19 ottobre 2008

Alto Adige Pinot Bianco Praesulis 2006 Gumphof

Gumphof Angelo Peretti
Oh, sì sì: che bel bianco, miei signori. Peccato averne ancora una boccia sola in cantina.
Il Praesulis di Markus Prackwieser sull’edizione 2008 di Vini d’Italia – leggi Gambero Rosso & Slow Food – è stato tribicchieruto, e per di più premiato per il tre bicchieri più conveniente.
Che sia gran vino, non ho dubbi, e non li hanno avuti neanche gli amici che se lo son bevuto con me. Che poi sia anche conveniente, meglio.
Convince (e avvince) per la personalità, che ha spiccatissima.
Al naso i fiori gialli e un pochetto la pietra focaia e, sotto, la susina.
In bocca, è un’eplosione di freschezza. Cristallina. E il vino è vibrante e nervoso e scattante. Eppoi ecco gli agrumi e la pesca nettarina e ancora la susina un poco acerba: bel frutto, croccante e succoso.
E la lunghezza è notevole, e nel bicchiere regge assai.
Buono, buonissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Il parere contenuto in questa segnalazione è rapportato alla tipologia di vino e poggia in primis sulla piacevolezza che la bottiglia ha saputo trasmettere.
Il giudizio è dato in faccini stile sms.
- un faccino è per un vino di corretta e comunque piacevole beva
- due faccini per un vino di bel piacere
- tre faccini per i vini appaganti, le punte massime delle rispettive tipologie.

Finti ecologismi alberghieri

Angelo Peretti
Ma sì, ogni tanto uno sfogo penso anche di potermelo permettere. Anche per qualche sciocchezzuola. E allora eccomi qua a parlar d’alberghi, stavolta, mica solo di wine & food. Ma il soggiornare è parte integrante del girare terre e territori in cerca di cibi e vini buoni e di gente che quelle piacevolezze le produce. E a volte la fascinazione è l’albergo che te la fa cadere. Così come altre volte, l’ammetto, è proprio la stanza che ti dona valore aggiunto.
Ci sarebbe molto, proprio molto da dire sul sistema di clasificazione degli hotel, ché non sai mai a fronte d’un quattro stelle cosa ti troverai: può essere una stanza accoglientissima, può essere un buco dalla moquette lercia, chiazzata di chissà cosa e chissà come. Ma a parte questo, che m’irrita da tempo è quel foglietto che ti ritrovi sempre più spesso nel bagno.
Ormai ne son quasi ossessionato (e tu guarda da cosa si fa ossessionare, quest’uomo). Parlo del cartoncino dove sta scritto, in italiano e inglese e tedesco e francese e adesso – segno dei nuovi ricchi – magari anche in russo (ma quello mica lo so leggere), una frase che ti dice che il lavaggio degli asciugamani è un fattore inquinante delle acque, dei fiumi e dei mari, e che se vuoi contribuire a salvare la natura, allora la salvietta invece che buttarla in terra, la riappendi, e così il personale di servizio sa che non la deve cambiare.
Insomma: ti tieni il tuo aciugamano usato e puoi andartene in giro fiero perché hai dato il tuo contributo alla salvaguardia del mondo. Con spirito ecologista, che fa anche tendenza.
Detto così, può avere un senso.
Ma se poi ci pensi, ti viene un dubbio, che prende a roderti dentro. Questo: non è che è solo una furbata dell’albergatore?
Spiego.
Vero: se non mi faccio cambiar gl’asciugamani, non è necessario lavarli, e dunque un piccolo aiuto a salvare le acque dall’inquinamento da detersivi l’ho dato. E se i milioni di viaggiatori che affollano gli hotel facessero lo stesso, sai che beneficio?
Epperò c’è qualcosa che non fila. Gli è che l’albergatore il lavaggio lo paga (e forse anche, talvolta, il noleggio della biancheria). E se io non chiedo di cambiar l’asciugamano, lui non sborsa quattrini. Ma il servizio me lo fa pagare lo stesso.
La faccenda non quadra.
Intendo: se io salvo il mondo asciugandomi anche il giorno dopo nello stesso drappo, lui, il gestore, il tenutario, mica ha speso per il cambio, ma nello stesso tempo mica mi fa lo sconto sul prezzo dell’albergo.
Domando: dove sono andati a finire quei (miei) soldini? La risposta è ovvia: fra gli introiti dell’albergatore.
E qui m’incavolo. Cos’è, lo devo salvare solo io il mondo? E lui, l’albergatore, non ci mette niente?
Mi appenda anche un altro cartello, la prossima volta, nel bagno, e mi dica che, grazie all’impegno degli ospiti, l’anno passato si son lavati tot asciugamani in meno del necessario e che dunque si son risparmiati tot euro di lavaggi e quei tot euro l’hotel li ha versati a questa o quell’altra associazione che s’occupa d’ambiente. O ci ha piantuimato un bosco. O ci ha creato un angolo di parco pubblico. O insomma li ha adoperati davvero per fare un po’ più verde e salubre ‘sto pianeta.
Mi dica, con trasparenza, dove son finiti i miei quattrini, quelli che gli ho pagato saldando il conto alla reception, ma che non gli dovevo perché non gli ho fatto spendere per il cambio degli asciugamani. E allora tornerò volentieri. E volentieri lì mi riasciugherò nella tela usata.
Son piccole cose, si sa, e forse neanche serviva scriverci su. Però di trasparenza c’è bisogno, nel lavoro dell’ospitalità. E magari si può cominciare da qui, che è piccola cosa.
Inutile parlare di servizio, d’accoglienza, di stile, quando non si dà il primo esempio.
E scusate lo sfogo.

