30 settembre 2009

Lo Champagne e le molecole precursori

Angelo Peretti
Leggo su WineNews che il “segreto” dello Champagne si nasconderebbe nelle bollicine che “scoppiettano” sulla superficie, liberando “ammalianti” composti aromatici. Lo avrebbe stabilito uno studio francese, pubblicato su una rivista scientifica americana, quella dell’Accademia americana delle Scienze Pnas, ad opera Gerard Liger-Belair, del dipartimento di enologia e chimica applicata della facoltà di scienze di Reims. Attraverso una cosa che non capisco, ossia la "spettrometria di massa ad altissima risoluzione", si sarebbe accrtato che le bollicine della Champagne sono cariche di composti aromatici o di molecole precursori di altre molecole aromatiche, che poi, subendo alcune modifiche chimiche, sprigionano aromi irresistibili.
Oh, oh: adesso capisco perché lo Champagne sì e gli altri spumanti no: loro, i francesi, hanno le super-bollicine con le molecole che precorrono altre molecole. E io che pensavo che fossero semplicemente molto, molto bravi a fare il vino.

29 settembre 2009

Arriva l'onda d'urto mediatica: tre bicchieri in ordine sparso

Angelo Peretti
Non c'è più religione. E non mi riferisco alla questione della società contemporanea desacralizzata - materia da sociologi - o alla crisi delle vocazioni lamentata dalle ecclesie. Nossignori: molto, molto più laicamente dico che non c'è più quel senso di misteriosa, quasi messianica attesa che precedeva la rivelazione - epifanica - dei tre bicchieri della guida del Gambero Rosso, fino all'anno passato coprodotta con Slow Food, ed ora stand alone. Roba che i produttori erano come i bimbetti la vigilia di santa Lucia (o di Natale, o del santo che di regione in regione porta i doni), ed attendevano ansiosi l'alba del giorno della fatica proclamazione dei tribicchierati. Fino a quel momento, la lista restava secretata. Pochi rumors. Quasi nessun'anticipazione. Rare fughe di notizie. Top secret.
Solo l'anno passato, sullo stile della top 100 di Wine Spectator, ci fu un count down regionale, e dunque ogni giorno si disvelavano gli eletti d'una singola regione, creando una sorta di effetto tormentone, come nella pubblicità. Quest'anno, invece, libera uscita. E dunque ecco che gli assegnatari del premio si sono scatenati, ricevuta la segnalazione, ad annunciare al mondo il proprio gaudio. In ordine sparso: email, sms, facebook, telefono. Penso anche twitter, ma io non ce l'ho, almeno quello.
Vabbé, la cosa può anche significare un certo ritorno d'interese per il Gambero, ché la moltiplicazione mediatica è garantita. Ma a me è parso d'essere rimbalzato nella concitazione dei giorni pre Vinitaly, quando la casella di posta elettronica è invasa dai comunicati stampa, e finisci per schiacciare a raffica il tasto canc, ché non hai mica tempo di guardarle, tutte quelle cose.
Infatti ecco ora arrivare da un paio di giorni da ogni dove festosi proclami di vittoria. Tremo: se i tre bicchieri saranno sui trecento e passa come l'anno scorso, l'intasamento in queste ore è assicurato. Ti prego, direttore Cernilli, torniamo alla lista unica: un po' di suspense non guasta, alla guida e anche alle caselle di posta elettronica.

28 settembre 2009

E se scommettessimo sulla catalanesca?

Angelo Peretti
Si dice che una rondine non faccia primavera, e dunque non può essere l'assaggio d'un sol bicchiere a far conoscenza enologica. Pertanto, quel che vado a dire lo si prenda, ancor più del solito, con le pinze, ché dovrebbe essere oggetto di maggior approfondimento. Però in Campania, in terra del Vesuvio, dove si fan vini bianchi del Lacryma Christi a base d'uve di caprettone (leggi coda di volpe) e falanghina, ho l'impressione che ci sia un tesoro bianchista che è lì che aspetta il suo turno di gloria, e potrebb'essere gloria di non poco conto. Mi riferisco alla catalanesca, un'uva d'antica presenza, ma che per uno di quegli strani e astrusi e incomprensibili misteri dell'enoico mondo è solo da una manciata d'anni - dalla vendemmia del 2005 - entrata nel novero delle varietà da vino. Migrando fra le le cultivar ammesse nella composizione, appunto, del Lacryma Christi bianco. Ma che pure, da quel pochissimo che ho tastato, e che però m'ha entusiasmato e contagiato, potrebbe avere le carte in regola per sfoggiare autonoma dignità. Tant'è che è vigna, ho detto, di lunga acclimatazione sui suoli vulcanici vesuviani: "Si dice che la catalanesca - scrive Giulia Cannada sul wine blog di Luciano Pignataro - sia stata portata in Campania da Alfonso I di Aragona e messa a dimora sulle pendici del Monte Somma verso il 1450". E scusate se è poco.
Ora, ad avermi convinto che qui ci sarebbe da approfondire, e pure da scommetterci e costruirci un percorso di crescita - è stato un vin bianco da tavola (per via degli orpelli di legge) della vendemmia del 2008, il Catalò, tutto catalanesca, dell'azienda vinicola Sorrentino, da Boscotrecase. Da vigne, leggo sul sito, allevate a guyot e tendone intorno ai 600 metri d'altitudine. Vinificato in acciaio, ed è quel che ci vuole, ritengo.
Nel bicchiere ho trovato un vino paglierino brillante che regalava memorie insieme citrine e floreali. Il fior di tiglio, intendo, s'intersecava con note di cedro ed erba limoncella. E, sotto, una sottile vena fruttata tropicale.
In bocca è bianco sapido, a tratti salino, e ancora assolutamente agrumato. Lunghissimo nella presenza della limoncella. Freschissimo - ed è faccenda non così facile da ottenere da queste parti, dove l'acidità tende a flettere - e di gran bella beva.
Vino tutto sommato semplice, certo, nel senso che non ha presunzione, non mira né alla polpa, né all'eccessiva complessità, ma ugualmente di considerevole gradevolezza e di spiccata, nervosetta personalità. Un bianco di piglio moderno - quella modernità vera, che mira alla pulizia e al carattere, mica quella che insegue, scopiazzandole, le tendenze modaiole d'importazione - fatto con un'uva antica a pressoché sconosciuta fuori dai confini vesuviani.
Ho detto aprendo che trarre valutazioni da un singolo bicchiere è un azzardo, certo, ma se vi capitasse d'assaggiarne, fatemi sapere.

27 settembre 2009

Il turbinoso ribollire nel mondo delle bolle

Angelo Peretti
Allora, fatemi capire. Capire cosa succede nel mondo spumantistico italiano, intendo. Troppo difficile? Cerco di riepilogare quanto s'è sentito e letto negli ultimi mesi.
Il Prosecco d'ora in poi si chiamerà Prosecco e basta, e sarà una portaerei gigantesca, che traversa mezza Padania. Ma a Conegliano e Valdobbiadene potranno fare un docg. E anche sul Montello e sui Colli Asolani.
Il Trento doc, lo spumante metodo classico trentino, attivando una costosa campagna di marketing (devo dire, con un'immagine decisamente accattivante), ha deciso di chiamarsi Trentodoc tuttoattaccato. Mi domando cosa succederà quando la gente comincerà ad abituarsi alla nuova ocm (organizzazione comune di mercato, leggi legge europea del settore) del vino, e al fatto che le doc (denominazione di origine controllata) siano a tutti gli effetti delle dop (denominazione di origine protetta): inventeranno il Trentodop tuttoattaccato? Dite: ipotesi futuribile. Dico: chi vuole, tra i produttori, può già scrivere dop in etichetta da quest'anno.
Il Franciacorta insistono che dobbiamo chiamarlo solo Franciacorta, senza parlar di spumante o di bollicine, così come a nessuno verrebbe in mente di chiamare spumante uno Champagne, che infatti tutti chiamano solo Champagne e sanno benissimo cos'è.
L'Asti (spumante) si chiama Asti, d'accordo, anche se mi par di capire, da spizzichi di conversazione colti in zona, che chi invece produce Moscato d'Asti (frizzante) gli sta scomodo chiamarsi come l'Asti (spumante). Ché il Moscato d'Asti (frizzante) lo fanno spesso piccoli produttori e l'Asti (spumante) i mega gruppi industriali. E intanto l'Asti da più di un anno ha messo in piedi una forte campagna di comunicazione sui media cartacei.
Il Talento, il marchio che doveva unire gli spumanti italiani fatti col metodo classico, si vorrebbe rilanciarlo, anche se in realtà non è mai partito. Che fare? Adoperarlo per le bollicine che non hanno una doc tutta loro? Ma allora non c'è massa critica. Oppure aggiungerlo alla denominazione, tipo Talento-Trentodoc? Mi pare eccessivo.
In Oltrepò stanno provando a lanciare il Cruasè, che dovrebbe essere lo spumante rosé fatto col pinot nero. Dovrebbe significare “selezione naturale pinot nero rosè”, mettendo dunque assieme il concetto francese di crû con quello altrettanto francofono di rosé. Se avesse successo come la tipologia Satèn lanciata in Franciacorta, sarebbe una buona trovata di marketing.
Però temo che - oh, signùr - con tutte queste pieghe e pieghette della comunicazione bollicinosa il consumatore rischi di farsi venire il mal di testa.
Il tutto con solenni dichiarazioni del sorpasso degli spumanti italiani sullo Champagne. Ma cosa cavolo c'entra? Lo Champagne è uno, è una denominazione, è una storia, è un simbolo, ha un'identità precisa. Le bollicine italiane sono un coacervo, dove c'è dentro di tutto e di più, dal secco al dolce, dal metodo classico allo charmat. Che se poi i francesi mettessero insieme - e se ne guardano bene! - Champagne, Cremant e le altre bolle di casa loro, noi ci troveremmo ad affogare.
Oh, detto per inciso, se poi coi nostri italici proclami facessimo passare la logica che le bolle son buone quando son tante, finiremmo per pentircene: la Germania non avrebbe rivali coi suoi spumanti (spesso spumantini) sekt, se è vero, come mi pare, che i tedeschi ne fanno più di chiunque altro al mondo.

