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13 febbraio 2012

Traminer

Angelo Peretti
Adesso non facciamone una questione ideologica, ché sennò ci sarebbe da star qui a discutere per ore e giorni e mesi su quali siano i vitigni su cui investire nel Trentino e del perché e del percome si faccia una caterva di pinot grigio e poi, vigne da bolle a parte, si facciano tanti vini con tante uve diverse e in quantità talora microscopiche e insomma ci sarebbe da spaccarsi la testa per capire il perché di questa frammentazione che probabilmente non fa bene a nessuno o forse fa bene ai piccolini che trovano un loro spazio autonomo, chissà. Non lo so e per adesso non lo voglio sapere. Ordunque, non stiamo a discutere del perché i Torelli a Maso Bastie, a Volano insomma, due passi da Rovereto, Trentino, abbiano deciso di piantarci il traminer. Probabilmente lo hanno fatto perché gli andava di farlo o chissà per quale altro motivo, punto e basta.
E invece punto e basta manco per niente, perché il Traminer che fanno a Maso Bastie, qualunque sia il motivo per cui lo fanno, è proprio buono. Caspita se è buono!
L'ho provato alla rassegna dei Vignaioli del Trentino, in agosto, a Riva del Garda. E devo confessare che ho fatto la finta di niente e dopo il primo assaggio (mica sputato) sono passato a fare il secondo (mica sputato neanche stavolta).
Be', un bianco spettacolare, elegantissimo nella sua precisa linea aromatica che sembra incisa col bulino.
Eppure in teoria 'sto vino avrebbe tutto per non piacermi: è aromatico, appunto, e non amo granché l'aromaticità, è grassoccio, e non mi piacciono i bianchi polposi, e insomma teoricamente è quello che non cerco io da un bianco, che voglio invece, come ho detto una volta, affilato. E invece questo qui ecco che ti avvolge, ti intriga, ti avvince con un carattere di quelli tosti, e c'è tensione e c'è una gran persistenza del frutto. Bel vino, accidenti.
Trentino Traminer Aromatico 2008 Maso Bastie
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

24 gennaio 2012

Husar o del Marzemino di Isera

Angelo Peretti
L'azienda si chiama de Tarczal. La de è minuscola, e questo significa che la famiglia è di nobile schiatta. La terra apparteneva ai conti Alberti. Più di un secolo fa la contessa Alberti sposò Gèza dell'Adami de Tarczal, ammiraglio della Regia Imperial Flotta Austro-Ungarica. Ecco spiegato il de minuscolo.
Le terre sono a Isera, Trentino. A Isera si coltiva il marzemino, oscuro oggetto del desiderio, che sta cercando ormai da tanto tempo di riemergere, e forse per riemergere avrebbe bisogno di guardarsi indietro, verso la sua storia, per capirla e reinterpretarla senza tradirla.
Se il Marzemino di Isera somigliasse all'Husar dei de Tarczal forse sarebbe non solo riemerso, ma avrebbe anche successo: così m'è venuto da pensare quando 'st'estate l'ho tastato, l'Husar 2008 dei de Tarczal. Ero a Riva del Garda, per la rassegna dei Vignaioli del Trentino. Faceva caldo, non era magari tempo da rosso. E invece questo rosso era dissetante, era saporito, ecco, sì, saporito e anche sapido, anche se non è un vino da beva semplice, anche se non mira propriamente a dissetare. Ed è un complimento.
Le uve vengono da vigne di marzemino coltivate, mi pare, a pergola. Il vino s'affina, credo di ricordare, in botte grande, da cinquanta ettolitri, per un anno e più. Se sbaglio, qualcuno mi correggerà. Del vino dico che frutto ce n'è un bel po', e anche c'è spalla. Eppure la dolcezza del frutto maturo trova bell'equilibrio grazie a una freschezza a tratti quasi nervosa. Fin dall'avvio, dall'attacco, dall'incipit.
Un rosso che fa riflettere, perché si può essere moderni senza dimenticare la tradizione. Ecco, mi sembra una strada interessante.
Trentino Marzemino d'Isera Superiore Husar 2008 de Tarczal
Due lieti faccini :-) :-)