1 ottobre 2008

Son tutte buone le bolle del mondo, ma lo Champagne è meglio

Angelo Peretti
Cole Porter aveva ragione. Una delle sue canzoni, «Well did you Evah?», dice: «That French Champagne! So good for the brain!». Cioè: «Quello Champagne francese! Così buono per la mente!». E in effetti quest’estate ho letto non so dove che lo Champagne conterrebbe una certa categoria di polifenoli che aiutano il cervello a lavorare meglio. Anche se io a queste continue scoperte eno-salutistiche faccio molta, molta fatica a crederci.
Dicevo che Cole Porter aveva ragione perché bere Champagne, permettetemelo, è davvero un gran bere. E quando si assaggiano vini con le bolle, un buon Champa emerge sempre. E così è stato anche alla prima edizione del challenge «Bollicine del Mondo, continenti a confronto» organizzato da Euposìa-La Rivista del Vino, col patrocinio del Grand Jury Européen e con la collaborazione della Banca Popolare di Vicenza, dell'Ais di Lombardia e Veneto e di VeronaFiere.
Grazie alla cortesia di Beppe Giuliano, boss di Euposia, c’ero anch’io fra i giurati che hanno assaggiato alla cieca settanta spumanti metodo classico provenienti da mezzo mondo (dalla Tasmania alla Patagonia, da Israele al Caucaso, passando attraverso Italia, Francia e Spagna). E dopo tanta assaggiare, qual è la bolla che ha vinto? Ma quella d’uno Champagne, ovviamente! La classicissima Special Cuvée della Bollinger, che non tradisce mai.
Semmai, scorrendo i punteggi che ho dato alla mia sequenza di bicchieri e anche la graduatoria finale, stupisce il secondo classificato: uno spumante inglese. Sissignori: inglese. Il Pinot Noir 2005 di Camel Valley. Davvero ben fatto.
Aggiungo che, stando alla graduatoria ufficiale, terzo è un altro Champagne, quello della Deutz.
Detto questo, qui sotto descrivo alcune delle bolle assaggiate. Quelle che, nelle tre fasi preliminare e poi nella finale, mi hanno meglio impressionato. E che riberrei volentieri.
Dieci in tutto.
Champagne Brut Special Cuvée Bollinger
Ha naso floreale e insieme cenni vegetali di erbe fini. Perfino iodato. Bocca salina, succosa di piccolo frutto di bosco e di nocciola appena raccolta. Lungo e persistente. Vena boisée, crosta di pane, lievito. Lunghezza.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Pinot Noir Brut 2005 Camel Valley
Al naso è bolla che diresti champagnista, e invece è bolla britannica. Fruttatina. Brioche all'albicocca. Bocca in parallelo, con la presenza agrumata che si fa pian piano sempre più avvicente: arancia rossa. Tanto fruttino, lampone, fragolina di bosco. Leggerezza e leggiardia. Vena di morbidezza appena.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Champagne Brut Grand Cru Ambonnay 1999 André Beaufort
Qui l’olfatto trova classicità evoluta: nota vagamente ossidativa e boisée, da bolla nobile. Tracce speziate e vagamente canforate. Cenni officinali. Nuance di anice stellato. In bocca c'è consistenza cremosa epperò anche carattere notevole e polpa di tutto rispetto. Bel vino, complesso, difficile, ma pure appagante.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Champagne Brut Classic Deutz