26 settembre 2009

11 ottobre: Profumi di Mosto in Valtènesi

Ottava edizione di Profumi di Mosto, manifestazione autunnale del Consorzio Garda Classico, domenica 11 ottobre in Valtènesi, sulla sponda bresciana del lago di Garda. Dalle ore 11 alle 18 ben 23 cantine sono aperte al pubblico, proponendo i vini Rossi della Valtènesi in abbinamento con piatti e prodotti tipici del territorio. Il ticket costa 20 euro e dà diritto alla degustazione presso 8 aziende, liberamente scelte. Nel municipio di Polpenazze del Garda, Oasi della Valtènesi con tutti e 23 i vini e mostra Cuore Divino, con i ritratti dei più grandi nomi del vino italiano.
Info www.gardaclassico.it
Infoline 339 8024633

Il Corriere scopre il vino del Marocco: ma lo scoop dov'è?

Angelo Peretti
Con una suggestiva photogallery, la versione on line del Corriere della Sera ha "scoperto" la viticoltura del Marocco e la sua vendemmia. Tanto da definirla "il caso". "Per alcuni - si legge sul sito del Corriere - potrebbe essere un controsenso. Per altri un dei tanti effetti dei cambiamenti climatici. Sia come sia, anche il Marocco diventa produttore di vino. E per uno dei massimi esperti, Jacques Poulain, 'è talmente buono da poter competere con quello prodotto in Europa'. In questi giorni è cominciata la vendemmia".
Così ho letto. Ma, mmh, non mi quadra. Non c'è nessun "caso", manca lo scoop, non vedo la novità. In Marocco si vendemmia da decenni, altroché. E dunque non è che "diventa produttore di vino". Perché nei decenni passati ne hanno fatto un mare, di vino. Cito dall'Atlante mondiale dei Vini di Hugh Johnson e Jancis Ronbinson (volume assolutamente da leggere): "Verso la metà del XX secolo Algeria, Marocco e Tunisia producevano collettivamente non meno dei due terzi dell'intero prodotto vinicolo internazionale. Quasi tutto questo vino, in genere rosso, intenso e di elevato tenore alcolico, veniva esportato in Europa (principalmente in Francia) a fini di taglio". Poi cominciò il declino, per carenza di domanda interna: sono paesi musulmani, si sa. Ma, scrivevano Johnson e la Robinson già nel 2001 - attenzione, ripeto: edizione 2001 - "il Marocco ha già avviato il revival con una serie di joint venture".
Dunque, perché stupirsi se in Marocco vendemmiano?

Moscato d'Asti Lumine 2008 Ca' d'Gal

Angelo Peretti
Sono un fan del Moscato d'Asti. Quello che gioca le sue carte sulle note della florealità e del frutto, mica sulla dolcezza. Quello che porge una freschezza vibrante e un'effervescenza cremosa.
Ne ho trovato uno che ho molto gradito sul tavolo d'un ristorante piemontese: il Moscato d'Asti Lumine di Ca' d'Gal. Da sei ettari e mezzo di vigne - leggo sul sito internet dell'azienda - d'età fra i venti e i trentacinque anni. A rese contenute.
Il vino è gioioso e giocherellone.
I fiori di tiglio, la pesca bianca, la mela croccante li trovi all'olfatto e al gusto.
La vena di dolcezza è calibrata. E tenuta in equilibrio dall'acidità.
Buona la persistenza.
Piacevole.
Due lieti faccini :-) :-)

25 settembre 2009

Etna Bianco Superiore Pietramarina 2006 Benanti

Angelo Peretti
Ecco, chi ama i vini bianchi di carattere non può non conoscere il Pietramarina di Benanti. Bianco siciliano, di vulcano, dell'Etna. Longevo.
Viene da vigne più che ottantenni di solo carricante, in parte franco di piede, coltivate ad alberello sul versante est del vulcano, a 950 metri d'altitudine, in contrada Caselle, comune di Milo, la sola area dove l'Etna Bianco può dirsi, in etichetta, Superiore. Ci son 9mila ceppi per ettaro, rese sui 70 quintali.
Di solito è bianco che si concede con lentezza: ci vogliono anni di bottiglia prima che il frutto e il minerale s'amalgamino e reciprocamente s'aiutino a farsi avanti. E l'esperienza l'ho fatta su più annate: lo provi appena uscito di cantina ed è chiuso ed ostico, ma se lo lasci - lo dimentichi - qualche anno, eccolo esplodere in polpa e potenza e personalità.
Ora, ecco che mi son ritrovato ad aver nel bicchiere l'annata appena uscita, il 2006, e mi son trovato gli equilibri sovvertiti, le certezze discusse. Ché quest'è gran vino già da adesso ch'è ancora giovinetto, da subito stappabile e bevibile, e chissà dunque cosa ne uscirà col passare degli anni. Elegante, minerale, fruttato, nervoso, tannico, iodato, lunghissimo. Un fuoriclasse.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

24 settembre 2009

A Cà del Bosco

Angelo Peretti
Andare a Cà del Bosco ti toglie il fiato. Com'è bella quella cantina, immersa nel verde delle vigne e del boschetto. La stradetta che sale in mezzo ai vigneti. La sede avvenieristica, zeppa d'opere d'arte contemporanea, d'installazioni geniali. Qualcuno dei miei miti della fotografia che ha scattato proprio lì.
Tenuta a specchio. Tecnologicamente all'avanguardia. Moderna cattedrale del vino, viva e vivificante, a tratti oserei dire sacrale. Quella sacrale, percepibile presenza del tempo che scorre, lento, e contribuisce a far nascere e maturare il vino, fra luci appena accennate e silenzi. Oh, sì, il vino. Quelle bottiglie, l'essenza del tutto, la sua spiegazione. Nulla ci sarebbe, qui, senza il vino.
A dire delle bottiglie qui ti vien l'imbarazzo, ché in Franciacorta non vogliono sentir parlare di spumante, di metodo classico, di bollicine. Franciacorta e stop, si dovrebbe scrivere. Ma allora devi seguitare a ripeterti, e sei - dicevo - proprio un pochettino in imbarazzo nell'esprimerti. E sia: le bottiglie di Franciacorta. Ne ho tastate tre, una meglio dell'altra per via di fascinazione. In una bella giornata della prima decade di settembre, quando sono stato ad Erbusco: vendemmia per le basi già terminata, ché l'annata è stata calda e la raccolta, dunque, anticipata.
Adesso mi ci provo a raccontarle. Tirando fuori gli appunti dalla Moleskine, così come li ho buttati giù assaggiando. Pregasi di far attenzione al terzo vino: capita mica spesso di averla una bottiglia così.
Franciacorta Dosage Zéro 2004
Sboccatura dicembre 2008. Bolla bellissima nel bicchiere. Naso di nocciola, crosta di pane - tanta -, crostata di ricotta, leggere note di tostatura. Alla lunga, vene balsamiche. Bocca tesissima, quasi affilata, eppure succosissima di piccolo frutto, di ribes. Ribes bianco e poi ciliegia acerba. Albicocca un po' indietro. Florealità estiva. Lunghezza notevole. Scaldandosi un po' nel bicchiere, ecco che salta fuori il cassis, netto. memorie quasi agrumate di arancia (candita). Mandarino. Eccellente.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Franciacorta Brut 2004
Trenta per cento di pinot nero, dieci di pinot bianco, sessanta di chardonnay. Tanta crosta di pane appena sfornato. Leggere, accattivanti note citrine. Alla distanza, all'olfatto escono il nespolo del Giappone, il litchie. Bocca più ampia ancora nei caratteri fruttati. Albicocca, pesca, agrumi. Succosa. Personalità. Vino dalla grande, grande polpa. Poi ecco la clementina, il mandarino. Il piccolo frutto rosso di bosco.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Franciacorta Millesimato 1979
Il prototipo di quel che sarebbe diventato l'Annamaria Clementi. Tenuto in punta trent'anni, sboccato à la volée apposta fuori, sul patio. Il primo Franciacorta millesimato di Cà del Bosco, in scuola enologica francese. Era chardonnay - coltivato a sylvoz - per l'ottanta per cento, poi pinot bianco e nero in egual misura. Tappo non felicissimo: muffe. Ne risente l'approccio olfattivo, che a tratti è comunque terziario, minerale. Colore solo leggermente carico di giallo. Oro antico. Decadente e fascinoso. La bocca è bellissima e terrosa, lievemente torbata. Poi spezie, zafferano soprattutto. Nocciola tanta, un po' tostata. Cremoso. Crema inglese, leggero caramello, accenni di zabaione. Avvolgente. Acidità ancora piuttosto vivace. Se ti capitasse una bottiglia col tappo che ha tenuto meglio sarebbe fantastico.
Due lieti faccini :-) :-)

23 settembre 2009

Una vendemmia schizofrenica

Angelo Peretti
Aiuto! Non capisco più niente. Sulla vendemmia in corso, intendo. A leggere quel che si pubblica in questi giorni c'è da perderci la testa. Si rischia la schizofrenia vendemmiale.
Titola oggi il Corriere della Sera nella sua versione on line: "La vendemmia che rilancia il vino". Aggiungendo nell'occhiello: "Produzione inferiore (-1%) al 2008, ma qualità ottima". E poi, nel testo: "Per quanto concerne la qualità, da Nord a Sud i produttori concordano: sarà un’ottima anna­ta".
Proprio ieri, il web magazine Wine News, pubblicando la sua inchiesta, titolava invece: "La vendemmia 2009 non sarà una di quelle da ricordare, ma comunque è di buon livello. Produttori più ottimisti, tecnici un po' meno". E nell'incipit del pezzo spiegava: "Una vendemmia quella del 2009 di difficile decifrazione, non certo una di quelle che resterà negli annali, come da più parti si era previsto con troppa fretta e senza gli adeguati riscontri".
Grande vendemmia, vendemmia così così. Le ipotesi son due: o nell'ultima giornata sono accadute cose tali da far cambiare l'esito della raccolta delle uve, oppure il bipolarismo, ormai, ha conquistato anche il mondo del vino.
Terza ipotesi? Che, come sempre, ci sarà vino buono e vino meno buono. In qualunque parte d'Italia.

