31 maggio 2009

Di Matteo, Clinton e l'olio della friggitrice... una nota di colore

L'intervento che si legge qui di seguito l'ha, come si usa dire, postato Giustino Catalano a commento del mio pezzo sulla pizzeria Di Matteo di Napoli. Siccome non so quanti leggano i commenti, e visto che lo giudico un gran bel raccontare, lo pongo in rilievo in home page, a sé stante. a.p.

Giustino Catalano
Ho letto con piacere, come sempre, la tua bella newsletter e proprio l'articolo su Di Matteo mi ha riportato alla memoria quel giorno del G7 (era il G7) ed io abitavo per motivi lavorativi proprio all'ingresso di Via Tribunali, accanto al conservatorio.
Quella pizzettina da 1000 lire (tanto costava la pizza con la quale si faceva pausa in classico stile street food) ci costò svariate centinaia di milioni di lire.
Via Tribunali fu chiusa al traffico... anche pedonale, ed io che ero sceso per recarmi in Tribunale fui fermato da agenti in borghese della Digos che mi chiesero documenti e mi perquisirono sotto il portone di casa. Dopo essersi assicurati di essere in presenza di persona tranquilla mi suggerirono un percorso alternativo o, data la lunghezza dello stesso, di rimanere a casa.
Nel cielo andavano in giro elicotteri dei carabinieri con teste di cuoio per metà fuori degli stessi e, quando uscì sul terrazzino che dava su Napoli potei vedere sui terrazzi di vari palazzi uomini in divisa e in borghese armati... una pizzetta costosissima.
Di Matteo e la friggitoria...
Hai provato la pizza fritta. Quel piccolo gioiello che viene calato nel nero (nerissimo) olio bollente e diviene enorme? Quella che quando l'addenti trovi un soffice ripieno di ricotta, annerito dal pepe, con salame di Napoli, e mozzarella?
Quella è la versione più nobile dello street food partenopeo, il diretto discendente dell'ormai scomparso panino cicoli (ciccioli di maiale) ricotta e pepe.
Quel panino che ricordo vendersi con carretti di fortuna, per i vicoli della Napoli che non esiste più, al grido di "facite marenn!" (fate merenda)... se l'hai persa dovrai riparare alla prossima!
L'olio nero, che suggerirebbe ai più savi di desistere dal prendere il fritto, è proprio la misura con la quale i napoletani scelgono la friggitoria dove acquistare... più è nero meglio è!
E in quella napoletanità che li rende simpatici, facendo dimenticare le tante contraddizioni e assurdità, prima di entrare e riferendosi a se stessi ed ai propri commensali sono soliti dire... "jamm, ca' oggi facimm o' cagn' e' l'uogglio!"...", andiamo, che oggi facciamo il cambio dell'olio".

Garganega Camporengo 2008 Le Fraghe

Angelo Peretti
Ora, mi sa che con Matilde dovrò arrabbiarmi un pochettino. Già, perché, molti lo sanno, m'occupo istituzionalmente del Bardolino, e considero un po' da sempre, e anche questo non è un mistero, il Bardolino dell'aziend'agricola Le Fraghe, di Matilde Poggi appunto, una sorta di benchmark della denominazione bardolinista (e simil ragionamento vale per il suo Chiaretto). E che ti fa invece coll'ultima vendemmia questa benedetta donna? Tira fuori, certo, il solito superBardolino (e il solito superChiaretto, pure) ma ci mette accanto una Garganega di quelle che ti si stampano in testa e non te la scordi più.
Non me ne vogliano gli amici soavisti, ma questa qui stavolta con la garganella ha fatto uscire dal cilindro magico un bianco che può competere coi vostri cru dei vulcani.
Naso tra la mela croccante, il litchie e l'idrocarburo (quasi da Riesling alsaziano, perbacco).
Bocca polposa, vibrante, tesa. Fruttata, minerale, perfino speziata. E anche gradevolissimamente acidula di pompelmo. Di lunga persistenza e appagante beva.
Confesso: non me lo sarei aspettato un bianco del genere dalle parti di Cavaion. Eppoi lei, Matilde, che ti fa un bianco da mettere in riga anche il Bardolino?
Delitto di lesa maestà... E comunque, gran bianco.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

