31 gennaio 2011

Il tutto è maggiore della somma delle parti


Enrico Lucarini
Non resisto, lo ammetto. Tapas è per me una parola evocativa. Magica. Metafisica, oserei dire, visto che cito Aristotele. Amplificare le sensazioni del pranzo tramite una moltitudine di piccole porzioni, è frutto di genialità e sacrificio, ché s’ha da lavorare molto di più in cucina. Una piccola/grande lezione che i Baschi hanno regalato alla grande cucina, transitando per la nouvelle cuisine. Tutti i grandi chef oggidì offrono la possibilità (quando addirittura non obbligano come avviene ad esempio a El Bulli) di segliere fra uno o più menu degustazione, che altro non è che un pranzo a base di tapas. E in una tale occasione riusciamo realmente a comprendere ed apprezzare uno stile di cucina, una filosofia, vedere quali siano i valori che spingono uno chef ad aver scelto tale mestiere. E anche gli abbinamenti con le bevande si moltiplicano, così come la possibilità di giocare sugli abbinamenti con le bevande, di creare percorsi del gusto nel dipanarsi delle portate. Riusciamo a cogliere, raggiungiamo la percezione del tutto. E ci accorgiamo che è veramente superiore alla somma delle sue parti.
Grazie, piccole tapas.

30 gennaio 2011

Galilee White Riesling Gamla 2008 Golan Heights Winery

Angelo Peretti
Metti una sera a cena nel Ghetto, a Roma, a due passi dal Portico d'Ottavia. La Taverna del Ghetto, cucina kosher: carciofi alla giudia, insalata di carciofi, fiori di zucca, carne secca, spaghetti alla carbonara con la carne secca al posto del guanciale, ottimi. In lista vini israeliani, quelli della Golan Heights Winery, che importa Gaja. Per il rosso, scelgo il Merlot Yarden, che è sempre una garanzia, e infatti anche questo 2003 non tradirà. Ma prima? Prima serve un bianco. In carta la linea della Gamla. C'è un Galilee White Riesling del del 2008. Mai provato: scelgo quello.
Ora, può una bottiglia d'un bianco israeliano scelto inconsapevolmente renderti felice una serata? Può. Se è un Riesling come questo, statene certi che può. Roba che se me l'avessero messo nel bicchiere senza sapere l'origine, avrei avuto il dubbio se si trattasse di un Riesling della Mosella un po' più strutturato del solito, oppure di un Riesling dell'Alsazia un po' più sinuoso del consueto. Un po' di qua, un po' di là, con una qualche prevalenza moselliana, ma con un risultato di quelli che ricordi. Ed è un Riesling della Galilea, altroché.
Intanto, già al primo incontro con l'olfatto ti dice chiaro il vitigno: inconfondibilmente riesling. Fascinosamente. Frutto giallo, stramaturo, spezia, leggere vene di idrocarburi.
Bocca sapida, polputa ma non sopra le righe, freschissima, nervosa, succosa, speziata, resinosa, criccante, lunga. Dolce il giusto.
Tredici gradi di alcol, che non si avvertono.
La bellezza del cool climate, del clima fresco. Gran bel bianco.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

29 gennaio 2011

È proprio vero: i prosciutti non sono tutti uguali

Angelo Peretti
La domanda è di quelle serie, per una porzione così importante dell'agroalimentare italiano: "Come si fa a comunicare che i prosciutti non sono tutti uguali?". Sinora, ci si è posti magari la questione se un Parma sia diverso da un San Daniele, e una campagna che ha imperversato sulle televisioni che ci fosse una diversità l'ha fatto capire, per cui chiedere banalmente un etto di crudo non ha senso, e va specificato se si vuole un crudo di Parma, o di San Daniele, o del Veneto, o della Toscana e via discorrendo. Però resta il problema: nel momento che hai chiesto, che so, "un etto di Parma", non hai la benché minima idea di chi sia il produttore. Normalmente, sembra che non gliene importi niente a nessuno di chi sia il produttore. Confesso: il problema non me lo sono posto neanch'io, sin qui. Ma allora è come andare in enoteca e chiedere genericamente un Chianti, un Barolo, un Valpolicella: normalmente, invece, chiedi un Chianti del tal produttore, un Barolo del talatro, un Valpolicella di Tizio, e via così.
Insomma, per alcuni prodotti al nome del produttore ci si fa attenzione, per altri no. Ora, sarebbe lungo e complicato chiedersi il perché di questo atteggiamento così articolato di quella strana figura che è "il consumatore", ma bene fa un produttore di un prosciutto crudo artigianale a porre il quesito. E lo fa in testo e in video sulla home page del suo sito. E riporto qui di seguito una parte, quella iniziale, delle sue parole.
Il produttore è Daniele Montali. L'azienda si chiama Ruliano, il sito è www.ruliano.it. Il prosciutto, ve lo garantisco perché ne ho abbondantemente approfittato, è splendido, asciutto, vellutato e a tratti burroso, sapido il giusto: un gioiello che non ti stanchi di mangiarne.
Dice dunque il Montali: "Vorrei capire insieme a voi come comunicare che i prosciutti non sono tutti uguali. Il prosciutto è come lo Champagne: ogni maison, ogni cantina, ha una sua peculiarità. Si chiamano tutti Champagne, ma ognuno è diverso dall’altro! Anche per il prosciutto bisogna sempre identificare il produttore e la marca, perché ogni produttore ha un suo personale sistema di lavorazione che influenza in modo determinante la qualità del prodotto; ed è per questo che i prosciutti non sono tutti uguali".
Poi, logicamente, spende parole anche per pecificare perché il suo prosciutto sia diverso dagli altri, e ci mancherebbe che non lo facesse. Ma quel che voglio ancora citare è la sua ultima frase: "Concludo raccomandando la massima attenzione nell’identificare sempre la marca del prosciutto, perché i prosciutti non sono tutti uguali!"
Ecco, credo abbia ragione: è meglio, molto meglio che incominciamo a far caso alla marca del prosciutto che compriamo, perché davvero ci sono differenze enormi. E l'ho capito seguitando ad affettare il crudo di Montali: una ragione ci sarà, se era una fatica fermare il coltello.

28 gennaio 2011

Rossi del '90: vent’anni, ma li dimostrano?

Mario Plazio
Di recente ho organizzato con un gruppo di amici una degustazione che aveva come argomento i vini rossi del 1990. Millesimo celebrato un po’ in tutto il mondo, il '90 comincia ad entrare nella età della ragione. Ci interessava quindi verificare lo stato evolutivo dei vini, molti dei quali coccolati dalle guide al momento della loro immissione nel mercato.
Di seguito le mie particolari note di degustazione con i punteggi su base 100.
Abbazia di Rosazzo, Le Vigne di Zamò – Ronco dei Roseti. Purtroppo, tappo. Sotto però si intuiva un vino ancora palpitante, peccato.
Château Mont Redon – Châteauneuf-du-Pape. Colore tenue. Naso terziario, animale, tartufo, catrame, prugna, terra e viola, poi anche fumé. Sensazione in bocca di carne affumicata. Vino leggero e continuo, con una buona progressione e dei tannini davvero gradevoli. Bellissimo l’attacco, finale finissimo. 95/100
Fattoria di Felsina – Fontalloro. Vino dall’aspetto molto giovanile. Forse troppo. Nel senso che dopo 20 anni ti aspetti che ci sia un minimo di evoluzione, mentre questo è inchiodato su sé stesso, e la cosa non depone a suo favore. Naso tra il tabacco, la frutta e le spezie, col tempo medicinale e sacco di iuta. C’è molta materia, ma domina un tannino piuttosto secco e una acidità slegata dal contesto. Comunque non da sottovalutare. 86/100
Renato Ratti – Barolo Marcenasco. Un Barolo come se ne fanno pochi oggi. Mi sembra di aver capito che l’azienda, dopo la morte del grande Renato abbia intrapreso una strada più modernista. Colore con riflessi mattone. Un lampone come raramente ho sentito, poi menta secca, infuso di liquirizia, rabarbaro, molto balsamico. Bocca calda e deliziosa per la freschezza acida dello sviluppo. Più eleganza che potenza, lunghissimo e raffinato. 97/100
Duca di Salaparuta – Duca Enrico. Evoluto e poco limpido. All’inizio domina il vegetale (brodo), poi pepe, cannella, tabacco e erbe macerate. Ingresso potente, poi entra l’acidità e una sensazione alcolica mai troppo insistente. Nel finale crosta di pane, dolce alla frutta, fichi e tamarindo. Il naso ha un leggero calo, mentre in bocca rimane molto presente. 90/100
Fattoria di Felsina – Chianti Classico Riserva Vigneto Rancia. Sembra più giovane della sua età. Mirtillo, legno e catrame. Gradevole, anche se sembra prevalere una netta sensazione acida senza però il sostegno di una materia adeguata. Finale alcolico e tannico. Nel complesso non ha una grande identità territoriale, faccio fatica a collegarlo ad un luogo preciso. 86/100
Lisini – Brunello di Montalcino Riserva Ugolaia. Aspetto macerato, cicoria, pepe, brodo e menta. Molto teso in bocca, il liquido esercita molta pressione sulla lingua, ma sembra non avere una direzione precisa. Con i minuti si rimpicciolisce, resta la sensazione di tannino non particolarmente armonico. Si fa più pesante, con aromi di caramello e vaniglia. Una piccola delusione. 84/100
Vignalta – Colli Euganei Cabernet. Un vino che fece scalpore alla sua uscita. E che continua ad essere estremamente buono. Naso da cabernet, con mirtillo, pepe, mora e un frutto ancora giovanile. Poi note più evolute di tartufo, carne affumicata, prugna e grafite. Elegantissimo, tutto in finezza, deve essere cercato, non impressiona per la concentrazione ma piuttosto per la lunghezza e per come non cede anche dopo parecchio tempo. 94/100
Château Smith-Haut Lafitte, Péssac-Léognan Rouge. Evoluto al naso, con fragola, tartufo e terra, profuma di sottobosco. Ancora giovane al palato, potente ed elegante. Poi anche mare e cuoio, in un insieme che forse non raggiunge la persistenza di un fuoriclasse, ma che rimane estremamente godibile e tra i migliori come piacere di beva. 95/100
F.lli Speri – Amarone della Valpolicella classico Vigneto Sant’Urbano. Finissimo, associa un aspetto floreale a note più mature di frutta in confettura, cioccolato, caffè d’orzo e goccia di pino. Il tutto rimane comunque di una estrema compostezza. Morbido ed accogliente, si fa accompagnare a lungo dall’alcol, senza che questo però diventi dominante. Il finale è spettacolare per i ricordi di mare, marasca, cioccolato e ferro. Una bella sorpresa. 96/100

