barbaresco Faset 1999 Castello di Verduno
Il meno convincente, il più chiuso, riottoso. Che si disvela piano piano. Al naso c'è un che di bruciato, di mineraleggiante. Coprendo un frutto che fatica a farsi largo, con lentezza estenuante. In bocca è asciutto, teso, austero. Da subito è ginepro. Poi ecco tracce di cioccolato di Modica, sabbioso. Forse da aspettare ancora: vino che chiede pazienza.
83/100 - Due lieti faccini :-) :-)
Barolo Monvigliero 1996 Castello di Verduno
Appena versato nel bicchiere, ecco espandersi note di canfora e anice e macchia mediterranea e origano. E poi tracce di liquirizia e mentuccia appena accennata. E fruttino nero. In bocca t'appare asciutto, tannico, eppure denso di frutto. Tanto frutto. Lunghissimo. Incantevole. E di poi col fruttino s'intersecano sentori officinali, d'erbe alpestri. E alla lunga vien fuori il cioccolato al latte. Piacevolissimo. Perfino goloso.
91/100 - Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Barolo Monvigliero 1997 Castello di Verduno
Al naso è austero, e s'apre con gradualità. Dapprima cuoio e liquirizia. E crème brulée. Di poi, il cacao, il caffè. In bocca è elegante. Un mix di frutto e di freschezza. Il tannino s'integra alla grande. Vino che ha personalità e possanza. E ha lunghezza. E bella presenza officinale. E tanto anice, quando di poi evolve nel calice.
89/100 - Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Barolo Monvigliero 1998 - Castello di Verduno
Signori, giù il cappello: che gran vino! Da subito, appena nel bicchiere, ha gran bouquet. E continua in progressione ad aprirsi verso nuovi orizzonti olfattivi. Complesso. Un fruttato giovanile e intrigante. Aristocratiche vene terziarie di cuoio e pellame. Rose appassite. Liquirizia. Erbe officinali e mediterranee. Tracce di iodio. Profondità incredibile. La bocca è subito avvolgente, vellutata, setosa. Tannino e freschezza in perfetto connubio. Gran polpa. Persistenza da vertigine. Nessuna concessione alla leziosità in quella dolcezza di frutto che sfodera. Liquirizia a profusione. Cacao. Fruttini sotto spirito. E vai!
95/100 - Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Barolo Monvigliero 1999 Castello di Verduno
Al naso fin da subito c'è canfora e cuoio. E vena d'eucalipto. S'apre pian pianino verso il frutto e la spezia, sull'origano e sul cacao. Bocca gradevolissima e fresca. Tannino in equilibrio. Anche al palato gli ci vuol tempo ad aprirsi, a farsi avanti col frutto. Mi vien da pensare l'ultima nota che ho scritto del Barbaresco di pari annata: occorre aspettarlo pazienti.
86/100 - Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

24 marzo 2009

Italian street food a New York

Flavio Tagliaferro
Little Italy non sta più a Manhattan, ma nel Bronx.
A New York, è oramai solo nel Bronx, nel quartiere di Belmont, ovvero Arthur avenue e dintorni, che si può respirare l’aria di Little Italy, con i bar pieni di gente che sembra venire direttamente dal cast di “C’era una volta in America” o “Il Padrino” ed i negozi di alimentari che trasudano un’italianità che sta scomparendo anche da noi.
Il mio consiglio è di visitare questo pezzo di quartiere storico di New York al mattino verso le 11, per una vera esperienza di street food all’italiana, così come ho fatto io un paio di mesi fa.
Cominciate con un cannolo e un buon caffé da Artuso, 670 E 187th street, poi proseguite con il pane appena sfornato dei Madonia Brothers, 2348 Arthur ave, da mangiare a morsi in strada, pane con le olive, con le cipolle o semplicemente una stupenda schiacciata all’olio extravergine.
A due passi stanno i Teitel Brothers, 2372 Arthur ave. Entrate nel negozio e vi troverete tra una miriade di salumi, formaggi a scatolette. Fatevi tagliare 4 o 5 tipi di formaggio, ottimi i pecorini, fatevi affettare della mortadella e mangiateli lì sul banco o in strada su un pezzo di carta, mordicchiando la schiacciata dei Madonna Brothers
A quel punto, due passi indietro e siete pronti per Cosenza Fish Market (2354 Arthur ave), THE seafood market in NY.
Lì in strada, davanti a un banco di pesce con ogni ben di Dio, tuffatevi su ostriche freschissime (le piccole Kumamoto, le mie preferite), e vongole giganti (l’equivalente dei nostri tartufi), servite con una dadolata di cipolla rossa marinata nell’aceto di vino.
Infine il Retail Market di Arthur ave, per sedervi da Mike’s Deli e Son, due veri personaggi ed una vera istituzione a NY.
In mezzo a gente che urla e schiamazza potete sedervi a gustarvi l’atmosfera di mercato lasciandovi deliziare da David, figlio di Mike, con una carrellata di specialità italiane e un bicchiere di vino. Soprattutto non dovete perdervi le premiate melanzane alla parmigiana di Mike ed il Deli Sandwich. Se le assaggiate, assicuratevi di essere almeno in quattro!
Se vi è rimasto ancora un posticino nello stomaco, per pranzo vi suggerisco l’onesta qualità di Roberto’s, uno dei due ristoranti di Roberto Paciullo che, pittore in origine, è diventato uno dei cuochi italiani più noti a New York.
Buona la selezione dei vini e chiedete di visitare la cantina… mobile.