18 gennaio 2012

Eugenio e la sincerità e il marzemino

Angelo Peretti
A volte basta un aggettivo. L'aggettivo giusto, quello che risolve tutto il discutere sul vino trentino e sulla trentinità e sulla trentinitudine enoica e su tutto quel che volete in fatto di vino della terra di Trento me l'ha detto un vignaiolo tridentino un po' eretico che risponde al nome di Eugenio Rosi. Mi ha detto che per lui prima di tutto il vino dev'essere sincero.
Ecco: sincero. L'aggettivo è quello giusto, non ci sarebbe da aggiungere altro. Ero a Piacenza, al Mercato dei vini organizzato dalla Fivi, la Federazione dei vignaioli indipendenti, cui Rosi aderisce. E sono andato via portandomi in tasca una bella lezione: sincero, il vino per esprimere una terra e un vignaiolo e un vitigno e un'idea di vino ha da essere sincero. Bravo.
I vini di Eugenio Rosi li avevo tastati a Riva del Garda in agosto, quando c'era stata la rassegna dei Vignaioli del Trentino. Mi avevano parecchio colpito. Il marzemino sapeva di marzemino, il bordolese era un bordolese, il passito aveva un equilibrio che raramente ne trovi di uguali, e di più è difficile chiedere, epperò c'era il di più ed aera che dietro ci sentivi un progetto, un'idea costante, che traversava il vino. E in questo c'era sincerità, sì.
Vallagarina Poiema 2008 Eugenio Rosi
Fatto col marzemino, un terzo circa appassito per un mesetto o poco più. Che naso che ha! Frutto e geranio e pepe. Strepitoso. E il vino è avvolgente ed elegante e pulito. Frutta matura, polpa ma senz'eccesso, e beva. Tredici gradi. Molto buono. Molto.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Vallagarina Esegesi 2006 Eugenio Rosi
Taglio bordolese, cabernet e merlot. E classicamente bordolese è al naso. Il vino è ancora in divenire. Per ora (per allora, agosto, ripeto) ci sono ancora legno e alcol (intorni ai quattordici) un po' scomposti, e dunque c'è bisogno di aspettare con pazienza.
Per ora (per allora) due lieti faccini :-) :-)
Vallagarina Doron 2007 Eugenio Rosi
Marzemino appassito. Naso elegantissimo. Spezie e frutto macerato e fiore in pot-pourri. In bocca sa di uva. Sissignori, di uva, e non si può volere di meglio. E la dolcezza (un centinaio di grammi residui!) e la freschezza stanno in perfetta bilancia. Fantastico.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