Achaval-Ferrer, quando l'Argentina esprime il territorio

Mauro Pasquali
La cantina Achaval–Ferrer nasce dall'intuito di Roberto Cipresso che riesce a convincere un gruppo di amici argentini ad acquistare un vigneto di oltre 90 anni in stato di completo abbandono e destinato a morire di lì a breve. Poco alla volta si sono aggiunti altri vigneti, tutti caratterizzati da un'età media delle vigne molto alta (oltre 44 anni) e dalla assoluta predominanza di malbec a piede franco, inattaccabile dalla filossera a causa della particolare composizione del terreno.
Siamo in Argentina, vicino a Mendoza, zona classica di produzione. Ma se pensate ai soliti vini argentini, muscolosi, potenti e che sanno solo di legno, state sbagliando.
Sono vini quasi europei, eleganti e che esprimono in modo netto e caratteristico il territorio da cui provengono, senza nasconderlo e senza mascherarlo dietro un gusto omologato.
In cantina sono molti i no che Achaval-Ferrer ha deciso di dire, a cominciare da un bel no a solforosa aggiunta, a correzioni di acidità, a chiarifiche, a criomacerazione, a filtraggi, a lieviti selezionati. Un bel no deciso che ha permesso di guadagnare in personalità, a tutto vantaggio del rispetto del terroir e di ciò che riesce ad esprimere.
Malbec Mendoza 2008
Il fratello minore dei vari Finca Altamira, Bella Vista, Mirador. Malbec in purezza, coltivato a quasi 1000 metri di altitudine e che racchiude in sé la filosofia aziendale: un vino nel quale, prima di tutto, devi riconoscere l'Argentina. Grande frutto al naso, accompagnato da note speziate e di tabacco. In bocca conferma quanto promesso con l'accompagnamento di una grande freschezza. Un bellissimo retrogusto agrumato caratteristico di tutti i Malbec di Achaval–Ferrer.
Due beati faccini: :-) :-)
Quimera 2007
Un taglio bordolese classico. Le proporzioni delle uve variano a seconda delle annate ma, ormai, con una costante predominanza di malbec (40-45%). Poi, a seguire, merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc. La scelta di miscelare i vini prima della fermentazione mallolattica è voluta per ricercare il migliore equilibrio possibile fra le varietà, con l'aspirazione di ottenere un vino con un'“unica anima”. Una chimera, appunto, anche sapendo che è impossibile da ottenere in ogni anno.
Un faccino: :-)
Finca Altamira 2007
Il malbec lascia il passo al terroir. Le caratteristiche varietali sono sopraffatte dalla forza degli altri elementi: terreno, clima, minerali che emergono dal vino e che donano quella complessità aromatica che ne fa un fuoriclasse. In bocca entra morbido, con tannini sorprendentemente eleganti per un vino giovane, a neppure tre anni dalla vendemmia (in Argentina si vendemmia in marzo) ma che avrà davanti a sé una vita lunga lunga. Il finale è sorprendentemente lungo, quasi interminabile.
Tre beati faccini: :-) :-) :-)

22 settembre 2009

Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2008 Garofoli

Angelo Peretti
Su Enogea, il wine magazine di Alessandro Masnaghetti, numero di agosto/settembre 2009, leggo un'esemplare descrizione del Macrina 2008 targato Gioacchino Garofoli: "Un vino stilizzato, sia nella struttura che nella fase aromatica. bene però il tono minerale". E il punteggio è di 86 centesimi.
Ho bevuto il Macrina di recente, e quindi dopo più lungo affinamento rispetto all'assaggio del Masna. E devo dire che se per "stilizzato" ho da leggere "essenziale" o "diretto", condivido in pieno. E così pure concordo con l'apprezzamento per la vena minerale. Però devo dire che gli ho trovato anche buon frutto bianco, croccante. E la freschezza m'ha convinto, talché, un bicchiere dietro l'altro, la bottiglia m'ha accompagnato nella cena. Piacevolmente.
Due lieti faccini :-) :-)

21 settembre 2009

Lacryma Christi del Vesuvio: quindici vini in 100 battute

Angelo Peretti
Della rassegna "Vesuvinum - I Giorni del Lacryma Christi", che s’è svolta una settimana fa ad Ottaviano, ho già detto. Adesso è tempo di parlar d’alcuni vini che in quell’occasione ho tastato e che mi son piaciuti.
Prima di tutto, però, due notizie generali. Ordunque, il Lacryma Christi in bianco e quello in rosso son grosso modo la metà ciascuno della denominazione, ché il rosato è quantitativamente piccola cosa, almeno per ora.
Il bianco è fatto con uve di caprettone, definizione vesuviana del coda di volpe, con un’aggiunta di falanghina. Il rosso - ma più che al rosso i colori tendono spesso invero alla buccia di cipolla, con tracce aranciate - viene dalle uve del piedirosso - che di sostanza colorante ne ha, appunto, pochina - e in parte dell’aglianico. Piedirosso soprattutto per il rosé.
E adesso qualche vino: una quindicina fra bianchi, rossi e rosati. Tutti Lacryma Christi del Vesuvio, ovviamente. Tutti descritti in 100 battute al massimo ciascuno: nell’intestazione ometto la dicitura del Vesuvio. L’ordine è alfabetico per azienda.
Lacryma Christi Rosso 2008 Cantine Russo 1951
Nitide memorie fruttate all’olfatto e al palato. Tannino vellutato. Buona lunghezza.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Lacryma Christi Rosso 2008 Casa Setaro
Buccia di cipolla. Pepato. Sapido, quasi iodato. Vene di terra, note minerali. Tannino e frutto.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Bianco 2008 Colli Irpini
Un bianco che gioca le proprie carte soprattutto sulla polpa fruttata. Buona lunghezza.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Rosso Borgo San Michele 2007 Consorzio Prodotti Tipici
Frutto rosso e presenza tannica caratterizzano il palato. Leggera e piacevole vena di sapidità.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Lacryma Christi Bianco 2008 Feudi di San Gregorio
Vene di frutta gialla al naso. Fresco, sapido, quasi salino, nervoso. Pulito. Ha bella beva.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Rosso 2008 Manimurci
Ciliegia e prugna. Pulizia olfattiva e gustativa. Tannino vibrante, a tratti rustico. Ha carattere.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Bianco 2008 Mastroberardino
Profumi floreali. Bocca fruttata - frutta bianca -, fresca, sapida. Ottima beva. Bianco di classe.
Tre faccini :-) :-) :-)
Lacryma Christi Rosato 2008 Sannino
Colore lievemente aranciato. Fresco al palato, a tratti agrumato. Finale sottilmente tannico.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Rosato 2008 Sorrentino
Colore rosa chiaro: stile provenzale. Fresco, sapido, molto gradevole. Fruttino. Finale asciutto.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Bianco Fruscio 2008 Terre di Sylva Mala
Naso floreale, leggerissima vena minerale. Bocca fruttata. Buona tensione. Fresco. Finale asciutto.
Due faccini :-) :-)
Lacryma Christi Rosso 2007 Vigna Pironti
Piccolo frutto rosso surmaturo, spezia, pepe soprattutto. Tannino ben condotto. Notevole pulizia.
Tre faccini :-) :-) :-)
Lacryma Christi Rosso Forgiato 2004 Villa Dora
Rosso ambizioso, austero. Elegantissimo all’olfatto. Tannino pronunciato. Tono terroso, minerale.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Lacryma Christi Rosso Gelsonero 2005 Villa Dora
Frutto macerato, surmaturo. Mora di gelso, confettura di sambuco, amarena. Tannino vellutato.
Tre faccini :-) :-) :-)
Lacryma Christi Bianco 2008 Vinosia
Eleganti memorie floreali all’olfatto. Al palato, un frutto giallo polposo. Finale asciutto.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Lacryma Christi Rosso 2008 Vinosia
Un rosso d’impronta moderna, morbidamente fruttato. Ciliegia, frutta rossa. Tannino vellutato.
Due faccini :-) :-)