29 maggio 2009

Consigli per il mercato Usa: bottiglie leggere e tappi a vite

Angelo Peretti
A parte che ha detto che questo mio InternetGourmet "è ben scritto, preciso, succinto; una combinazione rara nella prolissa Italia". A parte questo, di cui gli son grato, Terence "Strappo" Hughes (nella foto qui accanto) è uno che di vini italiani se n'intende, pur standosene dalle parti di Nuova York.
Suo è Mondosapore, un bel wine magazine dedicato all'italica cultura enoica. E poi è partner di Domenico Selections, importatore di vini italiani negli States. E ne cura il blog, su cui ho letto le (troppo) belle cose su di me che ho citato sopra.
Ma proprio su Muddy Boots, il wine blog, appunto, della casa d'importazione, Terry (Terence) ha pubblicato di recente un post che credo ogni vignaiuolo delle nostre parti dovrebbe leggersi per bene. Titolo: "Some practical advice for Italian wine producers", ossia "Alcuni suggerimenti pratici per i produttori italiani di vino". O almeno per quelli che sperano d'esportare un po' delle loro bottiglie negli Stati Uniti, in questi tempi di crisi. Tempi, si badi, nei quali gli americani che bevevano vino non hanno smesso di comprarne. Solo che vogliono spendere meno.
E i suggerimenti son due, e sembrano piccola cosa, ma così non è, credetemi. E per me, che predico (quasi invano) cose simili da un po', son zuccherini.
La prima delle due ricette non solo piace ai distributori e ai consumatori di là dell'Oceano, ma è anche quella più ecologicamente responsabile: usare bottiglie più leggere e meno costose. Proprio così. Perché utilizzare bottiglie lunghe e pesanti per un vino che costerà attorno ai 10 dollari?
Per i vini più economici, adoperare una bottiglia di vetro spesso "è una pazzia", secondo Hughes. "Costa di più spedirla, fa spreare più energia e non serve ad altro che dar soddisfazione all'ego del produttore". Qualcheduno magari s'illude che la super bottiglia costituisca una mossa ad effetto in termini di marketing? Nient'affatto. "Per me - scrive il wine blogger a stell&strisce - è più un segno che quel produttore sta cercando di coprire quel che ritiene sia una deficienza del vino".
Poi, l'altro suggerimento per gl'italici vigneron, o almeno "per quei pochi fra di loro che abbiano voglia di prenderlo in considerazione per un momento": usare il tappo a vite, lo screw cap. "Se il vostro vino andrà venduto al dettaglio per qualcosa come 15 dollari negli States - dice Hughes -, credetemi, verrà ritenuto un vino da bere giovane. Certo, lo screw cap potrà non urlare al pubblico la parola 'classe', ma suggerisce invece che il vino è fresco e che si beve facilmente. Abbracciatela, quest'idea".
Uno, due: bottiglia leggera, tappo a vite. Condivido, approvo, gradisco. Peccato che in Italia su questi due temi ci siano delle assurde, snobistiche resistenze. Quel che conta dovrebbe essere il vino, e invece...

28 maggio 2009

C'è la crisi? E allora tutti al cameggio!

Angelo Peretti
La crisi, la crisi. Tutti che han paura della crisi (e un po' di strizza, ammetto, c'è da averla). C'è chi si piange addosso e chi dice che invece occorre essere ottimisti. E quando si parla di turisti, d'ospitalità, d'accoglienza, la parola d'ordine è una sola: "professionalità".
Insomma: alla crisi si scampa offrendo il meglio, il massimo. E allora dagli con lo spiegare - giornali, convegni, workshop e chi più ne ha più ne metta - come ha da esser la "nuova" professionalità turistica.
Poi passi per una località di villeggiatura e vedi un cartello scritto a mano. Che t'invita a svoltare per il cameggio. Cameggio? Sì, cameggio.
Lì per lì ci resti. Una nuova trovata? Una nuova attrazione? Una nuova forma d'aggregazione?
Macché: un errore di scrittura. Campeggio, volevano dire.
Ecco, non c'è dubbio: la nuova professionalità del turismo è lì pronta a nascere. D'altro canto, ormai chi ci fa più caso alla grammatica, all'ortografia, nell'epoca degli sms?

27 maggio 2009

Antica Pizzeria e Friggitoria Di Matteo - Napoli

Angelo Peretti
La notizia fece il giro del mondo: durante un passaggio da Napoli - mi pare per il G qualcosa - il presidente americano Bill Clinton volle provare la vera pizza, quella della tradizione. E lo portarono da Di Matteo, in pieno centro storico, dentro quei vicoletti nei quali probabilmente non si sarebbe mai azzardato a passare senza scorta.
Per conto mio, da Di Matteo ci sono stato due volte, una l'altr'anno, una di recente. E in effetti, ragazzi, la margherita come la fanno lì credo sia difficile trovarla altrove.
Cos'ha di speciale? Ha che il pane sa di pane, il pomodoro sa di pomodoro, la mozzarella sa di mozzarella, il basilico sa di basilico, e scusate se è poco.
E buonissimi sono anche i fritti: le crocchette, le arancine, e soprattutto le frittate di pasta (pasta a tubetto, besciamella, mozzarella, schiacciati a mo' di polpetta, impanati e fritti). E pensare che il pentolone per la frittura, a me che son patito dell'extravergine, mi rendeva riluttante: merito del taxista se ho vinto il ritegno e li ho mangiati, i fritti.
Ora, non aspettatevi chissà che locale. I tavolini non hanno alcuna tovaglia. Le posate le trovate sopra una salvietta di carta. I bicchieri sono di carta pur'essi. Però la roba è buona e i prezzi bassissimi: la marinata a 2 euro e mezzo, la margherita a 3.
L'ultima volta eravamo in quindici. Abbiamo mangiato un sacco, lasciando buona parte dei fritti sul tavolo, ché sennò scoppiavanmo. Conto: 110 euro in tutto. Ma dove lo trovi un altro posto così?
Antica Pizzeria e Friggitoria Di Matteo - Via dei Tribunali, 94 - Napoli - tel. 081 455262