10 gennaio 2012

Trentodoc: la verticale e l'intruso

Mauro Pasquali
Del Trentodoc è persino superfluo parlare: più di un secolo di storia e quasi dieci milioni bottiglie prodotte all’anno parlano da sole e raccontano della prima doc italiana di un metodo classico, di tanti produttori, piccoli e grandi e di un vitigno principe: lo chardonnay che ormai caratterizza in modo quasi monotono un’intera regione.
Sono passati ormai dieci anni da quanto la Cesarini Sforza, fra le prime aziende a credere nel Trentodoc metodo classico, è entrata in quel colosso della cooperazione vitivinicola che è il gruppo LaVis. Dieci anni durante i quali mantenendo la sua autonomia, Cesarini Sforza ha potuto attingere a quell’immenso patrimonio di terreni vitati del gruppo LaVis.
Le vigne sono situate nella zona a nord di Trento, sulle colline che fiancheggiano il corso del torrente Avisio e in Val di Cembra e sfruttano appieno le caratteristiche morfologiche e climatiche della zona, permettendo di ottenere uve adattissime alla spumantizzazione.
Dopo dieci anni dall’acquisizione da parte del gruppo LaVis, ecco l’occasione di una verticale che parte da molto lontano, quando Cesarini Sforza era ancora autonoma e che mi ha dato diverse conferme e qualche piacevole sorpresa.
Trento Millesimato 1992 Cesarini Sforza
Nasce lontano, quasi vent’anni fa questo Trento doc. Soprattutto, nasce lontano come tecnica produttiva e composizione: 100% chardonnay e una maturazione sui propri lieviti del vino base per sei mesi. Poi, senza fermentazione mallolattica, la messa in bottiglia, per sboccarlo quasi vent’anni dopo. Il risultato è un prodotto straordinario, equilibrato, armonico. Il naso si apre con una leggera (!) nota ossidativa, un che di croissant all’albicocca. In bocca la sapidità, nonostante l’età, è notevole, come pure l’eleganza. Una lunghezza che sembra non finire mai, chiude una bocca pulita e piacevole.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Millesimato 1999 Cesarini Sforza
Sette anni più giovane e l’ingresso del pinot nero per il 20% caratterizzano questo millesimato, nettamente meno elegante del precedente ma, comunque, con una bella mineralità e salinità. La malolattica è svolta completamente e si sente in bocca, dove i toni morbidi prevalgono. Un vino, oserei dire, quasi “muscoloso”
Due beati faccini :-) :-)
Trento Tridentum 2001 Cesarini Sforza
Cambia il nome e, pur mantenendo uve e percentuali del precedente, lo chardonnay sembra prevalere aromaticamente, apportando un frutto tropicale quasi invadente mentre un che di affumicato avvolge la bocca. Chiude sfuggente, quasi metallico. Sicuramente un vino giunto alla fine della sua vita.
Un faccino di stima :-)
Trento Tridentum 2002 Cesarini Sforza
L’annata, fredda e piovosa, ha influito sul risultato finale. Il naso elegante e fine nasconde una bocca vagamente anonima e corta. L’acidità, nonostante l’annata, è poca e la sapidità si fa desiderare. Sorge un dubbio: e se fosse ancora troppo giovane? Troppo contrasto tra il naso e la bocca, come se quest’ultima non esprimesse ancora tutto il potenziale. Vorrei riprovarlo fra tre-quattro anni.
Due faccini di stima :-) :-)
Trento Tridentum 2004 Cesarini Sforza
Naso complesso ed elegante. Una bocca piena. Un prodotto interessante, evoluto ma, probabilmente, con poca vita davanti a sé. Buon finale pulito e pieno.
Un faccino e quasi due :-)
Trento Tridentum 2005 Cesarini Sforza
Annusandolo e assaggiandolo continuava a tornarmi in mente qualcosa che non riuscivo a individuare. Poi l’illuminazione: sono tornato al Millesimato 1992 e vi ho ritrovato lo stesso filo conduttore. Un naso complesso e armonico. Una bocca sapida e piena. Un grande vino oggi ma con una prospettiva di vita davanti a sé paragonabile a quella del primo campione. Da riprovare, perché no?, tra dieci-quindici anni.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Aquila Reale 2004 Cesarini Sforza
L’intruso. O, meglio, l’evoluzione. Il vino (100% chardonnay) fa la malolattica in legno. E si sente nella vaniglia forse un po’ eccessiva. Anche il liqueur d’expedition è forse un po’ invadente ma è questione di gusti per chi, come me, predilige i pas dosè. Il naso sa di agrumi canditi. E poi vaniglia e leggerissima speziatura. In bocca prevalgono sapidità e acidità. Un vino interessante ma, come dire, in divenire. Da riprovare nelle prossime annate, una volta messi a punto alcuni particolari.
Un faccino e quasi due :-)