20 settembre 2009

Vini del Vesuvio: un rinascimento di svizzera puntualità

Angelo Peretti
Contraddizioni: è il termine che spesso usano i settentrionali che vanno al sud. Vi trovano mille contraddizioni. Le memorie della storia contrapposte alle montagne di rifiuti nelle strade, l’intensità dei sapori contrastata alla rabbia per i disservizi diffusi, lo splendore del sole che riluce sulla decadenza dei centri urbani, il calore umano annichilito dal lassismo, la fantasia che cozza col fatalismo.
Ora, gli è che essendo stato la scorsa settimana a Ottaviano, terra del Vesuvio, due passi da Napoli, di contraddizioni me n’è piovuta addosso un’altra, e inaspettata: la puntualità svizzera degli organizzatori di Vesuvinum - la rassegna enologica di quelle terre -, contrapposta a quell’idea di quasi assoluta noncuranza dei tempi e degli appuntamenti che avevo altre volte toccato con mano in Campania. Insomma: se a Ottaviano ti dicevano che la tal cosa si faceva alle nove e un quarto del mattino, alle nove e un quarto erano lì, pronti ad agire. E che il mondo del vino del Vesuvio si stia proiettando verso ritmi e stili diciamo “moderni” l’ho notato anche dalla cura del packaging, dalla grinta del design: bottiglie con tant’etichette che sono gioiellini di grafica. Da far invidia.
Il titolo esatto della kermesse è "Vesuvinum - I Giorni del Lacryma Christi", ché proprio al Lacryma Christi, in bianco e in rosso, è votata. Il format è della Strada del vino Vesuvio (e dei prodotti tipici vesuviani), presieduta da un vulcanico - mi si permetta il gioco di parole - Michele Romano, uomo dalle idee chiare, vigneron e negociant, erede d’una tradizione di commercio enoico. E insieme a lui collabora Luciano Pignataro, simbolo di coloro che scrivono di vino del sud. È a gente come questa che va riconosciuto il merito di quel rinascimento vitivinicolo che sta caratterizzando il territorio campano.
Ora però, visto che ho parlato prima di contraddizioni, ne dico una mia: pur non piacendomi in genere i concorsi enologici, ho accettato d’essere fra i degustatori della giuria della seconda edizione del premio intitolato alla memoria di Amodio Pesce. Concorso tutto e solo dedicato al Lacryma Christi, in bianco, in rosso e, poco poco, in rosato. Ma mi sembrava una buona occasione di farmi un quadro generale della situazione prima d’avvicinare singolarmente qualche produttore. Eppoi, quest’è un concorso interessante, un buon modello di riferimento, ché mica premiano a pioggia: un vincitore solo per categoria, e condivido. “È un’occasione per verificare a che punto siamo, e dunque per crescere” m’hanno spiegato, e nuovamente condivido.
Che idea me ne son fatto? Che si viaggia a due velocità: da una parte chi è ancora rigidamente e ostinatamente ancorato a una tradizione deleteria, che conduce a vini stanchi, seduti, talvolta ossidati, e dall’altra chi guarda avanti, e applica impostazioni enologiche aggiornate, e s’impegna a dare eleganza, freschezza, personalità, carattere ai suoi vini. E la divaricazione enologica la si nota soprattutto nei rossi. C’è sicuramente ancora molto da fare in parecchie cantine del Lacryma Christi, ma la strada giusta è già stata intrapresa, e i primi risultati son di valore. E dunque non potrà che andar bene.
Certo ci son da affrontare anche oggettivi ostacoli strutturali. Mica tutti hanno i quattrini per prendersi attrezzature - oh, se servirebbero maggiori refrigerazioni sui bianchi! - e consulenti. E anche un più lungo affinamento dei rossi - che stando a quel che ho tastato mi pare giovi parecchio - è un lusso avvicinabile solo a chi si può permettere di comprar botti nuove e tener lì il vino un anno o due, immobilizzato. In ogni caso, dicevo, la via è intrapresa, e c’è gente che fa vini di sicuro interesse.
Ma un’osservazione mi sento di farla anche a chi meglio s’ingegna in vigna e in cantina: sarà colpa mia, sarà una sintonia che non ho potuto costruire in così poco tempo, ma nei bicchieri il vulcano - il Vesuvio - non m’è parso di trovarlo granché. M’aspettavo più zolfo, più vene minerali, più nervosismo sanguigno. Invece li ho raramente percepiti. Ecco, il prossimo passo sarà probabilmente questo: mettere più in luce il territorio.
Vedo che sono andato lungo, e dunque chiudo qui, per ora, dicendo i nomi dei vincitori delle quattro categorie del concorso. Darò in un altro intervento maggiori dettagli d’alcuni vini che mi son piaciuti. Ma avverto: i premiati son fra quelli che, appunto, mi son più piaciuti. Ordunque, fra i bianchi s’è imposto il Lacryma Christi 2008 di Mastroberardino. Fra i rosati, successo del Lacryma Christi 2008 targato Sorrentino. Fra i rossi d’annata affermazione del Lacryma Christi 2008 Vinosia, mentre nella categoria dei rossi affinati ha avuto la meglio il Lacryma Christi Forgiato 2004 di Villa Dora.
Ripeto: ne parlerò in un nuovo pezzo. A presto.
Per ora aggiungo solo: bravi. A Romano, a Pignataro, a Pasquale Brillante (nella foto c'è lui coi premiati) e al suo staff dell'Ais, agli organizzatori. Bravi.

19 settembre 2009

Altri Soave 2008 in 100 battute

Angelo Peretti
Qualche tempo fa ho dedicato la prima uscita di questa rubrichetta dei vini in 100 battute al Soave del 2008: ne ho presentati cinque, che mi son molto piaciuti. Ed ora eccomi a fare il bis con un'altra cinquina di bianchi soavesi "da bere", decsritti con 100 battute al massimo per ciascuno.
La vendemmia del 2008 ci ha dato dei Soave complessivamente piuttosto interessanti, soprattutto dal lato della freschezza. Vini nervosi e vibranti, con un buon frutto e una componente minerale abbastanza espressa. Vale sia per i piccoli vigneron che per le migliori bottiglie delle cantine sociali.
Soave Classico Le Bancole 2008 Tenuta Solar
Vene minerali di idrocarburi e trielina. Bocca tesa. Frutto ben espresso, tipicissimo. Persistente.
Tre faccini :-) :-) :-)
Soave Classico Sengialta 2008 Balestri Valda
Floreale, agrumato. Palato fruttatissimo, snello, fresco. Bel finale asciutto. Note minerali.
Tre faccini :-) :-) :-)
Soave Classico Castello 2008 Cantina del Castello
Tra il fruttato, il resinoso e il minerale. Eleganti vene speziate. Bianco di notevole carattere.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Soave Classico Il Vicario 2008 Cantina di Monteforte
Mineralità piuttosto netta. Frutto (pesca), vene di salvia. Lunghezza. Finale un po’ morbido.
Due faccini :-) :-)
Soave Classico Rocca Sveva 2008 Cantina di Soave
Tipicissima componente fruttata. Polpa succosa. Buona freschezza. Il finale tende alla morbidezza.
Due faccini :-) :-)

18 settembre 2009

Meglio drogarsi che bere due bicchieri di vino?

Angelo Peretti
Stavolta è un bocconcino amaro. Premesso che provo dolore per chi muore sulla strada ucciso dall'altrui incoscienza. E che è anzi dolore straziante se si tratta di giovani vite e per di più innocenti. Premesso questo, dico anche che provo disgusto per certe titolazioni giornalistiche che sanno di caccia alle streghe. E spargono quel senso di proibizionismo che sta mettendo in ginocchio un duplice comparto: la produzione vinicola da un lato, e la ristorazione, soprattutto quella di qualità, dall'altra (e dico soprattutto quella di qualità, perché lì si concentra in particolare la presenza di bevitori consapevoli).
Titolava qualche giorno fa un noto quotidiano nazionale: "Ragazza uccisa da un ubriaco". E dunque la colpa è dell'alcol. Più sotto: "Travolta 23enne: l'autista positivo ad alcol e droga". Ma guarda te: alcol e droga. Come accade quasi sempre, direi. Ma oggi "fa moda" dire che l'autista era ubriaco, mica che era drogato. Non si scrive: "Ragazza uccisa da un drogato", non fa più tendenza.
Così se vai al ristorante, ceni con gli amici e bevi due bicchieri di vino sei un criminale. Se ti fai di coca, magari sei trendy.
La verità, tristissima, è che quella ragazza è morta per l'altrui incoscienza. E che per gli incoscienti non c'è limite di legge che tenga. Sulla strada, nella vita. A volte anche nelle redazioni.

17 settembre 2009

Vallee d'Aoste Fumin 2007 Grosjean

Angelo Peretti
Metti una giornata a Cogne, un tavolo in una buona enoteca, piatti fumanti, bella carta dei vini. Sarà stato anche il contesto positivo, ma la bottiglia che ho preso m'è piaciuta parecchio. Il Fumin 2007 di Grosjean, piccolo produttore valdostano, da Quart.
Mica il Fumin di punta, il cru: no, questo è il "base", se così si può chiamare, e viene dalle vigne un po' più vecchie.
Colore tra il rubino molto carico e il violaceo.
Naso ricchissimo di frutti di bosco, di marmellata di sambuco, di amarena. Vaghe vene officinali, alpestri.
Bocca fresca al limite dello scorbutico, eppure densa di succosissima polpa fruttata. Innervata di accenni verdi balsamici. C'è pepe. E tannino ben saldo, ma per nulla aggressivo. E persistenza notevolissima. Carattere e beva.
Un bel rosso.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