23 marzo 2009

Valtellina Superiore Sassella Riserva Stella Retica 2004 ArPePe

Angelo Peretti
Il nebbiolo di montagna. Chiavennasca, lo chiamano da quelle parti: terra di Valtellina. Da una dell'aziende tra le più tradizionaliste che ci siano nella tradizione di cantina non solo di Lombardia, ma dell'Italia tutta. L'ArPePe di Arturo Pelizzatti Perego.
Mi dicono che 'sto 2004, che ha fatto un paio d'anni nel legno grande, uscirà ufficialmente a Vinitaly: un buon motivo in più per andare a tastarlo alla kermesse veronese.
Ho avuto la fortuna di provarlo, dunque, in anticipo. Fortuna, ho detto: gran bella bottiglia.
Nebbiolo che più nebbiolo è difficile. Già dalla tonalità: lieve e granata e trasparente e traslucida come ha da essere, senz'alcun doping colorista.
Il naso è fruttino: la marasca, il ribes, direi. E la fragola stramatura. Eppoi la spezia fine.
In bocca è nuovamente tripudio di piccol frutto. E torna la speziatura. E vi si aggiunge memoria di cuoio. E vena terrosa.
Bellissimo vino, fascinoso, decadente e moderno insieme.
Mi dicon che in cantina, a privato, viene sui 13 euro: li vale tutti.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

22 marzo 2009

Il super-Prosecco è doc: xé 'a globalisasión, òstrega!