27 gennaio 2011

Mangiatevi il fegato (invece dei pop corn)

Angelo Peretti
Ah, ah! E chi ci avrebbe mai pensato? Leggo su Sette, supplemento del Corriere della Sera, che il Center for Science in the Public lnterest, che non so cosa sia, ma penso sia una cosa americana, ha scoperto che "i pop corn mangiati al cinema sono una bomba calorica di rara proporzione", perché "si va dalle 1200 calorie (il regime calorico quotidiano consigliato da vari nutrizionisti per restare nel peso forma) con 60 grammi di grassi saturi e 980 milligrammi di sodio per la confezione big alle 670 calorie della taglia medium". Verrebbe da dire: "Ma va?".
Mica finita qui, perché "l’eccesso di sale e l’uso di cattivo olio mette sete, dunque si aggiunge un litro di bevanda gassata e si raggiungono le 1.500 calorie". Ripeto: "Ma va?"
Sentite me: evitate di andare al cinema a strafogarvi di pop corn. State a casa, accendete la tv, guardate un paio di telegiornali e mangiatevi il fegato. Il vostro. Non potrete evitarlo, con quello che raccontano.

Taburno Piedirosso Calidonio 2008 Ocone

Mario Plazio
La cosa che più mi è piaciuta di questo Piedirosso è che è riuscito a coniugare perfettamente l’identità sudista con una beva facile e disinvolta. Operazione tutt’altro che semplice per i vini del nostro sud, divisi tra pesanti polpettoni traboccanti di alcol e poco eleganti, e all’opposto bottiglie diluite, sciape e di scarsa personalità.
Questa etichetta della cantina Ocone esibisce un bel frutto e anche note floreali di ciclamino. Il legno è appena percettibile e per niente invasivo, accompagnando anzi il liquido nella sua progressione senza farsi notare. Semplice e diretto, da berne senza timori.
Un faccino e mezzo :-)

26 gennaio 2011

Opps! Ma il mondo finisce prima che le mie bottiglie siano pronte da bere?

Angelo Peretti
Sono molto, molto, molto preoccupato per questa storia che il mondo finirà il 21 dicembre del 2012. Il fatto è che ho comprato bottiglie di rossi di Bordeaux del 2009, che mi sono costati parecchio, con i rialzi di quotazione che hanno avuto, e che saranno potabili grosso modo fra il 2020 e il 2040. Ora, se il mondo finisce così presto, non faccio mica in tempo a berle, accidenti.
Ma cosa gli è saltato in mente ai Maya di prevedere la fine del mondo senza pensare che c'è chi ha da invecchiare i vini prima di far saltar tutto per aria?

Come fare un matrimonio con la terra

La vigna, infatti, a differenza dei cereali e anche di molte piante da frutto, non è una coltivazione immediatamente produttiva: piantare una vigna è come fare un matrimonio con la terra, è gesto di grande speranza, che non a caso la Bibbia pone come il primo gesto compiuto da Noè dopo il diluvio. Significa stipulare un'alleanza con un pezzo di terra, affermare che lì, in quel posto preciso, si vuole dimorare, che ci si prende il tempo di attendere lì e non altrove i frutto del proprio lavoro.
Enzo Bianchi, "Il pane di ieri", Einaudi 2008

25 gennaio 2011

Champagne ed altre bolle, ma "naturali"

Mario Plazio
Cronaca della degustazione di una serie di Champagne a tendenza bio o naturale che dir si voglia, più un paio di vini pirata.
Questi i vini degustati e i relativi commenti con i punteggi a base 100 per una semplificazione delle valutazioni.
Simon-Selosse, Champagne Blanc de Blancs Grand Cru, Cuvée Prestige brut. Molto chiuso, anzi, vicino al mutismo. Qualche nota verde di mela e basilico. Bolla sottile ma poco raffinata, chiusura rapida. Rimangono molta acidità e freschezza, e questo è l’unico elemento positivo, anche se probabilmente è più dovuto ad una mancanza di complessità che a doti di fondo proprie. 80/100
Cavalleri, Franciacorta Collezione 2005. Naso piccante inizialmente, con crosta di pane, spezie, pesca e mandorla. Cremoso, ma non di grande spessore al palato. Coi minuti si apre su pompelmo e menta e offre una nota esotica. Progressivamente tende a spegnersi, c’è materia ma manca di vitalità. 82/100
Christian Lefèvre, Champagne Brut. Piccolo produttore a me sconosciuto, definito come piuttosto “rustico”. Classico naso segnato dai lieviti e con aromi di limone e mela. Ricorda il mitico citrato, ma non credo sia un complimento. Le bollicine sono aggressive e l’insieme manca di eleganza. Unidimensionale, si sentono ancora il limone e la mela. Acidità da vendere, che diventa anche mineralità. Un vino sbilanciato, ma non del tutto privo di interesse. Forse ha bisogno di sostare in bottiglia. Buon aperitivo. 83/100
Hure Frères, Champagne Brut Réserve l’Invitation. Altro produttore che non conosco. Naso abbastanza vorticoso e complesso, su tutto spezie e lieviti. Si rivela piuttosto aggressivo in bocca, con cenni di frutta secca e una impressione globale di un vino non ancora compiuto, che potrebbe trovare un miglior equilibrio in bottiglia. Mordibo ma non lunghissimo. 85/100
Jêrome Prévost, Champagne La Closerie, Les Beguines. Si cambia decisamente di registro con questa bottiglia. Al naso sembra dominato dal pinot nero: frutta rossa, lieviti, nocciola e minerale, il tutto con molta profondità ed eleganza. Addirittura coi minuti esce il marino e l’ostrica. Secco e diretto, senza troppi compromessi, riesce ad andare veramente lontano. 91/100
Georges Laval, Champagne Brut Nature Cumières 1er cru. Intenso al colore. Variegato all’olfatto con liquirizia, anice, frutta secca, spezie e smalto. Grande il carattere, anche se ho l’impressione che il vino sia in una fase ingrata e necessiti di riposare ancora per qualche mese. Si percepisce infatti un buon potenziale, ma non del tutto compiuto. 87/100
Jacques Selosse, Champagne Blanc de Blancs Grand Cru V.O. (Version Originale). Meno conosciuto del Brut Initiale, questo champagne non dosato rivela una dimensione del tutto diversa da tutti gli altri. Ha una profondità enorme, con un naso spettacolare, dove accanto ad una decisa mineralità si affiancano il miele, le noci e la nocciola cruda, il guscio di ostrica. Le bollicine sono impalpabili, qualcuno ha detto che si trattava di “vino” e basta. Potente ed elegante allo stesso tempo, finale interminabile su una nobile acidità che si accompagna a ritorni di spezie e curry. 94/100
Hure Frères, Champagne Brut Rosé l’Insouciance. Colore pallido. Naso di fragolina e marasca, decisamente troppo semplice. Evidente la carbonica in bocca, mentre poi esce una notevole acidità, non perfettamente supportata da una materia adeguata. 80/100
Laherte Frères, Champagne Rosé de Saignée Les Beaudières Vieilles Vignes. Colore buccia di cipolla, ma piuttosto spento. Naso difficile, soprattutto verdura e brodo, carne e minerale. La bocca dà l’impressione di un vino morto, ossidato. Il tappo ha effettivamente confermato i dubbi: la bottiglia non era a posto, ed è un peccato in quanto sotto le sensazioni negative sembrava avere molte cose da dire. NC
Christophe Lefèvre, Champagne Rosé de Saignée Brut. Bottiglia di difficile decifrazione, che ha richiesto una grande attenzione. In un primo tempo escono delle note fruttate fin troppo evidenti e dirette. A me è sembrato un bel Bardolino… Nei minuti cresce la complessità, diventa anche minerale e profondo. In bocca ha struttura, è sicuramente rustico ma ha carattere. Abbiamo poi saputo che il vino non è ancora in commercio e che il dégorgement è avvenuto da meno di tre settimane. Credo che tra 12 o meglio 24 mesi sarà molto interessante. Non sono molti gli Champagne prodotti con la tecnica della saignée, e questo è un bell’esempio. 86/100
Barranco Oscuro, Brut Nature Seleccion Millesimé. Spumante metodo classico prodotto a 1300 metri di altezza nel sud della Spagna, nei dintorni di Granada. A me non è per nulla piaciuto. Al naso è metallico e pesante, ravvivato solo da qualche ricordo di agrumi. Ma è soprattutto la bocca che non decolla, resta sgradevole, ai limiti dell’ossidazione, senza finezza. 75/100

