30 novembre 2009

San Martino e l'oca in onto: fra paganesimo e cristianità

Angelo Peretti
Ho accennato ieri all'oca in onto, che è presidio veneto di Slow Food: carne d'oca conservata nel grasso dello stesso animale. Poco lontano dalle mie parti, a Valeggio sul Mincio, un tiro di schioppo dal lago di Garda, la stessa usanza gastronomica porta il nome di ochéti. La mia ipotesi è che si tratti d'una tradizione che attesta la persistenza di culti pagani.
L’oca si uccideva in novembre. A Valeggio e in tante parti del Veronese, il giorno di santa Caterina, il 25 di novembre: "A Santa Caterina se copa l’ocatina" diceva il proverbio. Ma santa Caterina secondo me c'entra poco. Perché trovo più interessante pensare a un paio di settimane prima: 11 novembre, san Martino.
In terra veneta nel giorno di san Martino s'usava mangiare un galletto: "A san Martìn se màgna el galéto". Ma in Emilia invece - lo ricorda il marchese Vincenzo Tanara nel Seicento - a san Martino si mangiava l’oca, perchè "essendo egli stato un Vescovo vigilantissimo, li Cristiani per solenizzar la di lui festa con allegrezza, alludendo a questa virtù, mangiano l’oca". E che le oche abbiano carattere guardingo è noto: ricordate gli schiamazzi che fecero quando i Galli tentarono d'espugnare il Campidoglio?
Ora, mi domando: e se vi fosse stata una traslazione dell’usanza di un paio di settimane? Se cioè il galletto dei veneti altro non fosse che un relitto di un’usanza più antica, e cioè quella di cucinare l’oca a san Martino? Usanza poi traslata fino a santa Caterina? Della cosa non ci sarebbe da stupirsi: santa Caterina, martirizzata con la ruota, è patrona dei mugnai, gente che aveva dimestichezza coi corsi d’acqua, e sul Mincio, a Valeggio, c'erano parecchi mulini. E sui corsi d'acqua s’allevavano le oche. E dunque i mugnai possono essersi "appropriati" dei riti di san Martino in favore della loro protettrice.
L’insistenza su san Martino è motivata dal fatto che l’iconografia del santo è accompagnata proprio da un’oca. Il che ha una spiegazione leggendaria: si dice che furono questi animali a rivelare con le loro strida il luogo dove s’era nascosto il Santo quando non voleva accettare l’elezione a vescovo.
Non solo: m'intriga il fatto che il giorno di san Martino fosse il primo del calendario rurale: vi si stipulavano i contratti di mezzadria. Per i contadini, insomma, la festa di san Martino era un vero e proprio "capo d’anno". E secondo Alfredo Cattabiani questo capo d’anno rurale "si riallaccia al Samuin celtico che durava per una decina di giorni".
Ora, i Celti consideravano l'oca un animale sacro, simbolo del "messaggero dell’Altro Mondo". Oche addomesticate, intoccabili, erano presso i santuari. E cos'è la stessa conchiglia dei pellegrini cristiani di Santiago de Compostela, in origine santuario celtico, se non la stilizzazione d'una zampa d'oca?
Ma torniamo al messaggero celtico. Cattabiani dice che era un dio cavaliere che portava una mantellina corta e montava su un cavallo nero. San Martino è un cavaliere che monta un cavallo bianco, e ha una mantella corta: la medesima immagine, il medesimo rito traslato dal paganesimo al cristianesimo. Eccoci qui: il culto di san Martino si diffuse nelle Gallie perché la sua immagine ricordava il dio cavaliere dei presistenti riti pagani. E l'animale sacro a quel dio cavaliere era l'oca, e san Martino è raffigurato con l'oca. E a san Martino si mangia l'oca in onto, gli ochéti.
L’oca ammazzata e consumata oppure posta sotto grasso in novembre, in concomitanza o quasi con la festa di san Martino, mi pare dunque rimandi a un’antica tradizione precristiana, a remoti riti celtici. L’ipotesi è affascinante, ammettetelo.

29 novembre 2009

Breve cronaca di un’alleanza a cena: presìdi Slow e Amarone Bertani

Angelo Peretti
Le chiamano cene dell’alleanza. L’alleanza, tra il simbolico e il pratico, è quella fra i cuochi italiani e i produttori dei presìdi di Slow Food, beni agroalimentari d’una certa rarità che il movimento della chiocciola ecogolosa tutela dall’oblio. I primi li usano in cucina, i secondi glieli assicurano in quantità e qualità sufficienti. La casa di Bra coordina.
Se n’è svolta una, di queste cene, a Torri del Benaco, al ristorante Al Caval di Isidoro Consolini, amico mio carissimo, chef stellato dalla rossa Michelin l’anno passato e quest’anno anche premiato da L’Espresso per un suo curioso dessert a base di frutta fresca e olio extravergine d’oliva.
In tavola i piatti dell’Isi realizzati coi prodotti, appunto, presidiati da Slow Food. E insieme i vini di casa Bertani, storica maison valpolicellese.
Non descriverò il tutto.
Sulla cucina dirò che Isidoro è andato alla grande, ma quei suoi tagliolini col ragù di oca in onto (i pezzi d’oca tradizionalmente conservati, in terra veneta, nel grasso dell’animale stesso) li serberò nella memoria come una delle cose più interessanti che mi sia trovato in tavola negli ultimi tempi. E spero di ritrovarli ancora nella carta del Caval.
Sui vini, dico invece che il marchio Bertani - eleganza, equilibrio, freschezza - s’è fatto sensibile nella sequenza dei rossi nel bicchiere (ma abbiamo avuto anche un bianco luganista e un vin dolce reciotista). E ne scrivo qui sotto col sistema delle 100 battute al massimo per vino. Senza faccini, stavolta, ché l’ultimo, l’Amarone del ’62, è uno di quei vini che toccano le corde dell’emozione e della commozione, e dunque non è classificabile in maniera alcuna, neppure come pura piacevolezza soggettiva, ché sarebbe oltre i confini. E dunque, se non classifico questo, mica posso farlo per gli altri. Ma sappiate che son tutti vini che riberrei subito, e dunque si capisce come la penso.
Valpolicella Valpantena Secco Bertani 2006
Un must della tecnica del ripasso. Niente sdolcinature moderniste. Ciliegia e graffiante mineralità.
Amarone della Valpolicella Classico 2001
Bel vino oggi, figurarsi fra un tot d'anni. Velluto e frutto rosso appassito. Spezia sul fondo.
Amarone della Valpolicella Classico 1981
Compresso, restio a concedersi. Occorre attenderlo, ma ha eleganza floreale, freschezza, tannino.
Amarone della Valpolicella Classico 1962
Nel mito. Fiori appassiti, nocino, fruttini sotto spirito, terrosità e buoni tannini ancora.

28 novembre 2009

Sia lode alle frattaglie

Angelo Peretti
Non capisco perché la Mondadori, che l'aveva in catalogo, addirittura tra gli Oscar, non ristampi “L’Europa a tavola”, un libretto-gioiello di Léo Moulin, grand'esperto di storia europea, e in quell'ambito anche di storia della gastronomia.
M'è tornato alla mente, quel librino, perché per l'ennesima volta ho avuto da discutere con una donna che mi diceva di rifiutare l'uso delle frattaglie in cucina e in tavola. Ebbene, fra i vari, snelli capitoletti di quel volume, ce n’è uno che che si occupa delle frattaglie e del sacro, temi in stretto connubio nella cultura continentale.
Secondo il professor Moulin, il fatto che l’interesse alimentare per le interiora vari considerevolmente da un paese all’altro, sarebbe dovuto a quello che vien chiamato l’inconscio collettivo. Al punto che riguardo alle frattaglie, diversamente da altri generi alimentari, le reazioni sono quasi sempre categoriche ed immediate. Con un alto livello di repulsione da parte delle donne.
Per cercar di dare una spiegazione al fenomeno, Moulin suggerisce di far ricorso alla sociologia. E fra i vari motivi da considerare, “il primo, e più probabile, risale al fatto che le frattaglie sono state a lungo riservate alle classi superiori: cibarsi del cuore del nemico significava ereditarne il coraggio, mangiare il cervello di un lupo acquisirne la prudenza”. Per questi motivi, il popolino delle interiora non poteva nutrirsi, e “di questo divieto resta forse una traccia nel subconscio collettivo”. E comunque il divieto era categorico soprattutto per le donne e per questo veniva loro insegnato a disdegnarle, le interiora animali.
Ecco perchè ancora adesso “di fronte alle frattaglie in generale, e alla trippa e al cervello in particolare, molte donne provano non un sentimento di indifferenza ma un moto di repulsione sacra”.
E dunque, donne, volete continuare ad esser schiave di arcaici tabù? Ribellatevi, e cominciate a portare in tavola trippe e fegato, cuore e lingua, polmone, midolla. E poi rigaglie di pollo, testicoli d’agnello, rognone di vitello, fegatini di pollo, mammelle di scrofa, creste di gallo. E ancora timo, animelle, testina, cervello.
Ne guadagneranno il portafoglio e la buona tavola.