26 maggio 2009

Prosciutto di cinta senese Macelleria Fracassi

Angelo Peretti
Strane cose accadono a chi fa il globetrotter fra una manifestazione enoica e l'altra. Per esempio, andare a un evento a Napoli per parlare dei vini rosati del "tuo" lago di Garda e tornare indietro avendo stampato nella memoria uno strepitoso prosciutto toscano. Viva l'Italia.
Il prosciutto in questione l'ho tastato al tavolino di Simone Fracassi, patron della "Macelleria Fracassi dal 1927", come dice il biglietto da visita. E la bottega è a Rassina, in provincia d'Arezzo: un posto che senz'il Tom Tom probabilmente non troverei mai.
Ma se passate in terra aretina, cercatevelo 'sto posto, perché il prosciutto - carne di maiale di cinta senese - è di quelli che te ne basta una fettina per far pranzo, da tant'è profumato. E in bocca è setoso, perfino.
Se tanto mi dà tanto, mi sa che anche la finocchiona (che non ho mess'in bocca perché ho dei problemucci coll'aglio) e le carni da macelleria son di quelle da fuori di testa (non mi stupisce che l'invitino un po' dappertutto, perfino in tv, 'sto norcino).
Fatemi sapere, in caso abbiate modo d'approfondire.

25 maggio 2009

Aglianico del Taburno 2006 Fattoria La Rivolta

Angelo Peretti
Ho provato i vini di Paolo Cotroneo e della sua Fattoria La Rivolta - da Terracuso, nel Beneventano - in una situazione non ottimale: dentro le stanze di Castel dell'Ovo, a Napoli, durante Vitigno Italia, verso sera, stanco, accaldato.
Vedevo che chi passava di lì, immancabilmente domandava d'assaggiare (bere) l'Aglianico Riserva. Che è, in effetti, un bel vino.
Quasi tutti snobbavano invece l'Aglianico "base", e sinceramente m'è difficile capire perché. Forse soltanto perché l'altro è premiato dalle guide e questo qui no?
E invece 'sto Aglianico del Taburno del 2006 è di molto interessante, a mio parere. E pensare che esce in commercio solo fra due mesi, e dunque avrà ancora modo di affinarsi, di ingentilirsi.
L'ho trovato affascinante soprattutto all'olfatto: bel frutto, rosso, tanto, e poi la speziatura.
In bocca si distende. E ancora è il frutto a farsi avanti, netto. Il tannino non è opprimente, di certo, e vira anzi di già verso il velluto. E la beva è garantita da una buona freschezza.
In cantina lo si prende a 9 euro, e se passassi da quelle parti, a questo prezzo una scatola me la comprerei. Come si fa a snobbare una bottiglia così?
Due lieti faccini :-) :-)

24 maggio 2009

Südtiroler Kerner 2006 Niklas

Mauro Pasquali
Questa volta credo proprio di aver compiuto un infanticidio. Ma tant'è: la voglia di provare una bottiglia di Kerner di Niklas mi ha fatto dimenticare che questo vino, ottenuto dall'omonimo vitigno originato da un incrocio tra rieslilng renano e trollinger, non solo è rarissimo, ma ha una spiccata predisposizione all'invecchiamento. Se poi aggiungiamo che l'azienda dedica a questo vitigno meno di un ettaro, la frittata è fatta!
Ma che vino, signori! Aromaticità e frutta bianca, pesca ed albicocca in primis, armoniosamente fuse insieme. Pieno e caldo in bocca ma, al contempo, una freschezza ed una mineralità incredibili. Questo Kerner matura cinque mesi in acciaio sui propri lieviti, mentre un 10% viene messo in botti di rovere non nuove. Il risultato è un vino con una piacevolissima beva che non fa rimpiangere il fatto di averne aperto, forse troppo presto, una bottiglia.
Piacevole anche il prezzo: meno di 9 euro.
Due beati faccini pieni e convinti :-) :-)