Angelo Peretti
E adesso c'è il modello veneto alla globalizzazione del vino. Un fenomenale modello copia-incolla. Copia le esperienze altrui, incollale assieme, fiuta il vento, e buttati sul mercato, battendo la concorrenza. Risultato: et voilà, il super-Prosecco, che adesso è doc.
Capisco che son criptico, e allora cerco di spiegare.
Il 20 marzo il Comitato nazionale vini ha espresso parere favorevole alla proposta di riconoscimento della nuova doc Prosecco, che mette tutt'insieme appassionatamente i doc e gli igt che stanno tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. Creando una nuova doccona dai numeri enormi: credo sarà dietro solo allo Champagne francese e ai Cava spagnoli in termini di volumi.
Per inciso, a Conegliano e Valdobbiadene, sul Montello e sui Colli Asolani, le aree prosecchiste storiche, si son portati a casa, come contropartita, la docg.
L'iter d'approvazione è andato avanti speditissimo: che sia un caso che il ministro Zaia sia di quelle parti? Comunque, meglio così: stavolta la burocrazia ha dimostrato di funzionare, e speriamo accada con maggior frequenza.
Non ho ancora detto cosa c'entra il copia-incolla. Eccomi, con un avviso ai naviganti: quelle che seguono son solo illazioni mie, ché il disciplinare non l'ho letto.
Il copia. Ricordate la rogna del tocai? L'Unione europea ha assegnato l'esclusiva del nome all'Ungheria, facendo fuori Italia e Francia. Il perché è semplice: gli ungheresi hanno un paese che si chiama Tokaj, e poco importa se il vino che ci fan da quelle parti è dolce e viene da tutt'altre uve rispetto a quell'italiane e franzose. Vince il nome geografico. Se questa xé 'a regola, tanto vale sfruttarla, han pensato i prosecchisti, che son tra l'altro sotto pressione, ché di prosecchini se ne stanno facendo ormai un po' dappertutto.
L'incolla. Scartabellato l'atlante, i prosecchisti han visto che in terra giuliana c'è un paesello che si chiama Prosecco, frazione di Trieste, e che ha anche tradizione viticola. E dunque, oplà: si estende l'area di produzione della doc Prosecco anche al Friuli e ci si mette dentro il paesino che ha lo stesso nome, e nessun altro ti potrà più scippare la denominazione. Che non fa più riferimento all'uva prosecco, ma al villaggio di Prosecco.
Che dite? Fiction? Rilancio: sarà mica un caso che alle vigne di prosecco gli abbiano voluto cambiar nome. Pare che il vitigno si chiamerà glera...
Ma poi, se fosse andata proprio così, ammettiamolo, sarebbe stata un'operazione geniale: copiare il caso Tokaj e attualizzarlo tra Veneto e Friuli per difendersi dalla globalizzazione del Prosecco e dagli enopirati che imperversano ovunque.
Risultato: come dice il ministero delle politiche agricole Luca Zaia, “a partire dal primo agosto 2009, tutto il Prosecco sarà protetto a livello comunitario ed internazionale come denominazioni di origine protetta". Bingo!
E adesso si può tentar l'azzardo: mettere ko la concorrenza spumantistica d'altre terre. Già, perché il proseccone veneto-furlan-giuliano ha un potenziale viticolo - son dati che ho ho visto sul sito del ministero - di 11088 ettari (di cui 10350 nel Trevigiano, 613 fra Padova, Vicenza e Belluno, e appena 125 nella regione friulana, poverelli). Ora, non so quale sarà il massimale produttivo ammesso dal nuovo disciplinare, ma se fosse quello dell'attuale doc coneglianese, saremmo sui 135 quintali d'uva per ettaro. Con una resa in vino del 70-75 per cento, vuol dire che ci si posson tirar fuori qualcosa come intorno ai 150 milioni di bottiglie di bollicine. Signori: non c'è più trippa per gatti. Questa è la riposta nordestina alla globalizzazione: "Minacciano di invaderci coi finti prosecchi che vengono da zone barbare? E allora noi chiudiamoci a riccio, allarghiamo le spalle e attacchiamoli". A suon di bottiglie bollicinose. Altro che chiacchiere.
Perfino il gigantesco Asti spumante resta al palo nei confronti del super-Prosecco: le bolle astigiane fanno in tutto 80 milioni di bottiglie, vuoi mettere?
Da quando andrà in porto tutto questo fermento neoprosecchista? Già dalla prossima vendemmia. Del resto, c'era fretta di sistemar le carte prima del big bang del vino europeo: dal primo d'agosto entra in vigore la nuova ocm (leggi: organizzazione comune di mercato) del vino. Che trasformerà di fatto le doc e le docg italiane in dop europee. Con tutte le rogne del caso. E non si sa ancora bene di che rogne si tratti.

21 marzo 2009

Elixir di China Calisaia Massagli

Angelo Peretti
Non sono (più) un bevitore di superalcolici & distillati. Una volta mi piacevano, ora meno. Epperò, sarò anche all'antica, ma se trovo una china, allora non resisto a un bicchierino a fine pasto. China di quella vera, buonae amaricante, mica le sdolcinature dell'industria.
La china della farmacia Massagli di Lucca da qualche anno a 'sta parte raramente manca in casa mia.
La farmacia c'è ancora (sì, sì, proprio farmacia: ci si trovano i medicinali, e c'è un bell'arredo antico, per quel che mi ricordo), dietro alla chiesa mi par di san Michele, nel fascinoso centro storico, e ci vendono anche il liquore, che però fanno altrove: leggo sul sito che ne producono dai quaranta ai cinquantamila litri per anno.
Alla corteccia di china ci aggiungono, in macerazione, erbe, radici e spezie. L'insieme ha del bell'equilibrio. Amarognolo e pastoso, è roba di carattere, che peraltro preferirei un pochetto meno zuccherosa, ma tant'è.
E in ogni caso dopo un piatto robustello - che so: un baccalà alla vicentina - un calicino me lo sorbisco volentieri, pian piano.