27 novembre 2009

Al rogo! Nelle chiese i ragazzini cantano l'elogio del vino

Angelo Peretti
Mi sa che d'ora in poi parroci, catechisti, animatori spirituali e maestri di cori ecclesiali rischieranno forte. Perché potranno essere accusati di istigazione a delinquere, aggravata dal fatto ch'è rivolta a dei minori.
M'è capitato, nel corso d'una cerimonia religiosa, di sentire un coretto di voci bianche (ragazzini, bravissimi, dell'età delle elementari e delle medie), cantare un brano (il titolo: "Frutto della nostra terra") che dice esattamente così:
Frutto della nostra terra,
del lavoro d’ogni uomo:
vino delle nostre vigne
sulla mensa dei fratelli tuoi.
Tu che lo prendevi un giorno,
lo bevevi con i tuoi,
oggi vieni in questo vino
e ti doni per la vita mia.
Me li vedo, i neoproibizionisti più esagitati che saltano sulla sedia scandalizzati: ma come, far cantare un elogio del vino a dei minorenni? Facendogli credere perfino che nel vino ci si incarna Cristo? Al rogo, al rogo! Questo è istigare al consumo dell'orrida droga che va sotto il nome di vino.
Non c'è più religione, si sa, e chi va ancora nelle chiese si ostina a pensare che il vino possa essere un simbolo della sacralità. Attenti a pensarla così, ché con l'aria che tira rischiate d'essere messi in croce.

26 novembre 2009

Kings of Convenience - Declaration of Dependence

Angelo Peretti
Alla ricerca di un aperitivo che non sia troppo impegnativo e nel contempo neppure senza costrutto come sono certi beveroni stile happy hour? Un Prosecco (quello di Valdobbiadene o di Conegliano, intendo: con la nuova doc non mi ci sono ancora orientato) può essere la soluzione. Ce n'è di molto buoni, nel loro genere. Senza essere aggressivi, senza eccedere nella struttura o nella carbonica o nel frutto o nei terziari. Buoni per un pre dinner di corsa, sbocconcellando qualcosa con gli amici. Affidabili e adattabili. Flessibili. Non pretenziosi.
Alla ricerca adesso di un cd da mettere nel lettore tornando a casa dal lavoro o per una mezz'ora di relax in poltrona? Me n'hanno regalato uno che farebbe al caso vostro, se questa è l'esigenza: è il "Declaration of Dependence" dei Kings of Convenience. Chitarre acustiche, voci ben miscelate stile Simon and Garfunkel, melodie carezzevoli. Come un Prosecco extra dry. Magari non un vino (non un disco) di quelli imperdibili che resteraanno nella storia eccetera eccetera, ma alla prima occasione non disdegnerete di riascoltarlo (di rimetterlo nel lettore).
Ovvio che potrà interessare poco, ma è me è capitato che, ascoltato e riascoltato quest'album, a casa mi sono stappato proprio un Prosecco, ché me n'aveva fatta proprio venire l'idea. E non me ne sono pentito per nulla.
L'aggettivo giusto? Gradevole. Il disco e anche il vino.
Kings of Convenience - Declaration of Dependence - 2009

25 novembre 2009

Fatta l'Italia, facciamo la cantina (coi consigli di Luciano)

Angelo Peretti
Insieme alle più o meno consolidate guide di vario genere, ecco che è arrivato in questi giorni nelle librerie un manuale di un collega che stimo ed apprezzo, il partenopeo Luciano Pignataro. S'intitola "101 vini da bere almeno una volta nella vita spendendo molto poco". Edito da Newton Compton.
Viene presentato così: "Un viaggio nei mille volti rurali dell’Italia, una miniera inesauribile di sensazioni e gusti, la diversità come risorsa. Dalla Val d’Aosta alla Sicilia 101 etichette da scegliere, nessuna delle quali supera i 10 euro franco cantina, tranne poche e rare eccezioni da segnalare per l’incredibile valore del rapporto qualità e prezzo. Rossi, rosati e bianchi, spumanti e qualche dolce: una cantina completa che chiunque si può permettere senza intaccare il proprio patrimonio. Con tanti vini che, comprati a buon prezzo, possono essere conservati per anni e stappati per festeggiare le grandi occasioni e le gioe che la vita ci riserva. Sempre insieme al cibo".
Nell'introduzione, Luciano bene sottolinea: "Una precisazione finale: per chiarezza, vogliamo dire ai nostri lettori che le aziende non hanno dovuto pagare nulla per entrare in questo libro e che né tantomeno è in corso, o c’è stato, alcun rapporto di lavoro, diretto o indiretto, tra loro e me. E tanto meno ci sono state forme di regalìe quali ospitate, sontuosi doni natalizi, pranzi o cene, eccetera.
La selezione è frutto della libera scelta nella quale gli unici condizionamenti sono state le indicazioni di persone di assoluta fiducia e riconosciuta preparazione tecnica.
Potete stare tranquilli, dunque, e divertirvi a bere l’Italia in 101 modi diversi. Per contribuire a farla restare diversa e non omologata. Ah, un'ultima cosa: questo è il primo libro italiano nella piccola storia dell’editoria enologica in cui Nord, Centro e Sud con Isole sono equamente distribuiti nelle presenze. Una scelta certo non facile, ma il segnale forte di come, nel rispetto delle tradizioni e dei successi, sia venuto il momento di guardare l’Italia senza letture pre-costituite, è il momento davvero di cambiare pagina rispetto a rituali liturgici un po’ stanchi e ripetitivi. Poi il lettore, anzi, il consumatore, sceglierà."
Ora, "ah, un'ultima cosa" tocca aggiungerla a me, e cioè che Luciano ha voluto coinvolgermi per le scelte venete: confermo quanto sopra, in toto.
Ps: ma Luciano si ricorderà di farmene almeno avere una copia?

24 novembre 2009

Orcia doc in 100 battute

Mauro Pasquali
Val d'Orcia. L'Unesco ha pensato di tutelarla, inserendola nel World Heritage Found, l'elenco dei siti mondiali degni di essere salvati. Tanto per fare alcuni esempi, ne fanno parte Vicenza e le Ville Palladiane e il Parco Nazionale di Iguazu in Argentina, Venezia e la sua laguna e la foresta pluviale di Atsinanana in Madagascar.
Val d'Orcia ma non solo, nella doc Orcia, incastonata com'è fra Montepulciano e Montalcino, a dover fare quotidianamente i conti con vicini di antico blasone. E, alle volte, anche a confrontarsi alla pari dal punto di vista enologico. Una doc giovane, ma molto dinamica. E, forse, troppo vasta per avere e trovare un comune denominatore ai suoi vini. Una doc, comunque, che ha avuto il coraggio di chiedere di inasprire il suo disciplinare, scegliendo di portare il sangiovese ad almeno il 90% delle uve presenti nella tipologia Orcia Sangiovese, con la sola aggiunta di un 10% di vitigni autoctoni. E scusate se è poco, in un mondo dominato dal gusto omologato dei vitigni internazionali.
Queste le mie impressioni ricavate da una degustazione alla cieca dei migliori prodotti della zona. Tutti Orcia doc Rosso e descritti in 100 battute al massimo ciascuno: nell’intestazione ometto la dicitura Rosso. L’ordine è per annata ed ordine di degustazione.
Orcia Selvarella Colleoni 2008 Santa Maria
Naso di frutto maturo, cuoio e speziatura, bella bocca fresca e piacevole. Grande lunghezza.
Due faccini :-) :-)
Orcia 2007 Marco Capitoni
Speziatura e tabacco. Legno un po' invadente, vegetale eccessivo, buona lunghezza.
Un faccino :-)
Orcia Petruccino 2007 Podere Forte
Profumi vinosi, marasca, viola. Bella morbidezza e tannini eleganti, minerale. Grande lunghezza.
Due faccini :-) :-)
Orcia 2007 Tenuta Belsedere
Naso di liquirizia, spezie, mora. Vaniglia un po' invadente. Bella struttura e lunghezza.
Due faccini :-) :-)
Orcia Frasi 2006 Marco Capitoni
Profondo, austero. Frutto maturo, ciliegia, mirtillo. Tannini eleganti, bocca pulita. Lungo.
Tre faccini :-) :-) :-)
Orcia Banditone 2006 Campotondo
Affumicatura, cuoio vecchio, funghi secchi, torba. Morbido, tannini eleganti, setosi. Molto lungo.
Due faccini :-) :-)
Orcia Petrucci 2006 Podere Forte
Piccoli frutti di bosco, viola e rosa canina. Bocca balsamica. Molto lungo con grande mineralità.
Tre faccini :-) :-) :-)
Orcia Dongiovanni 2006 La Canonica
Rosmarino fresco, balsamico. Tannini ruvidi e grande pulizia in bocca. Bella lunghezza.
Un faccino e quasi due :-)
Orcia Sesterzo 2006 Poggio Grande
Tabacco kentucky, piccoli frutti rossi. Bocca pulita e gradevole. Non molto lungo il finale.
Un faccino :-)
Orcia Invidia 2005 Trequanda
Naso vegetale, spezie, cacao amaro. Bocca sapida e pulita. Buona lunghezza
Due faccini :-) :-)
Orcia Curzio 2005 Sante Marie
Naso di tabacco e cuoio. Bocca morbida elegante, quasi setosa. Sapidità e buona lunghezza.
Due faccini :-) :-)