22 maggio 2009

Il pepe, la tradizione: Villa Monteleone, Valpolicella

Angelo Peretti
Il professor Raimondi l’ho incontrato senz’incontrarlo, anni fa. Ero andato a visitare l’azienda agricola che lui, chirurgo sognatore americano, aveva impiantato nel cuore della Valpolicella, a Gargagnano. Ma s’era dovuto assentare. Mi pare fosse da qualche parte in Scandinavia. Quando sono arrivato in villa, ha chiamato al telefono, e così il giro in cantina l’ho fatto parlandoci al cellulare. E mi spiegò che era arrivato in Italia col sogno di tutti gli americani benestanti: appena in pensione, via a far la dolce vita nel bel paese. Destinazione Liguria, mi pare, a giocare a golf. Ma dopo un po’ ci si stufa anche di far niente e di giocare a golf. E allora, un amico gli ha consigliato la Valpolicella. Fu amore a prima vista. Poi è improvvisamente mancato, e l’azienda, Villa Monteleone, l’ha portata e la porta avanti la moglie, Lucia Duran.
Ci ho messo purtroppo del tempo ad accettare il suo invito a una nuova visita in azienda. E ora che son passato, grazie all’insistenza del suo factotum Raffaele, eccomi a raccontare di quei suoi vini che sanno di pepe e di tradizione. Del pepe dirò dopo. Per la tradizione, dico che fa specie che a fare rossi valpolicellesi della classicità sia una donna originaria di Bogotà e cresciuta negli States.
Il pepe. Ecco: l’ho trovato una specie di costante, di filo conduttore dei quattro vini di Villa Monteleone: il Valpo base, il Ripasso, l’Amarone, il Recioto. Tutti profumatamente pepati, piccantemente pepati, intrigantemente pepati. Vuoi vedere che c’entra il terroir? Parola grossa, il terroir, da queste parti: eppure…
Che dite? Che possono essere artifici di cantina? Direi di no: mi fido del consulente di Villa Monteleone, quel Federico Giotto che ritengo – l’ho già scritto – un genietto. Qui, a mio parere, c’entrano proprio l’uva e la terra. E la volontà di donna Lucia di lasciar da parte le seduzioni modaiole. “Il mio desiderio – mi dice col suo accento latino-americano – è di fare vini molto tradizionali. Non mi piace l’idea della globalizzazione dei vini. So che sarebbe quello che desidera il mercato, ma prima o poi il pendolo tornerà verso la tipicità. Produco solo 30-35 mila bottiglie, e non posso credere che in giro per il mondo non ci siano 30 mila persone che la pensano come me”. Parole sante.
I vini che ho tastato, adesso.
Valpolicella Classico Campo Santa Lena 2007
Esce tardi, il Valpo basic di Villa Monteleone (il 2008 sarà fuori solo l’anno prossimo). Gran profumo in stanza alla stappatura. Subito il pepe e la mora, all’olfatto. E tracce erbaceo-speziate. Bocca fresca. Un che di minerale. E lunghezza.
Due lieti faccini :-) :-)
Valpolicella Classico Superiore Ripasso Campo San Vito 2006
Vino amato dalla signora Lucia: “È importante, ha corpo, ma non è complicato da abbinare”. Esatto. Ed ha un profumo stratosferico: ciliegia stramatura, garofano, fiori macerati. Buccia d’arancia candita. In bocca, ecco ancora il pepe. E frutta. Ma un accenno di rovere un po’ mi attenua la dinamicità.
Due lieti faccini :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella 2005
Chi è in cerca invece d’un rosso amaronista di quelli old fashioned, secchi il giusto, qui trova una soluzione eccellente. Che gran florealità che ha il naso. E che tensione che ti trovi al palato. E c’è lunghezza fruttata, e vena ancora e sempre pepata, e buona freschezza, nonostante l’alcol. Credo sia gran rosso da invecchiare. E non sono esattamente un amaronista...
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Recioto Classico della Valpolicella Pal Sun 2005
M’è capitato spesso d’affermare che un vino dolce se ha giusta acidità lo puoi portare in tavola senz’aspettare il dessert. Questo Recioto risponde ai miei (secondo alcuni) curiosi standard. C’è ciliegia maturissima, uva passa, e ovviamente dolcezza, ma anche freschezza avvincente. Un po’ di bottiglia lo renderà ancora più convincente. Il pepe? Ovvio che c’è anche qui.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