20 marzo 2009

Geni del marketing in cantina

Angelo Peretti
Degustazione di vini, una delle tante.
Vedo la postazione di un'azienda di cui mi hanno parlato molto bene. Una vita che non provo le loro bottiglie. In effetti, sono davvero interessanti: prezzo attorno ai 20 l'una.
Dico: "Periodicamente organizzo delle degustazioni per 18-20 persone e mi piacerebbe in una delle prossime avere un paio dei vostri vini. Visto il numero dei presenti, non ne posso comprare molte bottiglie: se vi faccio un bonifico, potete inviarmele?"
Risposta: "Certamente, sarà un piacere. Non serve un ordine grosso: a noi bastano 400 euro".
Primo pensiero: "Siete dei geni del marketing".
Secondo pensiero: "Siete gente che beve tosto: 400 euro di bottiglie a 20 euro l'una per una degustazione di 20 persone, vuol dire una boccia a testa".
Terzo pensiero: "Ma mi volete prendere per il culo?"
Propendo per il terzo.

19 marzo 2009

Coste della Sesia Rosso Cascina Cottignano 2006 Carlo Colombera

Angelo Peretti
Per me, una prima volta. Non m'era mai successo prima di bere un rosso della doc Coste della Sesia, terra biellese e un pelino vercellese, e denominazione, se non sbaglio, decenne e più (decreto del '96), ma proprio poco, poco nota ugualmente. Figlia minore, mi par di capire, di un'altra appellation che ha maggior storicità ma non grandissimi fan, ch'è quella del Bramaterra. Piemonte minore.
Ne ho tastato un bicchiere, quello della Cascina Cottignano, di Carlo Colombera, e devo dire che l'ho trovato interessante: vino piacevole, di buona beva, e a piccol prezzo, che non è cosa che guasti affatto: 5,5o euro in cantina a privati.
Fatto per i due terzi circa coll'uva di nebbiolo, più un 25 di croatina e il resto di vespolina.
Colore non particolarmente carico (ed è un bene, ché il nebbiolo non carica).
Naso magari un po' ritroso a concedersi nella componente fruttata, e fors'ha bisogno ancora di un po' di vetro.
Ma c'è una bocca succosa di fruttino, forse un pochetto dolcina, epperò anche con dei bei tannini.
E si beve.
Due lieti faccini :-) :-)

18 marzo 2009

Ristorante Polpo Mario - Sestri Levante

Angelo Peretti
M'è capitato che m'abbiano invitato a pranzo al Polpo Mario, ristorantino di pesce che mi pare piuttosto noto tra i frequentatori di Sestri Levante. Proprio in centro del bel paesino, a due passi dalla Baia del Silenzio, che adesso è ancora più bella, silente per davvero senza i vacanzieri estivi.
Il locale è carino, ancorché un pelo datato: boiserie, foto in bianch'e nero, marinerie (dicunt che certe parti dell'arredo vengano proprio da navigli dismessi). M'ha dato l'idea d'un posto dove d'estate i turisti fan la fila per cenarci.
Ci ho mangiato bei bianchetti, e poi le frittelle di bianchetto: meglio le seconde, ma con un filo d'olio erano piacevoli anche gli altri. Eppoi, in onore all'intitolazione del locale, degli spaghetti al ragù di polpo che mi rimangerei volentieri anche un'altra volta: delicati e ghiotti.
Alla fine, una macedonia d'arance con sopra le scorzette d'arancia candite: bell'idea, rinfrescante (peccato l'avvesero zuccherata un pochino troppo, ché se fosse stata un pelo più acidula sarebbe davvero stata da bis).
Bevuto un Vermentino semplice semplice, ma a guardare in giro ho visto belle bottiglie.
Polpo Mario - via 25 aprile, 163 - Sestri Levante (Genova) - tel. 0185 480203