23 novembre 2009

Il Brunello, il sangiovese, forse gli antichi mari scomparsi: Il Marroneto

Angelo Peretti
Avete presente quando si dice "come un fiume in piena"? Ecco, se gli dai la parola, Alessandro Mori non lo fermi più, come un fiume nei giorni di piena, appunto. Che se poi non gliela dai, la parola, lui se la prende comunque, tant'è la voglia (e l'amore) che ha di parlar della sua terra e delle sue vigne e del suo vino. E il suo vino è il Brunello che si fa sui terreni dell'azienda agricola Il Marroneto, a Montalcino, località Madonna delle Grazie.
Brunello di Montalcino fatto col sangiovese, a scanso d'equivoci, e che del sangiovese ha veramente i caratteri, a cominciar dal colore, mica carico come invece ci hanno abituati i filoamericani. Talché lui se ne fa un vanto di quando un tale a una degustazione gli disse che il suo poteva esser mica Brunello, ché non era nero nel bicchiere. Appunto. E qui ci sarebbero da dir molte cose su come la filosofia produttiva del posto si sia dagli anni Novanta in qua andata modificando e imbastardendo per rispondere ai dettami del mercato internazionale, che garantiva quattrini e ha portato dove ha portato.
M'è capitato d'averlo a cena, Alessandro, in una serata che ho mess'in piedi alla Taverna Kus di San Zeno di Montagna: in tavola otto suoi vini, prima cinque annate del Brunello e poi tre della selezione Madonna delle Grazie, e quando si dice selezione, s'intende la cernita di grappoli nel vigneto, per farne un rosso diverso dall'altro già nella filosofia d'iniziale vinificazione. Nel senso che il Brunello incomincia il suo ciclo di vita in vasche d'acciaio con rimonta continua per i primi due giorni, mentre la selezione muove i pimi passi in tini di rovere di Allier, ma rimanendo del tutto ferma per nei primi due giorni. L'uno opposto all'altra.
Entrambi i vini hanno bel tannino e acidità spiccata, doti che garantiscono longevità. Col secondo che mette in campo magari maggior complessità. Ma col primo che piace per l'eleganza. Il che ti fa venir voglie di berlo entrambi.
Lui, il padron di casa, è perentorio nel dirti che no, non s'ha da decantare il suo vino anche delle annate più vecchie (e comunque è Brunello che esce sul mercato molto tardi, il suo) e che neppure s'ha da rigirarlo nel bicchiere, perché deve uscire fuori man mano. Mi permetto di dire che concordo col primo diktat, ché anch'io penso mai vada usato il decanter per i rossi d'età (pena fulminea ossidazione), mentre sono discorde sull'altra prescrizione, perché a me piace invece condurre il gioco, rigirando il vino nel vetro, in modo da coglierne meglio l'evoluzione, ed anzi accelerandola e rallentandola a piacer mio. Son io che devo goder del vino, mica lui di me che l'attendo, accidenti! Ma insomma resta la comune opinione sul fatto che il vino che sa invecchiare va goduto momento per momento, cogliendone le trasformazioni nel calice, e i tanti doni che ti sa elargire nel paio d'ore d'una conversazione o d'una cena. E qui mi par che, appunto, si concordi in pieno.
Dicevo del colore e del tannino e dell'acidità, propri dei vini del Marroneto. Ma altri caratteri ho ritenuto trasversali alle annate che ho avuto nel bicchiere. E sono un bel frutto, succoso e polposo il giusto senz'arrivare alla muscolosità, e poi curiose memorie di iodio - al punto che m'è venuto da scrivere sul mio taccuino d'appunti che somigliano a vini di mare - e di terra rossa bagnata. Ora, sul frutto mi pare che chi stava a tavola con noi fosse pienamente concorde, ma sull'altre due suggestoni ho preferito tacere sinché il Mori, lasciandomi di stucco, ha raccontato che la vigna sta su terreni che son zeppi d'antichissima sabbia (forse d'arcaici mari scomparsi coll'affiorare delle terre, e c'è ricchezza di fossili infatti) e che il resto è appunto terra dalla colorazione rossastra. Vuoi vedere che c'entra il terroir? Terra, vigna, orgoglio, passione: terroir.
M'accorgo d'essere andato lungo, e allora è il momento d'alcune note sui vini bevuti (mica assaggiati, bevuti). In 100 battute al massimo ciascuno.
Brunello di Montalcino 1989
Piccola annata, ma aggraziata e fresca. Succosissimo di fruttino. Cioccolato al latte. Adorabile.
Tre faccini :-) :-) :-)
Brunello di Montalcino 1995
Fresco, robusto. Tannino di velluto. Fiori appassiti, frutto che si concede con lentezza.
Due faccini :-) :-)
Brunello di Montalcino 1998
Un fuoriclasse. Gran frutto. Vene officinali e salmastre. Tannino fitto. Carattere, eleganza e beva.
Tre faccini :-) :-) :-)
Brunello di Montalcino 2001
Frutto surmaturo e polposo. Rotondità e tensione. Ricordi di iodio e di terra e d’erbe alpestri.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Brunello di Montalcino 2004
Vino maschio. Trama tannica piuttosto fitta. Frutto nero, gran polpa. Chinotto. Cenni balsamici.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2001
Appena nel bicchiere concede tanto frutto. Polpa e succosità. Vene di pellame e cioccolato al latte.
Tre faccini :-) :-) :-)
Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2003
Frutto abbastanza dolce, com’è tipico dell’annata (e non è la mia annata). Conserva freschezza.
Un faccino :-)
Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2004
Eterno. Grandioso per tannino e freschezza e frutto. Elegante e compatto. Buono da qui all’infinito.
Tre faccini :-) :-) :-)

22 novembre 2009

Il geografo, l'olio, il radicchio rosso

Angelo Peretti.
Credo di essere tra i pochi che abbiano imparato una ricetta di cucina da un geografo. Uno che studia il territorio e le sue rappresentazioni, insomma. Il fatto è che Eugenio Turri - di lui parlo - era sì un grande geografo, un ambientalista convinto e anche uno scrittore d’ottima penna, ma a suo modo anche un custode delle tradizioni gastronomiche. Quelle di Verona, la sua terra.
È stato proprio lui - credo almeno una ventina d'anni fa - a raccontarmi un amarcord oleario - lui che veniva da famiglia oliandola, proprietaria di frantoi - con tanto di ricettina. Mi ricordava quel giorno il gusto dell’olio nuovo versato sul radicchio rosso, insaporito con acciughe a tocchettini ed appena un po’ d’aglio tritato finissimo.
Da allora, quella formula di cucina l'ho provata e proposta più volte, con successo. Magari togliendoci l'aglio, ché io non lo tollero: ma funziona comunque.

21 novembre 2009

Robertina & Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo - Cuore

Angelo Peretti
In linea generale, non sono un fan dei vini dal cosiddetto "stile internazionale", e dunque dei Supertuscans o degli altri bordolesi d'Italia. Se bevo un Cabernet o un Merlot, cerco almeno che sia ben marcato dall'influsso del territorio.
Detto questo, ammetto una certa debolezza per qualche Merlot di quelli che definirei "rassicuranti". Ne bevo volentieri un paio di bicchieri qualche volta. Perché apprezzo il loro velluto, la linearità del frutto, la buona persistenza. E senza per forza andare a cercare un costoso e imponente Masseto della Tenuta dell'Ornellaia o un denso Patrimo dei Feudi di San Gregorio, è possibile rintracciare altri italici Merlot che sono, appunto, ben fatti ed eleganti nel loro mix di frutto e velluto e vaniglia. Dalle mie parti, ad esempio, il Sansonina dell'omonima aziendina condotta a Peschiera del Garda da Carla Prospero, la vedova di Sergio Zenato.
Ora, mi si è stampato in testa questo stile di Merlot ascoltando e riascoltando Cuore, un album di Robertina e di quella magica music machine torinese che si cela sotto il nome di Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo. Tutta una serie di cover, uscita a fine 2006, di brani del periodo beat italiano, rivisitati con algide sonorità d'oggidì. E se dico che questo disco, davvero da far suonare a lungo, mi ricorda i Merlot internazionalizzanti, non è per la potenza, ma, appunto, come dicevo sopra, per la loro linearità, la definizione del frutto, il velluto. Ché queste musiche son così, lineari, appunto, e cesellate e definite e avvolgenti, ancorché del tutto minimaliste. E se qualche spigolo di tanto in tanto sembra comparire, è subito ricomposto, come il legno nel frutto.
Peccato non abbia avuto grandissima diffusione, questo Cuore, tornato oggi alla ribalta perché una parte delle incisioni son dentro la colonna sonora del film Il Cosmonauta. Probabilmente, se lo cercate nei negozi di dischi non avrete miglior fortuna di me: non si trova. Sappiate che me lo son procurato nello shop on line di Casasonica, l'etichetta che l'ha prodotto. Vale la pena. Tra l'altro, credo funzioni bene come sottofondo da lounge bar o ristorante di tendenza.
Robertina & Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo - Cuore - 2006