21 maggio 2009

Vineria - Treviso

Angelo Peretti
Adesso vi racconto di hambuger e patatine fritte. A chilometro zero, però, come si usa dire oggi. Li ho sbafati alla Vineria, un locale bomboniera in pieno centro (il centro bellissimo e ristrutturato con eleganza) a Treviso.
Prima di proseguire con l'hamburger, faccio un passo indietro.
La Vineria della piazza del Quartiere Latino è una mini boutique gastronomica all'ingresso, e poi è una saletta col pavimento in legno e vetro, che lascia veder, sotto, un corso d'acqua che passa (e c'era un cigno propio sotto di noi, in attesa di predare qualche pesce, e un'altra volta ho intravisto delle trote addirittura). E dalle finestre ancora il fiumiciattolo e una ruota d'antico mulino (ce n'erano tanti, in passato, nella cittadella). E puoi mangiare, d'estate, anche sul terrazzino: una decina di posti appena.
Ma torno all'hamburger. Buonissimo. Fatto con la carne dell'azienda dei Collalto, nobili di Susegana, terra trivigiana. Aveva insieme, nel piatto, chips sottili come quelle dei sacchetti, ma fatte con le patate tagliate & fritte al momento. E sopra un filo d'un buon olio.
Fa parte, il piatto, d'un piccolo menù degustazione locale. Di cui ho provato anche l'ottimo tortino d'asparagi. Ma c'è altro da scegliere alla carta.
Ed è bella la lista vini, e anche la selezione al bicchiere. Ci ho bevuto un metodo classico "private label" della Vineria, realizzato dai Loredan Gasparini, sul Montello: bolla interessante, ricca di lievito.
Ah, chi il dessert volesse mangiarselo facendo due passi in centro, sappia che sulla piazzetta si affaccia Grom, filiale della gelateria più in che ci sia oggi in Italia. Coi gelati fatti coi prodotti dei presìdi di Slow Food.
Vineria - Piazza del Quartiere Latino - Treviso - tel. 0422 419787

Dry Rielsing Eticheta Neagra Premiat 2008 Murfatlar

Angelo Peretti
Prima volta che scrivo delle cose su un vino rumeno. Me l'ha regalato un amico, Adrian. Un bianco. Della linea Premiat, che, mi par di capire, è la base di quest'azienda - e anche qui cerco d'interpretare - che rappresenta il maggior imbottigliatore di Romania: la Murfatlar (stesso nome della località, abbastanza reputata sotto il profilo vinicolo).
Il bianco in questione è un riesling. Mica renano: italico (riesling italian, si legge), ed è già una notizia. Un igt: indicazione geografica Colinele Dobrogei. Si chiama Eticheta Neagra, etichetta nera. E poi leggi: dry riesling e, sotto, demisec. E fai un po' fatica a capire: sarà secco o morbido?
Risolvo: morbido.
Non fa impazzire, ma servito freddo (parecchio freddo) è piacevole. Da tenere in frigo, da stappare in piena estate per un brunch disimpegnato. Col pesce, col prosciutto e melone.
Fruttatino, quasi un po' sauvignoneggiante con quelle note d'ortica che s'intersecano coi fruttini gialli maturi. Ed ha una buona freschezza.
Un faccino :-)

18 maggio 2009

Champagne Grande Rosé Montaudon

Angelo Peretti
Premesso che mi piacciono le bollicine, ma non necessariamente in rosa, nel caso dello Champagne, perché di gran lunga amo di più i blanc de noirs. Premesso questo, dipende da cosa chiedete a uno Champagne rosé.
Se cercate polpa e profondità è un conto, se siete in cerca di freschezza fruttata è un altro. Ecco, quest'etichetta, il Grande Rosé di Montaudon (maison storica) va bene nel secondo caso. Statene certi.
Fruttino di bosco, mirtillo soprattutto, al naso e in bocca. Una morbidezza (fruttata, intendo) che piace al primo impatto. E una freschezza quasi salina che vi s'innerva. E una bolla direi ben modulata. E poi la torta di fruttini di bosco. Più che la torta, i pasticcini di frolla ai frutti di bosco.
Un buon bicchiere per l'estate.
Due lieti faccini :-) :-)