22 novembre 2011

Trentinità e discese ardite

Angelo Peretti
Ha fatto discutere, qui e anche altrove, un mio intervento di qualche giorno fa sulla trentinità del vino. In estrema sintesi, dicevo che la mia impressione è che i vignaioli trentini, pur avversando le scelte massive della cooperazione locale, ne abbiano in realtà di fatto sposato la linea filosofica, che è più fondata sulla qualità enologica - che è oggettivamente alta - che non sulla ricerca identitaria, che non sulla trentinità, appunto. Solo un'impressione, sia chiaro, ma mi pareva giusto esprimerla, e mi pare che, come ho detto, se ne sia parlato.
Ora, dovrei invece dire cos'è che vorrei trovarci in un vino trentino per poterlo riconoscere come tale. La risposta è che non ho una risposta. Nel senso che prima dovrei meglio approfondire, e magari passare qualche frequente e bella ora intorno a un tavolo stappando bottiglie - mica solo trentine - coi vignaioli tridentini, parlando e conversando - e parlando mica solo di vino, ché la cultura del terroir non è, appunto, solo vinicola ed enologica, ma è prima di tutto umanistica e umana - e chissà che non ci sia occasione di cominciare a confrontarsi davanti a una serie di bicchieri.
Detto questo, però, e rischiando per passare per velleitario e forse anche per visionario, butto lì che in un vino trentino mi piacerebbe trovarci quella frase che cantava Lucio Battisti. La canzone era "Io vorrei... Non vorrei... Ma se vuoi..." e mi strapiace quando evoca "le discese ardite e le risalite ". Ecco, è così che me l'immagino un vino trentino ideale, e cioè fatto di discese ardite e di risalite e anche di "verdi terre", che è un'altra citazione della stessa canzone. Perché il Trentino è così: ha montagne e cime e valli e fiumi e verde. Dunque, il vino trentino vorrei che gli somigliasse, in qualche modo, e che dunque portasse dentro alla bottiglia una qualche idea della dinamicità geografica del territorio di cui è figlio. Ma questa dinamicità dovrebbe non essere "solo" quella di una vallata o di un tal territorio o di un certo vitigno, ma piuttosto la sognerei come qualche cosa di comune e trasversale a tutte le zone e a tutti i vitigni della provincia. Prescindendo anzi dalla zona e dal vitigno. Un filo conduttore che mi faccia immediatamente percepire che quello che ho nel bicchiere è un vino trentino e può essere solo un vino trentino.
Detto così so che è criptico. E me li vedo quelli che scuotono la testa. Allora faccio un esempio, e magari più avanti ne farò altri, proponendo vini che questa dinamica del Trentino me l'abbiano evocata.
Il primo esempio è un rosso del 2008, un Merlot, il Rocol di Borgo dei Posseri. Ecco, questo qui è a mio avviso un vino che "sa" di trentinità, o almeno di quella parvenza di idea di trentinità vinicola che vado cercando. Un vino dinamico. Il vino dell'annata precedente, quella del 2007, era descritto da Slow Wine come "un Merlot atipico". Vero, verissimo, se lo prendiamo come Merlot e lo confrontiamo con gli altri Merlot italici, densi di frutto concentrato e morbidi come il velluto, questo è un Merlot atipico. Ma se lo vediamo invece come un rosso trentino (a prescindere che sia fatto col merlot), be', allora per me è proprio tipico. Perché ha dinamicità ed è anzi un continuo e intrigante saliscendi di frutto mai saturo e di spezia e di freschezza. Ha discese ardite e risalite, insomma. Ed è trentino, dunque, almeno per me.
Vigneti delle Dolomiti Merlot Rocolo 2008 Borgo dei Posseri
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

18 novembre 2011

Maso Palt, bolla rosa eretica

Angelo Peretti
Questo pezzo avrei dovuto scriverlo quando faceva caldo, ma ero in pausa di riflessione, e dunque niente. Ma voglio comunque parlarne adesso del rosé con le bolle che ha fatto Longariva, azienda trentina di Rovereto, perché è stata una sorpresa dell’estate e perché, credetemi, può esserlo anche per le feste di Natale: mica male mettersene in casa qualche bottiglia un aperitivo fuori dagli schemi. Ordunque: in vino si chiama Maso Palt Rosé, è uno spumante rosato fatto con uve di pinot nero (e basta) ed è elaborato col metodo Martinotti, quello italiano, in autoclave. Il che pare un’eresia nella patria del Trentodoc portabandiera del metodo classico.
“La spumantizzazione con fermentazione in bottiglia in Trentino è oramai diventata quasi una scelta obbligata per i vignaioli che possiedono produzioni proprie di pinot e chardonnay” mi ha raccontato il patron di Longariva, Marco Manica, ma “tale viatico non ci ha mai completamente convinti, né ci ha entusiasmato, né tantomeno contaminato, sin dall’inizio di questa escalation che da qualche anno a questa parte sembra inarrestabile. Aggiungere alla nostra gamma uno spumante metodo classico, dai tempi più o meno lunghi, con moltissime incertezze e oneri, lento nell’esecuzione, seguendo percorsi affollati e scontati, non ha mai rappresentato per noi una scelta convincente e innovativa per il mercato in continua mutazione. La nostra scelta in controtendenza ci ha trovati entusiasti e vogliosi di iniziare un percorso diverso per la nostra provincia tanto vocata alla spumantizzazione. Questo metodo permette tempistica più flessibile di preparazione, sintonia dei tempi, approccio spumantistico meno impegnativo, gioventù e freschezza nel prodotto finito, completamente gestibile e controllabile lungo tutto il suo processo”. Dichiarazioni impegnative, forse perfino di rottura nella terra di altre bollicine.
Ora, due parole sul vino in sé. Bel rosa corallino. Naso di fragolina di bosco e ciliegia marasca, bocca in perfetta corrispondenza, bolla ben gestita, morbidezza suadente. Insomma, col caldo si strabeveva, ma sono convinto possa andar bene anche nell’inverno che viene.
Pinot Rosé Brut Maso Palt Metodo Martinotti Longariva
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