20 novembre 2009

Elogio del vinino: se ne parla ancora on line (anche in video)

Angelo Peretti
E vai col vinino! Dopo che su InternetGourmet ho pubblicato l'Elogio del vinino (ossia il "Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere") e poi anche gli Appunti per una estetica del vinino, della questione s'è parlato abbastanza sul web. Vediamo le ultime uscite in ordine di tempo.
Pubblica integralmente sia l'Elogio che gli Appunti sul suo wine blog Euthimya (sottotitolo: "prove tecniche di degustazione") Fabio Cimmino, che ringrazio per la diffusione data all'idea.
Sul sito dell'Associazione italiana sommelier, Franco Ziliani si chiede: "È forse il magnum il formato ideale per i vini... da bere?". E aggiunge: "Continua il dibattito lanciato sul sito InternetGourmet da Angelo Peretti sui 'vinini', ovvero i vini che senza per forza essere banali o elementari o monodimensionali, privilegiano l'aspetto piacevolezza e bevibilità sulla complessità e sul carattere 'dialettico', come diceva Veronelli". Spiegando che Giampiero Nadali, alias Aristide, ha proposto sul suo blog di imbottigliare i vinini addirittura in formato magnum.
Mi fa poi molto piacere che lo Studio Cru mi abbia addirittura dedicato una video intervista on line (è sul periodico on line di marketing e comunicazione enogastronomica iCru) sul tema "vinini vs vinoni": se volete, la potete vedere cliccando qui (tra l'altro, è in bianco e nero, e mi garba questo recupero del black'n'white nell'epoca del colore imperante). Nel presentare il video si dice: "Angelo Peretti (Internet Gourmet, ma anche molto altro) è il coniatore del termine vinino. In questa intervista ci spiega cos'è un vinino e perché sia da preferire a tanti vinoni. Un elogio ai vini facili da bere e da acquistare, a dispetto dei vini cosiddetti importanti, per i quali non si trova mai l'occasione giusta, le persone adatte, il cibo da accompagnare. Con il risultato di dimenticarli in cantina".
Usa il termine vinino anche Andrea Gori su Intravino, parlando della top 100 di Wine Spectator. Scrive: "Se non sapessimo che lo fanno apposta ci sarebbe da ridere. Non so voi ma la svolta populista di Wine Spectator a me fa riflettere. Dopo aver passato anni a pompare tannini e colori di ogni tipo, ecco che il trionfatore di quest’anno è un vinino americano da pochi dollari (27$!), il Columbia Crest Cabernet Sauvignon Columbia Valley Reserve".

19 novembre 2009

Riesling "italiani" in 100 battute (da Naturno ancora)

Angelo Peretti
Al concorso dei Riesling di Naturno, in Südtirol, mica c’erano in assaggio solo bianchi altoatesini. C’erano invece anche etichette “italiane”, e con questo intendo trentine, ma pure piemontesi e lombarde e friulane.
Dei sudtirolesi ho detto ieri. Oggi dunque vado fuori zona. E dico che dal Piemonte che m’è arrivato nel bicchiere uno di quei bianchi che non ti dimentichi: l’Hérzu dell’azienda agricola che porta il nome di Ettore Germano - ma a fare i vini è Sergio -, grande firma del Barolo, a Serralunga. Fatto con le uve, appunto, di riesling, di cui Sergio s’è innamorato perso, va sotto la doc del Langhe Bianco. Ed è gran bel bianco.
Qui sotto, una cinquina di Riesling extratirolo – tutti 2008 - che ho tastato a Naturno.
Testi in 100 battute al massimo per ciascuna etichetta.
Langhe Hérzu 2008 Ettore Germano
Grande Riesling langarolo. Elegantissimo. Fruttato, esotico, succoso, polposo, lunghissimo.
Tre faccini :-) :-) :-)
Trentino Riesling 2008 Concilio
Una sorpresa. Naso stile Riesling tedesco. Bocca polposa, ma molto fresca (a tratti sopra le righe).
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Provincia di Pavia Riesling Arvinà 2008 Molinelli
Naso tra il varietale e il floreale. Bocca elegante, freschezza contenuta. Buona lunghezza.
Due faccini :-) :-)
Langhe Arbarei 2008 Ceretto
Apre floreale al naso e al palato. Buona freschezza. Finale che vira sulla morbidezza.
Due faccini :-) :-)
Trentino Riesling Simboli 2008 Cantina La Vis Valle di Cembra
Floreale al naso. In bocca è bianco semplice. Fresco, tendenzialmente morbido.
Un faccino :-)

18 novembre 2009

Riesling sudtirolesi 2008 in 100 battute (da Naturno)

Angelo Peretti
Premesso che ce l’ho fatta. Che, intendo, ho passato – per grazia ricevuta – il test del concorso dei Riesling di Naturno, dove si applica il metodo Kobler, e dunque vengono valutati sia i vini, sia il degustatore (attraverso la reiterazione degli assaggi delle medesime etichette). Premesso questo, vedo di dare indicazione di cinque Riesling sudtirolesi del 2008 che lassù a Naturno, nei miei assaggi, ho trovato interessanti. Dicendo peraltro che le cose migliori, a mio avviso e gusto, son quelle che riescono a fondere frutto agrumato e freschezza, e magari qualche accenno minerale, che nel Riesling ci vuole. Eppoi aggiungendoci un finale asciutto, a tratti perfino tannico, per via delle macerazioni prolungate.
Aggiungo solo che avrò anche violato le regole del buon degustatore, ma il Riesling della cantina sociale di Merano non sono mica riuscito a sputarlo durante l’assaggio, e me lo sono anzi bevuto con piacere. Per chi fosse interessato ai punteggi centesimali, dico anche che gli ho assegnato 93 centesimi, che per me rappresentano una valutazione molto, molto alta.
A proposito: i Riesling delle cantine di Merano e della Val d'Isarco, cui assegno i mie tre faccini, sono arrivati rispettivamente secondo e terzo al concorso. Al primo posto il Riesling di Köfererhof, che però non ho avuto il piacere di tastare.
Adesso le cinque schede. In breve, in 100 battute al massimo per vino.
Südtiroler Graf von Meran Riesling Unterberger 2008 Meraner Weinkellerei
Naso assolutamente varietale. Fresco, speziato, citrino. Finale asciutto. Lunghezza. Elegante.
Tre faccini :-) :-) :-)
Südtirol Eisacktaler Riesling Aristos 2008 Eisacktaler Kellerei
Naso sulfureo, minerale. Elegante più che potente. Affilato, tesissimo, vegetale e succoso assieme.
Tre faccini :-) :-) :-)
Südtirol Eisacktaler Riesling 2008 Röckhof
Floreale. Al palato è fine, elegante. Sentori di erba luigia. Finale lunghissimo, un po’ morbido.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Südtirol Eisacktaler Riesling 2008 Pacherhof
Dici “tipico” e dici tutto. Spezia, agrumi, anice stellato. Succoso, tannico. Buona lunghezza.
Due faccini :-) :-)
Südtirol Vinschgau Castel Juval Riesling 2008 Unterortl
Al naso ricorda un Ruiesling tedesco. Bocca fresca, agrumata. Finale tra morbidezza a tannicità.
Due faccini :-) :-)

17 novembre 2009

Champagne Grand Cru Tradition Brut Gatinois

Mauro Pasquali
Aÿ è un paese di neppure cinquemila abitanti nel dipartimento della Marna. All'interno del territorio comunale, la zona dei Grand Cru è piccola piccola e la famiglia Gatinois ha la maggior parte dei propri terreni proprio qui. E proprio produce Champagne fin da 1696!
Questo Grand Cru Tradition Brut ha prevalenza di pinot nero (90%) e un po' di chardonnay(10%). Quasi un blanc de noirs.
Appena aperto non aspettatevi grandi profumi: attendete con pazienza qualche minuto e, nel frattempo, guardatene il bel colore che ricorda il paglierino della cipolla dorata. Poi, piano piano, si schiuderà in una esplosione di profumi di mela renetta e spezie, con una bellissima nota gessosa.
In bocca entra deciso, molto persistente ed estremamente pulito. La rusticità del pinot nero è evidente ma altrettanto evidente è la sua eleganza. Grande persistenza in bocca.
Due beati faccini :-) :-)

16 novembre 2009

Aprire i marijuana café per abolire le enoteche?