All’olfatto è impostato classicamente sulla crosta di pane e sulla leggera vena boisèe. La bocca è in parallelo. Con l'aggiunta di un'itrigante vena di vegetalità officinale: salvia, ortica in bel rilievo. Vegetalità e freschezza vano a braccetto anche al palato. E c’è vena salina e un pizzico agrumata. E lunghezza. E si beve bene.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Brut Riserva Bianco 2000 Zamuner
Per me, confesso, una sorpresa. Che in casa Zamuner ci fosse passione spumantistica m’era più che noto, ma che avessero in cantina una bolla del genere m’era sfuggito. Naso classico, con la vena boisée e la nota vagamente ossidativa e l’accenno minerale. E poi pasticceria alla nocciola.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Champagne Brut Vintage 1999 Ayala
Naso classicamente impostato sulle vene evidentissime della crosta di pane, della bioche, del lievito, della frutta secca. Bel naso. Bocca cremosa e nel contempo vibrante. Parechia frutta secca. E vene citrine che offrono slancio e parlano di giovinezza. Buona lunghezza e salinità.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Trento Brut Riserva 2002 Letrari
Oh, oh! Letrari non tradisce. All’olfatto ha cla classica crosta di pane, la vena boisée, l’accenno minerale. Al palato è polposo e morbido nel comtempo. Con l'albicocca e la prugna gialla e la pesca bianca. E insieme i fiori, parecchi. E vene di vaniglia marcate. E sul fondo frutta secca, mandorla e nocciola.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Blanc de Blancs 2001 Yarden
Et voilà, le bolle d’Israele. Yarden è marchio famoso della zona del Golan. Conoscevo i suoi vini fermi, non le bolle. Questa ha naso champagnista: lieviti, crosta di pane, leggerissima nota boisée e tanta florealità. Bocca succosa e salina, con la carbonica ben integrata e una buona lunghezza sui toni della frutta secca.
Due lieti faccini :-) :-)
Franciacorta Extra Brut 1998 Faccoli
Ecco, non è esattamente il mio vino, ma piace sicuramente agli amanti d’una certa austerità spumantistica. Al naso la vena ossidativa, ricercata, è palese. C'è il legno, c'è la traccia minerale, c'è la fruitta secca. In bocca è sullo stesso piano, denso, robusto, avvolgente, ricco di personalità, ampio, lungo, evoluto verso vene speziate.
Due lieti faccini :-) :-)
Franciacorta Cuvée Lucrezia 2001 Bonomi
Naso da frutta essiccata, ma anche, stranissimamente, da carne secca, affumicata, speziata: da speck, insomma. Ecco, c'è vena fumée decisa sotto questo vino, all'olfatto. Intrigante. In bocca la polpa è piuttosto netta. E poi frutta secca e ancora la vena fumée sottesa e la speziatura fine.
Due lieti faccini :-) :-)

Il parere contenuto in questa segnalazione è rapportato alla tipologia di vino e poggia in primis sulla piacevolezza che la bottiglia ha saputo trasmettere.
Il giudizio è dato in faccini stile sms.
- un faccino è per un vino di corretta e comunque piacevole beva
- due faccini per un vino di bel piacere
- tre faccini per i vini appaganti, le punte massime delle rispettive tipologie.