29 febbraio 2012

Il Costozza del 2001

Mario Plazio
Un’azienda, quella dei Conti da Schio, che, colpa mia, ho perso di vista negli ultimi anni.
Questo Rosso del 2001 mi colpì alla sua uscita, e si beve molto bene in questo momento.
Un po’ classico e un po’ moderno, ha un nasino che non scherza. È infatti viscerale, odora di carne affumicata, tartufo nero, catrame e frutta secca, mentre il legno conferisce aromi di goccia di pino.
Al palato non ha un peso eccessivo, e questo non è sicuramente un limite, rimanendo piuttosto godibile.
Se devo trovare un limite è quello di una mancanza di complessità, risulta alla fine dei conti (da Schio… mi si perdoni la battuta) abbastanza monocorde.
Acidità e tannini non fanno mancare la loro presenza.
Costozza Rosso 2001 Costozza Conti da Schio
Due - faccini :-) :-)

28 febbraio 2012

Il Monte Carbonare

Mario Plazio
Da sempre il Monte Carbonare delle sorelle Tessari è uno dei miei bianchi preferiti.
L’annata 2006 è sorprendentemente chiusa, ancora molto giovane e bisognosa di affinamento.
Appena aperto il vino è sulfureo, mentre coi minuti arriva la classica nota di mandorla amara e un tocco di frutta esotica molto discreto. Fine e minerale in bocca, scorre che è un piacere. Piace l’assenza di spigoli e l’equilibrio dell’alcol, sempre più difficile da trovare nelle bottiglie prodotte in questi anni di grande maturità.
Una conferma.
Termino con un piccolo suggerimento: andatevi a prendere l’annata 2009.
Soave Classico Monte Carbonare 2006 Suavia
Due faccini e mezzo :-) :-)

27 febbraio 2012

Birra e fichi secchi

Angelo Peretti
Ecco, questa è un'altra delle cose che ho imparato negli stand di Identità Golose: birra e fichi secchi. Mica una birra qualunque: la Grand Cru della Moretti, rifermentata in bottiglia, e la bottiglia è da 0,75. Che magari non è facilissima da trovare, ma io l'ho acquistata anche in un supermercato, e dunque buona ricerca.
La Grand Cru è ambrata. Il colore è proprio quello dell'ambra. E sa di albicocca secca e di agrumi canditi. Mi piace.
Allo stand della Moretti la proponevano con le albicocche essiccate e coi fichi secchi. Secondo me, anche se il sapore della birra le ricorda, le albicocche erano troppo dolci per l'abbinamento. Ma i fichi secchi ci stavano benissimo, accidenti! Ho finito per mangiarne cinque o sei, con grave nocumento per la mia dieta. Mai e poi mai avrei pensato a un'accoppiata del genere e temo proprio (il timore è per le calorie dei fichi) che ripeterò l'esperimento.
Non si finisce mai di imparare.

26 febbraio 2012

Cibo per scongiurare la morte

Non ha mangiato. Cosa si deve mangiare con la febbre a trentanove e sei? Anzi, si deve mangiare oppure no? Non sono mai stata a casa sua, chissà che casa ha e chi gliela tiene. Frigo vuoto o con qualche provvista? Noi donne pensiamo subito al cibo, quando qualcuno cui teniamo si ammala. Ci preoccupiamo di come sfamarlo. Deve essere un residuo fossile del passato, quando i viveri scarseggiavano. Cibo per scongiurare la morte.
Margherita Oggero, "Qualcosa da tenere per sé", Mondadori 2007

25 febbraio 2012

Pieropan e una bella idea di Valpolicella

Mario Plazio
Chi mi conosce e ha avuto modo di leggere qualche mia elucubrazione su InternetGourmet, avrà probabilmente notato il grande rispetto e l’ammirazione che nutro per Nino Pieropan e per i suoi vini.  Grandi bianchi che rispecchiano al meglio il territorio, o meglio, i territori di Soave. Altrettanto sinceramente ho sottolineato le perplessità suscitate dai primi rossi prodotti in terra di Valpolicella, troppo anonimi e politically correct per un vignaiolo di questo calibro.
Quando Nino mi ha consegnato la nuova annata di Ruberpan, mi ha raccomandato di assaggiarlo con attenzione, in quanto a suo avviso era finalmente vicino all’idea che lui e i suoi figli Andrea e Dario avevano rispetto alla Valpolicella. La curiosità era ovviamente notevole.
Voglio subito confessare che finalmente ho trovato un vino al di sopra delle mie aspettative. Come da copione sfodera una pulizia e una confezione impeccabili. I profumi sono caratteriali e vanno dalla ciliegia al melograno e fino agli agrumi. La bocca è invitante, croccante e fresca, con un tannino maturo ma ancora deciso. Un vino da attendere ma a cui è difficile resistere, tutto impostato sulla piacevolezza senza rinunciare alla complessità e alla profondità.
Una perfetta trasposizione del territorio, senza ammiccamenti all’amarone o sdolcinature del tutto inutili. L’invecchiamento dei legni di affinamento e la maggiore età delle vigne hanno sicuramente la loro influenza. Se posso azzardare un paragone direi che non siamo lontanissimi dalla Borgogna, fatte salve le diversità.
Per me è un vinino, anzi un grande vinino.
P.S.: date anche una occhiata all’Amarone 2008.
Valpolicella Superiore Ruberpan 2009 Pieropan
Tre faccini :-) :-) :-)

24 febbraio 2012

L'olio di cetrale e i fratelli Aprile

Angelo Peretti
I fratelli Aprile fanno olio a Scicli, nel Ragusano, Sicilia. Li ho incontrati a Identità Golose, a Milano. Avevano un loro stand (e anche una zuppa di fave davvero buona, con un filo del loro extravergine). Mi hanno raccontato che coltivano due varietà: una è la biancolilla, che domina lo scenario oleario siculo, e l'altra è la cetrale, forse di origine saracena, presente nel territorio comunale di Scicli.
Dalle olive dei loro oliveti, frante con un impianto a ciclo continuo di proprietà, producono cinque etichette d'extravergine. Uno solo è un blend, gli altri quattro sono monocultivar, due di biancolilla e due di cetrale. Qui di seguito ci sono le mie impressioni d'assaggio, a cominciare dal blend, che ho trovato davvero ben modellato, perché in grado di mettere in luce, insieme, i diversi caratteri delle due olive, e ne escono reciprocamente esaltati, ed è bella cosa
Olio extravergine di oliva Sesto 2011 Fratelli Aprile
È il taglio di biancolilla e cetrale, e devo dire che l'assemblaggio è indovinato, e forse bisogna insisterci. Colore pastello. Al naso ricorda le erbe della biancolilla e i toni cortecciosi della cetrale, in perfetto equilibrio, ed altrettanto mixato è il gusto, che mette insieme la rotondità d'una cultivar e la forza rustica dell'altra. Ha poi notevole piccantezza e lunghezza considerevole.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Olio extravergine di oliva L'incanto 2011 Fratelli Aprile
Sola varietà cetrale da un piccolo numero di piante. Colore verde pastello. Al naso c'è un bouquet di erbe di campo e di prato e memorie di corteccia d'albero. La bocca è rustica e quasi tannica, ma senza eccessi. Emergono il rafano, la verza, la rapa. C'è notevole lunghezza. Finale sui toni del mallo di noce.
Due lieti faccini :-) :-)
Olio extravergine di oliva Valle dell'Irminio 2011 Fratelli Aprile
L'etichetta "storica" dell'azienda. Le olive sono della cultivar cetrale. All'olfatto è rusticissimo ed altrettanto rude è in bocca, mettendo insieme dolcezza, sentori di cavolo e verza e ricordi di corteccia d'albero e vene terrose e un piccante di spessore.
Due lieti faccini :-) :-)
Olio extravergine di oliva 274°2011 Fratelli Aprile
Fatto con la biancolilla. Il nome richiama il giorno di molitura. Colore verde brillante con lampi gialli. Naso erbaceo e poi oliva, tarassaco, cenni floreali. In bocca apre dolce e poi emerge il fondo amaro. Finale con la nocciola. Non va in cerca di complessità.
Un faccino e quasi due :-)
Olio extravergine di oliva Agathae 2011 Fratelli Aprile
Biancolilla della contrada di Sant'Agata. Colore verde chiaro. Netto contrato tra la finezza olfattiva e la rusticità gustativa. Erbe di campo, rapa, rafano.
Un faccino :-)

23 febbraio 2012

Riscoprire l'aceto?