Angelo Peretti
Leggo che in Oregon, Usa, è stato aperto il primo coffee shop ufficialmente autorizzato alla vendita di marijuana, ma a scopo terapeutico. Si chiama Cannabis Cafe ed è a Portland. Lì, chi ha il permesso di usare la marijuana per ragioni mediche, potrà acquistare la sostanza e fumarla sul posto.
Se si tratti o meno di una conquista di libertà, non sta a me dirlo: non ne conosco abbastanza sugli usi terapeutici della marijuana. Mi domando se ne apriranno anche da noi. E se in cambio, col vento neoproibizionista che c'è in giro, aboliranno le enoteche, ricettacolo di quella droga schifosa che è l'alcol ottenuto dalla fermentazione del succo proveniente dall'uva. La chiamano vino, quella bestiaccia infame distribuita al pubblico in quei luoghi di perdizione. E di solito c'è perfino chi lo consuma a tavola, il vino, pensa un po'.

15 novembre 2009

Il baccalà con l'olio nuovo

Angelo Peretti
È tempo d’olio nuovo. Gli esperti cominciano a parlare dei test sulla qualità della produzione olearia. Il che è cosa buona ed anzi sacrosanta necessità. Ma dalle mie parti, nel Veronese, gli appassionati del buon mangiare della tradizione, di test - se così li posso chiamare - all’olio nuovo, appena spremuto, quello che “raspa” ancora in gola ed è di un bel colore verde, ne fanno uno ben più invitante di quelli compiuti in asettici laboratori: ci preparano il baccalà. Perchè è convinzione comune fra i frantoiani e i gran mangiatori che solo se è eccellente l’olio nuovo riesce ad esaltarsi col baccalà, mentre in caso contrario i difetti saltano fuori nettamente.
Scientificamente, la faccenda non sta in piedi. Ed anzi può esser magari vero il contrario. Ma perché esser sempre lì pronti a far le pulci alle convinzioni altrui? Perché voler essere sempre e solo razionalisti? Qualche volta la vita va presa come viene, e il baccalà con l'olio nuovo è il benvenuto.
Il problema è semmai che i veronesi e in genere i veneti sono convinti di mangiare baccalà e invece consumano stoccafisso. In terra veneta, infatti, si attribuisce erroneamente (ma sarà mai un errore?) il nome di baccalà al merluzzo sventrato, decapitato e poi asciugato fino a farlo diventare duro come un pezzo di legno, tanto da dover essere battuto e bagnato a lungo prima di cucinarlo: lo stoccafisso, insomma. Il vero baccalà, invece, sarebbe il merluzzo conservato sotto sale, pressoché sconosciuto dalle nostre parti. Ma come scrive il "vecchio" maestro della cucina scaligera, Giorgio Gioco, “è tutta questione di intendersi”.

14 novembre 2009

Eccolo, finalmente, il comunicato dell'annata del secolo!

Angelo Peretti
Mi mancava proprio, quest'anno. Non mi era ancora arrivato un comunicato che presentasse (anche) quella del 2009 come la "vendemmia del secolo", o giù di lì. Sì, certo, ho letto dichiarazioni ottimistiche, ma tutto sommato niente toni enfatici. Spesse volte ha prevalso la cautela. E mi domandavo se un po' tutti avessero (avessimo) messo la testa a giudizio.
E invece, oplà, eccolo qui l'annuncio trionfante & trionfale. Addirittura dalla Francia, via newsletter.
Dice: "Le millésime 2009 va faire ses premiers pas dans nos verres. Il est attendu comme la promesse d’un très grand, une année exceptionnelle tant le climat fût particulier jusqu’aux vendanges. Il est de la lignée des années en 9, qui ne se vérifient pas pour autant à chaque décennie mais qui subliment les dégustations, de certains privilégiés, qui ont la chance de déguster encore maintenant, la fraîcheur d’un Bourgogne de 1899 ou la grandeur d’un Champagne de 1949".
Cerco di tradurre: "L'annata del 2009 sta per muovere i suoi primi passi nei nostri bicchieri. È attesa come la promessa d'una grandissima, eccezionale annata, tant'è stato particolare il clima fino alla vendemmia. È del lignaggio degli anni che finiscono col 9, che non si verificano così ad ogni decennio, ma che rendono subilimi le degustazioni di certi privilegiati che hanno la possibilità di gustare ancora, adesso, la freschezza di un Borgogna del 1899 o la grandezza d'uno Champagne del 1949".
Ullallà, addirittura!
E, pensate, tutto questo tripudio per annunciare che cosa? Uno "storica" assaggio del Beaujolais Noveau 2009 che sta per arrivare sul mercato.
Ma dai...

13 novembre 2009

Olio extravergine di oliva Nocellara Angelicum 2009 Antico Frantoio Vallone

Angelo Peretti
Ancorché io abbia casa in zona d'ulivi, a nord, regione del Garda, il primo extravergine che ho avuto modo di tastare della nuova annata è siciliano: un monocultivar di nocellara, varietà per la quale nutro passione. Me n'hanno inviato un campioncino: l'etichetta è quella dell'Angelicum dell'Antico Frantoio Vallone di Alcamo, in provincia di Trapani.
Nel bicchiere, ha livrea gialloverde brillante. Ma non limpida, ché è non filtrato, e non so se quand'andrà in bottiglia in via definitiva sarà invece (come credo) filtrato.
Ha spiccatissimi profumi vegetali, freschi. In primis, nette sensazioni d'erba di prato appena tagliata. Eppoi anche l'erbe di campo in primavera, quand'avverti assieme il verde e il fiore. E note abbastanza evidenti di carciofo crudo, anche, e un che di mandorla verde. E un fruttato ben presente.
In bocca torna l'impronta vegetale, ancorché meno complessa e possente che all'olfatto, ed è soprattutto comunque ancora l'erba di prato a farsi avanti, per poi virare dapprima verso la nocciola eppoi, curiosamente, verso il pomodoro maturo. Il finale, di considerevole lunghezza, ancorché d'impronta parecchio delicata, rammenta, assieme, la frutta secca e il ravanello e ancora il pomodoro, in continua alternanza.
La conduzione è essenzialmente improntata alla dolcezza d'assieme, eppure sul fondo compaia, soprattutto sul finale, un lieve tono d'amaro ammandorlato.
Due faccini :-) :-)

12 novembre 2009

Se il cibo spazzatura ti rende depresso, mangia una trota

Angelo Peretti
Leggo su WineNews che il “junk food” - il "cibo spazzatura", per tradurre letteralmente dall'inglese - potrebbe, "alle estreme conseguenze, portare fino alla depressione per la scarsa presenza di antiossidanti". A dirlo sarebbero i ricercatori dell’University College di Londra, ed uso il condizionale solo perché non ho letto la ricerca in originale. Ma sta di fatto che avrebbero dimostrato che soloro che hanno "una dieta ricca di cibi grassi e dessert hanno il 60% per probabilità in più di soffrire di depressione di chi invece mangia più frutta, pesce e verdure".
Ora, confesso una mia debolezza: quando faccio lunghi viaggi in autostrada, o guido di notte, stanco e magari anche un po' giù di tono, mi fermo in un autogrill e mangio (ingurgito) cioccolato industrialotto o patatine fritte in sacchetto, quando non addirittura quei crostini di mais untuosissimi che certamente ascriverei alla categoria del "junk food". Ho capito: d'ora in poi sbocconcellerò una trota (ma ho dei dubbi che funzioni alla stessa maniera).

11 novembre 2009

Consigli per gli acquisti (on line)

Angelo Peretti
Un amico mi ha chiesto di dargli qualche dritta per fare degli acquisti di vino francese on line. Siccome ritengo che la cosa possa interessare anche altri, visto che s’avvicinano le feste natalizie, riprendo qui i suggerimenti che gli ho dato.
Uno dei siti di ecommerce che frequento di più – ci faccio vari acquisti durante l’anno – è Vinatis.com. Francese, ovviamente. Ha una buona scelta e i prezzi sono abbordabili. Si può comprare anche una sola bottiglia per tipo. Le spese di spedizione sono modeste, e addirittura te le annullano se compri almeno 18 bottiglie o spendi almeno 250 euro in un’unica volta. In più, di solito le scatole (robuste, di cartone) arrivano a casa in due o tre giorni (occhio a fare ordini sotto le feste: ovviamente il corriere ci impiegherà molto di più). Qualche volta ho trovato una bottiglia rotta: sostituita senza problemi. Un’avvertenza: i prezzi che vedete on line sono per il mercato francese, mentre per l’Italia dovete aggiungere 1,60 euro a bottiglia.
Dal catalogo di Vinatis, all’amico ho suggerito i dieci vini che seguono: i prezzi qui li ho già “italianizzati”. Vedete un po’ se vi interessano per i prossimi brindisi natalizi (li elenco in ordine di prezzo).
Côtes de Gascogne Colombard-Ugni Blanc 2008 Domaine Uby: vabbé, sarebbe stato da bere in estate, ma un bianco fruttatissimo ci può stare come aperitivo anche d’inverno; dal sud ovest francese; euro 7,50.
Côtes du Rhône 2005 Guigal: un super classico francese da tavola quotidiana (ma anche da pranzo impegnativo) a prezzo piccolino, e il 2005 (bell'annata) adesso è proprio pronto da bere; euro 8,50.
Côtes du Rhône Parallele 45 2007 Paul Jaboulet Aîné: vale lo stesso discorso del vino precedente, ossia che si tratta d’un classicissimo, che prima o poi va bevuto; è pronto da bere; euro 9,50.
Côtes de Bourg Cuvée Tradition 2006 Chateau Belair-Coubet: un Bordeaux di una piccola denominazione dallo straordinario rapporto qualità-prezzo; da bere subito o da qui a tre-quattro anni; euro 9,50.
Morgon 2008 Domaine de La Chanaise: l’altra faccia della Borgogna, per riscoprire la pienezza fruttata delle uve di gamay dell’area del Beaujolais; da bere subito o da attendere qualche anno; euro 10,50.
Menetou Salon 2007 Domaine Fournier Pere et Fils: un coup de coeur della guida Hachette; un bianco profumatissimo e di carattere, bell’esempio di sauvignon blanc della Loira; euro 12,50.
Madiran 2005 Chateau Bouscassé: un eccellente Madiran, complesso, fruttatissimo, pepato, eppure bevibile; buono adesso e da qui a qualche anno; euro 13,60.
Coteaux de Provence Cru Classé Classic 2006 Rimauresq: un classico rosso della Provenza, prima o poi bisogna provarlo (vale anche per il bianco e il rosé della stessa linea); euro 15,50.
Madiran 2005 Chateau Montus: un altro Madiran, ma questa è una portaerei; da bere subito o da far invecchiare ancora, per apprezzare il rosso del sud dalle uve di tannat; euro 20,60.
Champagne Brut Réserve Michel Furdyna: il mio Champagne del cuore, acquistato più volte e sempre goduto (nella mia cantina non manca mai); un gran bell’aperitivo; euro 21,50.