16 settembre 2009

Soave Classico Superiore Vigneto Calvarino 1998 Leonildo Pieropan

Mario Plazio
Ancora un bianco che sfida il tempo. Il Calvarino è da molti anni in Italia un simbolo dei vini di terroir. Quelli che non hanno bisogno di legno o concentrazioni estreme per parlare chiaro e forte la lingua del vigneto e del suolo da cui provengono.
La caparbietà e la sobrietà di “Nino” Pieropan si riflettono chirurgicamente in questo vino, sinonimo di eleganza e purezza.
Ad oltre dieci anni dalla vendemmia il '98 non accusa l’età, ma anzi è stato capace di evolvere in bottiglia come poche volte mi era capitato.
Appena aperto è sembrato caldo e speziato, prezioso nei sentori di pietrosi e floreali. Il lato caldo è rivelato dalla vaniglia (ricordo che il vino non fa legno) e dall’ananas.
In bocca è avvolgente, morbido e floreale, abbastanza polposo e leggermente bloccato nel finale.
Dopo un paio di giorni dall’apertura il vino sembra prendere nuovo slancio, la mineralità è più netta, la beva si fa più snella ed elegante conferendo quella continuità che non avevo trovato nei giorni precedenti.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

15 settembre 2009

Un Merlot in tappo a vite

Angelo Peretti
Che io sia un fan del tappo a vite - o meglio, pardon, della capsula a vite, ché di vere e proprie capsule si tratta - l'ho detto e ripetuto fino alla noia. Però vedo che in Italia non sono poi mica così tanti a pensarla come me. Anzi. Anche tanti fra gli stra-appassionati di vino, quelli che dovrebbero essere più "laici" nell'approccio alla bottiglia, ti storcono il naso quando gli dici che il futuro dovrebbe esser quello lì. Ché son convinto che c'è tutto da guadagnarci, con la capsula avvitata, in termini di freschezza, di integrità, anche di praticità. E alla fine ti dicono, a denti stretti, giusto per darti un contentino, che magari sì, sui bianchi e sui rosati può anche andare, ma sui rossi, e quelli da invecchiamento poi... Ma quanto siam conservatori, ragazzi miei!
Ora, gli è che in giro per il mondo le sperimentazioni dell'incapsulatura a vite sui rossi anche importanti è in corso da qualche bell'annetto, ormai. E mi si dice che i risultati sono incoraggianti. Ma sino ad ora, in effetti, dentro agli italici confini non m'era ancora capitato di imbattermi in un rosso che vuol essere "importante" e che fosse chiuso a vite.
Lacuna colmata dopo aver incontrato i vini di Armin e Monika Kobler, da Magrè, sulla Strada del Vino, Alto Adige.
Armin lo conoscevo a malapena come funzionario del dipartimento di enologia della Scuola di Laimburg, avendolo incontrato un paio di volte in quella sua funzione, e poi soprattutto come blogger, e come utente di Facebook. Ma i suoi vini no, non li avevo ancora provati. Ora mi si dice che Laimburg l'ha lasciata proprio per dedicarsi meglio alle vigne e alla cantina. Scelta di vita, evidentemente.
Ebbene, tutt'e cinque i vini della Weinhof Kobler sono imbottigliati in capsula a vite: tre bianchi, un rosato e un rosso. Coraggiosamente. E il rosso è niente meno che un Merlot Riserva. Un cru addirittura, il Klauser. Vino veramente di livello. Destinato anche a stare in vetro un bel po' di anni. Ma pure già pronto da bere, ché i tannini son quasi setosi. Si affina in barrique usatissime, nelle quali prima erano stati dei Pinot Neri di produttori di valore (m'ha detto i nomi: al top). Ed è, ripeto, in tappo a vite. Agli scettici, a quelli che "sì insomma magari un bianco o un rosato, ma un rosso non lo vedo in tappo a vite", consiglio vivamente di raccattarsi una boccia di questo Merlot, di svitarlo e di berlo. Si ricrederanno, caspita se si ricrederanno.
Adesso una rapidissima carrellata su tutt'e cinque i vini dei Kobler.
Südtirol Merlot Riserva Klauser 2006
Prugna, lunghissimo e gran frutto rosso. Polpa, bella trama tannica. Spezia dolce.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Südtirol Merlot Kretzer Kotzner 2008
Rosé da uve di merlot. Selezionate e vinificate in rosa. Fruttatino e salato.
Due lieti faccini :-) :-)
Südtirol Gewürztraminer Feld 2008
Secco, secchissimo. Aromatico. Tanta frutta secca - noce - e spezia.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Südtirol Grauer Burgunder Klausner 2008
Pinot Grigio. Vigne di 45 anni. Tanto frutto. E freschezza. Finale asciuttissimo.
Due lieti faccini :-) :-)
Südtirol Chardonnay Ogeaner 2008
Polpa parecchia. Molto ben eseguito. Anche se lo chardonnay non è il mio vitigno...
Due lieti faccini :-) :-)

14 settembre 2009

Se scegli il bianco dolce sei troppo impulsivo

Angelo Peretti
Alcuni scienziati australiani - lo leggo su WineNews - avrebbero dimostrato che la scelta del vino è un forte indicatore della personalità individuale. Hanno chiesto a 45 persone, fra uomini e donne, fra i 40 e i 45 anni, di scegliere fra un vino bianco spagnolo secco e uno dolce. Poi, han fatto loro compilare un test psicologico. Ne sarebbe uscito che chi ha optato per il bianco dolce è più impulsivo e tende a far fatica ad aprirsi verso gli altri e verso nuove situazioni rispetto a chi ha preferito il bianco secco.
Sono preoccupato: a me piacciono tutti e due, secchi e dolci. Purché buoni.

16 settembre - 11 ottobre: la Fiera del Riso a Isola della Scala (Verona)

Comincerà il 16 settembre e terminerà l’11 ottobre la quarantreesima edizione della Fiera del Riso di Isola della Scala (Verona). Un evento che ogni anno richiama centinaia di migliaia di persone nella cittadina della pianura veneta, capitale del riso Nano Vialone Veronese igp, il primo ad aver ottenuto l’indicazione geografica protetta in Europa.
Ricchissimo il programma, anche se il momento clou per i visitatori è costituito dalla degustazione di risotto all'isolana nell'enorme capannone sotto al quale sono al lavoro i migliori risottari di Isola della Scala e dintorni, ingaggiati dalle riserie della zona.
Organizza l’Ente Fiera di Isola della Scala.
Info sul sito internet www.fieradelriso.it

13 settembre 2009

Bianchi della Val d'Isarco 2008 in 100 battute

Angelo Peretti
Dopo aver detto dei Kerner e dei Riesling, ecco ancora un quintetto di vini bianchi della Val d’Isarco del 2008 descritti “in 100 battute”: sono alcune delle etichette provate alla decima edizione di Vinea Tirolensis, la degustazione della Freie Weinbauern Südtirol, i Vignaioli dell’Alto Adige.
Ci sono tre Sylvaner e due Veltliner. Il che sembrerebbe contraddire quanto ho scritto qualche giorno fa, ossia che dai Sylvaner speravo meglio. In realtà, confermo: generalmente, mi pare ci sia una ricerca un po’ eccessiva del frutto, e anche quando il frutto è tenuto in equilibrio dalla freschezza, sembrano spesso vini più adatti a essere degustati che bevuti spensieratamente a tavola.
Valle d’Isarco Sylvaner 2008 Garlider
Floreale e fruttato di pera. Pulito, elegante. Freschezza quasi tagliente. Bianco di carattere.
Tre faccini :-) :-) :-)
Valle d’Isarco Grüner Veltliner 2008 Manfred Nössing
Elegantemente floreale all’olfatto. Bocca tesissima. Bianco di carattere. Grande beva. Asciutto.
Tre faccini :-) :-) :-)
Valle d’Isarco Sylvaner 2008 Kuenhof
Olfatto di notevole eleganza. Bocca polposa di frutto, densa. Freschezza e personalità.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Valle d’Isarco Veltliner 2008 Garlider
Mineralità e fieno secco all’olfatto. Bocca possente, elegante, rocciosa, speziata. Finale morbido.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Valle d’Isarco Sylvaner 2008 Zöhlhof
Ancora chiuso al naso, ha bocca densa e polposa di frutto giallo. Fresco. Finale quasi tannico.
Due faccini :-) :-)

12 settembre 2009

Bere Luganega dalle vecchie mezzane

Angelo Peretti
Una volta, quando i giornali si componevano "a mano" e nelle tipografie c'era la figura del proto, il "capo", il controllore delle bozze, si diceva che di tanto in tanto un diavoletto birichino di divertisse a ingarbugliare le cose. Soprattutto in estate, quando negli stabilimenti tipografici il caldo faceva perdere la concentrazione. Ora invece c'è il correttore automatico a complicare la vita: se non lo controlli, ne fa di tutti i colori.
Ora, che siano d'attribuire alla stagione calda o al correttore automatico, i refusi che ho trovato sul numero di luglio e agosto d'un mensile (luglio e agosto per un mensile? mah!) che ha "passione" per il vino, m'hanno fatto sorridere.
Ho preso il magazine perché m'incuriosiva un'inchiesta sui wine bar di Verona. Tema: "Bere sì, bere no, bere come". E ci ho trovato tutta una serie d'interviste a gestori d'osterie veronesi e soavesi.
Una delle domande poste agli osti era: "Proponete abbinamenti particolari vino-cibo?"
Al che, leggo, uno degl'intervistati avrebbe dichiarato d'abbinare ai formaggi un Valpolicella o un Amarone Superiore. Il che è francamente impossibile: il disciplinare, grazie al cielo, non prevede alcun Amarone "Superiore".
Lo stesso dicasi per la successiva dichiarazione, che cito testualmente: "Carpacci di mare con bianchi freschi come Custoza, Luganega o Soave". Urca: abbiamo un nuovo bianco, il Luganega. Sino ad ora, per me la luganega era una salsiccia fresca, da cuocere alla griglia o in padella. Tipica del Trentino, ma anche di certe parti del Veneto, Verona compresa. Vuoi vedere che ora la fanno liquida e l'imbottigliano? O forse volevan dire Lugana e il correttore automatico ha fatto la sua parte?
No, no. Non sono aggiornato io. Qualche Luganega doc deve pur esistere se un successivo intervistato dice: "Offriamo abbinamenti con i vini locali, Valpolicella, Chiaretto di Bardolino e Luganega con piatti di carne". Al che vado in crisi: pensavo di saper tutto o quasi sui vini "locali" veronesi, e invece eccomi qua che della denominazione Luganega non conosco un bel niente, e vengo a saperlo da un giornale.
Ma la più bella è questa, testuale: "Sono tornate in auge le vecchie mezzane". E adesso capisco il perché dei blitz del sindaco Tosi contro la prostituzione esercitata negli appartamenti. Le vecchie mezzane, quelle che gestivan le "case chiuse" da taluni rimpiante, son tornate alla moda. Ma la legge, quella nota col nome della senatrice Merlin, mica lo permette.
O si trattava di mezzine? Di mezze bottiglie? Sì, forse erano quelle, ma è meglio chiarire. Sennò scattano i controlli della "buoncostume" al ristorante.