24 gennaio 2011

Il maiale e il Bardolino fino al 28 febbraio sul lago di Garda

La tradizione della maialatura, la lavorazione della carne di maiale, torna protagonista sulle tavole della ristorazione dell’entroterra veronese del lago di Garda, fra Affi, Cavaion Veronese e Pastrengo, in abbinamento al Bardolino: fino al 28 febbraio otto locali della zona proporranno interi menù degustazione a base di carmi di maiale e di salumi, preabbinati al giovanile rosso bardolinese, a prezzi popolarissimi. L’iniziativa è dell’associazione dei ristoranti della Collina gardesana e del Consorzio di tutela del vino Bardolino, con la collaborazione del Consorzio di tutela del formaggio Monte Veronese.
I ristoranti aderenti sono Cà Orsa ad Affi, 21° Secolo, Al Cacciatore e Villa a Cavaion Veronese, Al Forte, Eva, La Carica e Stella d’Italia a Pastrengo. Sarà presso questi locali che per tutto gennaio e sino alla fine di febbraio si potranno gustare proposte quali i vassoi di salumi accompagnati dalle mostarde “nostrane”, la polentina con lardo e salame, il tipicissimo risotto col tastasà (ossia la carne macinata pronta per essere insaccata, che viene utilizzata per il condimento del riso allo scopo di “tastarne”, ossia assaggiarne, il grado di salatura), la grigliata di braciole, costine, salamelle, luganeghe e carne salà, le puntine di maiale servite con la salsa al Bardolino, il cosciotto di maiale al forno con le patate, l’arrosto di capocollo di maiale al Bardolino e via discorrendo. I prezzi, vino incluso, vanno dai 23 ai 35 euro, all’insegna della più genuina tradizione popolare.
I menù completi sono disponibili sul sito: www.ilbardolino.com.

Südtiroler Vernatsch 2009 Gumphof Markus Prackwieser

Mauro Pasquali
Quello che più mi ha colpito inizialmente di questa bottiglia è stata l’etichetta: un bell’acquerello che ritrae un borgo (presumo Fiè allo Sciliar) con una montagna sullo sfondo e una vigna con dei grappoli in primo piano.
Markus Prackwieser ha da non molti anni iniziato a vinificare in proprio, con grandi risultati, frutto della costanza e della passione che mette nel proprio lavoro. Oggi è uno dei punti di riferimento della viticultura in Alto Adige. Per scelta si è cimentato con vitigni tipici della zona, fra cui pinot bianco e nero, gewurztraminer e sauvignon. Tra tutti spicca, per territorialità e tradizione la schiava nera, in tedesco vernatsch.
I vigneti sono ripidi e situati ad altitudine variabile fra i 300 e i 500 metri. Le pendenze importanti costringono ad una lavorazione quasi esclusivamente manuale.
Questa Südtiroler Vernatsch, che viene raccolta verso metà ottobre e che fa quasi esclusivamente acciaio, con piccolo saldo di botte grande, si distingue per una grande semplicità di beva. Un bel colore rosso rubino con marcate trasparenze ben dispone all’assaggio. Il naso fa fatica ad aprirsi, resta quasi sospeso, con note di piccoli frutti rossi, accenni di viola e mandorla. La bocca, viceversa, colpisce subito per la grande freschezza e sapidità. Una beva semplice ma, al tempo stesso appagante, con un finale bello lungo. Un “vinino” che è un piacere bere con salumi e formaggi di media stagionatura ma, anche, con più impegnative zuppe di cereali o carni rosse.
Due beati faccini :-) :-)

23 gennaio 2011

Madiran Vieilles Vignes 1994 Château Bouscassé e Madiran Cuvée Prestige 1994 Château Montus

Massimo Zanichelli
Che coppia questi due Madiran firmati da Alain Brumont! Stessa proprietà, due diverse tenute con sensibili differenze nel terroir: più sulle grave il suolo del Montus, argillo-calcareo quello del Bouscassé.
Risultati appaiati sul piano della grandezza espressiva, ma sensibilmente differenti su quello del profilo organolettico: più vigoroso e nobile nel tannino il Bouscassé, più fresco, elegante e profumato il Montus.
In ambedue, la Quintessenza del tannat del sud-ovest francese.
Tre faccini con il punto esclamativo :-) :-) :-)

22 gennaio 2011

Agostino e l'entusiasmo per il Soave (del 2010)

Angelo Peretti
Agostino Vicentini è un tipo entusiasta. O meglio, magari a prima vista ti può sembrare un po' orso, ma poi ci parli assieme e te ne fai l'opinione che sì, è proprio un entusiasta. E il suo entusiasmo è quello del vignaiolo che si è fatto da sé, e che volle, e sempre volle, e fortissimamente volle - per dirla con l'Alfieri - emergere come produttore soavista di livello, e c'è arrivato ad esser riconosciuto come uno dei bei nomi del Soave anche se ha cantina Colognola ai Colli (in verità, frazione di San zeno) e mica nelle nobilissime plaghe dei cru di Soave e Monteforte d'Alpone. E gli son fioccati addosso negli ultimi anni i tre bicchieri e le corone e insomma il variegato palmares delle guide, e meritatamente, a mio vedere.
Ora, gli è che all'Agostino i premi sono arrivati in virtù del suo Soave Superiore Il Casale, strapremiato, mentre l'altro suo bianco soavista, il Terre Lunghe, ha recitato sempre un po' la parte del fratellino minore, magari anche perché costa ben meno dell'altro, ed ha anzi prezzatura da vino popolare. Ma al telefono stavolta l'ho sentito, l'Agostino, così entusiasta per come sta venendo fuori il Terre Lunghe dell'ultima vendemmia, il 2010, ancora in vasca, che non ho proprio potuto esimermi dall'assaggio. En primeur, come dicono i francesi.
Il problema è che l'assaggio non si è rivelato tale, e si è invece trasformato in bevuta di un paio di bicchieri uno in fila all'altro, ché questo è un Soave che si fa bere.
Se non mi sbaglio, e credo di non ricordare male, nel Terre Lunghe c'è dentro, insieme alla garganega, un po' di trebbiano di Soave. E volete che vi dica? Nel 2010 il trebbiano soavese ha tirato fuori probabilmente il meglio di sé. E magari è solo un abbaglio, ma qui dentro, in questo Terre Lunghe del 2010, l'imprinting del trebbiano ce lo sento, e mi piace sentircelo, con quell'affilata vena minerale che già è sottesa e quella florealità così avvincente. Ed è un connubio intrigante quello tra il frutto (la mela croccante, da garganega) e appunto il fiore (bianco) che salta fuori all'assaggio. Ed è piacevole, poi, la pienezza fruttata mediata da una freschezza quasi salina (l'acidità delle annate piovose, come il 2010, appunto, che garantisce lunghe durate al vino di chi si è impegnato in vigna e in cantina).
Certo, l'assaggio da vasca, col vino ancora lontano dall'imbottigliamento, non è test probante di per sé, ma mi pare che 'sto Soave prometta bene. Ed anzi mi spingo a dire che il passaggio al vetro non potrà che dargli ulteriore bellezza, permettendogli di smussare certi angoli ed ingentilirsi. E insomma: credo che lo berrò ancora, il Terre Lunghe 2010, e aspetto volentieri che ne esca la bottiglia.

21 gennaio 2011

Teroldego Sgarzon 1990 Foradori

Angelo Peretti
Credo che il '90 sia stata la prima annata del Teroldego Sgarzon. Vigneti giovani. Non so per quanto tempo lo si sia poi prodotto. Da quand'è stato, cioè, che Elisabetta Foradori ha deciso di non fare più dei cru, ma di puntare sul Teroldego "base" (si fa per dire) e sul Granato. Adesso lo Sgarzon, dunque, non si fa più. Ma ho avuto la possibilità di bere lo Sgarzon dal '90 da una magnum e, be', è stata una fortuna.
Colore tra il violaceo e il granato brillante.
Naso bellissimo, irresistibilmente varietale. Leggere vene affumicate. Elegantissimo, quasi aristicratico, magari solo un po' discolo.
In bocca ha tannino ancora saldo, bella freschezza (davvero). Notevole beva. Frutto maturo, succoso. Alla lunga, fragole, mature.
Due lieti faccini :-) :-)