10 novembre 2009

L'Amarone sarà docg

Angelo Peretti
Mi pare non così facile comprendere, con il varo, dal primo agosto scorso, della nuova Ocm (Organizzazione comune di mercato) del vino, quale sia la sostanziale diversità fra una doc e una docg, visto che entrambe rientrano di fatto nel sistema regolamentare delle denominazioni di origine protette (dop) europee. Sta di fatto che la docg prevede, nel panorama normativo italiano, vincoli più stringenti in fatto di controlli (salvo poi accorgersi che magari qualcosa non va, com'è accaduto, con tanto clamore, col Brunello). Ed è dunque con questo spirito che va accolto il via libera finalmente dato al riconoscimento della docg per l'Amarone della Valpolicella e per il Recioto della Valpolicella.
Il via libera in questione, come racconta un comunicato stampa emanato dalla Regione Veneto, è arrivato stamattina, grazie all’esito positivo della pubblica audizione svoltasi al Villa Quaranta Park Hotel di Ospedaletto di Pescantina, in provincia di Verona. Dunque, le due nuove docg valpolicellesi "potranno ora proseguire nel loro cammino per la definitiva approvazione dei nuovi disciplinari".
L’incontro in questione, rammenta il comunicato, "ha riguardato la richiesta formulata dal Consorzio di tutela a nome della filiera per il riconoscimento delle denominazioni Recioto della Valpolicella docg; Amarone della Valpolicella docg; Valpolicella Ripasso doc", nonché la conseguente modifica del disciplinare di produzione della doc Valpolicella.
Di fatto, sembra di capire che la produzione valpolicellese, ora tutta sotto un unico disciplinare ad ombrello, quello del Valpolicella doc, con le sottotipologie dell'Amarone, del Recioto e del Ripasso, poggerà in futuro su quattro diversi pilastri, in qualche maniera indipendenti l'uno dall'altro: da una parte l'Amarone docg, da un'altra parte il Recioto docg, poi il Ripasso doc e infine il Valpolicella doc.
Una rivoluzione.

Urca: niente rossi col pesce?

Angelo Peretti
Santo cielo: a momenti mi prende un coccolone. Perché sul Corrierone (quello della Sera, per capirci, ancorché on line) ho visto un articolo che titola: "No al vino rosso con il pesce, ecco la prova scientifica". Panico: "E adesso come faccio - mi son detto - io che da sempre predico l'abbinabilità d'alcuni rossi, il 'mio' Bardolino in primis, col pesce?"
Poi, a leggere più avanti, mica mi son rilassato. Sentite: "Il diktat, secondo i nipponici, sarebbe nato perché i vini rossi, in abbinata a orate e gamberi, lasciano in bocca un retrogusto spiacevole, 'pescioso', per colpa del loro contenuto di ferro, mediamente maggiore rispetto a quello dei vini bianchi".
Opperbacco! E il tutto sarebbe stato certificato da un team d'esperti che s'è avvalso di "alcuni volontari, tutti conoscitori dei vini", che hanno tastato 38 vini rossi e 26 bianchi. Insomma: "quando il vino conteneva una maggior quantità di ferro (e questo accade soprattutto coi rossi) dopo il pasto restava in bocca più facilmente un sapore poco gradevole".
Fortuna che poi si riporta il parere di Terenzio Medri, il presidente dell'Associazione italiana sommelier. Che dice: "Con il pesce si può tranquillamente bere anche un vino rosso o rosato. L'importante è che si rispetti l'unica regola aurea degli abbinamenti fra vino e cibo: nessuno dei due sapori deve sovrastare l'altro".
Meno male!

9 novembre 2009

Assaggiare col metodo Kobler

Angelo Peretti
Mi piace davvero la metodologia di assaggio ideata da Armin Kobler. Col suo giudizio "parallelo" dei vini e dei degustatori. Ho avuto modo di provarlo tempo fa sui pinot neri, e adesso di nuovo sui riesling, a Naturno. Degli esiti dell'assaggio dirò più avanti. Per ora mi fermo al metodo.
Armin fino a poco tempo fa era il direttore dell'Istituto sperimentale di Laimburg, vera e propria istituzione del mondo vitivinicolo sudtirolese. Ora ha deciso di dedicarsi all'azienda agricola di casa, di seguire vigna e cantina in proprio. E il vino lo sa fare (ne ho scritto non molto tempo fa). Ma qui non parlo del suo vino, bensì del sistema di valutazione incrociata che ha messo in piedi, e che dovrebbe trovare maggior diffusione, ché ne vale la pena.
Lui parte - ne ha scritto sul suo blog - da un proverbio, quello che dice che nel regno degli orbi chi ci vede da un occhio solo diventa un re. O meglio, alla tedesca: "Unter Blinden ist der Einäugige König". Per significare, a mio avviso con eccessiva modestia, che "è facile cambiare le cose quando sono rimaste invariate da decenni". E le "cose" in questione sono i concorsi enologici. Roba trita e ritrita. nei quali enotecnici e giornalisti giudicano una sfilza di vini, nello stesso ordine di servizio, assegnando punteggi su una scala centesimale. Un sistema logoro e lacunoso, creato in un'epoca in cui le conoscenze enologiche erano ancora poco diffuse. Sorpassato, dunque: oggi è più facile trovar vini corretti che malfatti, enologicamente parlando.
Secondo Armin, ci sono due problemi di cui tener conto, oggidì.
Il primo è legato all'ordine cui vengono serviti i campioni. Perché è evidente che se un vino di medio valore viene assaggiato dopo un fuoriclasse si tende a sovrastimarlo, mentre se è provato dopo una schifezza si è portati a penalizzarlo. Ma se tutti i degustatori del concorso tastano i vini nella stessa sequenza, allora il verdetto è condizionato. Invece, parola di Armin, "si tratta di garantire a tutti i vini partecipanti al concorso le pari opportunità".
Dice lui: "Per far sì che ogni vino abbia la stessa possibilità di essere valutato dal numero maggiore possibile di degustatori, è necessario che venga proposto nei più diversi momenti dello svolgimento della seduta sensoriale e che venga degustato in mezzo ai più disparati campioni". E per far questo, "ci si avvale di una randomizzazione completa": l'ordine di servizio è diverso da un degustatore all'altro. Assolutamente diverso. Di conseguenza, dice Armin, "ogni giudice fa commissione a sé, e la probabilità che un altro assaggiatore abbia gli stessi vini nella stessa sequenza è minima".
Il secondo problema è lo stato psicofisico del degustatore. Già: mica sempre naso e bocca e cervello funzionano alla stessa maniera. Puoi aver mangiato pesante, dormito male, essere giù di corda, un po' costipato, aver le scatole che girano, essere al culmine della felicità: tutte condizioni che modificano la tua maniera di percepire. Dunque, secondo Kobler, occorre tener conto anche della "forma giornaliera" dei giudici, perché "anche se non tutti lo vogliono ammettere, anche assaggiatori formati, esperti ed allenati non valutano ogni giorno con la stessa bravura".
"È giusto che valutazioni derivate da assaggiatori che per motivi fisiologici o più spesso psicologici non esprimono valutazioni abbastanza riproducibili e discriminanti dando per di più punteggi involutamente casuali influiscano negativamente su quelli degli altri giudici? Io direi di no" si chiede e si risponde Armin. Allora ecco che ha messo a punto un sistema di valutazione statistica - lui lo chiama F-Test, che potrei tradurre in test-Forma - che confronta, per ogni assaggiatore, ’utilizzo della scala di valutazione con la capacità di riprodurre i suoi giudizi.
Cerco di spiegare meglio. Durante l'assaggio, alcuni vini vengono proposti due volte allo stesso degustatore, ma ovviamente in forma anonima. Il degustatore non sa insomma che sta riprovando un certo vino già assaggiato qualche bicchiere prima. E questo accade con più di un vino durante la medesima seduta di degustazione. Ebbene: si guarda quale scostamento di punteggio l'assaggiatore abbia dato agli stessi vini, e si tiene conto anche di qualche ampiezza di punteggi abbia mediamente assegnato ai vari vini assaggiati. Più è ampia la scala di giudizio utilizzata, più è - ragionevolmente - tollerato l'errore. Chi esce dalla media di tollerenza viene escluso, nel senso che tutti i suoi punteggi sono eliminati. Ma mica perché è un cattivo assaggiatore: semplicemente perché quel giorno non era particolarmente in forma.
Ebbene: il metodo sembra funzionare. Bisognerebbe estenderlo.