17 marzo 2009

Vino, tè e cioccolato e la mente fa faville

Angelo Peretti
Leggo che una ricerca anglo-norvegese avrebbe dimostrato che la combinazione fra vino, cioccolato e tè farebbe gran bene alla mente, soprattutto quando si avanza con l'età.
Se non ho capito male, avrebbero somministrato i tre ingredienti, in quantità contenute, a dei settantenni, misurandone la variazione delle capacità mentali.
I tre alimenti hanno dato, separatamente, risultati diversi: chi ha bevuto vino regolarmente ha avuto reazioni intellettive migliori di chi ha mangiato solo il cioccolato, per esempio. Ma le performance migliori le ha comunque fatte registrare chi ha usato tutt'e tre gli ingredienti: vino, cioccolato e tè, in misure proporzionate.
In quantità moderate, dicevo: i test non hanno mostrato di tendere a migliorare fra chi i tre toccasana combinati li consumava di più.
Accidenti, e io che pensavo di dover cominciare a bere più tè...

16 marzo 2009

Côte de Beaune Les Mondes Rondes 2006 Domaine Poulleau

Angelo Peretti
Certamente non sono da ascrivere tra i sostenitori dei concorsi enologici. Non me ne vogliamo organizzatori e commissari, ma il più delle volte un premio vinto a quest'enoiche tenzioni, che san di medioevo vinicolo, non mi fa né caldo né freddo. E anzi.
Mi fido però del concorso che fanno a Mâcon, in Francia, ché avendo varie volte ormai comprato bottiglie medagliate con l'oro, le ho trovate sempre, sin qui, eccellenti.
Ottimo indicatore, mi vien da dire, l'aureo bollino che appiccicano alle boce de' vini vincitori a Mâcon.
Ora, gli è che cercando on line un Borgogna da bere, ho trovato per l'appunto il Côte de Beaune Les Mondes Rondes 2006 di Domaine Poulleau (sett'ettari e mezzo a Volnay), e avendo visto ch'era stato premiato coll'oro a Mâcon, n'ho comprato una bottiglia, per provare. E adesso che ho provato ne compro ancora.
Oh, che bel fruttino che ha al naso e al palato questo vin rosso scarico che già a vederlo nel bicchiere ti vien da escalamare: "Pinot noir!"
Fragola, lampone, mora, spezia minutissima, bella beva. Un bicchiere tira l'altro.
Vivaddìo, vino da bere, che però è capace di soddisfare anche chi ha la puzza sott'il naso e più che bere (dice che) degusta.
Buonissimo e bevibilissimo e a prezzo accettabile. Questi sono i vini che mi piacciono!
Pagato, su internet, 14,90 eur0.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

15 marzo 2009

Ma quando avremo gli etilometri in farmacia come i termometri?

Angelo Peretti
Finalmente! Una sentenza della Corte di Cassazione dichiara illegali gli autovelox nascosti, quelli posizionati "solo al fine di rispondere alle esigenze di cassa dei comuni e delle società private che hanno in appalto il servizio di rilevamento della velocità". La Suprema Corte, con la sentenza 11131, ha stabilito che i rilevamenti a tradimento sono in contrasto con lo spirito della normativa in materia diretta a prevenire incidenti più che a reprimere. Era ora: prevenire bisogna, più che reprimere.
Detto questo, aspetto che qualcosa si muova sul fronte degli etilometri. Ché c'è qualcosa che non mi fila proprio per niente.
Il problema è questo: com'è che faccio a sapere se quando mi metto al volante sono a posto col codice della strada oppure no? Parlo di alcol. E intendo questo: sono stato a cena, ho mangiato, ho bevuto e non ho la minima idea di quale sia il mio tasso alcolemico. Ora, devo salire in macchina e guidare fino a casa: posso farlo o sono fuori standard? Non lo so e non lo posso sapere.
Certamente non lo saprò leggendo gli inutili e indecifrabili cartelli che i ristoratori sono stati costretti ad appiccicare su qualche vetrina. Certamente neppure acquistando le macchinette che trovi in giro: ne ho provate, e non mi hanno convinto granché.
Domando: se c'è una norma che mi impone di avere al massimo un certo tasso alcolemico, come faccio a sapere se quel tasso l'ho superato? Devo per forza imbattermi in una pattuglia? Ma in quel caso è troppo tardi: se mi sanzionano vuol dire che ero un pericolo per me e per gli altri, e intanto mi rovinano comunque. Insisto: come faccio a saperlo prima di mettermi in macchina e non dopo che ho incontrato una pattuglia o, peggio, che ho provocato un incidente?
Se voglio sapere se ho la febbre, prendo il termometro che ho acquistato in farmacia. Se volessi sapere se sono fuori dalla normativa sull'alcol, dovrei aver la possibilità di far lo stesso, di d'utilizzare un qualche marchingegno omologato che mi dia risposte certe. Che mi offra sicurezza.
Chiedo: ma possibile che i signori della politica che fan leggi e leggine non abbiano pensato di stabilire gli standard degli apparecchi di controllo, facendo in modo che si trovino in vendita nelle farmacie? Me la comprerei la macchinetta misura alcol, se avessi garanzia che è affidabile.
Perché deve esistere una norma e non posso sapere se la sto rispettando oppure no? Mi pare ingiusto, immorale, diseducativo. Mi pare repressione pura, e so di essere impopolare a scriverlo in quest'epoca di neoproibizionismo.