17 maggio 2009

La cucina nazionale americana

Flavio Tagliaferro
La James Beard Fundation, che assegna ogni anno il James Beard Award agli chef che si distinguono per eccellenza negli States, si è posta recentemente una sacrosanta domanda: “Esiste una coerente cucina nazionale americana?” Nel paese che, insomma, nel bene o nel male, detta i trend nel mondo della ristorazione?
Ovviamente sull’argomento è stata fatta una ricerca. Un sondaggio on line diretto a 250 tra i più noti esperti di cucina negli Stati Uniti.
Ai partecipanti è stato chiesto di rispondere sì o no alla domanda: “Pensate che esista una cucina nazionale americana? Se sì, come potete definirla? Se no, spiegate il perché”.
Una cosa piuttosto seria insomma.
Il 90,8% degli intervistati ha dichiarato che sì, esiste una cucina nazionale.
La sorpresa, da parte mia, è che nel paese simbolo dell’emancipazione femminile, dove le donne cucinano, almeno negli ultimi cinquant’anni, poco o pochissimo, è ancora la cucina della mamma a segnare i ricordi emozionali legati al cibo e i riferimenti alla tradizione.
Cosi il Thanksgiving dinner e le parole come home, confort and tradition hanno marcato le risposte degli esperti.
Il 34% ha poi usato la parola regional a significare un’identità ancora più profonda, legata spesso al tipo d’immigrazione avuta in specifiche aree del paese.
A tutti gli esperti è stato poi chiesto di nominare cinque piatti che rappresentino la cucina nazionale, o meglio la quintessenza della cucina nazionale americana.
Se volete divertirvi, potete tirare ad indovinare prima di leggere i piatti qui sotto:
Ecco la lista:
Hamburger and cheeseburger 44,4%.
Barbecue (vi assicuro che qui è una vera e propria arte).
Fried chicken.
Macaroni and cheese.
Apple pie.
Versioni regionali di questi piatti sono frequenti.
La cosa interessante è che più di qualcuno ha risposto che l’identità culinaria americana consiste nella mancanza d’identità.
Di fronte alla lista di cui sopra, anche gli organizzatori del sondaggio sostengono che la cucina americana è qualcosa di più dei piatti elencati: “La cucina americana è l’accettazione e la valorizzazione di quelle diversità culturali che hanno fatto l’America”.
Pienamente d’accordo!

10 maggio 2009

Barolo Cannubi 2003 Damilano

Angelo Peretti
Sì certo, l'estate del 2003 ce la ricordiamo tutti, con quella calura. E dunque quella non è stata certamente la migliore annata per i rossi, e soprattutto per quelli che di solito le carte le giocano sull'eleganza, sulla finezza. E sulla capacità di durare nel tempo. Di solito, quelli che ne sono usciti dall'uve surriscaldate di quell'anno, son vini più immediati e fruttatoni.
Ordunque, capisco che anche in terra barolista non si son generalmente fatti dei Barolo indimenticabili. Epperò questo qui, il Cannubi dei Damilano, l'ho bevuto gran volentieri, e se n'avessi in cantina un altro paio di bottiglie non mi dispiacerebbe affatto.
Vero: la frutta è stramatura, il fiore è macerato. E credo non sia boccia da tener lì anni, ché è vino già pronto da star nel bicchiere, e anche il tannino s'è di già ben levigato. Ma nella sua immediatezza - se immediato può essere un Barolo, ed anzi comprendo che è un azzardo usare 'sto termine - è un rosso che m'è piaciuto.
Al naso e in bocca, dunque, il frutto s'interseca con le violette appassite, col cacao amaro, con la liquirizia. E, sul fondo, c'è quasi un sentore di chinotto, o magari d'arancio amaro in confettura.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

9 maggio 2009

Trattoria La Brinca - Ne

Angelo Peretti
Lasciata la riviera di Levante - Liguria -, sali e sali e son tutti tornanti, strettini e a gomito, e ti par di essere ormai in piena montagna quand'arrivi a Ne e invece chiedi e ti dicono che sono appena 150 i metri d'altitudine, e ti senti un po' meno eroe per l'ascesa. Che poi dentro ti par proprio d'essere in una specie di baita di montagna, con quelle travi di legno in sala. E anche il mangiare è montanaro, e la castagna (e la sua farina) domina la scena.
La Brinca è definita trattoria e caneva con fùndego da vin, e la lista dei vini è proprio impressionante qui, e a cercar bene nel librone ci trovi gran belle cose, e a prezzi davvero buoni, e insomma varrebbe la pena salirci anche solo per scegliersi la bottiglia giusta per far serata. Io per esempio ci ho tirato fuori il Pigato U Baccan 2004 di Riccardo Bruna, e in carta c'erano anche il 2005 e il 2006, e il prezzo era più basso che nell'enoteche.
Ma si badi: la cucina non è da meno: un bel match, quello fra piatto e bicchiere.
Per aprire, c'è bella scelta d'antipasti, e se ti fai prendere dall'indecisione, c'è sempre l'opzione dell'assortimenti misto, che è opzione da seguire a occhi chiuso. Poi ravioli e pasta con l'erbe di stagione e i gnocchetti al pesto (profumatissimi) eppoi carni al forno e una selezione di piccole produzioni casearie locali.
Consiglio la visita alla cantinetta: Sergio Circella, il contitolare, l'uomo dei vini, non si farà pregare.
Da tenere assolutamente in agenda per la vacanza ligure: occorre però ricordarsi di prenotare, sempre.
Trattoria La Brinca - Via Campo di Ne, 58 - Ne (Genova) - tel. 0185 337480