Angelo Peretti
Tra le tante sorprese che ho incontrato a Identità Golose, la grande kermesse voluta da Paolo Marchi a Milano, ci sono stati anche gli Amici Acidi. Detto così sembra quasi il nome di una qualche band musicale dedita al vintage psichedelico stile anni Settanta, ma in realtà di tratta di un'associazione di cinque artigiani produttori d'aceto. Che si sono messi insieme per difendere la tradizione. Ed erano appunto a MIlano coi loro aceti.
Gli Amici Acidi sono Sirk, Acetaia Sangiacomo, Mieli Thun, Pojer e Sandri, Baron Widmann. Il Mario Pojer, che oltre che vignaioli e distillatore è anche, appunto, acetificatore, mi ha dato un doppio foglio: sul primo ha scritto della storia dell'aceto, sull'altro l'attualità. La storia la lascio stare e mi soffermo invece sulle cose d'oggi. Partendo dal boom dell'aceto balsamico. Che non è quello tradizionale di Modena o di Reggio Emilia, i quali "sono prodotti unici, ottenuti con tanti anni d'attesa". Ma - uso le parole di Mario - "nulla hanno a che vedere con la varianti proposte sugli scaffali dei supermercati, che di fatto non sono niente di più che aceti al caramello industriali". E questo "aceto al caramello" Pojer lo definisce "un prodotto semplice ma che incontra il gusto del consumatore sempre più deviato verso il dolce e il saporito (glutammato di sodio)".
Così oggi l'aceto tradizionale "è schiacciato da questo mondo idustriale" e "in quasi tutti i ristoranti, dall'agritur alla pizzeria al ristorante stellato, alla richiesta di un aceto, immancabilmente sul tavolo arriva il balsamico al caramello". Perché, dice sempre Pojer, "è stato industrializzato e codificato il gusto, abbiamo dimenticato gli aceti di una volta, magari di produzione famigliare artigianale, dalle mille sfumature, legate a vitigni e territori diversi".
Dunque: "Torniamo all'aceto, quello vero, quello 'dimenticato'".
Una rivoluzione acida. Interessante.

22 febbraio 2012

L'economia dello Champagne e del Prosecco

Angelo Peretti
Il mondo sta cambiando, lo dicevo l'altro ieri prendendo spunto dalla lezione d'un filosofo. Anzi, personalmente credo che il mondo sia cambiato, definitivamente.
Ne dà conto in qualche modo anche la rivistona americana del vino, Wine Spectator. Dice che prima della recente recessione la gente aveva sempre più soldi e dunque cresceva anche la cifra che si era disponibili a spendere per una bottiglia di vino. Poi, durante la fase peggiore della recessione, quella disponibilità è calata, e sopra i 20 dollari - salvo casi eccezionali - nessuno era più disposto a comprar vino. Oggi i vini d'alto prezzo sono invece tornati a vendere negli Stati Uniti, perché l'economia americana ha dato segni di risveglio. Ma questo non vuol dire che gli americani siano più disposti a spendere e spandere. Usano la testa, adesso, e stanno attenti a cosa comprano e a quanto spendono per i vini quotidiani.
"Chiamatela l'economia dello Champagne e del Prosecco", dice Wine Spectator. E ricorda che nel 2008, nei giorni peggiori della crisi, le vendite di Champagne crollarono, mentre crescevano esponenzialmente le importazioni di Prosecco negli Stati Uniti. Adesso le vendite di Champagne in America sono tornate a crescere (+35% nel 2010), ma il Prosecco non dà segni di cedimento. "Customers are buying both", i consumatori li stanno comprando tutt'e due.
Ecco, questo è un cambiamento radicale negli stili di vita e nelle propensioni d'acquisto. In America, certo, ma si sa che là le tendenze si esprimono prima.
Si tratta - ne sono convinto - di un cambiamento che dovrebbe suggerire di ripensare interamente le politiche di posizionamento dei vini: è sciocco continuare a parlare di "grandi vini" contrapposti ai "vini quotidiani". Oggi questa contrapposizione non ha più senso, ed è dunque insensato farvi riferimento nelle politiche di promozione e di marketing. Meglio fare in modo che l'una categoria aiuti l'altra e che la crescita sia sinergica. Qualche idea "applicativa" al proposito ce l'avrei, ma non è facile scavalcare le barriere.

21 febbraio 2012

1988: Valentini e Quintarelli


Mario Plazio
Vino difficile da trovare il Montepulciano di Valentini, prodotto solo nelle annate veramente grandi, mediamente ogni 3 o 4 anni. Questo ’88 ha un naso travolgente, che parte da aromi piuttosto viscerali di salamoia, olive nere, catrame, mare, sasso, per poi virare su profumi più fini e nobili di spezie e liquore al cacao. La stessa decisione si ritrova bevendolo, le parti sono ben distribuite, la giusta potenza, una buona finezza, concentrazione al servizio del cibo e tannino maturo. Quando entra sembra non se ne voglia più andare. E noi non ci lamenteremo certo per questo.
Montepulciano d’Abruzzo 1988 Valentini
3 faccini abbondanti :-) :-) :-)
Ho avuto la fortuna (in realtà le bottiglie erano in cantina, quindi non è fortuna ma scelta ponderata) di bere questa bottiglia insieme al Montepulciano di Valentini dello stesso millesimo. Insomma una serata da ricordare, e non erano le sole bottiglie. L’Amarone del Bepi è come vorresti che fossero tutti gli amaroni. Eleganza allo stato puro. Profondo nelle note di erbe in infusione e frutta come il lampone. Si tratta di seta pura, una congerie di morbidezza, tannino e alcol di un equilibrio miracoloso. L’acidità coglie nel finale e accompagna le sensazioni per un tempo interminabile. Il vino è dinamico, si evolve continuamente, senza mai cedere un istante. Una delle più belle bottiglie che mai ho assaggiato e, purtroppo, l’ultima. Certo le bottiglie di Quintarelli sono care, ma quanti vini al mondo possono vantare questa classe?
Amarone della Valpolicella 1988 Quintarelli
3 faccini e oltre :-) :-) :-)

20 febbraio 2012

Le foglie secche del vino

Angelo Peretti
Non è facile leggere i filosofi. Hanno quei loro ragionamento così profondi che costa un sacco di fatica a cercare di capirli, e dopo non sei neanche sicuro di averli capiti. Però resto a bocc'aperta davanti ai ragionamenti dei filosofi: ne sanno di cose, oh, se ne sanno. Così a volte basta comprenderne un pezzetto dei loro ragionamenti, ed ecco che ti si aprono prospettive nuove.
Ci pensavo leggendo - tentando di leggere - sabato scorso il lungo articolo di Emanuele Severino, che è filosofo, appunto, sulle pagine della cultura del Corriere della Sera. Titolo (impegnativo): "La decadenza del capitalismo ridotto come una foglia secca" (il titolo è cliccabile: se volete, potete andare a leggervi l'intero scritto on line). E sotto: "Vorrebbe dominare il mondo ma è sottomesso alla tecnica". Bene, questa è la chiave di volta del pensiero espresso da Severino.
Nel testo, il filosofo dice a un certo punto: "Chi è estimatore di ciò che serve alla sopravvivenza del capitalismo - o delle altre grandi forze del vecchio mondo - e agisce sulla base di quelle diagnosi è il servitore di un cadavere. Il che non esclude che le sue azioni possano essere utili, e perfino molto utili, a imbalsamare le foglie secche, tenendole attaccate ai rami ancora per un po', e perfino per un bel po' - ma in tal modo ritardando la trasformazione a cui il mondo è destinato".
Ecco, questa stessa frase la potrei dire dell'agroalimentare, e in particolare - ma non solo - del vino. Sto leggendo e sentendo tante cose sull'attualità e sul futuro del vino. Per lo più utili nel breve se non nel brevissimo periodo. Toppe messe sul copertone forato. Ma mi pare che non si colga o non si voglia cogliere il cambiamento in atto. Si continua ad agire sulla scorta di logiche che appartengono ad un mondo che non c'è più, o che si appresta a non esserci. Tutto è cambiato, o quanto meno sta cambiando: occorre che le diagnosi partano da qui, non sull'inutile tentativo di conservare quanto non è più o si appresta a non esserlo. Bisogna prenderne atto. Altrimenti si agisce come degli imbalsamatori di cadaveri.
Coraggio.