14 marzo 2009

Gambellara Recioto Spumante Dolce Metodo Classico Virgilio Vignato

Mauro Pasquali
La novità: a Gambellara il Recioto spumante si è sempre fatto, ma con il metodo charmat. Ora Virgilio si è cimentato in un prodotto che fa ben sperare per il futuro di questa zona che troppo soffre la distanza qualitativa che la separa dalla confinante Soave.
Al naso il lievito denuncia subito la permanenza in bottiglia e si sprigionano aromi di frutta gialla e tropicale.
In bocca grande equilibrio fra la componente dolce (limitata) e quella acida, con marcate note di frutto maturo, crosta di pane e miele.
Un prodotto non banale e che può servire da esempio a tutti i produttori della zona.
Un piccolo appunto: una controetichetta non guasterebbe: raccontiamo al consumatore perché questo vino è diverso e non deve essere confuso con gli altri spumanti metodo charmat: non tutti conoscono la differenza!
Due beati faccini:-) :-)

13 marzo 2009

Qui va a finire che a mangiar torte ci tolgono la patente

Angelo Peretti
Ho letto di recente da qualche parte che una ricerca condotta mi pare in Nuova Zelanda avrebbe dimostrato che i dolcetti non si mangiano per vizio, ma per una specie di dipendenza, come quella per il fumo.
Ne ha dato notizia la rivista Medical Hypotheses: sembra che i dolci a base di carboidrati fortemente trasformati facciano aumentare rapidamente la quantità di zucchero nel sangue, e quest'incremento repentino stimolerebbe le stesse aree del cervello che sono coinvolte nella dipendenza dalla nicotina e da certe droghe.
Ohi, ohi: col clima di proibizionismo che c'è in giro da qualche tempo, vuoi vedere che se ci beccano a mangiare una fetta di Sacher ci tolgono 5 punti dalla patente?

4 marzo 2009

Coteaux du Layon St Lambert Le Rouchefer 1999 Domaine Mosse

Angelo Peretti
Leggo che René Mosse gestiva un bistrot prima di dedicarsi alla vigna. Dal consumatore al produttore, invertendo il luogo comune. Scegliendo dell'agricoltura le declinazioni biologiche e biodinamiche. In Loira, a far rossi e bianchi.
Mi piace assai, nella Loira, lo chenin blanc, uva che, se ben capita, dà bianchi di bella complessità. E adoro la dolcezza mai eccessiva dei migliori Coteaux du Layon, fatti con lo chenin, appunto.
Ho bevuto il Coteaux du Layon d'Agnes e René Mosse e dico che è un vino che non passa di certo inosservato. Complesso e personale com'è.
Ha naso di frutto giallo stramaturo e mandorla e spezia dolce e liquirizia perfino.
In bocca ecco che trovi corrispondenza, e la dolcezza è ben compensata dall'acidità, e il miele di castagno si fonde con l'agrume, e sotto la spezia è elegante.
In tavola è un fuoriclasse: servirlo a fine pasto sarebbe un affronto, ché quest'è vino che sta coi piatti, col desinare, coi pesci, i molluschi, i salumi e perfino le carni. Quando c'è equilibrio in bottiglia, la tavola chiama.
Una trentina di euro on line.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