8 novembre 2009

Chinon Les Montifault 1998 Langlois Chateau

Angelo Peretti
Capita che i cabernet franc della Loira ti diano grosse sorprese dopo un bel po' d'anni di bottiglia. Nel senso che, spesso, appena messi nel vetro sono ostici per via d'un tannino quasi rabbioso e d'una rusticissima vena vegetale. Col tempo, s'acquietano e acquistano in eleganza, e insomma passano di diritto, talvolta, nell'aristocrazia del vino di Francia.
Leandro Luppi, patron del ristorante Vecchia Malcesine, mi dice che era così, appena arrivatogli, una decina d'anni fa, anche questo Chinon del '98: vino allora allappante e ruvidissimo. Ma oggi è velluto. L'abbiamo bevuto assieme al tavolo del suo ristorante ed è stato un gran bel bere.
Naso affascinante, a tratti perfino decadente con quelle sue nette sensazioni affumicate. Tabacco, sigaro, pipa. E poi, alla lunga, memorie terrose, di quella terrosità che t'entra nelle narici camminando fra i campi in estate.
In bocca ho trovato corrispondenza, continuità con l'olfatto. E insieme ecco il fruttino, a tratti macerato e perfino sotto spirito. E pian piano, di seguito, affiorano sentori di peperone grigliato e tracce di liquirizia, in una lenta, lunga evoluzione dentro al bicchiere.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

7 novembre 2009

Elogio del vinino: imbottigliare in magnum?

Angelo Peretti
Avanti col vinino. Giampiero Nadali, alias Aristide, torna a parlarne. Con una proposta che a prima vista può sembrare bizzarra, ma che invece merita un approfondimento. Quella di proporre i vinini in magnum.
Interrogandosi su quale possa essere il "formato suggerito per il vinino", risponde: "Grande. Può essere grande. Una magnum per i vinini. E anche oltre i millecinquecento millilitri. Il vinino ha un prezzo contenuto, quindi noi entusiasti possiamo permettercelo "grande". Se deve essere come è, cioè piacevole, conviviale, condiviso e fraterno, di vinino ce ne deve essere per tutti".
Cita, come esempio, il caso della Barbera che venne firmata da Giacomo Bologna. E dei suoi formati grandi, old fashioned. E dice: "Coraggio, signori produttori di vinini. Prendete esempio dai Bologna. Vogliamo i vinini della vendemmia 2009 sempre più spesso in formato grande. Perchè lì dentro sarà ancora più buono. E conveniente, perchè risparmiamo un po' sui vetri, sulle etichette, sui tappi, sulle capsule. E poi lanciamo un messaggio solare e positivo, in questi tristi tempi di recessione e intolleranza neo-proibizionista: il vino è convivio, compagnia di amiche e amici intorno alla buona tavola italiana, è salute, risate, leggerezza. La bottiglia grande è la festa di questi valori concreti, tangibili, che dureranno oltre le isterie contemporanee. La bottiglia grande è il veicolo perfetto per il vinino".
Un'idea su cui riflettere. Anche perché proporre il vinino in magnum può avere un valore simbolico: far capire chiaro e tondo che non si tratta di un "piccolo" vino.

6 novembre 2009

Champagne Grande Réserve Haton & Fils

Angelo Peretti
Mi piacciono le nocciole. Quelle di Langa, certo, tostate al forno. Oppure quelle, meno saporite magari, che si raccolgono dalle mie parti, sul monte Baldo. Ne sono ghiotto, un po' come lo sono delle noci o delle mandorle. Ma dico delle nocciole, perché è esattamente questa la suggestione organolettica prevalente che m'ha dato lo Champagne della maison Haton & Fils. Nocciole, a manciate.
Oh, sì, poi ci sono le memorie classiche delle bolle francesi: la crosta di pane, certo, e anche la brioche al'albicocca, che emergono all'olfatto.
E in bocca c'è rotondità, e perlage ben modulato. Ma è la nocciola, ripeto, che m'ha preso.
Il vino è fatto per l'ottanta per cento di pinot meunier, e il resto chardonnay. Ha colore lievemente ambrato.
Quest'anno ha avuto una stella dalla guida Hachette. On line si compra intorno ai 20 euro.
Dua faccini :-) :-)

5 novembre 2009

Elogio del vinino: se ne parla sul sito dell'Ais

Angelo Peretti
Sul tema del vinino e sul mio "manifesto per la piacevolezza dei vini da bere" si sofferma Franco Ziliani nelle segnalazioni delle WineWebNews che cura, offrendo un servizio preziosissimo, per il sito internet dell'Associazione italiana sommelier.
Franco scrive così: "L'amico Angelo Peretti, che di questo ideale 'manifesto' è l'autore non me ne vorrà se lo definirò un po' una 'riscoperta dell'acqua calda' o la proposta di un qualcosa che altri, ad esempio chi scrive, predicava come indispensabile e ovvia da anni, ma il suo elogio del vino semplice, o meglio, come scrive lui, del 'vinino', espressa sul suo sito Internet gourmet, con tanto di rivendicazione del 'diritto alla piacevolezza dei vini da bere' e alla 'immediatezza appagante della freschezza fruttata e della sapidità' non può che mettere tutti d'accordo".
No, non te ne voglio Franco, anzi! E riconosco che sei sempre stato un autentico supporter dei vini, come dici tu, "semplici", anche quando non era certamente di moda dire che piacevano queste tipologie. Ma adesso non volermene tu se dico di non concordare del tutto con la definizione, appunto, di "vino semplice", perché a mio avviso non necessariamente un vino "da bere" dev'essere, appunto, semplice. Intendo - e se ben ti conosco ritengo tu possa essere d'accordo - che la complessità non si misura in base alla quantità: un vino non è complesso perché ha tanta materia, tanto tannino, tanto alcol. Come nella pittura: perché mai un paesaggio all'acquerello dovrebbe essere più semplice di un astratto all'acrilico? Perché le tinte tenui dovrebbero essere meno complesse nel loro assieme rispetto ai colori accesi? Dunque, ecco che ho pensato a un termine, quello di "vinino", appunto, che riaccendesse un po' il dibattito in un momento di ottime opportunità di cambiamento, di progressivo venir meno dell'infatuazione collettiva per i vini parkeriani, filoamericaneggianti.

4 novembre 2009

L'aringa di mio padre, la foto di Fernando

Angelo Peretti
Mio padre è morto ai primi di novembre del 1999. Potrà sembrare sciocco, ma la cosa che più ricordo di lui è quanto gli piacesse la rénga, l’aringa affumicata e salata, che faceva cuocere lentissimamente sulla brace, fino quasi a farla seccare, e poi irrorava d’olio, con abbondanza. Quel sapore mi manca: non l’ho più mangiata l’aringa fatta a quel modo. Probabilmente non la rimangerei neppure, temendo di ritrovarla diversa, di non riconoscerne l’afrore e il sapore. Di smarrire, soprattutto, la memoria dei gesti (e dei gusti) di papà. Ti resta così poco, quando se ne va qualcuno che ha segnato la tua vita.
Le parole qui sopra le ho scritte nella prefazione di un libro recente di Fernando Zanetti, ottimo fotografo veronese. Il volume s'intitola Artfood. Ho voluto ripeterle su InternetGourmet: oggi sono dieci anni che papà è morto.
Ho tirato in ballo, per cercar di spiegare le foto di Fernando, un sacro testo di Roland Brathes, semiologo: è "La camera chiara". C'è la sua teoria del punctum, il dettaglio che ti colpisce irrazionalmente e che ti apre ad una nuova visione dell’oggetto o della persona o dell’avvenimento.
Ebbene, c'è una foto, in quel libro, che m'ha particolarmente colpito. Dapprima pensavo si trattasse della tecnica usata, che m'ha sempre affascinato: si scatta in Polaroid, ma senz’aspettare che l’immagine esca nella sua interezza, si strappa la gelatina dal supporto e la si applica su di un foglio, lasciando che lì si concluda il processo, ed è ovvio che l’emulsione non si di spone in maniera perfetta, e dunque emergono pieghe, abrasioni, viraggi del colore, rendendo il soggetto in qualche modo diverso da se stesso. Ma la spiegazione non mi convinceva. C'era dell'altro in quella foto, su cui mi sono interrogato, e che ho cercato di spiegare. Ma non ho capito finché non m'è venuta in mente l'aringa di mio padre. E allora, di quella foto, e dell'aringa, ho scritto quel che potete leggere qui di seguito, riportato ancora dalla prefazione, commentando le foto di Fernando.
Il fatto è che tra le tante ce n’era una d’un piatto con sopra una forchetta, un’aringa pronta per esser cotta e una fetta di limone. La gelatina, nello strappo, s’è forata in vari punti, e dunque l’immagine è tra le più «imperfette», e proprio per questo anche tra le più attrattive. Ma non era l’aspetto grafico o estetico che mi colpiva. D’imperfezioni ce n’era un’altra, che mi destava attenzione e, mi sono accorto, quasi irritazione. Questa: nel piatto si vedeva il limone. Capiamoci: ci può stare, ci sta. Non è un problema gastronomico o cucinario. Era un’anomalia per me, per il mio vissuto: mio padre non usava mai il limone sull’aringa. Mi sono sorpreso a chiedermi: «Cosa cavolo ci fa il limone nel piatto della rénga di mio padre?»
Ecco, la fotografia m’aveva giocato il suo tiro. Aveva fatto il suo dovere. Il punctum era emerso, con tutta la forza evocatrice di cui è capace. Era venuto a «pungere» anche me. «Molto spesso - ha scritto Barthes -, il punctum è un “particolare”, vale a dire un oggetto parziale. Fornire degli esempi di punctum, significa, perciò, in un certo qual modo, concedermi». M’è accaduto lo stesso. Mi son trovato a concedere alla scrittura, al potenziale lettore, qualcosa che appartiene alla mia intimità.