19 febbraio 2012

Non ficcare il naso in cucina

Leo, in maniche di camicia, con un buffo grembiule annodato sui fianchi, disponeva su un vassoio tartine salate, il timer del forno elettrico ticchettava, sul fuoco sobbolliva qualcosa. La vide, sgranò su di lei i bellissimi occhi celesti e le ordinò: "Non ficcare il naso in cucina, non parlare, fila in soggiorno, mettiti comoda sul divano e aspetta". Aveva un'aria felice.
Alberta si tolse le scarpe, infilò le pantofole di panno, si lavò le mani e il viso, tornò nel soggiorno e aspettò.
Sveva Casati Modigliani, "Un amore di marito", Sperling & Kupfer 2011

18 febbraio 2012

Cacio e pepe in Campo de' Fiori

Angelo Peretti
Ordunque, sappiate che anche dove c'è un gran via vai di turisti si può mangiar bene, e che magari d'estate, quando si può star fuori, si mangia bene stando in piazza, sotto gli ombrelloni, e guardando i turisti accaldati che vagano per il centro, ed è una pacchia. Roma, Campo de' Fiori. Centro-centro. Il posto si chiama Antica Hostaria Romanesca, e quell'Hostaria con la acca e poi anche quell'Antica e quel Romanesca sembrerebbero messi lì apposta per far solo da specchietto per le allodole per il forestiero e io confesso che per il nome l'avrei snobbata questa trattoria, ma certi amici mi ci hanno portato giurando e spergiurando che si mangia bene, e infatti ci ho mangiato bene, e ci ho mangiato bene due volte, una all'aperto, in estate, e una al chiuso, nella microscopica saletta che sa un po' di olio fritto, d'inverno.
I tonnarelli cacio e pepe li sanno fare bene, col sughetto (acqua di cottura, pecorino, pepe) che, come regola vuole, non è né troppo fluido né troppo denso, e sopra un'abbondante grattugiata di pecorino romano aggiuntivo. E buone erano anche le mezzemaniche (i miei compagni di tavola hanno insistito per le mezzemaniche al posto dei canonici bucatini) col sugo all'amatriciana. E soprattutto ho trovato deliziosa la trippa, col pomodoro, come si usa a Roma.
Conto sui trentacinque euro, col vino.
Antica Hostaria Romanesca - Campo de' Fiori, 40 - Roma - tel. 06 6864024

17 febbraio 2012

Quell'olio ha un timbro istriano

Angelo Peretti
Cento ettari, venticinquemila olivi, delle varietà del leccino e del frantoio e del pendolino, più piccole, piccolissime perecentuali di cultivar autoctone. È il sogno oleario di Mate Vekić, che a settantacinque anni si è messo in testa di fare olio di grande qualità nell'Istria, a Zambrattia. Accadde una manciata d'anni fa. Oggi è una realtà. L'olio è eccellente, soprattutto quello di sola cultivar frantoio, che è di là da ogni aspettativa, per un'annata difficilissima come il 2011.
Gli extravergini di Mate li ho trovati tra le tante cose belle e buone di quel tesoro di cose buone e belle che è Identità Golose, il congresso d'enogastronomia voluto a Milano da Paolo Marchi.
Concimazione organica, lotta monitorata verso la mosca olearia (flagello degli olivicoltori), frantoio di proprietà a due fasi, frangiture rapide, in giornata, nessuna filtrazione: questi, grosso modo, gli standard produttivi. E ora gli oli.
Olio extravergine di oliva Timbro Istriano 2011 Mate
In etichetta il colore rosso della terra istriana. Le olive sono di sola varietà frantoio. L'olio è vestito d'una livrea verde-gialla brillante. Al naso c'è il verde freschissimo dell'oliva appena raccolta e poi la foglia d'ulivo e cenni di carciofo e di erbe di prato. In bocca apre vellutato, ed è una sorpresa. Ed è erbaceo-dolce e ha cenni agrumati sul fondo. Poi esce un avvincente amaro d'erbe di campo e la piccantezza si fa vivida e nervosa ed affiora il cardo in una progressione spettacolare e grintosa. Il finale è asciutto, teso. La persistenza è infinita. Grande olio.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Olio extravergine di oliva Trasparenza Marina 2011 Mate
L'etichetta qui è azzurro mare. L'olio è soprattutto di leccino (con un po' di pendolino) e del leccino ha quella caratteristica profumazione di confetto da sposa: vaniglia e mandorla. All'olfatto dona poi il frutto fresco d'oliva  cenni di limone e di fiori. Al palato attacca classicamente sui toni del leccino di cui ho già detto, ma subito ecco che s'innesta un piccante di bella presenza e la pasta si intride di venature amare. Poi, la mela, i fiori, il pomodoro a prima maturazione, la nocciola.
Due lieti faccini :-) :-)
Olio extravergine di oliva Professional Blend 2011 Mate
Viene dalle olive raccolte per ultime, che vanno in taglio fra di loro. Mi si dice che è pensato non già per l'uso a crudo, ma per la cucina: scelta saggia per chi ha tutti quegli olivi. Ha naso robusto e gusto "dolce". Ma c'è comunque accenno d'agrume e di erbe di prato.
Un faccino :-)

16 febbraio 2012

Uno Zinfandel del 2000

Angelo Peretti
Samuele Sebastiani andò a cercare fortuna in America sul finire dell'Ottocento. Partì dalla Toscana e spaccò pietre per metter via i soldi per comprare la terra in California. Voleva piantarci le vigne. Il sogno americano si avverò, e la casa è diventata col tempo importante. Pochi anni fa, nel 2008, è passata di mano, è andata alla Foley Family Wines. Ma il vino che ho bevuto è di qualche anno prima della transizione. Uno Zinfandel del 2000.
Ora, se mi avessero messo questo rosso nel bicchiere e mi avessero chiesto da che parte del mondo viene, credo che avrei buttato lì: America, California probabilmente. Perché è assolutamente in linea con quel che andava di moda agli inizi del nuovo secolo da quelle parti. E quindi è pieno, è dolce di frutto, ha memorie nettissime di cioccolato al latte. Insomma, è il vino a stelle e strisce che t'aspetti.
Però annoto che il tempo non l'ha annebbiato, ed è ancora pimpante, ed anzi ha notevole lunghezza e una speziatura che gli conferisce carattere. Piacione certo, ma vivo. E si beve anche con qualche soddisfazione, se lo stile aggrada. Insomma, ben fatto.
Zinfandel Sonoma County 2000 Sebastiani
Due lieti faccini :-) :-)

15 febbraio 2012

Naturali parte 5: la Loira

Mario Plazio
Quinta e ultima parte dei miei assaggi di vini naturali effettuati a Dive Bouteille, nella Loira. Nei giorni scorsi ho raccontato di Champagne, Borgogna, Rhone, Alsazia, Jura. Per ultimi ho tenuto proprio i padroni di casa della Loire.
Il Domaine Picatier ha presentato uno Chardonnay 2010 leggero (1 faccino) e un Gamay 2010 fin troppo ossidativo.
Alexandre Bain produce un Rouge 2010 da pinot nero e gamay dal grande frutto (2+ faccini), un Pouilly-Fumé Pierre Précieuse 2010 dal bel naso di miele e spezie (2 faccini e mezzo) e un Pouilly-Fumé Madamoiselle M 2010 più austero e minerale, ancora in fermentazione ma dall’ottimo potenziale (2 faccini e mezzo).
Les Vins Contés ha etichette alternative interessanti, come Le Puits 2011, sauvignon fresco con un pizzico di zucchero residuo che non stona (2 faccini), Le P’tit Rouquin 2011, gamay tutto frutto (2- faccini), R 11, gamay, cot e grolleau speziato e fresco (2+ faccini), Poivre et Sel 2010, pinot d’Aunis e gamay da vigne di 70 anni, profumato di sottobosco e pepe verde, lungo e godibile (2 faccini e mezzo) e Cheville de Fer 2010, ancora chiuso ma profondo e minerale (2 faccini e mezzo).
L.B. Jousset ha una bollicina austera e secca, Bubulle 2010 (1+ faccini), cui seguono Les Auduines 2010, poco interessante (1- faccini), Montlouis Premier Rendez-vous 2010, chiuso e potente (2 faccini), Montlouis Singulier 2010 su argilla, deciso e terroso (2+ faccini) e il Montlouis Démi-sec Trait d’Union 2011, giovane e gradevole, da attendere (2 faccini).
Il Domaine Guiberteau offre un Saumur Clos de Guichaux 2010 coperto dal legno (1 faccino e mezzo) e un Saumur 2010 dal naso di caffelatte e ancora bloccato dal legno (1 faccino).
Una piccola delusione per un produttore molto rispettato. Nicolas Réau gode di buona reputazione e presenta un Anjou Clos 2011 teso e nervoso, solo ossidativo in finale, ma è un campione di botte (1+ faccini). L’Anjou Victoire 2010 fa sentire lo chenin e ha un legno ben dosato (2 faccini). Il Gamay Primeur 2011 è profumato (2- faccini) e si beve piacevolmente, mentre l’Anjou Pompois 2010 è un bel vino elegante e speziato (2+ faccini). Bene anche il Chinon Garance 2009, tannico e potente (2 faccini e mezzo), mentre meno centrato è l’Anjou 2008, 36 mesi in legno che hanno stancato il vino.
Sabastien Brunet produce un Vouvray sec Arpent 2010 solare e piacevole (2 faccini) e un Vouvray Démi-sec La Folie 2010 maturo, fine, speziato e divertente (2- faccini).
Tra i vini del padrone di casa, lo Château de Brézé, ottimo il Saumur Clos David 2010, agrumato e completo (2+ faccini). Un domaine del quale sentiremo parlare nei prossimi anni e che sta convertendo completamente i vigneti e cambiando lo stile di vinificazione verso una maggiore naturalezza.