3 marzo 2009

Enogea è finalmente on line

Angelo Peretti
Finalmente! "Finalmente che?" mi si chiederà. Finalmente Alessandro Masnaghetti è approdato sul web. Con la sua Enogea, che, me lo si lasci dire, considero al momento la più bella cosa che si pubblichi in fatto di vino in Italia. Un giornale indipendente che sembra una specie di fanzine da gruppo rock anni Settanta. Che mi leggo d'un fiato appena lo trovo nella cassetta della posta, perché sì, o ti abboni, o niente: in edicola non c'è.
Copertina minimalista. Bianco e nero all'interno. Poche foto, ben fatte. Impaginazione senza fronzoli. Niente pubblicità. Testata atipica, ammettiamolo.
Oddìo, mica in tutto concordo nell'impostazione del Masna. Lui ama tra l'altro vini che probabilmente non sono (sempre) i miei. Lui mi pare propenda per il tannino, io per la freschezza, tanto per dire. Lui è rossista convinto, di quelli che bevono vini di struttura, io ho un debole per i rossi leggeri, il rosato, il bianco salino. E in più ama il punk, mentre io preferisco un certo lirismo jazz (che c'entra la musica? c'entra, c'entra, perché l'ultima pagina d'ogni numero ha anche consigli musicali).
Ma in ogni caso è un bel leggere, Enogea. E al suo editore e quasi one man band - quasi, perché ci scrive, e bene assai, anche Francesco Falcone - riconosco una coerenza considerevole. E un rigore come pochi, anche per via di quella sua mania ingegneristica del far mappe e cartine, e quindi dell'assaggiare con piglio filologico, camminando le vigne, per usare una definizione che sentii dire a Gino Veronelli.
Ora, per chi non avesse sottoscritto l'abbonamento, un qualche assaggio dello stile masnaghettiano (o masnaghettesco?) lo si può alla buonora rintracciare on line: www.enogea.it è l'indirizzo.
Ci si trova un po' dell'ultimo numero e un altro po' degli arretrati. E oltre agli articoli, ci sono anche gli editoriali, tra cui quello dei trucioli et similia che continuo a considerare una delle cose più efficaci che ho letto negli ultimi tempi, perché capace di spazzar via in un colpo solo i tanti e troppi fariseismi che se n'uscirono da destra e da sinistra (da sinistra e da destra) ai tempi dell'inutile discussione sulle prime conseguenze della nuova Ocm del vino (leggasi Organizzazione comunitaria di mercato, ossia norme europee). E per chi volesse toccar con mano la smania cartografica del Masna, sul sito ci trova una sezione intera.
Eppoi c'è l'On the Road, le ultime pagine della rivista. Sono, l'ammetto, le prime che leggo, ché sono scritte con verve. Ed usano ironia (a partire dal fatto che Masnaghetti s'autoidentifica col suo alter ego Persichetti) per parlare di tante faccende del vino che sarebbe altrimenti davvero difficile trattare.
Altri pezzi son della penna di Falcone: per esempio quella profonda indagine della realtà del Lugana di cui ho accennato su quest'InternetGourmet qualche tempo fa.
Insomma: a me Enogea piace, e adesso qualche sospettoso dirà che il Masna m'ha sganciato una sponsorizzazione. Tranquilli: il Masna non sgancia né riceve, che io sappia.

2 marzo 2009

Vin de Pays d'Oc Cabernet Sauvignon - Syrah Vignes de Nicole 2007 Les Domaines Paul Mas

Angelo Peretti
I vin de pays francesi sarebbe grosso modo gli italici igt. E se avete voglia di cercarne, sappiate che nel sud della Francia, e soprattutto nella Languedic Rousillon, ne trovare di eccellenti e a buon prezzo, considerato quel che avrete nel bicchiere.
Di certo appagante è questo blend di cabernet e di syrah (sessanta per cento il primo, quaranta il secondo), che è all'insegna del frutto stramaturo. Concentratissimo e a tratti perfino un po' marmellatoso, eppure anche di bella freschezza e gratificante beva.
Ha colore carico, tra rubino e il nero. Come certe ciliegie quando son proprio oltre la maturità.
Al naso, ciliegia, prugna, mora, cassis. Perfino in confettura. E qualche lieve vena tostata: che so, il cacao, il peperone alla griglia, ma appena appena, giusto per dare quel che di maggiormente intrigante.
In bocca è ancora frutto, tanto. E bella polpa. E pepe e liquirizia, direi anche.
Eppoi è di velluto il tannino.
On line lo si compra a 9 euro e mezzo.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)