Angelo Peretti
Tempo fa ebbi occasione d’occuparmi di politica. Magari non a livelli eccelsi, ma comunque discreti. Ed è stata un’esperienza comunque importante, per me. Che ho chiuso nel 1995, per scelta. O forse perché m’ero accorto che non c’ero tagliato. Sta di fatto che non m’accodo a quell’antipolitica che va oggi di moda, sull’onda dei proclami dei Grillo (o dei Fiorello, ma non l’ho visto) di turno. La politica è necessaria. Come la filosofia. Philosophandum est: si deve far filosofia, per dare senso alla vita. Così come si deve far politica per trovare ragione al convivere.
Detto questo, vorrei però dire che a vedere e sentire i politici d’oggidì mi sento talvolta (spesse volte) sconfortato. Anche, o soprattutto, quando trattano d’agroalimentare, di vino. E avverti con sconcerto un senso di distacco dal pensare la realtà delle cose, dalla fatica della quotidianità, dalla concretezza dell’agire.
M’è capitato d’esser presente per esempio a un convegno sul rapporto fra vino e territorio, e c’era fra i relatori anche qualche rappresentante, a vario livello, delle istituzioni, dell’amministrazione, della politica. E il discorso è finito sulla nuova ocm del vino, leggi organizzazione comunitaria di mercato, che è poi quella disciplina europea che detta le regole della produzione e del commercio, appunto, nel settore vinicolo. E vai coi piagnistei sul fatto che in Francia e in Germania possono (ancora) arricchire il loro vino con lo zucchero, mentre da noi si ricorre all’mcr, che sarebbe il mosto concentrato rettificato (ma guando la smetteranno di parlar per sigle, e cominceranno invece a farsi comprendere?). E insomma ci sarebbe concorrenza sleale. E noi saremmo più puri, perché almeno l’mcr viene dall’uva e insomma noi il vino lo arricchiamo con un prodotto comunque tratto dalla vigna e invece i nostri cugini francesi e germanici no.
Allora io dico: ma che vino è quello che si deve arricchire da noi o dai franzosi o dai todeschi? Vinello. E allora dove sta il problema? Vinello era, vinello resta, salvo che noi abbiamo una cert’agricoltura (meridionale) da sovvenzionare e altrove hanno altri bisogni. Non è lì che si compete sulla qualità. Salvo clamorose eccezioni, da noi e da loro. La più sensazionale? Gli spumanti metodo classico. Lo zucchero lo si mette anche da noi, prima della tappatura definitiva: è parte fondante del liquer d’expedition, che è poi quella miscela che conferisce stile alle bolle, nello Champagne come nel Franciacorta, giusto per dire.
Ma questo è niente. È venuta fuori di nuovo la storia, trita e ritrita, dei cosiddetti trucioli nel vino, che tanto discorrere fecero pochi mesi fa. E i politici al tavolo avanti col dire che non è giusto che si possa invecchiare il vino coi trucioli. E a paventare i nuovi pericoli che vengono dal di là dell’oceano, dove i vini s’invecchierebbero facendo ricorso ai campi elettromagnetici. E insomma, ha detto uno, non è giusto che i californiani facciano una verticale di vini con una sola annata. Al che mi son cadute le braccia. Ma che invecchiare! Ma che verticale con un’unica raccolta! Un vino del 2007, truciolo o non truciolo, elettricità o non elettricità, è e resta un vino del 2007. E se è un gran vino non c’è truciolo o magnete che tengano. E se è un vinello, certo, se ne può accelerare un pelo l’evoluzione organolettica, si può dar qualche sentore vanigliato, un che di tannicità, ma vinello era e resta. Altroché. E ancora una volta: è forse su questo campo che ci si confronta nel nome della qualità? Ma va.
E poi la propostona: chi usa i trucioli li deve indicare in etichetta! Dobbiamo pretendere trasparenza, s’è gridato. Allora avanti - verrebbe da dire - coll’indicare tutto, e dunque: contiene solfiti (c’è già scritto, obbligatorio), contiene bentonite (che è polvere d’argilla: serve per chirificare il vino), contiene albume (sì, proprio il bianco d’uovo: anche questo per chiarificare), contiene gelatina alimentare (sempre le chiarifiche), contiene colla di pesce (idem), contiene caseinato di potassio (ut supra), contiene acido sorbico, contiene acido tartarico, contiene bicarbonato di potassio, contiene carbonato di calcio, contiene tartrato di calcio (tutta roba ammessa, sia chiaro, e se volete l’elenco completo, potete rileggere quel che scrissi un annetto e mezzo fa, riprendendo un bell’editoriale di Alessandro Masnaghetti). Allora sì, signori miei, che ne venderemmo del vino... Ma suvvia!
Personalmente, credo che la nuova ocm vino, al di là dei burocratismi e dei tecnicismi e delle ripercussioni inevitabili in termini d’equilibri geopolitici e socioeconomici, abbia invece tracciato una strada nuova, che va interpretata rapidamente, per evitare che gl’italici vigneron restino al palo, ancora una volta. Scavalcati a destra e a sinistra, e uso i due lati nel segno della par condicio, ammesso ch’esistano ancora destra e sinistra (ecché, c’è qualche differenza sostanziale fra uno schieramento e l’altro, ormai, nei programmi, negli enunciati?). L’essenza, il succo dell’com, a mio avviso, è questo: i vini a denominazione saranno vini di territorio, quelli da tavola saranno vini di vitigno. Prendere atto, signori.
Gli è così, perché il sistema delle doc, a sentire l’orientamento comunitario, dovrebbe approcciare sempre di più quello delle dop, che tutelano l’origine, appunto, territoriale del prodotto. Mentre per i vini da tavola, la nuova ocm prevede in etichetta annata e nome del vitigno. Capito? Annata e vitigno.
E dunque, piantiamola di puntar tutto sul vitigno e cominciamo a concentrarci, alla buon’ora, sul terroir. Che è poi l’unica maniera per evitare non solo le aggiunte di mosto concentrato, che sarebbe il male minore, ma anche di rallentare in qualche modo un cert’andirivieni di cisterne su e giù per la penisola (più su che giù).
Verifichiamo, controlliamo l’origine delle uve. E confidiamo nell’incontro virtuoso fra suolo, clima, vigna, uomo, storia, tradizione, cultura: che è poi, ripeto, il mix che compone il terroir.
Il vitigno, da solo, non paga. Prendete il nero d’Avola. Qualche anno fa è stato boom: adesso non lo vuole quasi più nessuno. Prendete gli shiraz australiani o i pinot neri americani: adesso dalle loro parti stan facendo le zonazioni, perché han capito che si vendono meglio se il territorio prevale sull’uva.
Il mondo del vino sta andando così, fuori dai nostri confini. Ma è mica facile farlo capire ai politici. Testardi nei loro luoghi comuni. E il fatto è – e la cosa si fa preoccupante – che sto perfino imparando a non arrabbiarmici più di tanto. E mi fanno quasi tenerezza quando, finendo il convegno, portano ad esempio uno di loro, che dalle parti sue sta investendo quattrini e tempo sulla promozione d’un certo vitigno. E poi si lamentano se cresce l’antipolitica. Ma, tranquilli: in Italia siamo abituati a votare. E rivoteremo. In fondo, Berlusconi è bravo a stare in tv, e Veltroni mette capolista delle belle signore. E chiunque vinca, si farà fotografare mentre brinda. Volete mettere? Questa sì che è promozione del vino.
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