14 febbraio 2012

Naturali parte 4: Rhone e Jura

Mario Plazio
Quarta puntata delle mie note di degustazione dei vini provati a Dive Bouteille, il salone dei vini naturali svoltosi nella Loira recentemente, presso lo Château de Brézé, vicino a Saumur.
Dopo Champagne, Borgogna (e Beaujolais), Alsazia e Sud Ovest, riprendo dalla Côtes du Rhone.
In Côtes du Rhone segnalo la eccellente prestazione di Michel Stéphane. Il Côte-Rotie 2010 ha un 10% di viognier che ne caratterizza il naso, molto aromatico. Bene il palato (2 faccini e mezzo). Il Côte-Rotie Coteaux de Tupin 2008 ha il 100% di syrah e presenta un naso scolastico di pepe bianco. Ancora giovanissimo, sarà magnifico tra almeno 10 anni (3 faccini), mentre ancora più grande è il Côte-Rotie Bassenon 2008, che contiene un 20% di viognier, ed è profondo, affumicato, fruttato e con una classe superiore al palato (3+ faccini).
Passo allo Château Revelette di Peter Fischer. Non amo particolarmente i bianchi del sud della Francia, ma Le Grand Blanc de Revelette 2010, da chardonnay e sauvignon, è proprio riuscito, mantiene il carattere sudista, la bocca grassa e morbida è molto equilibrata (2+ faccini). Il Pur 2010 è un grenache non filtrato e senza SO2. Tutta la facilità di questo tipo di vini senza alcun difetto, insomma un vinino (2 faccini e mezzo). Ancora più buono Le Grand Vin Rouge de Revelette 2009, pulito, moderno e potente (3 faccini).
Andando in Jura ho provato i vini del Domaine de La Tournelle, che non mi hanno molto convinto. I bianchi in particolare mancavano di fondo e di grassezza, amplificando le note acide caratteristiche della denominazione.
All’opposto impressionante è stata la prestazione del Domaine Ganevat. J’en Veux 2011 è piccolo e leggermente ossidativo, ma si beve bene (2 faccini). Il Côtes du Jura Trousseau 2011 mantiene una bella beva ed è snello (2+ faccini), mentre il Pinot Noir 2011 è ancora chiuso, ma ha eleganza e freschezza (2 faccini e mezzo). Morbido il Côtes du Jura Chardonnay 2010 (2- faccini), mentre eccellente si è rivelata la Cuvée Marguerite 2010, una originale variazione genetica dello chardonnay che origina un vino di notevole bellezza (3 faccini). Il Côtes du Jura les Grande Teppes V.V. 2010 lacia intuire un potenziale enorme (3 faccini), mentre il Côtes du Jura Les Chalasses Marnes Bleues 2010 è un savagnin lungo, fine, speziato e di carattere (3 faccini).
Domani si chiude con i padroni di casa della Loira: quinta e ultima puntata.

13 febbraio 2012

Traminer

Angelo Peretti
Adesso non facciamone una questione ideologica, ché sennò ci sarebbe da star qui a discutere per ore e giorni e mesi su quali siano i vitigni su cui investire nel Trentino e del perché e del percome si faccia una caterva di pinot grigio e poi, vigne da bolle a parte, si facciano tanti vini con tante uve diverse e in quantità talora microscopiche e insomma ci sarebbe da spaccarsi la testa per capire il perché di questa frammentazione che probabilmente non fa bene a nessuno o forse fa bene ai piccolini che trovano un loro spazio autonomo, chissà. Non lo so e per adesso non lo voglio sapere. Ordunque, non stiamo a discutere del perché i Torelli a Maso Bastie, a Volano insomma, due passi da Rovereto, Trentino, abbiano deciso di piantarci il traminer. Probabilmente lo hanno fatto perché gli andava di farlo o chissà per quale altro motivo, punto e basta.
E invece punto e basta manco per niente, perché il Traminer che fanno a Maso Bastie, qualunque sia il motivo per cui lo fanno, è proprio buono. Caspita se è buono!
L'ho provato alla rassegna dei Vignaioli del Trentino, in agosto, a Riva del Garda. E devo confessare che ho fatto la finta di niente e dopo il primo assaggio (mica sputato) sono passato a fare il secondo (mica sputato neanche stavolta).
Be', un bianco spettacolare, elegantissimo nella sua precisa linea aromatica che sembra incisa col bulino.
Eppure in teoria 'sto vino avrebbe tutto per non piacermi: è aromatico, appunto, e non amo granché l'aromaticità, è grassoccio, e non mi piacciono i bianchi polposi, e insomma teoricamente è quello che non cerco io da un bianco, che voglio invece, come ho detto una volta, affilato. E invece questo qui ecco che ti avvolge, ti intriga, ti avvince con un carattere di quelli tosti, e c'è tensione e c'è una gran persistenza del frutto. Bel vino, accidenti.
Trentino Traminer Aromatico 2008 Maso Bastie
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

12 febbraio 2012

Il permesso di bere Margaux

Piet rispose in modo sincero alle domande delle ragazze sulla sua vita a Leida, ma senza confessare che trovarsi in una casa dotata di impianto idraulico era per lui una novità assoluta. Quando prese a mangiare gli asparagi con le mani, secondo il galateo che sua madre gli aveva insegnato, colse un silenzioso scambio di sguardi e sentì di aver superato un ulteriore esame. Notò che entrambe avevano avuto il permesso di bere lo Château Margaux e che si rivolgevano ai genitori senza formalità. Constance era la più loquace ma sembrava che Louisa ne apprezzasse la parlantina e non ne fosse affatto infastidita.
Richard Mason, "Alla ricerca del piacere", Einaudi 2011

11 febbraio 2012

Enogastronomicamente comunicando

Angelo Peretti
È passato qualche po' di tempo (qualche anno) da quando uscì un libro che ho letto e riletto, sfogliato e risfogliato. S'intitola "La comunicazione del food & beverage" ed è di Fabio Piccoli, collega veronese. Un manuale perfetto per chi voglia occuparsi, appunto, di comunicazione e anche di marketing nei settori del vino e dell'agroalimentare in genere. Confesso che gli ho rubato parechie idee. E hanno funzionato.
Molte delle cose che ci sono su quel libro le ritengo tuttora attualissime, ma evidentemente Fabio non la pensa così, visto che da poco è in libreria con un nuovo volumetto, e nelle "avvertenza per la lettura" dice così: "Ho deciso dopo quattro anni di riscrivere il mio manuale 'Comunicazione nel food and beverage" perché lo ritengo superato. Sì, inutile girarci tanto intorno. Avrei potuto cavarmela con qualche piccola correzione ma non sarei rimasto soddisfatto. In quattro anni sono cambiate talmente tante cose che ripercorrere, pur correggendolo, un percorso già fatto, mi sembrava cosa inutile e, per certi aspetti, anche pericolosa".
Il nuovo manuale s'intitola "Enogastronomicamente comunicando" - sottotitolo "L'identità nel food & beverage" - ed è pubblicato dalle Edizioni Le Foglie del Gelso della società Ethica.
Per la riscrittura, Fabio Piccoli ha affiancato il proprio sapere a quello di Lavinia Furlani, che fa il mestiere della "consulente filosofica", occupandosi di comunicazione e formazione. L'ipotesi di base su cui hanno lavorato è che "non c'è momento migliore della crisi per accettare la sfida del cambiamento". E questa sfida la si può accettare mettendosi nella dimensione - cito - di un "ritorno all'uomo 'multidisciplinaare' in antitesi, o meglio in sostituzione, finalmente, all'uomo 'specializzato'", tesi che con me sfonda una porta aperta, avendo personalmente cercato sempre di avere come mia personale "specializzazione" la più ampia "despecializzazione" che mi era possibile, o meglio, se vogliamo, la "multidisciplinarità", che è però termine orrendo.
Magari sul nuovo libro mi capiterà di tornarci dopo averlo letto per bene e averci riflettuto, però per il momento mi corre il piacevole obbligo di un ringraziamento. Perché fra le "case history" citate nel volumetto c'è anche questo mio InternetGourmet. Si legge: "Un caso particolarmente interessante è quello rappresentato da InternetGourmet.it, il web magazine diretto dal giornalista veronese Angelo Peretti". E più avanti si spiega che "è un giornale online dove più che l'informazione emerge il giudizio, il commento del giornalista" e che "in questo caso, pertanto, quello che prevale è l'autorevolezza, l'influenza del direttore della testata che assume un ruolo di opinion leader". Troppa grazia.