21 gennaio 2011

Teroldego Sgarzon 1990 Foradori

Angelo Peretti
Credo che il '90 sia stata la prima annata del Teroldego Sgarzon. Vigneti giovani. Non so per quanto tempo lo si sia poi prodotto. Da quand'è stato, cioè, che Elisabetta Foradori ha deciso di non fare più dei cru, ma di puntare sul Teroldego "base" (si fa per dire) e sul Granato. Adesso lo Sgarzon, dunque, non si fa più. Ma ho avuto la possibilità di bere lo Sgarzon dal '90 da una magnum e, be', è stata una fortuna.
Colore tra il violaceo e il granato brillante.
Naso bellissimo, irresistibilmente varietale. Leggere vene affumicate. Elegantissimo, quasi aristicratico, magari solo un po' discolo.
In bocca ha tannino ancora saldo, bella freschezza (davvero). Notevole beva. Frutto maturo, succoso. Alla lunga, fragole, mature.
Due lieti faccini :-) :-)

17 dicembre 2010

Trento Brut Riserva Bruno Lunelli 1995 Ferrari

Massimo Zanichelli
La prima, storica Riserva Bruno Lunelli, frutto di un millesimo d’eccezione, mi guardava da un po’ di tempo da un angolo della cantina…
E la bottiglia “che non sapeva stare in piedi”, per via di quel punteruolo che sbucava dal suo sedere, ha dimostrato tutta la grandezza della sua statura.
Perlage sottilissimo, profumi “champagnotti”, frutto croccante, nitido sviluppo agrumato.
Un “blanc de blancs” da incorniciare, summa organolettica delle bollicine di casa Lunelli.
Tre faccini molto sorridenti :-) :-) :-)

9 giugno 2010

Teroldego Rotaliano Rosato Assolto 2009 Redondel

Angelo Peretti
Un rosato di teroldego. L'ho provato volentieri quando me l'ha proposto Susy Tezzon, al Giardino delle Esperidi di Bardolino. Ed ho trovato un rosé di sostanza.
Dunque, ho scritto al produttore, Redondel, piccola azienda trentina da Mezzolombardo condotta da Paolo Zanini, chiedendo di saperne di più.
Mi hanno risposto così: "Facendolo esattamente come lo faceva suo papà, Paolo intende ridare dignità a questa versione di Teroldego, andata in disuso. Siamo convinti che le uve di
teroldego, se scelte e coltivate con solo e sano buon senso, trovino nel rosato un'espressione importante e alternativa del territorio. È un rosato di Teroldego (doc) per il quale Paolo ha selezionato le uve di uno solo
dei suoi 'giardini' appositamente per la vinificazione in rosato. La scelta è ricaduta su 'Pradi' (nome dell'appezzamento), perché in quella zona le uve mantengono una spiccata acidità e sono ricche di profumi (tra i suoi terreni è quello più ghiaioso)".
Bene: così mi si è detto, e così riporto, e prendo dunque atto volentieri - molto - che si tratta di un rosato "di concetto". Intendo dire che ne traggo l'opinione che lo si è voluto e concepito esattamente così, selezionando un campo alla bisogna.
Si chiama Assolto, poi, mi si spiega, "perché assolto dalle sue bucce", come si fa di solito con un rosé. Nome bizzarro, come quello degli altri vini della casa: personalmente, preferirei che su un vino di terroir si mettesse in etichetta il nome della vigna, ma mica posso dettar legge, e dunque ciascuno è libero di fare quel che vuole.
Come l'ho trovato?
Un bel colore rosa piuttosto carico.
Un naso che ricorda la fragola e il ribes.
In bocca si aggiunge un che di floreale. Ed una struttura piuttosto importante (e dunque è vino da abbinamento anche di buon spessore). Ed una freschezza che conferisce slancio.
Insomma: un bel rosato. E se il buon giorno si vede dal mattino, vale la pena seguirli questi di Redondel.
Un'ultima nota per l'etichetta: decisamente bella sotto il profilo grafico. Complimenti.
Due lieti faccini :-) :-)