20 gennaio 2011

Chablis, per gli scettici

Mario Plazio
Chablis è uno strano pezzo di Borgogna proiettato a quasi 150 chilometri da Beaune e dalla Côte d’Or. Il piccolo villaggio è sonnacchioso e discreto, lontano dal pur misterioso milieu viticolo borgognone, quasi a voler sottolineare la propria autonomia. In comune con il resto della regione c’è il vitigno, il vituperato chardonnay, assurto ad icona della globalizzazione vinicola. In realtà lo chardonnay che qui si produce non è chardonnay, ma Chablis. Sono stato doverosamente redarguito da un produttore per aver chiesto quali sono le specificità del vitigno rispetto ai cugini del sud. Ecco, la prima constatazione è che qui siamo a nord, quasi al limite settentrionale di crescita della pianta. Anche il clima accentua il suo carattere continentale, con inverni molto rigidi ed estati non troppo calde. E poi, e soprattutto, il terreno. I migliori cru si trovano su suolo calcareo formatosi nell’era detta kimmeridgien, costituito da banchi fossili di ostriche di taglia minuscola, chiamate exogyra virgula per la loro forma.
La degustazione che ho organizzato voleva fare un punto sulla denominazione e cercare degli elementi di riconoscibilità all’interno dei vini.
Questi in breve i vini degustati.
Bessin 1er cru Montmains 2007. Naso etereo, forte impatto della solforosa. Minerale e vegetale, anche esotico, finale di mandorla. Non una grande materia, privilegiata la beva, leggermente ossidativo e non finissimo. Soffre di riduzione. 85/100
Chateau de Béru 2008. Snello, semplice e citrino, acerbo ed erbaceo. Immediato ma certamente non un grande vino, manca di complessità. Dovrebbe stare bene con le ostriche. 80/100
F.et Denis Clair Saint-Aubin 1er cru Les Murgers des Dents 2004. Vino pirata del sud Borgogna. Si riconosce subito per la maggiore carica, le note di vaniglia e pasticceria. Il legno tende a prevalere, ammicca ma non riesce a dispiacermi. È ben fatto, floreale, finale un po’ segnato dal rovere con ricordi di crauti. 84/100
Domaine Raveneau 1er cru Butteaux 2003. Produttore faro della aoc e di conseguenza vini introvabili e carissimi. Questo 2003 è marcato dall’impronta del millesimo, insolitamente caldo. Il vino si concede poco a poco, è molto minerale ed insieme caldo, con aromi di papaya, pietra focaia e miele, accanto a salvia e burro. Al palato l’acidità c’è, forse meno distribuita sul palato e meno lunga. Molto godibile comunque. 90/100
Vincent Dauvissat 1er cru Forest 2005. L’altro produttore di riferimento a Chablis. Sensazione di finezza agrumata, fiori d’arancio. Si rivela però al palato, dove il vino prende una dimensione fenomenale, lunghissimo anche se oggi troppo giovane. 93/100
Domaine de la Maladière William Fèvre 1er cru Montée de Tonnerre 1988. Evoluto, marcato dal legno dell’élévage (note di caffè e balsamiche), carnoso, limone confit e tartufo. Sembra di bere un alcol vecchio, l’insieme è in ogni modo vivo e presente, anche se meno fine di altri. 91/100
Vincent Dauvissat 1er cru Forest 2004. All’inizio formaggi oso e chiuso. Esce col tempo e si rivela il più intrigante. In primo piano le tipiche note di pietra focaia, nocciola e miele, e la consueta rabbiosa mineralità, anche pepe e burro. Bocca nervosa, interminabile ed elegante. 97/100
Vincent Dauvissat 1er cru Forest 2000. Evoluto ma ancora terribilmente giovane, esibisce note di tartufo, miele di castagno e di affumicato. In bocca l’acidità sembra più matura e il vino ne risulta più saggio, senza perdere in carattere e mineralità. 94/100
Grossot 1er cru Mont de Milieu 2000. Viscerale ma più monodimensionale, buono senza però assumere una dimensione superiore. Il legno resta discreto, tutto è al posto giusto, risulta quindi prevedibile. In questo senso esce meno il terroir. 87/100
Ovviamente la degustazione non è esaustiva, ma andando alla sintesi estrema direi che la élite dei produttori di Chablis è piuttosto ristretta e che conviene affidarsi ai migliori per bere delle bottiglie interessanti. Si conferma l’eccellenza di Dauvissat, un produttore che trasmette ai suoi vini una vera tensione. Consiglio di provare un suo premier o grand cru agli scettici dello chardonnay. Ma qui lo ricordo, parliamo di Chablis.

19 gennaio 2011

Lo voglio! Il Prosecco in lattina per il miglior papà del mondo


Angelo Peretti
Oh, sì, lo voglio, lo voglio, lo voglio. Non posso pensare di vivere senza. Voglio, assolutamente voglio il Prosecco per il Miglior Papà del Mondo.
Lo vendono in Germania. In lattina da 0,20. C'è scritto sopra Bester Papa der Welt Prosecco. E fa parte di una serie dove c'è anche quello della miglior mamma del mondo e il sexy Prosecco e tante altre cose carine che ci puoi fare la collezione.
Irresistibile: come si fa a non berlo? Non sentite anche voi l'irrefrenabile desiderio? E dunque precipitatevi a comprarlo on line: lo trovate, insieme a tutta la sua bella compagnia, cliccando qui.
Ma roba da matti...

28-30 gennaio 2011: Anteprima Amarone 2007 a Verona

Dal 28 al 30 gennaio 2011 il Consorzio di Tutela del Valpolicella presenta in anteprima, dopo tre anni di affinamento, l’Amarone 2007.
Il programma prevede vari appuntamenti riservati alla stampa, mentre la partecipazione del pubblico, su invito e a pagamento, è prevista presso il Salone Margherita della Fiera di Verona nel pomeriggio di sabato 29 gennaio e nella giornata di domenica 30 gennaio.
Alla degustazione dell’Amarone 2007 è abbinata una mostra di opere selezionate dell’artista Giorgio Olivieri, appositamente realizzata per l’occasione.
Il programma completo e l'elenco delle aziende partecipanti sono disponibili sul sito del Consorzio di tutela del Valpolicella, che si può raggiungere cliccando qui.

18 gennaio 2011

Qui si corre il rischio di far confusione tra alcol e alcol: parola di Angelo Gaja

Angelo Peretti
D'accordo, può sembrare bizzarro che su un giornale figuri una lettera inviata a un altro giornale in replica a un intervento che era stato pubblicato proprio su quel secondo giornale. Può sembrare bizzarro, ma è quel che faccio pubblicando su quest'InternetGourmet una lettera che Angelo Gaja, certamente uno dei più celebri nomi del vino italiano, ha indirizzato al Corriere Vinicolo, facendomene avere copia, come credo abbia fatto con altri wine blogger. La pubblico perché ritengo che le parole di Gaja siano particolarmente significative, e dunque che possano interessare anche altri lettori, oltre a quelli del Corriere Vinicolo. E lo faccio solo per questo, e non certo per interferire col giornale dell'Unione Italiana Vini. Lo faccio perché credo sia interessante riflettere sulle parole di Gaja. Partendo da quando sostiene che c'è una "differenza profonda e sostanziale che non si può continuare ad ignorare". Certo, che la faccia un uomo del vino può sembrare affermazione interessata, ma è fuor di dubbio che dietro al vino c'è una cultura, e che la stessa non esiste dietro certi intrugli che oggi spopolano nei cosiddetti "locali di aggregazione giovanile". Ecco: sarebbe ora che questa cultura riemergesse, e che ci si impegnasse a farla riemergere. Ma qui mi fermo, e lascio la parola alla lettera di Angelo Gaja.
Ecco il testo qui di seguito.
Gentile direttore,
desidero fare un commento in merito agli interventi dei presidenti nazionali di categoria apparsi sul Corriere Vinicolo n.49/50 del 2010.
Lamberto Vallarino Gancia, presidente Federvini, sostiene che "il consumo del vino, degli aperitivi, dei liquori, dei distillati è parte di quel patrimonio di conoscenza, cultura, tradizione, collegabile allo stile mediterraneo".
Si corre il rischio di fare confusione: non soltanto tra dieta mediterranea e stile mediterraneo, ma anche tra alcool ed alcool. Solamente il vino ha profonda valenza culturale ed è parte integrante della dieta mediterranea. L'alcol contenuto nel vino, da 9.000 anni ininterrottamente e con le stesse precise identiche modalità, si forma ad opera dei fermenti secondo processo biologico e naturale. Non vale altrettanto per l'alcol degli aperitivi, distillati, liquori, soft drink. È una differenza profonda e sostanziale che non si può continuare ad ignorare.
Maurizio Gardini, presidente Fedagri-Cofcooperative, sostiene che "non vogliamo la riduzione delle tasse ma il miglioramento dei servizi che paghiamo". La richiesta è doppiamente di buon senso. Gli imprenditori che non ricevono sussidi e pagano per intero le tasse facciano anch'essi le loro richieste. Sostiene che "diffidiamo invece da quelle che definiamo politiche di sussistenza come la vendemmia verde che premia chi distrugge la produzione già in campo e che può portare i produttori a distruggere i vigneti". La vendemmia verde, attuata per la prima volta nel 2010, ha reso consapevoli i viticoltori della destinazione dell'uva. Produrre per distruggere offende la loro dignità. È il segno positivo di una ritrovata moralità dopo che per oltre 30 anni gli amministratori di una parte delle cantine sociali italiane avevano mandato alla distillazione/distruzione centinaia di milioni di ettolitri di vino senza che la loro dignità ne fosse offesa.
Sergio Marini, presidente Coldiretti, sostiene che "si debba riaprire il negoziato al fine di rimettere in discussione la pratica dello zuccheraggio". L'Ocm vino, dopo lungo negoziato, ha introdotto misure atte a riequilibrare il mercato del vino. Non fu possibile allora eliminare la pratica dell’arricchimento (zuccheraggio, mosto concentrato rettificato) che costituisce la causa prima della sovrapproduzione di uva, incoraggiandola, esasperandola, dando la certezza che sarà poi possibile correggere in cantina le carenze imputabili ad una viticoltura di rapina. Aveva visto giusto Bruxelles nel volere contrastare la sovrapproduzione perché questa costituisce la piaga che deprime il prezzo dell'uva ed abbatte il reddito dei viticoltori. Riaprire il negoziato in favore del Mcr è una causa persa, nasconde sicuramente altri obiettivi. L'Italia si faccia invece paladina di un atteggiamento virtuoso: riconosca senza esitazioni la praticità e la bontà della pratica dello zuccheraggio, ma chieda che in Europa essa venga tassata e che i proventi vengano destinati all’educazione ed alla diffusione del corretto consumo del vino presso le nuove generazioni.
Angelo Gaja