10 febbraio 2012

L'olio di Gianfranco: un distillato di casaliva

Angelo Peretti
Da oggi riprendo con una rubrichetta che sin qui ho poco implementato. Si chiama Olea ed è dedicata all'olio extravergine d'oliva. Mi appassiona l'olio. Perché sono nato e vivo in mezzo agli olivi, sul lago di Garda. Perché dietro c'è un mondo che è specularmente opposto a quello del vino. Magari anche perché non se ne parla così tanto e allora è ancora più piacevole dire la mia. E quando se ne parla è per dire della contrapposizione olio artigianale - olio industriale, e non è una bella cosa, perché non è dalla contrapposizioni che può nascere una consapevolezza diffusa.
Ecco, non capisco tutto questo fervore sul vino e invece l'atteggiamento quasi carbonaro sull'olio. Sembra che degli extravergini non gliene freghi niente (quasi) a nessuno. E quando si va a fare la spesa si tira giù dallo scaffale il grasso liquido che costa meno: tanto, serve solo per cucinare...
Mah, non capisco.
Intanto eccomi qui con un extravergina della nuova stagione, la raccolta del 2011, che, almeno dalle mie parti, non è stata certo spettacolare, per via di un andamento climatico di quelli poco adatti all'olivicoltura.
Eppure anche stavolta il mio coetaneo Gianfranco Comincioli, dirimpettaio dell'altra sponda del Garda, quella lombarda, ha tirato fuori un gioiellino, compatibilmente con la stagione.
Verde smeraldo chiarissimo, brillante e cristallino, il suo olio denocciolato di sola varietà casaliva (si usa dire monocutivar, ma non è granché come definizione) trasmette già in prima battuta all'olfatto ricordi d'oliva freschissima, e di erbe di prato appena sfalciate, e di fiori estivi, e poi di di mela croccante, e sul fondo quel che di mandorla che fa parecchio lago di Garda.
In bocca ha vitalità e carattere nervoso. Freschezza fruttata, vena erbacea senza però eccedere, una piccantezza vibrante che rinfresca l'assaggio, un che di rafano appena grattugiato, di verza che ha preso il primo freddo. Poi vira verso gradualmente la dolcezza della nocciola appena raccolta in montagna, e c'è sotteso un che di pistacchio. Il finale, dopo un'eternità, ha il pinolo.
Mica facile fare un olio così in un'annata come il 2011.
Olio extravergine di oliva denocciolato Casaliva 2011 Gianfranco Comincioli
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

9 febbraio 2012

Naturali parte 3: Alsazia e Sud Ovest

Mario Plazio
Eccomi alla terza puntata del resoconto dei miei assaggi a Dive Bouteille, la rassegna dei vini naturali svoltasi pochi giorni fa nella Loira, allo Château de Brézé, poco lontano da Saumur.
Ho detto nei giorni scorsi dello Champagne e della Borgogna. Riparto dall'Alsazia.
Stranamente pochi i rappresentanti dell’Alsazia, tradizionalmente fertile di vignerons dall’approccio naturale.
Bott-Geyl presentava un Alsace Riesling Grand Cru Schlossberg 2010 chiuso e minerale, fine e lungo ( 2+ faccini), un Alsace Riesling Grand Cru Schoenenburg 2010 più maturo e rotondo (2 faccini) e un Alsace Riesling Grand Cru Mandelberg 2010 minerale e vegetale, esotico, teso e profondo (2 faccini e mezzo).
Più contrastata la prova del Domaine Binner, tra i più celebrati dalla critica d’oltralpe. Ho trovato alcune cuvée eccellenti, altre fin troppo ossidate, come il pur buono Riesling K 2008, dagli aromi di limone (2+ faccini). Il Riesling Grand Cru Schlossberg 2007 è fine e floreale, con molta materia e un finale che si appesantisce (2 faccini). Il Pinot Noir 2010 è disponibile ed evoluto, con fragoline in evidenza e bocca già avanti (1+ faccini). Miglior vino il Gewurtztraminer cuvée Béatrice 2010, equilibratissimo e per nulla pesante (3 faccini), divertente il Petillant Naturel a base di riesling, fresco e fruttato (1 faccino e mezzo e vinino).
Nella Francia del Sud-Ouest si trovano alcuni produttori interessanti ed originali.
Onore al Domaine De Souch, con Madame Yvonne Hégoboru, già passata alle cronache per la partecipazione al film Mondovino. Personaggio estroso ed istrionico, produce vini bianchi di grande carattere. Il Jurançon sec 2010 è esotico, leggermente amarognolo ed esprime al palato tutto il carattere del magnifico terroir di Jurançon (2+ faccini). Il Jurançon Moelleux 2006 è molto riuscito (2 faccini e mezzo), mentre il Jurançon Moelleux Cuvée Marie-Kattalin 2009 viene prodotto con il solo vitigno petit manseng e passa in legno. Ha una lunghezza interminabile, è solo troppo giovane (3 faccini). Vino indimenticabile.
Finalmente ho avuto l’occasione di assaggiare i vini del Domaine Bernard Plageoles, che in quel di Gaillac coltiva e salva dall’oblio vitigni rari come l’ondenc. Leggero lo spumante Mauzac Nature Quand Même 2010 (1+ faccini), strano, delicato e quasi tannico il Mauzac Vert 2010 (2- faccini), amarognolo e sottile l’Ondenc 2011 (1 faccino e mezzo). Mi è piaciuto il Mauzac Cépage Mauzac Doux 2010, fine, delicato e di beva impressionante, un vinino (3 faccini).
Molti i rappresentanti della regione Languedoc-Roussillon.
Thierry Navarre produce un Saint-Chinian 2010 facile e godibile (2 faccini) e un Saint-Chinian Cuvée Olivier 2010 da vecchie vigne di maggior impatto e complesso (3- faccini).
Le Temps des Cerises propone vini molto giocosi, come Avanti Popolo 2011, dal frutto fresco e di gran beva (2- faccini) e un Fou du Roi 2011 interessante e minerale, un bel vinino (2 faccini).
Interessante il Casot de Mailloles con un bianco a base di grenache gris e blanc, il Blanc du Casot 2011, che ricorda al naso il Trebbiano di Valentini e dalla bocca asciutta e fresca (2 + faccini). Buono anche il rosso a base di syrah El Nino 2011 (2- faccini). Ancora meglio il Soulà 2011, grenache con rese di 10 ettolitri/ettaro, profondo, marino e finissimo (3- faccini) e il Visinum 2011, una parcella dove vengono raccolte le uve rosse da vigne molto vecchie ad alberello. Vino ricco ed elegante saprà sfidare il tempo (3 faccini).
Vinyer de la Ruca è frutto della pazzia di un italiano installato su un territorio selvaggio, andatevi a vedere il sito internet. Meno di 1000 bottiglie all’anno di un vino di una forza tellurica che ho raramente sentito. Il Banyuls 2008 esprime un carattere unico, potenza ma anche raffinatezza. Fuori dall’ordinario (3 faccini e più).
Sempre nel Roussillon si trova la Tour Vieille, che propone diverse varianti di rosso secco. Il Collioure 2009 è riuscito, elegante e minerale (2 faccini e mezzo). Il Collioure Puig Oriol 2009 contiene della syrah, è più beverino e speziato (2+ faccini). Il Collioure Puig Ambeille 2010 ha invece della mouvèdre accanto al grenache ed è il più completo e dinamico (2 faccini e mezzo). Tutti i vini non vedono il legno e hanno un prezzo molto onesto. Il Memoire d’Automne vin de voile è simile a un Vin Jaune dello Jura, morbido e non lunghissimo, ha un naso medicinale (1+ faccini), mentre il Banyuls Vin de Méditation deriva da una solera del 1952, ha note di caffè e frutta secca, è semplice e si beve con piacere (2 faccini).
Appuntamento a martedì prossimo con la quarta puntata, dedicata a Rhone e Jura.