7 maggio 2009

Trattoria Cà Orsa - Affi

Angelo Peretti
La Caorsa è una minuscola contrada di poche case e d'una chiesetta (bellina, piccina picciò, con quel che resta d'un affresco dell'Ultima cena) fra Cavaion ed Affi, su quella ch'era la vecchia strada di collegamento, prima che s'aprisse la via che oggi conduce ai centri commerciali e all'Autobrennero. Siamo nell'entroterra del Garda, e il casello autostradale sarà sì e no a un chilometr'e mezzo. Ma pur vicini (o poco lontani, fate voi) al via vai automobilistico, qui ti pare di star fuori dal tempo. E c'è quiete.
Ecco, in contrada c'è una trattoria di quelle d'una volta. Ben tenuta, ma senza fronzoli. E d'estate si mangia all'aperto, sotto a una tettoia.
Appena entrati, il bar, con frigo vecchio della Coca Cola ancora funzionante. Di là la saletta.
A condurla, questa trattoria Cà Orsa, è un giovane, Lorenzo Benamati, che è fedele alla tradizione di famiglia. E dunque ecco che in tavola ti porta piatto d'antan: le trippe, il baccalà, la pasta e fagioli, gli gnocchi, il bollito. Tutto ben fatto. E i contorni non sono da meno. Complimenti. Anche per via del prezzo, che è da trattoria vera, e dunque non ti pela.
Vini? Pochi, tutti della zona, a buon prezzo anche quelli. E se magari Lorenzo comprasse qualche bicchiere un po' migliore, si potrebbero goder meglio quelle bottiglie (qualche difetto glielo dovrò pur trovare a 'sto locale, no?).
Provate: credo proprio sarà una sopresa.
Trattoria Cà Orsa - Loc. Caorsa 7b - Affi (Verona) - tel 045 7235039

6 maggio 2009

Baùsk: la fascina del merlòt

Angelo Peretti
Ohi, ohi: qui adesso va a finire c'è qualcuno che si mette a pensare che ci sia del torbido. E anche quest'incipit non aiuta: excusatio non petita... Ma tant'è, se uno vuol pensar male, comunque lo fa, e dunque sappiatelo: è giusto un caso che su quest'InternetGourmet si parli per due volte di fila di un'azienda trevigiana, Val del Lovo, e de' suoi vini. Casualità assoluta: quando Mauro Pasquali m'ha mandato la sua mail con la recensione del Salariato, io stavo giusto stappando la bottiglia di Baùsk che m'aveva donato un mesetto abbondante fa Aurora Endrici, donna del vino.
Ora, dico che l'azienda non la conosco: mai stato a vederla. Conosco, certo, Susegana, ed è terra bellissima. Prosecchista. Ma nell'aziend'agricola di Luca Ricci non ci sono entrato mai, per ora.
Mi si dice che lo strambo nome del vino che ho nel bicchiere, ed è un merlot e solo merlot, vien dal dialetto del posto: baùsk sarebbe la fascina di tralci di vite. Una volta, i potatori se la portavano a casa per il focolare. Tempi grami. Mi si racconta anche che da un baùsk di marze sarebbe stato riprodotto un vigneto più che sessantenne, che di lì a poco, per questioni ereditarie, avrebbe cambiato proprietà: me ne parla Paolo Ianna, wine lover, in una mail che m'ha fatto avere, mercé l'intercessione d'Aurora. E lui, Paolo, mi spiega anche che si tratterebbe - dico delle marze - d'una vecchia tipologia di merlot (da quelle parti mica lo pronunciano alla francese, merló, bensì alla venetica, con tanto d'accento bello schioccante e con sonora t finale, merlòt), acclimatatasi col tempo, e quindi sui generis (miseria quanto latino che ci sta in questo pezzo).
Poi, poco m'importa che l'allevamento sia "un cordone speronato molto castigato a bassa produzione", ché n'ho provato di vini partiti da buone uve, epperò massacrati in cantina da apprendisti stregoni e fattucchiere militanti che concentrano all'inversomile e aromatizzano co' legni franzosi, sloveni, americani e via discorrendo. Quel che m'interessa è provare il vino nel bicchiere. Prima un sorso, e poi, se c'è beva giusta, un altro e un altro, e se c'è buona compagnia la bottiglia si svuota. Confesso: di bicchieri ne ho bevuti tre, e dunque m'è piaciuto il Baùsk. Nonostante...
Già, nonostante io, che amo i vini di Bordeaux - soprattutto quand'invecchiano - sia sempre riluttante quand'ho a che fare coi bordolesi di casa nostra. E dunque, quando tasto carbernet e merlot ammetto che parto un pochetto prevenuto. Anche stavolta.
E invece eccomi qua a dire che il vino l'ho trovato buono. E c'è tanto, tanto fruttino di già al naso, e t'aspetteresti - e dubiti: che malfidente... - di trovarti in bocca magari la solita marmellatona, magari legnosetta, dei supervattelapesca di moda filoamericana. E invece no. E invece in bocca ecco ancora il fruttino, tanto, tantissimo, ma anche una beva invitante, appagante. E 'sto rosso delle colline della Marca - igt Merlot Colli Trevigiani - accompagna la tavola che è un piacere. Ed è dunque succosità fruttata, e poi spezia, e un filo di dolcezza ben equlibrata dal tannino.
Buon vino. Se son rose, lasciate che fioriscano: da seguire, 'sta Val del Lovo (se non sbaglio, lovo è il lupo, dialetto venetico).
Consigli? Uno. Non sul vino, però. Sulle presentazioni, internet ed etichette: un po' di leziosità in meno gioverebbe, ritengo. Ma sono solo pensieri miei.