17 gennaio 2011

Ma il Bepi è il Bepi, ossia, del Valpolicella

Angelo Peretti
Ora, si può disquisire quanto si vuole sulla Valpolicella e sui vini che vi si producono e di appassimento e di fruttai e di tecniche enoiche e di cantine e di vigne, ma il Bepi è il Bepi, ed è un'altra cosa. Quando nel bicchiere c'è un Valpolicella di Giuseppe Quintarelli, te ne accorgi che è un'altra cosa. Con quell'amplificarsi progressivo, quasi a ondate - a cerchi concentrici, che si fanno sempre più ampi, come quando bitti un sasso di certe dimensioni nell'acqua di lago - di frutto e di spezia e di fiori macerati e di erbe alpestri e di essenze officinali e di dolcezza e di cacao e di pellame e di antichi liquori e di fogliame autunnale e di radici medicamentose e di croccantezza e di terra e di avvolgenza e di tepore e di ricordi di affetti.
Oh, sì, capisco, sembro esagerato. Ma no, è il vino del Bepi, semplicemente. Dirò di più: è vino, ed è dire tantissimo.
Ho stappato una bottiglia del 1999. Splendidamente terragno e sontuoso, aristocraticamente popolare, democraticamente nobilissimo nel suo porgersi, nel suo dispiegarsi. E decadente, e vibrante, e strepitosamente bevibile, e l'alcol - e son quindici gradi! - neppure lo avverti, e invece è il frutto e tutto il resto che ti prende, e il velluto che ti avvolge. L'ebbrezza che ti prende è una consolazione contro la melanconia. È eleganza. I francesi, con la loro smania di grandeur, direbbe finesse. Qui siamo in Valpolicella, e ci basta dire che lè bón, tanto bón.
Si potrà dire quel che si vuole dell'arte, della pittura, ma quando hai davanti un capolavoro, lo vedi. Lo vede l'inclito e l'incolto. Lo vedono tutti, ché a tutti sa parlare, l'arte, quella vera. E così accade per la musica. E per il vino, quando il vino è grande. Come questo.

16 gennaio 2011

L’età di lOro


Enrico Lucarini
Parrebbe volgere al termine, vivaddio. Mi riferisco a quella moda, mutuata dalla cucina indiana, di decorar dolci e dessert con foglie d’oro. Primo fu Gualtiero Marchesi, a giocare con il giallo del metallo e dello zafferano in un risotto. Poi, s’accodarono gli stellati. Liquori e altre vivande non ne passarono indenni, e la moda dilagò sempre più.
Eviterò di impantanarmi nella vexata quaestio sulla salubrità o meno di tale pratica, soffermandomi solo sull’aspetto estetico.
Ritengo che lo stupore sia uno degli ingredienti fondamentali della grande cucina (ché altro non vedo collegato a tale usanza), ma passare dallo stupire all’annoiare è passo breve.
E noia e fastidio è quello che provo quando mi è servita una pietanza “dorata”: provar a rimuovere la lamina è opera vana, tanto è impalpabile, e altro non si può fare che ammetterla nel boccone.
E questo pur basterebbe, ma la sensazione di “ecco: lo facciamo anche noi” infastidisce ancor di più. Soprattutto quando si tratta di ristorazione di alto livello. Un riutilizzo non è mai sorprendente.
Tornare quindi in uno dei posti a me preferiti e scoprire che tutti i dolci serviti sono ora gold-free è stato un gran piacere. Ché a “El celler de can Roca” c’eran caduti anche loro in passato. Ed il posto è sì un ristorante d’altissimo livello, ma è soprattutto uno di quelli che fa scuola, dove molti chef con ambizioni vanno in pellegrinaggio ad imparar nuovi sapori e nuove tecniche ed a trovar ispirazioni.
Spero che la lezione che porteranno a casa sia che è meglio stupire col sapore, e con l’ingegno com’è riuscito a fare questa composizione di Jordi (il fratello dei Roca dedicato ai “postres”), ricomponendo il gusto delle vaniglia del Madagascar con quattro elementi base (caramello, liquirizia, olive nere caramellizzate e disidratate).
Assaggi i quattro elementi, assaggi il gelato di vaniglia in fianco, e… ti stupisci.

15 gennaio 2011

Offida Pecorino Ciprea 2008 Poderi Capecci

Mauro Pasquali
Il pecorino, inteso come vitigno e non come formaggio, stava quasi scomparendo, relegato nelle zone montane delle Marche e dell’Abruzzo da una bassa resa che non gli permetteva di competere con altri più produttivi vitigni. Talmente bistrattato che solo pochi ostinati produttori continuavano a vinificare quest’uva e, per lo più, lo facevano producendo vini di scarso interesse e destinati ad un consumo immediato e locale.
Gradualmente, grazie all’azione di alcuni appassionati produttori, il pecorino è tornato ad essere coltivato con esiti assai interessanti.
Il Ciprea 2008 ha un bel colore tipico: brillante con riflessi verdognoli. Al naso apre sentori di frutta gialla e di salvia.
Nel bicchiere è molto lento ad aprirsi, ma quando lo fa la nota minerale esce prepotente e accompagnata da una notevole sapidità e dalla bella nota acida. Una bella e insospettabile lunghezza conclude una beva piacevole e fresca.
Tre beati faccini :-) :-) :-)

14 gennaio 2011

VinNatur: vini naturali dalla Francia

Mario Plazio
Ed eccomi arrivato alla settima ed ultima puntata della mia galoppata tra i “vini naturali” assaggiati all’edizione tarantina di VinNatur. Questa volta è di scena la Francia, dopo aver percorso idealmente le vigne dell’Italia (prima il sud, poi le isole, quindi il nord-ovest e poi ancora il nord.est) ed aver fatto un assaggio della produzione della Slovenia.
Quattro i vigneron francesi presenti: la Famille Peillot dalla Savoia, Patrick Baudoin dalla Loira ed Eric Texier e il Domaine Rouge-Bleu, entrambi alla Côtes du Rhône (la foto mostra una vecchia vigna del Domaine Rouge-Bleu).

Famille Peillot (Savoie)
Bugey Montagnieu Méthode Traditionnelle. Naso freddo e salato, lieviti e ricordi di mare. In bocca un bel frutto e tanta beva.
2 faccini :-) :-)
Roussette du Bugey Montagnieu Altesse 2009. Naso piuttosto chiuso, più espressivo al palato, minerale e sottile, al limite del fragile. Morbido e carezzevole, originale.
2- faccini :-) :-)
Bugey Montagnieu Mondeuse 2009. Gradevole, aromi di granatina e pepe. Sorprende in bocca per una carica tannica molto decisa. Sorprende meno una volta saputo che l’uva non è diraspata, cosa che conferisce grande eleganza e beva. Da attendere per abbinarlo a cibi grassi.
2+ faccini :-) :-)

Patrick Baudouin (Loire)
Savennières 2009. Naso di mandorla con una punta di legno, peraltro non percepibile in bocca. Sornione, progressivo, minerale e ferroso. Ancora in fasce.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Anjou Val de Loire Effusion 2008. Chenin meno definito del precedente, buon potenziale, l’annata è buona, forse è in una fase ingrata.
1+ faccini :-)
Anjou Val de Loire Chenin 2009. Semplice, profuma di pane, menta ed erbe. Fragrante e fruttato.
1 faccino e mezzo :-)

Eric Texier (Côtes du Rhône)
Chatêauneuf du Pape Vieilles Vignes blanc 2007. Trenta mesi di permanenza in legno usato. Naso speziato e agrumato. Bellissima la bocca luminosa ed elegante, lunghissima e fresca. Un vino destinato a durare almeno 20 anni.
3 faccini :-) :-) :-)
Domaine de Pergaud Saint Julien en Saint Alban 2009. Una syrah vinificata in grappoli interi, alla borgognona. Il naso è didattico, di pepe bianco, lamponi, viola e carne. La bocca è ancora giovanissima, tannica e fresca, da aprire tra 10 anni minimo.
2+ faccini :-) :-)
Domaine de Pargaud Brézème 2009. Stesse procedure del precedente. Il vino è più austero e minerale. Sembra però più profondo, sente la liquirizia e i fiori. Molto sottile. Affascinante.
2 faccini e mezzo :-) :-)

Domaine Rouge-Bleu (Côtes du Rhône)
Dentelle 2009. Carignan e grenache. Olive e pomodoro accanto a una gradevole vegetalità. Bocca vivace, floreale e piacevole. Vinino (nonostante i 13 gradi).
2 faccini :-) :-)
Côtes du Rhône Mistral 2008. Grenache e syrah. Espressione originale del terroir, profondo, cacao, spezie e pino per un palato sottile ma lungo, con una tannicità che deve fondersi con la notevole acidità.
2 faccini e mezzo :-) :-)