11 settembre 2009

St. Magdalener 2008 in 100 battute

Angelo Peretti
Eccomi alla quarta serie di schede “in 100 battute” dei vini provati alla decima edizione di Vinea Tirolensis.
Stavolta, dopo quelle di Caldaro e le igt, sono di scena le schiave del St. Magdalener, che è una sottodenominazione della doc Alto Adige Südtirol. Globalmente, le schiave del Santa Maddalena mi sono sembrate le meglio definite, anche se non sempre pulitissime sotto il profilo olfattivo. Magari un po’ più cariche di colore: più rubino che cerasuolo.
St. Magdalener Classico 2008 Pfannenstielhof
Un piacevole rosso a 6 euro. Tanto fruttino rosso, accenni di note verdi. Fresco. Lungo, beverino.
Tre faccini :-) :-) :-)
St. Magdalener Classico Premstallerhof 2008 Hans Rottensteiner
Fruttino rosso, fragola e amarena soprattutto. Beva piacevole, snella, fresca. Pulito. A 5,30 euro.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
St. Magdalener Classico 2008 Erbhof Unterganzner
Speziatissimo, quasi pepato. Fresco, con una discreta tannicità. Buona eleganza d’assieme.
Due faccini :-) :-)
St. Magdalener 2008 Thurnhof
Un rosso ben fatto, piacevole, anche se non di grande carattere. Morbido nel frutto. Persistente.
Due faccini :-) :-)
St. Magdalener Classico 2008 Untermoserhof
Fruttino di bosco (mirtillo, ribes, lampone, fragolina). Speziatura fine. Buona pulizia e beva.
Due faccini :-) :-)

10 settembre 2009

Osteria La Cantinella - Barolo (Cuneo)

Angelo Peretti
Se siete tra i frequentatori delle vigne di Langa, o se avete in mente di fare un salto fra le terre baroliste, segnatevi quest'indirizzo: La Cantinella, a Barolo. Un posto per mangiar bene. Quasi ai piedi del castello di Barolo. Un locale semplice. Alcuni tavolini all'esterno.
Buonissima la carne cruda tagliata a coltello, da bis l'insalata russa (solo in Langa la sanno fare così), bene la salsiccia cruda di Bra, eccellenti i classicissimi tajarin (io li ho mangiati col tartufo nero: "Ma è nero, neh?" mi ha sottolineato la signora, ribadendo che mica era ancora tempo per il bianco, che da quelle parti è "il" tartufo), notevole il pollo alla cacciatore, ed è pollo ruspante sul serio, da leccarsi i baffi il bonet.
Mettete poi una buona carta dei vini, a ricarichi che mi son parsi onesti, con qualche vecchia annata di Barolo e una selezione anche di mezzine. Alla fine ho preso anche il Moscato d'Asti (vino che adoro) e, piacevolissima sorpresa, ecco che in tavola sono arrivate le coppe "da Moscato", quelle che ormai non tiene quasi più nessuno, ed è un peccato, ché quest'è vino proprio da coppa bassa e larga: bravi!
Senza vino, siete sulla trentina di euro: da andarci apposta.
La Cantinella - Via Acquagelata, 4a - Barolo (Cuneo) - tel. 0173 56267

19-21 settembre: Festival del Franciacorta ad Erbusco (Brescia)

Il Festival Franciacorta, in svolgimento ad Erbusco (Brescia) dal 19 al 21 settembre, raggiunge quest'anno il traguardo della sua decima edizione e festeggia ampliando la manifestazione e accogliendo il pubblico in due cornici d'eccellenza: Villa Lechi e Casa Marchetti di Montestrutto a Erbusco).
In degustazione oltre 120 etichette di 62 cantine.
Il Festival Franciacorta propone inoltre due eventi speciali: venerdì 18 settembre alle ore 11,00 presso il Teatro della Casa Comunale si terrà il convegno dal titolo "Con la qualità, fuori dalla crisi", mentre alle ore 21,00 presso Villa Longhi a Erbusco è in concerto Mario Biondi.
Info sul sito www.festivalfranciacorta.it

9 settembre 2009

Schiave altoatesine in 100 battute

Angelo Peretti
Nuova serie di schede “in 100 battute” dei vini provati alla decima edizione di Vinea Tirolensis, la degustazione annuale dei soci della Freie Weinbauern Südtirol, i Vignaioli dell’Alto Adige.
Più avanti tratterò delle schiave della sottozona del St. Magdalener: ora ecco quelle del lago di Caldaro e le igt, ossia i Kalterersee e le Vernatsch. In realtà, di vini del Lago di Caldaro ne ho messo nel quintetto uno solo, ma è decisamente piacevole. Così come tra le schiave ci metto l’Elda di Nusserhof, omaggio alla moglie Elda, appunto, da parte di Heinrich Mayr: assieme alle uve di vecchi ceppi di schiava di più di ottant’anni coltivati sul porfido, ci sono anche i frutti di poche piante d’altri vitigni presenti nel vigneto, come s’usava un tempo, ed è per questo che in etichetta è “solo” vino da tavola.
Kalterersee 2008 Weingut Gruber
Colore buccia di cipolla. Rosa appassita, fruttino di bosco. Fresco. Grande beva. Costa 4,50 euro.
Tre faccini :-) :-) :-)
Elda 2007 Nusserhof
Un rosso buonissimo nella sua rusticità: noce, spezia, terra bagnata, frutto quasi macerato. Fresco.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Vernatsch 2008 Strickerhof
Meglio la bocca che il naso. Piccoli frutti di bosco, spezie, curiose tracce di champignon. Sapido.
Due faccini :-) :-)
Vernatsch Amadeus 2008 Lieselehof
Color buccia di cipolla. Un vino semplice, leggero. Ciliegia, fragola matura. Lieve tannicità.
Un faccino :-)
Edelvernatsch Kristplonerhof 2008 Hans Rottensteiner
Schiava gentile. Fruttattina e fresca, quasi salata. Persistenti note di noce e di spezia. Rustica.
Un faccino :-)

18-21 settembre: Cheese a Bra (Cuneo)

Torna "Cheese - Le forme del latte", evento biennale in programma a Bra (Cuneo) dal 18 al 21 settembre 2009, organizzato da Slow Food e Città di Bra e giunto alla settima edizione.
La manifestazione internazionale è ormai un punto di riferimento per gli artigiani della filiera lattiero-casearia mondiale e per un vasto pubblico di appassionati, grazie alla sua capacità di far conoscere “le mille anime del formaggio”, dagli animali da latte fino al prodotto finito. Perchè ogni formaggio è il risultato di una lunga storia, con le sue identità e specificità.
Info all'indirizzo internet http://cheese.slowfood.it/

8 settembre 2009

Morgon Côte du Py 2003 Jean-Marc Burgaud

Mario Plazio
Beaujolais proveniente da un parcella particolare all’interno del cru Morgon. Il terreno è di scisti e conferisce un sentore minerale ai vini. Le vigne hanno almeno 50 anni di età.
Burgaud è poco interventista e ama lasciare il vino libero di esprimersi, pur senza rivendicare nessuna scuola di pensiero.
Colore abbastanza denso per un gamay.
Naso in evoluzione con ricordi di composta di ciliegia, chiodo di garofano e fiori. L’annata siccitosa si intuisce dagli aromi di frutta secca.
Bocca in bilico tra la gentilezza del frutto e una acidità sostenuta. I tannini sono leggermente in evidenza e richiamano l’abbinamento con un piatto appropriato. Dopo qualche minuto fa capolino anche la tipica mineralità del cru.
È più alcolico di altre versioni, segno della annata, anche se mantiene la leggiadria dei migliori gamay. Per essere ancora più grande avrebbe bisogno di maggiore continuità e di tannini più rotondi.
Per il momento (si far per dire) ci accontentiamo.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

7 settembre 2009

Riesling Alto Adige 2008 in 100 battute

Angelo Peretti
Secondo appuntamento con le schede “in 100 battute” dei vini provati a Vinea Tirolensis, la degustazione annuale dei Freie Weinbauern Südtirol, i Vignaioli dell’Alto Adige.
Questa volta è il turno dei Riesling del 2008. Con un bel match fra Val Venosta e Val d’Isarco. Per questa volta, da parte mia una leggera preferenza è andata alla Val d’Isarco, per via di una freschezza un po’ più pronunciata, e comunque ben modulata. Su tutti, a mio avviso, il Kaiton di Peter Pliger.
Valle d'Isarco Riesling 2008 Kuenhof
Grande bianco da Peter Pliger. Spettacolare mix di frutto, spezia mineralità. Tensione e carattere.
Tre faccini :-) :-) :-)
Val Venosta Riesling 2008 Falkenstein
In bottiglia da un mese. Notevole personalità. Teso, nervoso, a tratti rustico. Bella mineralità.
Tre faccini :-) :-) :-)
Valle d'Isarco Riesling 2008 Strasserhof
Floreale, speziato, nuance officinali. Vena minerale sottesa. Piacevole freschezza salata. Lungo.
Tre faccini :-) :-) :-)
Val Venosta Riesling Castel Juval 2008 Unterortl
Polposo di frutto persistente. Accenni di erbe alpestri. Carattere asciutto, quasi tannicamente.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Valle d'Isarco Riesling 2008 Taschlerhof
Agrumato di mandarino e kumquat. Acidità nervosa. Finale asciutto, leggermente rustico. Giovane.
Due faccini :-) :-)

6 settembre 2009

Ma il mondo del vino si è accorto del ciclone ocm?