5 maggio 2009

Salariato 2005 Val del Lovo

Mauro Pasquali
“Vogliamo dedicare questo vino all'amico Silvio, povero salariato agricolo”: non bastasse questo incipit riportato sull'etichetta, questo prodotto, che proviene da Conegliano (e una volta tanto non è un Prosecco) mi ha stupito per le sue qualità.
Taglio di merlot (65%), cabernet sauvignon (30%) e carmenere (5%), mi ha donato, al naso, complessi aromi di cuoio, spezie, cioccolata, tabacco, con una evoluzione continua e che continuava a stupirmi.
In bocca una grande freschezza da farmi controllare se, per caso, avevo letto male l'annata. Giusta tannicità accompagnata da grande lunghezza.
Alla fine lascia la bocca piacevolmente pulita.
Un buon prodotto, ancora più buono considerando il prezzo: 8 euro in cantina.
Due beati faccini pieni e convinti :-) :-)

3 maggio 2009

Il vino e i problemi del maschio

Angelo Peretti
Ho letto su Wine Spectator, eno-rivistona americana, una notizia d'un qualche conforto.
Premetto che il magazine a stell'e strisce ha una pagina sulla scienza, dove pubblica informazioni su quanto di buono fa il vino per la salute.
Stavolta ha un po' sovvertito l'ordine delle cose, dicendo invece quanto non fa di cattivo.
Ordunque, bando agl'indugi, ché la notizia, proveniente da una ricerca scientifica condotta in Western Australia, è questa: il bere con moderazione potrebbe (e pazienza se il verbo è al condizionale) non avere correlazione con la disfunzione erettibile.
Fiuuuu!

2 maggio 2009

Enoteca con ristoro del Caffé Defilla - Chiavari

Angelo Peretti
Ci son capitato per caso. Cercavo un altro locale, ma non ne ricordavo la collocazione. Ho intravisto invece dai portici (che belli i portici di Chiavari!) la sala di quest'enoteca-bistrot: boiserie, tante bottiglie. Una lavagnetta diceva che ci si può anche mangiare. Sono entrato. E se ripasserò da quelle parti, ci tornerò.
L'Enoteca con ristoro del Caffè Defilla (l'intitolazione è proprio questa, lunga assai) si fregia del titolo di locale storico. Da una parte il bancone, sugli altri tre lati è pieno zeppo di bottiglie: ragazzi, quante ce n'è! Qui e là tavolini. In mezzo un tavolone, con casse di vino e riviste e libri, e ci si può sedere anche lì, informalmente. E scegliere magari un calice dalla lista del giorno.
Mi han dato un tavolo d'angolo, e lo scaffale di fianco era quello della Francia. E ci ho visto roba che mi faceva proprio gola, e a prezzi, in taluni casi, di certo interessanti. M'han tentato tre bottiglie del Madiran di Chateau Montus, anno 1989. Pensate un po': già trovare un Madiran in Italia è mica consueto, e di vent'anni poi... Una delle bocce di Montus l'ho fatta stappare: vino rusticissimo (e un pochettino su toni da pellame, da brett), ma anche dal bel tannino, dalla freschezza invitante, dal fruttino succoso. Piacevole, a mio dire (cosicché mi son comprato anche le due restanti).
In tavola, prima un ottimo salame d'Appennino accompagnato dalle fave fresche, eppoi un buon risotto con le seppioline (salatino, magari, ma in Liguria mi par proprio che ci diano dentro col sale). Il dolce l'ho preso nell'adiacente e comunicante pasticceria.
Leggo su Tigulliovino (la foto l'ho presa da lì, confesso) che a condurre il locale è un sommelier Ais, Sergio Rossi. Grand'appassionato, e uomo di simpatia.
Enoteca con Ristoro del Caffé Defilla - Corso Garibaldi, 4 - Chiavari (Genova) - tel. 0185 309829