13 gennaio 2011

Il Terra Crea: a Soave è nata una stella, sul creasso

Angelo Peretti
Dunque, se dico che è nata una stella, mi si può obiettare che la frase è già sentita. Ma lo dico: è nata una stella. E la stella è un vino passito bianco (dorato) fatto con l'uva di garganega a Soave. E le sento le obiezioni: già, la scoperta dell'acqua calda, il passito con la garganega a Soave non è mica una novità. Invece questa è una novità, ed è stellare. Si chiama Terra Crea, prima annata il 2005, e non è ancora in commercio, e non è mica escluso che non ci vada pressoché neanche mai, visto che se n'è fatta una manciata di bottiglie da mezzo litro, e se gira la voce spariranno tutte in un amen. Perché, fidatevi, e non fatelo sapere troppo in giro per non restare senza, è un gioiellino, e se avete modo di passare da Soave e convincere i Coffele a vendervene una bottiglietta, be', vi porterete a casa un gran vino. Che se poi invece ne aveste una bottiglia in più e non vi convincesse, sappiate che sono disposto a ricomprarvela io.
Che ci ha di così buono 'sto Terra Crea? Che mette insieme freschezza e ossidazione, stile da Vin Santo e verve da Beerenauslese, dolcezza e tensione, finezza e carattere, frutto e spezia. Tutto insieme. L'ho tastato prima di Natale in cantina, e dopo qualche giorno a casa mia, e nella bottiglietta ne ho lasciato quattro dita, senza tappo, e al caldo di casa per tre giorni, e dopo tre giorni quelle quattro dita di vino erano ancora in forma smagliante, opperbacco.
Il Terra Crea lo fa Alberto Coffele. E in etichetta Alberto ci scrive parecchie cose interessanti, che riporto testualmente. Ordunque, sul fronte è scritto: "Coffele Terra Crea Passito 2005 100% uva garganega" e sul retro: "Veneto Bianco indicazione geografica tipica Passito 2005. L'uva è stata pigiata lunedì 4 aprile 2006 con una resa dell'8%. Il vino senza l'aggiunta di alcun additivo è rimasto in barriquee per 55 mesi. Ha fermentato con lieviti autoctoni, non è stato chiarificato né filtrato e non è stato aggiunto di solfiti. Questi i valori analitici: alcool 7,71%; estratto secco netto = 48,6 g/l; ac. volatile = 1,06; zuccheri = 366 g/l; so2 tot. = 19 mg/l. Prodotto e imbottigliato all'origine dalla azienda agricola Coffele Alberto. Soave". Credo poco ci sia da aggiungere, e non domandatemi se sa di fico o di dattero, di miele o di noce. Sa di tante cose, e bisogna assaggiarlo e goderselo, più che parlarne. Ma soprattutto, avete letto? Vi ripeto un numero: 366 grammi di zucchero per litro. Tantissimo. Eppure non te ne accorgi, ché la dolcezza è benissimo bilanciato da un'acidità quasi salina.
Ha un problema, però, questo vino: il problema è che potrebbe virtualmente, a mio avviso, durare in eterno, con quelle sue caratteristiche (e con l'aiuto del sughero serrato dalla ceralacca, che sigilla, più che tappare, e regge anche qualora, fra un tot di anni, il sughero cominciasse a dar segni di cedimento), ma che non durerà invece purtroppo granché, se devo guardare il caso mio, che, pur essendo amante dei vini lungamente invecchiati, non ho resistito, e ho stappato.
Irresistibile: ecco, forse è questo l'aggettivo giusto per il Terra Crea. Almeno per me.
Oh, dimenticavo. Che significa Terra Crea? Me l'ha spiegato un mio omonimo. Si chiama Angelo anche lui, ha un bel po' d'anni (un bel po') più della mia già veneranda età e lavora nelle vigne dei Coffele da mezzo secolo e conosce quelle vigne per nome e la loro terra metro per metro. La terra crea, m'ha detto, è terreno calcareo bianco, è creasso. Garganega e creasso, che accoppiata.

12 gennaio 2011

Prosecco di Conegliano Valdobbiadene Brut S.C. 1931 Millesimato 2008 Bellenda

Angelo Peretti
Fa mica le cose facili il sior Umberto Cosmo, quello di Bellenda, a Carpesica di Vittorio Veneto, terra prosecchista. Fa Prosecco? E allora lo fa difficile. Posso dire che gli do ragione? Sissignori, se i risultati son come questo S.C. 1931 (S.C. è Sergio Cosmo, una dedica al padre), millesimato della vendemmia del 2008 (l'annata precede la nuova docg, ovviamente).
Che ci ha di strano? Intanto è pas dosè, in un mondo, quello del Prosecco, dove la dolcezza la fa da padrona, con i brut che somigliano spesso a degli extra dry. Qui non si dosa, intanto. Poi, si vinifica nel legno, di acacia se non ricordo male. Ed esce tardi, ed anche questo è anomalo per il panorama delle bolle trevigiane, che tendono a uscire presto presto, ché il mercato tira e non si può attendere. E prende spuma in bottiglia, quando invece da quelle parti si usa l'autoclave.
In gennaio dell'anno passato avevo detto del 2006, che mi era parecchio piaciuto. Ora replico (evidentemente è destino che ne parli in gennaio) con un'altra annata, con questo 2008 che è anche sopra all’altro, dal mio assaggio. Fiori, frutto, freschezza, carattere: c’è tutto quel che serve, e soprattutto c’è una beva gratificante. Bolle da portare in tavola.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

Blanc de Morgex et de La Salle Extreme 2007 Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle

Mauro Pasquali
Sarà perché i vini valdostani mi portano alla mente ricordi giovanili. Sarà perché amo i vini minerali e con grande personalità e carattere. Sarà perché questo vino mi ha colpito immediatamente, alla vista con un perlage fine e persistente e al naso con un’esplosione di fiori bianchi, pera, agrumi. Sarà perché in bocca si apre con grande mineralità per poi chiudere con frutta bianca e gialla matura. Sarà per quel retrogusto di albicocca che ritorna continuo anche a distanza di tempo, ma questo Extreme 2007 mi è piaciuto, e molto.
Certo, lo ammetto, sono condizionato dal ricordo di questi vigneti, arrampicati a oltre 1000 metri di quota, coperti da nevi per tutto il periodo invernale, tanto da pensare come possano sopravvivere. E dal ricordo delle genti di queste zone, che si ostinano a coltivare là dove pare che sia impossibile farlo e coltivano e vinificano talmente bene da ottenere prodotti come questo Extreme 2007. Merito anche del prié blanc, vitigno che quassù si è così ben adattato da compiere l’intero ciclo vegetativo in un lasso di tempo più breve della maggior parte degli altri vitigni. Inizia a germogliare tardi, il che gli permette di sfuggire alle tardive gelate che a 1200 metri di quota in val d’Aosta sono sempre in agguato. Porta a maturazione i suoi grappoli molto precocemente per cui, anche in caso di nevicate anticipate, la vendemmia si è già conclusa. Uomo, vite, ambiente: c’è tutto il terroir valdostano in questo vino.
Tre beati faccini :-) :-) :-)

11 gennaio 2011

VinNatur: i vini della Slovenia

Mario Plazio
Dopo aver toccato in lungo e il largo nelle scorse settimane il territorio nazionale, con una prima puntata dedicata al sud, poi alle isole, quindi al nord-ovest e ancora due tranche sul nord-est, eccomi ora a varcare il confine italiano per approdare in Slovenia con il mio resoconto degli assaggi effettuati all’edizione tarantina di VinNatur, sul finire dell’anno.
Tre le aziende slovene presenti coi loro vini, di cui traccio un breve profilo (nella foto, uno scorcio dei vigneti di Klinec).
La prossima - settima e ultima tappa tra i "vini naturali" - sarà riservata alla Francia.

Klinec (Slovenia)
Medana-Brda Pinot Grigio Gardelin 2007. Colore aranciato. Tè, infuso e arancia. Bocca speziata e lunga. Una tipologia di vino che però inizia a stancare.
1+ faccini :-)
Medana-Brda Jakot 2007. Naso minerale e di cedro, balsamico. Una bella versione di vino con lunga macerazione sulle bucce, sapido e bene a fuoco.
3 faccini :-) :-) :-)
Medana-Brda Malvazija 2007. Macerato, agrumi, spezie e incenso. Si appiattisce al palato, fresco il finale.
2- faccini :-) :-)
Medana-Brda Bela Quela 2006. Ribolla, chardonnay e tokaj. Sensazione di cipria e alcol. Morbido, tannico e potente. Omologato dalla macerazione.
1+ faccini :-)

Nando (Slovenia)
Pgo Primorska Rebula 2009. Bel naso leggermente esotico per un vino facile e molto godibile. Bocca priva di eccessi e altrettanto piacevole.
2+ faccini :-) :-)
Pgo Primorska Rebula 2006. Versione più macerata dagli aromi di capperi e di mare, accanto al rovere. Tannico ed alcolico, risulta un po’ bloccato dal legno nel finale.
2- faccini :-) :-)
Pgo Primorksa Jakot 2007. A metà fra i due precedenti, meno estremo, profuma di tè e cumino. Espressivo, sottile e lungo.
2 faccini e mezzo :-) :-)