Angelo Peretti
Non se n'è ancora accorto quasi nessuno, ma dal primo di agosto è cambiato molto, moltissimo nel mondo del vino. Alcuni sono cambiamenti del tutto contingenti, altri invece ancora potenziali, ma, ritengo, inevitabili. Il fatto è che è entrata in vigore la nuova ocm, la nuova "organizzazione comune di mercato", le nuove norme europee sul vino, insomma. E sono regole. non dimentichamolo, per la gran parte dettate dai paesi consumatori, mica da quelli produttori. E impongono una mentalità diversa da quella tradizionale. Che cosa succederà davvero, è difficile dirlo. Però intanto alcune cose si toccano già con mano.
Una prima novità è già accaduta. I consorzi di tutela non hanno più potestà diretta sul controllo della produzione. Ci pensano degli enti certificatori terzi. Una gran parte delle denominazioni si è affidata ad un mega ente nazionale. Altri hanno scelto soluzioni locali. In entrambi i casi c'è una conseguenza immediata: meno quattrini in entrata nelle casse consortili. E dunque c'è la corsa a piazzare il personale, ché non ci sono più soldi per pagarlo. E chissà se ci saranno per fare promozione. In ogni caso, pare evidente che la gran parte dei consorzi oggi esistenti rischieranno di chiudere bottega: mica facile cambiar pelle.
Secondo: sono arrivati dall'Europea i fondi per la promozione. Se n'è fatto un gran can can. Ma si possono usare solo per attività verso i paesi extraeuropei, e con budget di spesa, finanziata al cinquanta per cento, di importo abbastanza sensibile: roba dai centomila euro in su, come minimo. Vuol dire che potranno accedervi praticamente solo i grandi gruppi industriali o comunque le realtà commercialmente molto strutturate. Dunque, inutile illudersi da parte dei piccoli produttori o delle piccole denominazioni.
Terzo: con la prossima vendemmia, o meglio, con la vendemmia in corso, varranno le nuove regole. Il che vuol dire che a essere oggetto di controllo non ci saranno più solo i vini doc e docg, ma anche gli igt. Mentre i vini da tavola potranno scrivere in etichetta l'annata di produzione (e anche il vitigno, se si tratta di uve internazionali). La faccenda non è certamente di poco conto, perché scatena nuove forme di concorrenza e potrebbe stimolare la fuga dalle denominazioni. Mi spiego. Mettiamo che ci sia un'azienda dal marchio molto, molto noto. Chi glielo fa fare a questa di continuare a imbottigliare il proprio vino col nome della doc o sotto le nuove norme dell'igt? Adesso che in etichetta può scrivere annata e vitigno, tanto vale che faccia un vino da tavola. Senza alcun controllo, a costi nettamente inferiori, con una flessibilità operativa (capite cosa voglio dire?) incredibile.
Quarta novita. In etichetta si può scrivere indifferentemente doc o dop. E così pure igt o igp. Di fatto, la denominazione d'origine controllata del vino è perfettamente equiparata alla denominazione d'origine protetta dell'olio, del formaggio e via discorrendo. E così pure per l'indicazione gografica. Ho detto indifferentemente, ma in verità si tratta d'una scelta non indifferente, e scusate il bisticcio di parole. In primo luogo, perché se si sceglie di scrivere dop o igp al posto di doc o igt occorre che tutte le scatoffie burocratiche, già dalla vendemmia, abbiano la nuova indicazione, ma questa è solo burocrazia di cantina. In secondo luogo, perché può essere che in certi paesi importatori il marchio dop sia più attraente di quello doc, e dunque sarebbe già il caso di pensarci per bene. Già, ma come fare con una normativa che sta solo adesso cominciando a uscire dalle nebbie delle prime interpretazioni?
Ecco: direi che queste sono le prime quattro grosse novità arrivate, direttamente o indirettamente, con la riforma. Può sembrar poca cosa. A me sembra già moltissimo. Eppoi mi pare ovvia un'altra considerazione: un paio d'anni, e il sistema vino in Italia sarà un'altra cosa rispetto ad oggi. Meglio o peggio? Mah.

5 settembre 2009

Kerner 2008 in 100 battute

Angelo Peretti
Incomincio l'approfondimento di alcuni dei vini provati alla decima edizione di Vinea Tirolensis, la degustazione della Freie Weinbauern Südtirol, i Vignaioli dell’Alto Adige.
Inizio dai Kerner, la tipologia che più mi ha affascinato. In Val d'Isarco mi pare proprio si sia imboccata una strada nuova, che guarda con decisione alla freschezza, alla snellezza. Sembra facile, ma non è, in una zona dove anche i bianchi tendono ad avere elevate gradazioni. Ma la quadratura del cerchio è possibile. O almeno sembra esserlo stato da parte di alcuni nell'annata 2008.
La formula descrittiva è quella di 100 battute al massimo per ciascun vino.
Valle d'Isarco Kerner 2008 Manfred Nössing
Eleganza e carattere. Al naso fiori ed erbe officinali. Fresco, salato. Finale asciutto. Geniale.
Tre faccini :-) :-) :-)
Valle d'Isarco Kerner 2008 Strasserhof
Salvia e ortica all’olfatto. Bocca succosa di frutto giallo, eppure snella. Bel finale asciutto.
Tre faccini :-) :-) :-)
Valle d'Isarco Kerner 2008 Taschlerhof
Foglia di pomodoro, erba limoncella. Asciuttissimo finale. Nervoso. Gioca sulla potenza espressiva.
Due faccini e quasi tre faccini :-) :-)
Valle d'Isarco Kerner 2008 Radoar
Quasi un bianco di stile tedesco, fra dolcezza aromatica e freschezza. Notevole lunghezza. Atipico.
Due faccini :-) :-)
Valle d'Isarco Kerner 2008 Villscheiderhof
Floreale, vene di salvia. Bocca vibrante di freschezza. Cede un po’ come definizione nel finale.
Un faccino :-)

5-7 settembre: Soave Versus a Soave (Verona)

Da sabato 5 settembre a lunedì 7 torna Soave Versus, appuntamento dedicato alle eccellenze enologiche del Soave e dei sui "gran cru", in abbinamento con i prodotti tipici veneti, che avrà luogo all’interno del palazzo del Capitano, nel centro storico di Soave.
Padroni di casa saranno gli stessi produttori chiamati a descrivere a giornalisti, appassionati e ristoratori, tutte le sfumature dei loro Soave, presenti sui banchi di assaggio attraverso mirati percorsi di degustazione che abbineranno i differenti cru alle eccellenze della tavola locale.
Per l’edizione 2009 della manifestazione è prevista anche una degustazione di Lessini Durello doc.
Info sul sito www.ilsoave.com.

4 settembre 2009

Arriva il super Pinot Grigio

Angelo Peretti
L'avevo detto che l'idea girava nell'aria: dopo il super Prosecco della nuova gigantesca doc veneto-friulana, si profila all'orizzonte anche un nuovo super Pinot Grigio. Adesso non sono più solo rumors da addetti ai lavori. Adesso cominciano a filtrare anche le dichiarazioni dei politici. E dunque ci siamo.
Il vicepresidente della giunta regionale del Veneto, Franco Manzato, di recente ha affermato che tra le proposte avanzate dalla filiera vitivinicola veneta "entro luglio", c'è "quella della nuova doc Venezia per monovitigni come il Pinot Grigio, finalizzata ad evidenziare la qualità di questo vino con una denominazione dal nome prestigioso e conosciutissimo, superando la frammentazione".
Quella puntualizzazione - "entro luglio" - è fondamentale. Il primo di agosto è infatti entrata in vigore la nuova Ocm - Organizzazione comune di mercato - del vino. Di fatto, il nuovo sistema di regolamentazione europeo equipara le doc vinicole alle dop degli altri comparti agroalimentari. Ed uno dei punti fermi del sistema delle dop comunitarie è quello che di solito sintetizzo con la definizione "un territorio, una denominazione". Significa che su un certo territorio uno specifico genere di prodotto può avere una e una sola denominazione. Basta sovrapposizioni, dunque. Fatto salvo quanto già esistente prima della data dell'uno d'agosto. O quanto entrato in iter di approvazione entro fine luglio.
Ora, è evidente che se si voleva creare una nuova doc nel Veneto era strettamente necessario muoversi, appunto, entro fine luglio, perché ormai non c'è area vitata della regione che non abbia almeno una doc già esistente, e dal primo agosto non si sarebbe più potuto dunque agire.
Aggiunge Manzato che "questa operazione è funzionale anche alla creazione di una denominazione che abbia numeri e potenzialità rispetto alle esigenze della grande distribuzione".
Eccoci qua, dunque: basta generico Pinot Grigio igt "delle Venezie", ma un nuovo Pinot Grigio Venezia doc, con una brand "vendibile" a livello internazionale, visto il richiamo a una città unica, visitatissima, conosciutissima.
Ma quali saranno i confini della produzione del nuovo super Pinot Grigio? Non lo so e non mi è dato, al momento, saperlo. Ma scommettiamo che saranno quelli delle intere aree viticole del Veneto?