6 febbraio 2010

Vallagarina Campi Sarni Rosso 2006 Vallarom

Angelo Peretti
Ora, o hanno assaggiato il vino quando non era ancora maturo (o forse neancora in bottiglia), o sono stato gran fortunato io con la mia bottiglia. In ogni caso, è evidente che l'affinamento in vetro l'ha aiutato. Perché io quelle note di tostatura e di barrique di cui parlano le maggiori guide italiane, nel Campi Sarni del 2006 non le ho trovate, ma anzi nel bicchiere è stato un tripudio di fruttino, piacevolissimo, di bosco.
Certo, il tannino è morbido, vellutato, e che ci sia stato un passaggio nel legno lo capisci, dunque, ma non c'è quel boisée che a volte (tanto spesso in passato, meno adesso, ma non è finita) umilia il frutto nei rossi. Evviva.
E dire che non sono un grand'appassionato dei bordolesi fatti in Italia, e questo qui è figlio -leggo in controetichetta - di uve di cabernet sauvignon e franc e di merlot "in varie selezioni clonali".
Leggo in contr'etichetta che la vigna è "coltivata con alcune tecniche biodinamiche". Non che io sia da ascrivere tra coloro che s'esaltano perché un vino è bio-qualcosa, ma mi si dice che nell'azienda di Barbara e Filippo Scienza - si chiama Vallarom, ed è ad Avio, prima terra trentina dopo il Veronese - l'impegno verso una viticoltura per così dire "sostenibile" sia autentica, il che non guasta.
Torno al vino per aggiungere che ha un a gran beva, e anche questa è nota positiva, soprattutto in quest'epoca in cui finalmente ci si sta liberando dalle marmellate alcoliche da degustazione. E c'è bella persistenza fruttata.
Insomma, il primo bicchiere "chiama" rapidamente il secondo.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

18 gennaio 2010

Vigneti delle Dolomiti Masetto Nero 2006 Endrizzi

Angelo Peretti
Da quand'è entrata in vigore in Europa la nuova ocm (leggasi organizzazione comune di mercato) del vino, che di fatto assimila, sotto l'unitario cappello della denominazioni protette, sia i doc che gli igt, credo sia buona cosa declinare per esteso nello scriver di vini anche l'indicazione geografica. Le guide di settore di solito non lo fanno: se un vino è a doc (o a docg), scrivono per esteso la denominazione, mentre se è a igt, omettono l'indicazione geografica. Penso sia arrivata l'ora di cambiare: sul versante europeo, ormai una igt è assimilata a una igp d'altri generi merceologici diversi dal vino, ormai, e dunque perché non scriverla?
Comincio (a dare il buon esempio?) con quest'igt Vigneti delle Dolomiti, che è indicazione tridentina. Un rosso fatto da un mix di merlot, cabernet sauvignon, lagrein e teroldego: insomma, la viticoltura internazional-bordolese unita in sposalizio con quella autoctona del Trentino. E se nell'aprire la bottiglia - leggendo degl'internazionali - avevo un certo qual timore di trovarmi di fronte a un rosso in stile globalizzante, all'assaggio mi son lietamente ricreduto. Ché quest'è vino che ha bella beva e gioca anche sull'eleganza del fruttino più che sulla polpa.
Ha la ciliegia, il ribes, il mirtillo. Dell'affinamento in legno ti resta sottile memoria, per nulla invadente, in una lieve speziatura vanigliata, che ben s'unisce al frutto. Ha morbidezza, certo, ma anche bella freschezza. Così al primo bicchiere ne segue presto un secondo.
Due lieti faccini :-) :-)

3 novembre 2009

Besler Blanck 2001 Pojer & Sandri

Mario Plazio
Ho profonda stima e ammirazione per il grande lavoro svolto da questa azienda e in particolare per l’inventiva dell’instancabile Mario Pojer. È quindi con una certa curiosità che ho stappato uno degli ultimi vini (dal punto di vista anagrafico) della casa trentina.
Nasce in uno splendido vigneto dell’altrettanto splendida Val di Cembra, dall’unione di uve di pinot bianco, riesling, sauvignon, incrocio Manzoni e kerner. Un guazzabuglio che fa nascere giustificati dubbi, non conoscessimo le capacità dei Nostri e la serietà del progetto. Ed era mia intenzione valutare questo vino alla distanza, dopo un opportuno invecchiamento.
Alla prova del tempo il Besler ho fornito indicazioni contrastanti: speziato, minerale, agrumato (limone confit), per poi virare su note di ananas, anguria e miele, il naso ha dimostrato una sicura complessità e una maturità compiuta.
In bocca invece gli anni sembrano avere scavato un solco tra la parte acida e rinfrescante e quella più grassa e carnosa al limite del pesante, che prende il sopravvento e fa intuire come il vino sia già in fase discendente, vedi i sapori di frutta secca e un principio di ossidazione.
Andava sicuramente bevuto 2 o 3 anni fa.
Un faccino :-)