Kmetija Stekar (Slovenia)
Primorska Rebula Prilo 2006. Vino piuttosto estremo, a partire dalla complicatissima etichetta… 18 giorni di macerazione sulle bucce danno vita a un bianco travestito da rosso. Grande carattere anche se potrà non piacere a tutti. Persistenza infinita.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Brajda 2006. Merlot con 30% di cabernet sauvignon. Una sorpresa, naso splendido, ancora bisognoso di evolvere ma di beva eclatante per pulizia, profondità ed eleganza.
3 faccini :-) :-) :-)

10 gennaio 2011

Fiano e Greco e la bellezza d'alcuni bianchi campani

Angelo Peretti
Fiano, Greco: opperbacco, che bel duo che mette in mostra la Campania per i bianchisti. E poi altro ancora, fra i bianchi. E dunque con un gruppo d'amici ho voluto stapparme un po' di bottiglie di bianchi campani, e ho trovato splendide conferme, come il mio amatissimo Fiano dei Colli di Lapio di Clelia Romano, e poi altri vini di grande carattere e talvolta grandissimo, e altri ancora che invece cedono a mode ormai fortunatamente in declino, e qualcheduno non del tutto definito, e ho anche trovato due bottiglie su undici (quasi il venti per cento, accidenti) che sapevano di tappo. E qui me le sento le obiezioni: "ma non è mica colpa del produttore se il vino sa di tappo, può capitare". E invece no, è almeno concorso di colpa, perché l'alternativa, ossia la capsula a vite, c'è, ed è quindi illogico che sia il consumatore - in questo caso il sottoscritto - a doverci rimettere i quattrini della bottiglia e la delusione del mancato assaggio. E dunque ho deciso: da ora in poi i vini che trovo che sanno di tappo li scrivo, vivaddìo. Ma questo, sia chiaro, è solo un inciso, un incidente di percorso. E di grandi bianchi in Campania ce n'è, oh, se ce n'è.
Qui di seguito i vini stappati, in ordine di apparizione, come si diceva nei film di una volta.
Fiano di Avellino Rocca del Principe 2007 Fabrizio Aurelia Al naso frutto giallo e bella vena minerale, e ugualmente in bocca. Succosa e fresca a tagliente e nervoso. Fiori, tiglio, calicante, sottile. Molto buono, e lungo. Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Fiano di Avellino Exultet 2007 Quintodecimo tappo (bottiglia lotto 3208)
Fiano Paestum Pietraincatenata 2007 Luigi Maffini Freschezza, frutto croccante. Albicocca, parecchia, matura. E pesca. Ma non va giù: quel rovere che avverto mi disturba, e dunque non è il vino per me, che gli dò un faccino soltanto (ma gli amanti del genere se lo segnino, questo Fiano della Peitraincatenata, ché è un un classico nella tipologia). Ripeto, un faccino, per me :-)
Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2008 Villa Diamante tappo (bottiglia lotto 10FA)
Catalò 2008 Sorrentino L'altro bianco, fatto con uva fuorilegge, la catalanesca, in via di riconoscimento, ma autoctona, vesuviana. Semplice apparentemente, e morbido, e però regge bene nel bicchiere, e tira fuori un frutto giallo croccante e livemente aromatico e ha spezia dolce. Si beve, ma forse è meglio da giovanissimo. Due faccini :-) :-)
Fiano di Avellino Colli di Lapio 2007 Clelia Romano Che dire: un fuoriclasse. Naso finissimo, elegante. Bocca tesa, croccante, minerale. E florealità, e freschezza, e sale. Strepitosamente fresco, montanaro, direi altoatesino nell'impostazione, e questa è la caratteristica che più mi piace di questo vino. Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Fiano di Avellino Colli di Lapio 2008 Clelia Romano Wow! Diverso dall'altro, più denso di frutto, e mi piace si avverta la diversità dell'annata. Grandissimo già all'olfatto, con tutto quel frutto e quella mineralità. E in bocca è polpa, e freschezza. Ed è interminabile. Grande bianco, che congiunge idealmente, in fatto di stile, il sud e il nord. Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Greco di Tufo Nova Serra 2007 Mastroberardino Buono, ma m'aspettavo un po' più di grinta, e comunque un vino ben fatto, di bella tensione. Un faccino e quasi due :-)
Greco di Tufo Vigna Cicogna 2009 Benito Ferrara Ullalà, che freschezza e che tensione! Bocca potente e tesa e personale. Pulitissimo, spettacolare. Da bere e ribere. Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Greco di Tufo 2009 Dell'Angelo Mmh, non capisco questa riduzione. Si riscatta in bocca, con una rusticità che ne caratterizza la personalità. Bianco di buona tensione. Un faccino :-)
Campania Cupo 2007 Pietracupa Fiano in purezza, leggo. Salato, tesissimo, affilato. Grande bianco, che ha possibilità di notevole durata nel tempo. Naso da fieno, da fiori di montagna. Affumicato. Anice. Fine, elegante. Ha carattere, pienezza. Quasi arrogante. Ecco, è arrogantemente elegante. Tre lieti faccini :-) :-) :-)

9 gennaio 2011

Tavernello forever

Angelo Peretti
E noi che stiamo qui a farci tante pippe col terroir. Qual è il vino più venduto in Italia? Il Tavernello, dicono quelli del colosso Caviro, che sono convinti (e se lo dicono loro c'è da crederci) che sia anche il quinto vino italiano più venduto nel mondo, e adesso si apprestano a conquistarlo ulteriormente, il mondo. Tant'è che è partita una nuova campagna pubblicitaria in tv, dal costo da un milione e 350 mila euro, che mostra che il Tavernello lo bevono anche a Londra e e Tokyo (e se è per quello anche in Russia, in Cina e in Germania, dov'è la marca più venduta in campo vinicolo), e il filmato è dell’agenzia Armando Testa, mica scherzi.
C'era una volta la tv nazional-popolare, quella di Pippo Baudo. Il Tavernello è il suo alter ego vinicolo. E funziona, accidenti.

Vin Natur: il Veneto e il Trentino

Mario Plazio
Continua su InternetGourmet la pubblicazione delle mie note di degustazione dei vini che ho avuto modo di assaggiare all’edizione tarantina di VinNatur, sul finire d’anno. L’excursus fra i “vini naturali” presenti alla rassegna ha toccato prima il sud, poi le isole, quindi il nord-ovest e l’area friuliana ed emiliana del nord est: ora eccoci alla quinta tappa (la seconda delle puntate dedicate al nord-est italiano) coi vini del Trentino e del Veneto (nella foto, uno scorcio delle vigne di Elisabetta Foradori), con il teroldego, la nosiola ed una soprendente durella.
Chiuderò nei prossimi giorni con i vini sloveni e con il drappello dei francesi.

Foradori (Trentino)
Myrto 2009. Fine e delicato, al palato è semplice. Un po’ anonimo.
1 faccino :-)
Nosiola Fontanasanta 2009. Nuovo vigneto acquisito nelle alture di Trento. Uve vinificate in anfora con 4 mesi di permanenza sulle bucce. Il vino è più elegante di quanto ci si potrebbe aspettare, tra la freschezza degli agrumi e la complessità della frutta secca. Sapido e compatto.
2+ faccini :-) :-)
Teroldego 2008. Ottima annata per il base, spontaneo, fruttato e godibile.
2 faccini :-) :-)
Granato 2007. Naso di spezie, cuoio e more con un leggero calo di intensità a metà palato. Sembra più semplice e meno profondo di altre versioni.
2+ faccini :-) :-)

Daniele Portinari (Veneto)
Pietrobianco 2009. Assemblaggio di pinot bianco e tai bianco. Fruttato, morbido ed accogliente, bella maturità, con finale di mandorle e frutta secca. Manca un po’ di cattiveria nel finale.
1 faccino e mezzo :-)
Tai Rosso 2009. Prima uscita con questa uva. Nonostante la giovanissima età delle viti, il vino risulta elegante e godibile, più improntato sulla lunghezza che sulla potenza alcolica. Da seguire.
2 faccini :-) :-)

Daniele Piccinin (Veneto)
Monte Magro 2008. Durella con 1 giorno di macerazione sulle bucce. Naso tra il dolce e il minerale con un gran frutto in bocca. Spinge molto, con la proverbiale acidità ben bilanciata dalla maturità del frutto.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Bianco dei Muni 2008. Naso originalissimo, dominato da una grande mineralità che “sente” il territorio vulcanico. Al palato si accompagna una bella frutta matura che rimanda allo chardonnay, mentre il finale è ripreso in mano dalla durella che conferisce allungo e freschezza. Teso e maturo.
3 faccini :-) :-) :-)
Rosso dei Muni 2008. Selvaggio e animale, ciliegia e sangue, è in continua evoluzione e deve trovare il giusto equilibrio gustativo acido/tannico. Da risentire.
1 faccino e mezzo :-)

8 gennaio 2011

Aiuto, le mie galline non fanno le uova col marchio IT!

Angelo Peretti
Accidenti, con questa storia delle uova alla diossina comincio a preoccuparmi. Stasera al TG1 hanno detto che per stare tranquilli bisogna mangiare uova italiane, e quelle si riconosce che sono italiane perché sopra hanno stampato il codice IT.
Grazie tante, ma il problema è che le due galline di mio suocero, giù nel capanno, nell'orto, temo siano analfabete, e non mettono nessuna stampigliatura sulle uova che fanno.
Devo preoccuparmi o cambiare le galline?