3 novembre 2009

Besler Blanck 2001 Pojer & Sandri

Mario Plazio
Ho profonda stima e ammirazione per il grande lavoro svolto da questa azienda e in particolare per l’inventiva dell’instancabile Mario Pojer. È quindi con una certa curiosità che ho stappato uno degli ultimi vini (dal punto di vista anagrafico) della casa trentina.
Nasce in uno splendido vigneto dell’altrettanto splendida Val di Cembra, dall’unione di uve di pinot bianco, riesling, sauvignon, incrocio Manzoni e kerner. Un guazzabuglio che fa nascere giustificati dubbi, non conoscessimo le capacità dei Nostri e la serietà del progetto. Ed era mia intenzione valutare questo vino alla distanza, dopo un opportuno invecchiamento.
Alla prova del tempo il Besler ho fornito indicazioni contrastanti: speziato, minerale, agrumato (limone confit), per poi virare su note di ananas, anguria e miele, il naso ha dimostrato una sicura complessità e una maturità compiuta.
In bocca invece gli anni sembrano avere scavato un solco tra la parte acida e rinfrescante e quella più grassa e carnosa al limite del pesante, che prende il sopravvento e fa intuire come il vino sia già in fase discendente, vedi i sapori di frutta secca e un principio di ossidazione.
Andava sicuramente bevuto 2 o 3 anni fa.
Un faccino :-)

2 novembre 2009

Quando il servizio consumatori funziona davvero

Angelo Peretti
L'acquisto è avvenuto in un supermercato: un sacchetto di riso, piselli e lenticchie, misti, secchi, da cuocere in pochi minuti. A casa, il dubbio sulla provenienza dei cereali & legumi. Sul sacchetto c'è il numero verde del servizio consumatori, e allora perché non domandare?
Telefonata: rispondono al primo squillo. Domanda: "Vorrei sapere da dove vengono il riso, i piselli e le lenticchie". Risposta: "Dobbiamo informarci: se mi dà il numero di telefono la richiamiamo". Pochi minuti dopo squilla il telefono: è il servizio consumatori. Comunicano che il riso viene dall'Italia, i piselli dagli Stati Uniti, le lenticchie dalla Turchia e dal Canada. Resto a bocc'aperta: servizio consumatori rapido ed efficace, complimenti!
Ora, dico la ditta: è la Pedon, di Molvena (Vicenza). Il sacchetto è della linea Pedon 10 minuti, che sul sito aziendale è definita "la prima gamma di legumi e cereali a rapida cottura che ha vinto il premio Trend & Innovation Award indetto dal Sial, una delle più importanti fiere alimentari a livello mondiale".

1 novembre 2009

Cuore Divino: 125 protagonisti del vino italiano in un libro

Angelo Peretti
S'intitola Cuore Divino: è un libro. Raccoglie 125 protagonisti del mondo del vino italiano, tutti accomunati da un cuore rosso che compare sul bavero della giaccia, oppure tra le mani, o sugli occhiali, o come anello. Ci sono, giusto per citarne qualcheduno, Piero Mastroberardino e Gavino Sanna, Piero Antinori e Mattia Vezzola, Silvio Jermann e Bruno Giacosa, Maurizio Zanella e Marina Cvetic e Mario Pojer ed Emidio Pepe e Romano Dal Forno. E via discorrendo.
Obiettivo: la raccolta di fondi destinati ai bambini esuli tibetani che vivono a nord dell’India, a Darhamsala. L'idea è di Enrica Bortolazzi, Giuliana Zaglio e Laura Bresciani. Mi hanno voluto coinvolgere. Abbiamo allestito un set fotografico al Vinitaly, presso lo stand del consorzio del Garda Classico: è lì che il fotografo Carlo Mari ha realizzato la stragrande maggioranza degli scatti pubblicati. E ciascun soggetto s'è poi descritto con un testo, personalissimo.
L’opera, 263 pagine, rilegata in brossura e pubblicata a tiratura limitata da Marco Serra Tarantola Editore, è reperibile tramite il portale del progetto, www.cuoredivino.it: costa 50 euro.
Invito a sfogliarlo, quel libro. E magari a partecipare a qualcuna delle tappe di presentazione: il 7 novembre all'Enoteca Longo a Legnano, il 10 coll Rotary Club a Villa Fenaroli di Rezzato, il 19 all'Hotel Baglioni a Verona, il 26 col Rotary Club Valtrompia al Castello Malvezzi di Brescia, il 3 dicembre all'Hotel Baglioni di Roma.
M'è stato anche chiesto di scrivere la prefazione. Qui di seguito ne riporto uno stralcio. L'inizio.
Cuore Divino
"Quella sera si discuteva di vino e di territorio. Di terroir, parola grossa. Si dibatteva se contassero più il vitigno o la terra o i fattori climatici o la tecnica. Poi prese la parola il giovane enologo francese. Ci spiazzò, quando disse che più e prima di tutto per fare un gran vino vale l’orgoglio del produttore.
L’orgoglio è un sentimento strano. Si tende ad attribuirgli valenza deteriore. Ma è l’orgoglio smodato, la superbia, a doversi accantonare. Il sano orgoglio è figlio della consapevolezza. È lo stimolo che t’induce a ricercare il meglio, ad esaltare i valori che t’appartengono.
Al vignaiolo appartiene l’orgoglio di trasfondere in un vino il sapere d’un territorio, d’una comunità di persone, d’una tradizione, consolidata o in divenire. O così si dovrebbe, se il vino ha da esser cosa viva.
Conta dunque più il sentimento che non il vigneto e il suolo e il fluire dei giorni e i lavori di cantina? Parrebbe di sì. Anzi, senza il parrebbe, a mio avviso. Affermativo: conta il cuore. Lì albergano i sentimenti.
Il cuore, “orologio dell’esistenza, centrale termica miniaturizzata operante in mirabile sintonia col grande disco solare, congegno propulsore di animazione e di movimento collocato al centro del pianeta uomo”, per dirla con Piero Camporesi. Il cuore che distribuisce alle membra “il sugo della vita”.
Che cosa affascinante è il vino quando ti metti ad ascoltarlo. Apre prospettive, dispiega orizzonti, abbatte confini, impone nuove letture del vivere.
V’è chi ritiene che nel vino siano da ricercarsi la perfezione di stile, la correttezza formale. L’han creduto e lo credono schiere d’interpreti razionalisti. Fino però a condurci, nella conseguenza estrema, all’omologazione del gusto.
C’è chi la venera, la scienza, e le attribuisce poteri salvifici. Chi la divinizza, e ama il suo tenace e continuo tendere all’oggettivazione. Ma è tutta e solo scientifica la spiegazione?
Dalle mie parti, c’è quel posto meraviglioso che è punta San Vigilio. Affacciata verso il lago, una statua reca un'iscrizione: en somnii explanatio, ecco la spiegazione del sogno. Questa cerco, la spiegazione del sogno. Che raramente poggia su basi di scientificità.
La scienza, col suo spiegare, aiuta, soccorre, ma anche rischia d’annichilire. Il vino deve parlare, invece. Ma non è l’algida coerenza tecnica che gli permette di prender parola. La personalità, questa sì che è vitale. D’un vino questo è ciò che ricerco: la personalità. Meglio imperfetto che impersonale, meglio scontroso che imbalsamato".
Il resto lo potete leggere sul libro.