11-13 settembre: i Giorni del Lacryma Christi a Ottaviano (Napoli)

La Strada del vino Vesuvio e dei prodotti tipici vesuviani e il Consorzio di tutela dei vini del Vesuvio propongono dall'11 al 13 settembre, presso il palazzo mediceo di Ottaviano (Napoli) la seconda edizione di "Vesuvinum - I Giorni del Lacryma Christi".
Il format è ideato e promosso dalla Strada del vino Vesuvio e dei prodotti tipici vesuviani, presieduta da Michele Romano, in collaborazione con Luciano Pignataro Wine Blog.
Nei tre giorni sono previsti convegni e degustazioni dedicate al vino ed alle tipicità che nascono all’ombra del vulcano.
Ospiti della manifestazione quest'anno i vini "vulcanici" dell'Etna e del Soave.
Informazioni sul sito www.lucianopignataro.it

3 settembre 2009

Ma a chi giova davvero il proibizionismo sul vino?

Angelo Peretti
Sarà anche vero che l'Italia è il paese delle dietrologie, della caccia agli intrighi. Ma finalmente qualcuno dice un'opinione che sarà anche scomoda, ma mi son messo a pensare anch'io.
Leggo infatti che il presidente di Confagricoltura, Federico Vecchioni, ha detto: "C’è da domandarsi se tutta questa campagna a favore di una tolleranza zero riguardo ad un moderato consumo di vino non sia orchestrata da una regia lontana e neanche tanto occulta, visto che ben si conoscono gli interessi di una certa area europea e ben si sa come siano in conflitto con quelli dell’enologia italiana e francese".
Sissignori: il dubbio viene. Quando si instaura il proibizionismo, di mezzo c'è praticamente sempre un interesse di segno opposto. Magari ideologico, ma molto più spesso molto, molto contingente. E ormai in Italia sulla questione vino è caccia alle streghe.
I romani antichi dicevano di ragionare sul "cui prodest". Ebbene, cominciamo a pensare a chi giova davvero tutta questa campagna anti vino.

2 settembre 2009

3-4 settembre: le Giornate del Vino a Caldaro (Bolzano)

Il 3 e il 4 settembre 2009 si svolge a Caldaro (Bolzano), nella Piazza del Mercato, la ventiquattresima edizione delle "Kalterer Weintage", le "Giornate del vino", dedicate alla produzione vinicola della zona.
Apertura degli stand dalle ore 18 alle 23.
Per il bicchiere si paga una cauzione di 8 euro. Ogni assaggio è a pagamento: 1 euro o 2 euro ad assaggio, a seconda della tipologia di vino. Precisa il programma: "Verranno serviti solo assaggi e non calici pieni".
La manifestazione è accompagnata da programma di contorno incentrato sui vini e i territori di Caldaro.
Informazioni sul sito www.kaltern.com.

Pomerol 1962 Chateau Franc Maillet

Angelo Peretti
Quel che trovo straordinario dei rossi di Bordeaux è che il tempo passa e loro mettono sì qualche ruga, ma questo li rende ancora più affascinanti, ché rimangono giovanili nell’essenza, acquistando maturità. Come le pieghe che segnano il volto accanto agli occhi, o alla bocca, d’una donna. Bella di suo. Rendendone però ancora più radioso il sorriso. Uff, che roba che fa scrivere il vino! Ma non posso evitarlo dopo l’esperienza di ieri sera.
Racconto. Cena semplice in casa. Voglio bere un bicchiere. Scendo in cantina. Cerco un rosso. Non ho voglia né di vini giovani, né di vinoni, eppoi stappare una bottiglia è un po’ tanto, da solo. Guardo nella scaffale dei Bordeaux e trovo una mezzina d’un Pomerol del ’62, che avevo comprato all’asta in mezzo ad altre bottiglie. Chateau Franc Maillet.
Una mezzina del ’62? Chissà. Ma tant’è, ormai ho deciso: la stappo.
Tappo quasi integro. Colore ancora bellissimo, solo leggermente tendente al granato. Naso tra il fruttino quasi acidulo e la liquirizia. Bocca fresca, lievemente tannica, ancora su toni di fruttino e poi con una bella prugna cotta che si fa largo. Direi che rimanda al merlot. E ha, credetemi, gran bella beva.
Felice di avere stappato la bottiglina, accidenti.
Guardo poi la guida ai vini di Bordeaux di Robert Parker. Mette Franc Maillet fra i nomi più adatti alla lunga conservazione in cantina. Ed è soprattutto merlot. Appunto.
Sia lode a Pomerol, a Parker, al merlot, a chi volete voi. Soprattutto al ’62, che offre talvolta bellissime emozioni.

1 settembre 2009

La polpa e la freschezza: le due filosofie del vino in Alto Adige

Angelo Peretti
Metti un caldissimo lunedì pomeriggio a Bolzano, ieri. Teatro comunale, decima edizione di Vinea Tirolensis, la degustazione annuale dei soci della Freie Weinbauern Südtirol, ossia i Vignaioli dell’Alto Adige. Piccoli vignaioli. Spesso piccolissimi: uno, due ettari in tutto. Una bella occasione per vedere cosa sta succedendo all’estremo nord.
Mi pare funzioni, quest’associazione. O almeno funziona questo meeting, che richiama sempre un pubblico attento e ordinatissimo. Magari la location non è delle più felici, e le postazioni dei produttori sono un po’ strettine, ma se si vuole assaggiare c’è tutto il tempo. E la disponibilità al dialogo è notevole da parte di (quasi) tutti gli espositori.
Provare tutto è francamente impossibile: una settantina di produttori, con una media di tre-quattro vini a testa. Quest'anno, con la presenza aggiuntiva di alcuni soci della Südtiroler Wein ed anche, extra regione, della Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti.
Comunque, dalle tre del pomeriggio alle nove di sera c’è spazio per fare un bel po’ di test.
Cerco di dare qualche impressione a caldo, vitigno per vitigno.
Blauburgunder. Non mi sono soffermato granché sul pinot nero. Credo occorrerebbero temperature di servizio più fresche. E vorrei trovarci il legno meglio integrato. Ho assaggiato con piacere il Mazzon 2007 di Gottardi. Sembra promettere bene la riserva 2006 di Brunnerhof, che uscirà a gennaio.
Kerner. Ossia Val d’Isarco. Con tanta voglia di innovare. Mettendo l’accento più sulla snellezza che sulla potenza, sulla freschezza più che sulla polpa, sulla beva più che sulla degustazione. Splendidi i vini di Nössing e Strasserhof, ovviamente 2008.
Fraueler. Ogni anno salta fuori qualche sorpresa cercando fra i micro vitigni autoctoni sudtirolesi. Stavolta la mia sorpresa è stata per lo Jera, un bianco dal vitigno fraueler, rarissimo, che fa Befehlhof in Val Venosta. Frutta secca, lunghezza. Strano bianco, di piglio antico.
Gewürztraminer. Non è tra i miei vitigni del cuore, in terra altoatesina, ma apprezzo molto che qui lo si interpreti in versione secca. Non mi ci sono molto soffermato, ammetto. Ho comunque bevuto volentieri il Feld di Armin Kobler, speziatissimo.
Lagrein. Bisognerebbe distinguere fra base, riserve e kretzer rosati. In ogni caso, ci sono dei bei rossi. Fra i base, piacevolissimi i 2008 di Rottensteiner e Pfannenstielhof. Entrambi hanno anche buone riserve 2006, com’è interessante quella del 2007 di Fliederhof. Fascinosamente giovane il 2002 di Nusserhof.
Riesling. Match tra Val Venosta e Val d’Isarco. Mi pare che in Val Venosta si guardi alla polpa e alla mineralità, mentre in Val d’Isarco la strada conduce alla freschezza. Rappresentativi, ad alto livello, dei due stili: in Val Venosta Falkenstein e Unterortl e in Val d’Isarco il Kaiton di Kuenhof e Strasserhof.
Schiave. Dovrei distinguere fra Vernatsch, Kalterersee e St. Magdalener: sempre schiave, ma diversissime come filosofia e stile. In molti casi sono stato perplesso dal lato della pulizia olfattiva. Grande beva per il Caldaro di Gruber e per il Santa Maddalena di Pfannenstielhof, vini che vorrei in tavola spesso.
Sylvaner. Speravo meglio. La ricerca quasi ossessiva della polpa non aiuta, a mio avviso. Trovo un po’ stucchevole l’emergere di certe vene tropicaleggianti. Il più elegante, e guarda caso anche il più floreale, per me è quello di Garlider. Poi, Keunhof e Zöhlhof.
Veltliner. Non sono moltissimi a lavorarlo, eppure il veltliner offre bianchi di bella personalità. Patria d’elezione la Val d’Isarco. Garlider guarda alla polpa fruttata. Nössig si orienta sulla freschezza e sull’eleganza, e preferisco nettamente questo stile. Buono Lentsch, nella Bassa Atesina.
Weissburgunder. Un po’ deluso dal pinot bianco. Vi troverei volentieri l’acidità tagliente, e invece ecco che si va alla ricerca della ricchezza fruttata, che non sembra prendere slancio. Il più equilibrato tra polpa e freschezza m’è sembrato il Castel Juval di Unterortl, notevolissimo.