8 febbraio 2012

Naturali parte 2: Borgogna e altro

Mario Plazio
Proseguo l'illustrazione delle mie impressioni al salone dei vini naturali Dive Bouteille, nella Loira. Dopo aver detto ieri dello Champagne e di qualche delusione, eccomi alla Borgogna.
In Borgogna le cose vanno piuttosto bene, con alcune scoperte davvero interessanti.
Tra i classici, il Domaine Valette illustra al meglio lo chardonnay del Maçonnais. Il Maçon Village 2009 ha colonna vertebrale e vivacità (2+ faccini), il Viré-Clessé 2008 ha un tocco ossidativo e profuma di burro (2 faccini), il Pouilly-Fuissé 2008 è didattico, burro e crosta di pane, buona la densità e la freschezza (2 faccini e mezzo).
Non conoscevo il Domaine JM Berrux che mi ha fatto assaggiare un Saint Romain blanc 2010 dalle note verdognole e dal bell’equilibrio (2- faccini), un Saint Romain rouge 2010 vinificato con il raspo, solido e fresco (2+ faccini) e un Beaune 2010 chiuso, ma dal palato elegante e molto ben fatto (2 faccini e mezzo).
Altra bella scoperta la Maison Marion, con vini alternativi e divertenti, come il Bourgogne Très-Libre 2010, pinot nero vinificato come un Beaujolais, leggero, poco alcolico e dalla beva prodigiosa (2 faccini e grande vinino) e il Bourgogne Rosé 2010 rinfrescante come una bibita estiva (1 faccino).
Il Domaine Chassoney si trova a Saint Romain e vinifica tradizionalmente, con macerazioni senza diraspamento dei grappoli e in assenza di SO2. I vini sono fin troppo austeri e duri, forse si potranno assaggiare tra 10 anni. Per l’intanto il Volnay 1er cru 2010 è potente e scomposto, ma rivela potenziale di crescita (2 faccini), il Pommard 1er cru Les Puzerolles 2010 ha un bel naso ma in bocca ha troppi tannini e chiude amaro (1 faccino) e il Chambolle-Musigny 2010 è sulla stessa linea (1 faccino). Vorrei sentire qualche annata più vecchia, che rischia di essere fantastica, oggi però i vini sono imbevibili.
Grandissimo Christophe Pacalet, i cui vini respirano davvero aria di Borgogna. Vinificazioni tradizionali, come una volta, a grappoli interi e senza solforosa per l’espressione del terroir e dei lieviti indigeni. Puligny-Montrachet 2010 fine, appena boisé e teso al palato dove si sente il miele. (2+ faccini). Nuits Saint-Georges 2009 dal frutto e acidità bilanciati, naso strepitoso (3- faccini) e Chambolle-Musigny 1er cru 2010 ancora più fine e speziato, sarà grande (3 faccini).
Dal vicino Beaujolais viene il Domaine Marcel Lapierre, il cui Morgon 2011 è ancora impossibile da giudicare in quanto tirato dalla botte e ridotto. (2 faccini di stima, forse più).
Ottimo il Morgon 2009 del Domaine Descombes, pieno di frutto e con un bel futuro davanti (3 faccini).
Non ho molto capito i vini del Domaine Chamonard, le cui bottiglie erano troppo calde, sembravano fini e bevibili, ma le condizioni di degustazione non erano buone.
Classico il Morgon 2010 del Domaine Jean-Paul Thévenet (2 faccini).
Per oggi mi fermo qui. Domani si prosegue ripartendo dall'Alsazia.

7 febbraio 2012

Naturali parte 1: nessun litigio in Francia

Mario Plazio
Giuro che non ci siamo messi d’accordo. Non avevo idea che il direttorissimo Angelo Peretti avrebbe scritto qualcosa sul manifesto della Dive Bouteille. Ecco, io a quella manifestazione ci sono proprio andato. Confermo che il luogo, i frequentatori e le bottiglie erano piuttosto fuori di testa. Mi dicono che il nome della manifestazione arriva dallo scrittore di casa in Loire, Rabelais, e che dovrebbe essere l’abbreviazione di “divine”.
Il castello di Brézé, vicino a Saumur, è spettacolare: pietra gialla, forme proporzionate, ambiente suggestivo e rilassante. L’ideale insomma per una degustazione di vini naturali. I viticoltori erano stipati nelle cantine del castello, una ambientazione ricca di pathos.
Il salone è uno dei tanti eventi “off” che accompagnano l’importante Salon des Vins de Loire. La prima considerazione che mi viene in mente riguarda la totale assenza di polemica tra i vari saloni. Ciascuno organizza il suo senza che questo susciti risentimento da parte di nessuno. Da noi il fatto che ci siano due o tre eventi di vini naturali in concomitanza del Vinitaly continua ad alimentare noiose polemiche tra veri o supposti guru che vorrebbero che tutto e tutti finissero nello stesso calderone. Forse per poi ammaestrare i produttori con le proprie teorie. Senza pensare al fatto che ognuno ha il diritto di avere una propria posizione e che, se anche si volessero unire tutte le forze, non sarebbe più possibile trovare un luogo adatto ad ospitare tutti gli espositori.
Impossibile e troppo lungo un resoconto completo della manifestazione. Mi limiterò a proporre nomi nuovi o interessanti (alcuni sono a Villa Favorita e non li ho assaggiati) e a comunicare alcune mie perplessità. Iniziamo proprio da queste. La delusione principale riguarda le tre aziende di Champagne presenti. La mia impressione (confortata da un altro degustatore ed esperto della zona) è che anche i piccoli vigneron, tirati per la giacchetta da una crescita esponenziale della domanda, stiano accorciando i tempi di maturazione dei vini prima del dégorgement. Col risultato di fornire vini poco complessi, stanchi e piatti. Cosa che non accadeva pochi anni fa, quando avevano bisogno di farsi conoscere ed era l’entusiasmo a dominare più che il mercato.
Vouette et Sorbée ha un Blanc d’Argile 2009 (già il 2009…) molto compresso nel finale (1 faccino e mezzo) e un Fidèle (base 2009 non dichiarata) potente ma corto e dal finale di mela cotta (2 – faccini). 
Larmandier-Bernier presenta un Blanc de Blancs 1er cru sottile e salino, stanco in bocca (1+ faccini), un Terre De Vertus 2006 sapido, elegante, a cui manca solo un pizzico di tensione in bocca (2 faccini), un Vieilles Vignes de Cramant 2005 minerale e solare, dal legno percettibile, che nel finale vira troppo verso l'ossidazione (2+ faccini) e un Rosé de Saignée 1er cru ben fatto e vinoso (2+ faccini).
Deludente infine Jerome Prevost, La Closerie, Cuvée Les Béguines, (ancora una base 2009…) anche qui non abbastanza complesso e piatto, stanco e ossidato (1 faccino).
Domani proseguo col resto, a cominciare dalla Borgogna.