Gattinara Riserva 1995 Travaglini

Massimo Zanichelli
Vicino alla definizione e al calore del Barolo Bricco Rocche, rischiava di apparire fin troppo artigianale ed essenziale. Ma al di là del colore, un granato leggermente velato, e della silhouette del disegno – peraltro tipica del terroir vulcanico della denominazione – questo millesimo del Gattinara del fu Giancarlo Travaglini rivela, a lato del più tipico côté di terra&fieno del nebbiolo di questa latitudini, un tratto sapido-minerale a dir poco intrigante e una reattività acida da grande bianco. Austero sì, ma di gran classe.
Tre faccine convinti :-) :-) :-)

Tre Lugana d'antan

Angelo Peretti
Torno sul tema Lugana, perché ne ho stappate tre belle bottiglie una in fila all'altra qualche sera fa, con amici. E sono Lugana che riescono a reggere bene il passare del tempo. Come piace a me.
In primis, il più anzianotto, il Lugana Il Rintocco 1996 della Marangona. Sì, 1996, che fu annata magica fra le argille luganiste. Fu annata fresca, acida, e dunque perfettissima per i bianchi che devono durare, e questo Rintocco - che non fu concepito, sia chiaro, per invecchiare - sta durando che è davvero una meraviglia. Fresco, sapido, salato. Con gl'idrocarburi in bell'evidenza. Lo bevi e lo ribevi e non ti stufi, e non c'è nessuna, ma proprio nessuna concessione a quella morbidezza che oggi va tanto di moda fra i bianchisti della zona, ed il finale è teso e asciutto. Un '96 in forma smagliante, nonostante le bottiglie siano dal sottoscritto state conservate in qualche modo, e la foto che correda questo scritto, scattata da Enrico Lucarini, rende idea di come sia messa male l'etichetta, attaccata dall'umidità e dalla muffa (ma come sa chi ama i vini che invecchiano, meglio una cantina umidissima che una secca, sissignori).
Secondo, un classicissimo, per me, ossia il Lugana Riserva del Lupo 2003 di Cà Lojera, che chi volesse può ancora acquistare agevolmente presso il produttore. Ne ho già parlato tante di quelle volte che non è il caso d'insistere: uno dei più bei Lugana di sempre, destinato ancora a lunghissima vita.
Terzo, il Lugana Fabio Contato 2007 di Provenza, che è stato in assoluto il primo Lugana "della storia" a prendere i tre bicchieri dal Gambero Rosso (potranno piacere o non piacere le guide, ma il primo tre bicchieri non si scorda mai), e che oggi - urca - è in forma notevolissima, con quel suo frutto tondo, croccante, quella vena salina, quella bella lunghezza. Certo, non rusticheggia come gli altri due, ed anzi cerca una certa levigatura, ma con garbo, con eleganza, mai cedendo alla stucchevlezza, e per questo si beve molto, molto bene.
Tre bei Lugana, a dirci ancora una volta che 'sto bianco gardesano vuol tempo: mica lo si deve tracannare per forza nell'estate che fa seguito alla vendemmia, vivaddìo.

7 gennaio 2011

Côte-Rôtie Brune et Blonde 1990 E. Guigal

Massimo Zanichelli
Un classico, non c’è che dire. Syrah in purezza, non c’è che dire. E non solo per la sua composizione ampelografica, ma per l’anima della varietà che ne viene restituita.
Carattere di “garrigue”, terra e sangue a braccetto, vigorosa acidità e tannino saporito.
Se ne avete una bottiglia in cantina, è arrivato il momento di aprirla.
Tre faccine che non sorprendono :-) :-) :-)

VinNatur: il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna

Mario Plazio
Per la quarta parte delle mie note di degustazione relative ai vini assaggiati all’edizione di Taranto di VinNatur, la rassegna dei “vini naturali”, dopo il sud (la Puglia e la Basilicata), le isole (ovviamente Sicilia e Sardegna) e il nord-ovest ligure e piemontese, eccomi ora a cominciare l’excursus relativo alle mie impressioni relative ai vini dell’area del nord-est d’Italia.
Essendo molti i produttori nordestini aderenti a VinNatur, per motivi di spazio mi vedo costretto a dividere in due la narrazione.
Comincio dunque con il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia Romagna (nella foto i vigneti di Lusenti, sui Colli Piacentini), mentre la prossima puntata sarà dedicata al Veneto e al Trentino, per passare successivamente alla Slovenia e alla Francia.

Terpin (Friuli Venezia Giulia)
Collio Stamas Bianco 2004. Morbido e caldo, pasta di mandorle, legno ed alcol impattano l’impianto gustativo. 1 faccino :-)
Bianco Jakot 2005. Prolungata macerazione sulle bucce, spezie e zolfo, brodo di verdura, molto ostico. Si fa fatica a sentire il vitigno. Al palato invece impressiona positivamente, è più delicato delle attese. 2+ faccini :-) :-)
Quinto Quarto 2009. Pinot grigio con 3 giorni di macerazione. Bel naso di fragolina, bocca potente e fresca, sapido e continuo. 2 faccini :-) :-)

Ca’ de Noci (Emilia-Romagna)
Notte di Luna 2008. Moscato, malvasia e spergola per un vino di buona aromaticità, tannico ed acido.
2- faccini :-) :-)
Querciole 2009. Uva spergola rifermentata sui lieviti. Bello il naso, maturo in bocca con buona finezza.
1 faccino e mezzo :-)

Lusenti (Emilia-Romagna)
Colli Piacentini Malvasia Bianca Regina Vendemmia Tardiva 2007. Grande aromaticità, miele ed erbe, bocca secca, austera e profumata.
2 faccini :-) :-)
Colli Piacentini Gutturnio Tournesol 2007. Fermentazione spontanea. Beverino, vino quotidiano ben fatto e di discreta pulizia. Vinino!
1 faccino e mezzo :-)
Colli Piacentini Bonarda La Picciona 2004. Molta materia e meno eleganza, troppa concentrazione conduce ad un vino troppo tannico ed asciugante.
1 faccino :-)
Colli Piacentini Il Piriolo 2008. Malvasia di Candia appassita al sole. Vino terribilmente profumato, esotico, frutta secca (fichi, datteri e albicocche). Anche se manca di freschezza non ha una concentrazione esagerata e quindi risulta globalmente piacevolissimo.
2 faccini :-) :-)
Pistamota. Vino da uve stramature: bonarda passita che dona un vino ricco ma senza esagerazione. Emergono note di prugne, cacao, fichi secchi e caramella alla viola.
2 faccini :-) :-)

Camillo Donati (Emilia-Romagna)
Il Mio Trebbiano 2009. Come tutti i vini di Donati, il trebbiano ha una rifermentazione in bottiglia. Il naso è contrastato, poco definito. Semplice e scorrevole, anche troppo delicato.
1 faccino :-)
Il Mio Sauvignon 2009. Più complesso, con spuma più abbondante. Buona la materia, è lungo, sapido e gradevolmente amarognolo.
1 faccino e mezzo :-)
Il Mio Malvasia 2009. Naso selvaggio, pesca nettarina. Ancora austero al palato, persistente e dal bel ritorno aromatico.
2 faccini :-) :-)
Il Mio Malvasia Rosa 2009. Bel colore, naso di caramella, fragolina e dotato di una spuma equilibrata. Deciso il finale, ottima beva. Vinino!
2+ faccini :-) :-)
Barbera 2009. Quest’anno il vino risulta fermo, ma si fa piacere per gli aromi di frutta fresca. Pimpante, slanciato, spontaneo, grande personalità. Vinino!
2 + faccini :-) :-)
Il Mio Lambrusco 2009. Soffre di riduzione, meglio la bocca con poca spuma, profumata di violetta e more. Splendida beva e spontaneità da vendere. Altro vinino!
2 faccini e mezzo :-) :-)
Il Mio Ovidio 2009. Profondo, minerale (carbone) e mirtilli. Leggermente amarognolo e dolce, termina con un gran frutto.
2 faccini :-) :-)
Malvasia Passita Tango 2006. Naso di erbe macerate insieme all’aromaticità del vitigno. Dolcezza misurata, lungo anche se avrei preferito più acidità.
2 faccini :-) :-)

6 gennaio 2011

BioMASse


Enrico Lucarini
Acqua non addizionata di cloro. Sale integrale della Normandia. Pasta di grano duro essiccata in quarantotto ore. Burro da panna fresca. Habanero. Papavero. Nigella. Sesamo nero. La tentazione (soffocata) di aggiungere impunemente del parmigiano del presidio delle vacche bianche. Cottura passiva della pasta, come catechizzato da Elio Sironi per intenderci.
Ah, la salsa di pomodoro‽ Direttamente da Pozzuoli. Biotech. Ma non ogm: “mas”. Acronimo di Marker Assisted Selection. In questo caso da un incrocio di San Marzano e Black Tomato. Che dire, usualmente in campo biotech son molto conservatore, tanto quanto son filo rivoluzionario per le arti in cucina. Mi spinge a tale chiusura la consapevolezza del “non ritorno”, del fatto che reputo vi siano precipuamente interessi di pochi, sulla pelle dell’intera biosfera. In particolare mi spaventano le modifiche genetiche volte a creare resistenze, non credo sia corretto creare una superpianta che possa avere il sopravvento sulle altre, alterando equilibri stabiliti in millenni. E la salsa di pomodoro “mas”? Non lo so, la faccenda mi perplime, ho ripromesso a me stesso di rifletterci. Di sicuro la pasta era deliziosa.