6 febbraio 2012

In ricordo di Giorgio Bargioni

Angelo Peretti
Ne scrivo solo oggi, giorno dei funerali. La notizia l'ho letta venerdì sulle pagine de L'Arena, il quotidiano di Verona. È morto Giorgio Bargioni. Il professor Bargioni.
Per chi non è "addetto ai lavori" il nome forse dice poco. Naturale che sia così: ha fatto cose strabilianti per il comparto ortofrutticolo veneto e italiano, ma non amava mettersi in mostra. Credo che per lui l'essere in primo piano fosse una sorta di fastidioso "effetto collaterale" della sua scienza. Mai sentito una volta darsi delle arie, neppure quando avrebbe potuto far valere la sua autorevolezza. E sapeva invece ascoltare. Lucio Bussi, scrivendone su L'Arena, attacca così: "Professore, maestro e soprattutto signore". Condivido. Soprattutto signore.
Bargioni aveva ottantasei anni. Nell'ultimo decennio mi ha onorato della sua stima. Ci univa la passione per l'olivo, l'olio, l'olivicoltura. Ci incontravamo di tanto in tanto a qualche convegno, magari a far da relatori, fianco a fianco. Spendeva sempre buone parole per le mie quattro idee. Gliene sono grato.
Per l'olivicoltura veneta ha fatto tantissimo, senza risparmiarmi. Da inguaribile toscanaccio d'origine (l'accento non l'ha mai mollato, neppure dopo tutto quel tempo vissuto a Verona) diceva pane al pane e vino al vino. Non andava per il sottile: quel che ci voleva, ci voleva. Chi l'ha ascoltato ne ha tratto indubbio beneficio.
A beneficio di chi non l'ha conosciuto, per ricostruirne la carriera uso le parole di Lucio Bussi: "Laureato in Agraria a Firenze nel 1948 con il massimo dei voti e la lode, dal 1951 al 1954 è stato direttore del Centro per l´incremento della frutticoltura ferrarese. Nel 1955 assunse la direzione del nuovo Istituto sperimentale per la frutticoltura fondato dalla Provincia di Verona, a cui ha indissolubilmente legato il nome, incarico che ha mantenuto fino al 1990 anno del pensionamento portando la capacità di aprire a settori innovativi, come la moltiplicazione in vitro delle piante in cui l´Istituto fu tra i precursori non solo in Italia. Istituto che senza di lui di fatto ha seguito ben altro percorso. Dal 1964 era libero docente di Coltivazioni arboree, con titolo depositato all´Università di Padova dove per sei anni ha insegnato Viticoltura. Dal 2004 al 2007 ha avuto l´incarico per un corso di Olivicoltura all´Università di Verona È stato membro effettivo dell´Accademia dei Georgofili, dell´Accademia nazionale dell´olivo e dell´olio, dell´Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona e dell´Accademia nazionale di Agricoltura. Sulle specie da frutto si è concentrato in modo particolare su ciliegio e pesco, colture diffuse nel Veronese, facendo diventare per anni la nostra provincia punto di riferimento nazionale, sia per la selezione varietale sia per il miglioramento genetico. Ha costituito alcune varietà tra cui quella della ciliegia denominata Giorgia, diffusa a livello nazionale. Ha scritto libri su questi temi per editori nazionali e stranieri e collaborato per riviste scientifiche e divulgative e per L´Arena".
I funerali oggi, a Verona. Non potrò esserci. Lo porterò nella mente e nel cuore.

5 febbraio 2012

Ubriaco fradicio

Fu la volta che davano un film di Jorge Negrete. Il cinema era strapieno e il proiezionista non arrivava. Qualcuno disse di averlo visto ubriaco fradicio che dormiva a un tavolo dell'osteria. Allora alcuni giovanotti, d'accordo con il distributore del cinema, andarono a cercarlo, lo caricarono su una carriola e spingendolo a mano lo trasportarono lungo la strada principale. Una volta arrivati al cinema, lo sollevarono tutti insieme depositandolo nella cabina di proiezione.
Hernan Rivera Letelier, "La bambina che raccontava i film", Mondadori 2011

4 febbraio 2012

E da domani c'è Identità Golose

Angelo Peretti
E così da domani ricomincia Identità Golose. L'ottava edizione. A Milano. Fino al 7 febbraio. Per chi non c'è mai stato, faccio fatica a descrivere cosa sia Identità Golose. Chi c'è stato capisce cosa intendo: non è facilmente descrivibile tutto quel che vi accade, perché di eventi ce n'è una montagna. Una kermesse, una grande kermesse della gastronomia, ecco cos'è, se proprio voglio provare a semplificare. Ma tutt'altra cosa rispetto ad altre cose che si fanno in Italia. Qui, nel regno di Paolo Marchi, protagonisti sono gli chef. Star, vere star dell'evento. In un turbinio di accadimenti e di incontri e di show. Gran clima, magari a tratti un po' snob, d'accordo, ma gran clima.
Stavolta, addirittura, Identità Golose raddoppia. Da una parte il classico Congresso internazionale di Cucina d'Autore, dal 5 al 7 febbraio, al primo piano del MiCo di via Gattamelata, con settantasette, diconsi settantasette cuochi e cucinieri e pasticceri e artigiani (una cinquantina, se non ho capito male, al debutto per quanto concerne la rassegna) che si avvicendano nella sala Auditorium e nelle due Sale Blu per raccontare la loro maniera di vedere la cucina. E accanto, fino al 6 (e da oggi) "il più grande temporary restaurant del mondo", come l'hanno definito: il Milano Food&Wine Festival, uno spazio di millequattrocento metri quadri dove sono all'opera una ventina di cuochi da tutto il mondo (firme eccellenti) e un centinaio di vignaioli italiani coi loro vini, selezionati da Helmuth Köcher, presidente e fondatore del Merano WineFestival.
Il biglietto è impegnativo, ma penso ne valga la pena, soprattutto per chi è del settore. Le informazioni le trovate sul sito di Identità Golose: se siete appassionati di (grande) cucina, avrete di che lustrarvi gli occhi col parterre che c'è.

3 febbraio 2012

California uguale Cabernet

Angelo Peretti
Uno parla di vino e dice: California. E allora un altro associa quest'idea: California uguale Cabernet. E un'altra ancora: Cabernet uguale Mondavi. E il cerchio si chiude. Lo dico perché ho avuto modo di tastare i Cabernet della Michael Mondavi Family. E i Mondavi la storia del vino americano l'hanno proprio contrassegnata con un marchio a fuoco, e così pure la storia del Cabernet in California.
Ordunque, ho bevuto i Cabernet a marchio Michael Mondavi, Emblem e Oberon. 
Michael Mondavi è figlio di Robert Mondavi, e questo è già dire tanto se non tutto. Emblem è la giovane azienda - la nascita è del 2006 - gestita da Rob e Dina Mondavi, quarta generazione dei Mondavi, figli di Michael. Dice il sito aziendale che i loro vini "represent the future of the Michael Mondavi family in the Napa Valley". Il che è una dichiarazione piuttosto impegnativa. Oberon è la linea gestita dal winemaker Tony Coltrin, che usa le uve del vigneto Oso, dove si fa anche uno dei single vineyard di Emblem, insieme con altre uve provenienti da altre aree della Napa Valley.
E tutti i vini erano del 2006.
Ecco le mie impressioni.
Napa Valley M Cabernet Sauvignon 2006 Michael Mondavi
Se la vostra idea del Cabernet è quella della complessità, questa è la vostra bottiglia. Ma è anche la mia, e nonostante concentrazione e potenza, si beve. Liquirizia, spezia, frutto stramaturo, viola. Elegante il tannino. Da far invecchiare, ma è già in grande spolvero.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Napa Valley Oso Vineyard Cabernet Sauvignon 2006 Emblem
Ha frutto succoso e tannino ben saldo e anche una piacevolezza notevole e anche una bella freschezza, che favorisce la beva. Ed ha finezza, certo. Mi pare ancora giovinetto, e qualche anno ancora di bottiglia gli farà - credo - gran bene. Bel vino.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Napa Valley Rutherford Cabernet Sauvignon 2006 Emblem
Appare vino che mira direi decisamente più alla concentrazione rispetto all'altro, e ha anche un filo di alcol in più, e francamente si avverte. Il frutto è più carnoso. Il tannino è notevole, e servirà ancora bel tempo. Ben fatto, ma non è il "mio" vino.
Un faccino e quasi due :-)
Napa Valley Hillside Reserve Cabernet Sauvignon 2006 Oberon
Be', lo porti al naso e dici: è Cabernet Sauvignon, il che è un complimento. Ma è un cabernet macerato, stramaturo, concentratissimo, grasso, alcolico, tannico. Insomma, agli americani piacerà un sacco, ma non è il mio vino, anche se c'è grande mano.
Un faccino :-)

2 febbraio 2012

Amarone in Villa parte due

Mario Plazio
Proseguo l'illustrazione delle impressioni degli assaggi effettuati ad Amarone in Villa, il 18 gennaio, a Villa de Winkels, a Tregnago.
Qui di seguito un'altra ventina di vini dopo i primi dieci di ieri.
Altre aziende sono state assaggiate, ma non ho attribuito punteggi. Dovendo trarre una conclusione, posso solo dire che mi ha fatto piacere trovare alcuni base (Tommasi e Tedeschi) centrati e di beva eccellente, segno forse di uno spostamento dello stile verso una maggiore sorbevolezza. Non posso che rallegrarmene. Al contrario, molte cantine insistono su materie possenti e legni invasivi che sicuramente non aiutano il consumatore a capire il territorio. Questo, mi si perdoni la franchezza, sembra più un espediente per poter giustificare certi prezzi, che una necessità espressiva. Teniamo conto che stiamo andando verso un tipo di approccio al cibo sempre meno stratificato e con un occhio alla leggerezza. Dove li mettiamo ‘sti Amaroni palestrati?
Tra le aziende “giovani” luci e ombre. Qualcosa sembra comunque muoversi e questo non può che far piacere. Vedremo nel corso degli anni se anche gli ultimi arrivati affineranno il loro stile.
Amarone della Valpolicella Classico Rossan 2006 Terre di Pietra
Un vino originale caratterizzato da una notevole dinamica gustativa. Più profondo che largo, ha un pizzico di volatile che accompagna e sottolinea il frutto. 88/100
Amarone della Valpolicella Zovo 2007 Pietro Zanoni
Interpretazione personale, marino e note fruttate più tipiche che virano alla prugna. Moderno nel senso migliore del termine, potente senza essere volgare con una buona acidità. Perde solo di continuità nel finale per eccesso di rovere. 87/100
Amarone della Valpolicella Classico 2007 Allegrini
Naso che manca in parte di finezza, al palato è piuttosto tannico e scomposto. Forse è in un momento non felice, val la pena di risentirlo. 84/100
Amarone della Valpolicella Classico 2006 Allegrini
Più piccolino del precedente, ne ricalca in parte gli aspetti più difficili. Entrambi sono stati serviti da doppi magnum, per cui potrebbe essere un problema di affinamento (e di temperatura). 83/100
Amarone della Valpolicella 2006 Corte Canella
Piccolissima produzione (meno di 1000 bottiglie) di una azienda ai suoi primi passi. Esprime concentrazione ed è frenato da un eccesso di alcol e tannini. Non ha però le note amare riscontrate in altri campioni e si beve gradevolmente. 80/100
Amarone della Valpolicella Vigneto Tremenel 2006 Villa Erbice
Piuttosto evoluto, non esercita una grande pressione sul palato e tutto sommato si beve facilmente, anche se è un po’ piccolino. 83/100
Amarone della Valpolicella Vigneto Tremenel 2005 Villa Erbice
Molto diverso nello stile dal precedente, evidente la ricerca di concentrazione, china e rovere al palato, piuttosto secco e tagliente. Non mi convince. 78/100
Amarone della Valpolicella Plenum 2004 Villa Canestrari
Naso speziato, anche troppo. Poi fiori, menta, sotto si sente il vino che palpita. Facile. 85/100
Amarone della Valpolicella Riserva 2005 Villa Canestrari
Anche qui lo stile cambia, il vino è monocorde, stanco forse a causa del prolungato affinamento, con note dolci di marzapane e caramella poco gradevoli. 79/100
Amarone della Valpolicella 2007 Marion
Invitante e fresco, note erbacee e di marasca. Ancora giovane e austero, ha i mezzi per evolvere molto positivamente. Buon compromesso tra eleganza e potenza. 91/100
Amarone della Valpolicella Classico 2006 Marchesi Fumanelli
Semplice e ben fatto, senza grandi ambizioni ma gradevole. 81/100
Amarone della Valpolicella 2007 Fattoria Garbole
Ecco una versione di Amarone moderno, concentrato ma bilanciato nei suoi elementi. Certo c’è un uso disinvolto del legno, ma il vino c’è e si sente, ad esempio vi è una sottile florealità. E poi i tannini sono eleganti e non c’è sensazione di amaro. Migliorerà sicuramente tra 5-10 anni. 90/100
Amarone della Valpolicella 2006 Tenuta S. Maria alla Pieve
Reticente al naso, non fa molto per farsi ricordare, uscendo rapidamente dal palato. Non ha punti negativi ma dovrebbe esibire più personalità. 82/100
Amarone della Valpolicella Classico Ca’ Florian 2007 Tenuta S. Maria alla Pieve
Più ambizioso del base, va alla ricerca della morbidezza perdendo in finezza e lunghezza. Fin troppo piacione e sferico. 79/100
Amarone della Valpolicella Classico 2006 Terre di Leone
Torniamo su vini dal profilo più slanciato. Morbido e accogliente, si segnala per note salmastre davvero intriganti. Persistente e fine. 89/100
Amarone della Valpolicella Casa del Bepi 2006 Viviani
Elegante e slanciato nonostante la densità. Bravo Claudio a non farsi scappare la mano, riuscendo a mettere insieme potenza e finezza (terroir). Ancora molto giovane. 90/100
Amarone della Valpolicella Basaltico 2005 Ernesto Ruffo
Ben fatto e tonico, sembra però compiacersi del proprio frutto e si imbriglia nel rovere. 79/100
Amarone della Valpolicella Basaltico 2004 Ernesto Ruffo
Meglio del precedente, probabilmente perché c’è meno materia e il liquido è più spontaneo. Peccato il finale dolcino di spezie e rovere, avrebbe potuto essere più interessante. 81/100

1 febbraio 2012

Amarone in Villa parte uno

Mario Plazio
Amarone in Villa, la manifestazione svoltasi a Villa de Winckels, a Tregnago, il 18 gennaio, è stata l'Anteprima dell’Anteprima? La questione non è forse tra le più appassionanti. Rimane la sensazione di una ennesima divisione, di un mostrarsi al pubblico e alla stampa come pezzi di un mosaico che non arriva mai a comporsi. La cornice è invero molto bella, Villa de Winkels è affascinante e i padroni di casa si sono mostrati accoglienti e in grado di far sentire a proprio agio produttori e pubblico. Eccellente anche il cibo, non un semplice contorno ai vini.  Non potendo quest’anno partecipare all'Anteprima istituzionale dell’Amarone 2008 ho colto comunque l’occasione per farmi una idea di cosa bolle… in bottiglia per il vino simbolo della Valpolicella.
I produttori presenti comprendevano un buon numero di aziende note e celebrate, accanto ad altre a me sconosciute e che mi interessava particolarmente tastare.
Di seguito le mie considerazioni su una prima decina di vini. Altri, una ventina, seguiranno domani.
Amarone della Valpolicella Valpantena 2006 Tezza
Alcolico e ancora segnato dal legno. Pungente, cacao e boero. Moderno e morbido nel finale, con una nota di agilità che fa tanto Valpantena. 84/100
Amarone della Valpolicella Classico 2007 Tedeschi
Inizialmente freddino, con i minuti si apre e sorprende per la finezza floreale che invita a berne senza problemi. Spigliato, una versione base esemplare. 88/100
Amarone della Valpolicella Classico Capitel Monte Olmi 2007 Tedeschi
Più chiuso e compatto, sembra vivere una fase di ripiegamento che lo rende austero. Accanto a cuoio si affacciano note agrumate e ancora i fiori. Al palato non cerca troppo la concentrazione e questo è un pregio. La valutazione sarà sicuramente più elevata tra qualche anno, al momento è più pronto il base. 87/100
Amarone della Valpolicella Classico 2004 Bertani
Un classico, di nome e di fatto. Dà il meglio di sé in bocca, setoso ed impalpabile, progressivo e mai invadente. Non avrà la potenza del 2003, ma va bene così. 93/100
Amarone della Valpolicella Classico 2008 Tommasi
Aromi di viola e ciliegia, semplice e senza complicazioni, un amarone perfetto per la ristorazione e che va giù con piacere. Ottimo lavoro. 85/100
Amarone della Valpolicella 2006 San Cassiano
Snello e fine, molto floreale e Mazzano fino al midollo. Secco ed equilibrato, non cerca sdolcinature. Elegante e grande beva nonostante l’alcol. Una sorpresa. 90/100
Amarone della Valpolicella Classico 2007 Monte Dall’Ora
Gradevole e croccante, solare per la maturità e fresco nello sviluppo. Erbe, liquirizia, ancora molto giovane e destinato a crescere. 91/100
Amarone della Valpolicella Classico 2005 Le Ragose
Il carattere degli Amaroni di casa Galli non cambia. Finezza, beva esemplare per la categoria, niente di eccessivo, eppure non manca nulla. Lontano dai vini da concorso. 90/100
Amarone della Valpolicella Classico Moropio 2008 Antolini
Fine ed elegante, spezie e frutto, si beve con piacere. Bei tannini. 89/100
Amarone della Valpolicella Classico Ca’ Coato 2008 Antolini
Se possibile ancora più elegante, melograno, ciliegia e agrumi. Vellutato. Anche se giovane è già molto buono. 93/100