31 marzo 2010

Champagne Grand Cru Brut 2002 Delavenne

Angelo Peretti
Qualche tempo fa ho scritto dello Champagne del tipo tradition di Delavenne, dal gran bel rapporto qualità-prezzo. Eccomi ora ad aver tastato il millesimo 2002. Fatto con uve dei vigneti di Bouzy e di Cramant. Chardonnay, soprattutto (all'ottanta per cento), e un po' di di pinot noir, ma d'unica raccolta.
Il colore è paglierino, la bolla finissima.
Il naso, classicissimo, con la crosta di pane, il lievito, il croissant all'albicocca, un che di boisée.
Al palato, lo chardonnay lo indovini subito per quella mielosità del vino, che è tipica. E il pinot noir conferisce invece struttura e personalità. E un che di fruttino rosso di bosco.
Aggiungo che ci si ritrova la nocciola. E c'è, sottesa, anche una piacevole vena agrumata.
Leggo sul sito internet dell'azienda che lo consigliano come aperitivo o come accompagnamento per il foie gras, l'aragosta o i gamberoni: se solo potessi averne a portata di mano, verificherei immediatamente, e credo peraltro possano avere ragione.
Se si considera che lo si può comprare on line, qui in Italia, intorno ai 28 euro, è proprio un bel bere.
Due lieti faccini :-) :-)

30 marzo 2010

Nuova guida dei vini: Slow Food si presenta a Vinitaly il 9 e 10 aprile

Nell'ambito di Vinitaly, venerdì 9 aprile, alle ore 16, presso la Sala Vivaldi del Centro Congressi Europa di VeronaFiere (ingresso A1) Slow Food presenterà il nuovo progetto della sua Guida Vini 2011.
"Il nuovo grande progetto vino di Slow Food, che culminerà in ottobre con l'uscita della Guida Vini - dicono i curatori Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni (entrambi nella foto) -, capovolge i canoni classici del mondo dell'editoria vinosa. Il lavoro dei 150 collaboratori inizierà dalla vigna, che visiteremo in modo sistematico. Poi si passerà alla cantina e solo allora si inizieranno le degustazioni di gruppo. Slow Food desidera dare un'importanza maggiore ai volti delle persone, ai loro racconti per riuscire a comunicare meglio il sistema vitivinicolo del nostro paese. Ci concentreremo sulla conoscenza capillare dei territori, anche su quelli meno conosciuti, per fornire ai lettori validissime novità".
Vuole inserirsi in quest'ottica anche la degustazione che Slow Food ha programmato a Vinitaly sabato 10 aprile alle ore 10.30 presso la Sala Argento del Palaexpo A2, (piano 1): "Organizzeremo - dicono Gariglio e Giavedoni - una grande anteprima della nuova pubblicazione, che culminerà con una degustazione esclusiva alla cieca di 8 vini provenienti da terroir meno celebrati, ma con grandissime potenzialità di crescita. Ve ne accorgerete quando sveleremo, solo alla fine, nomi e zona di produzione, sarà una vera e propria sorpresa per tutti!"
In bocca al lupo.

Consorzi di tutela, si cambia!

Angelo Peretti
Un decreto legislativo ha recentemente modificato la normativa italiana sul vino: è del 12 marzo. Non sono di sicuro la persona più indicata, ché qui ci vorrebbe un tecnico del settore, ma vorrei cercare di fare - per quel che posso - il punto su cosa sia potenzialmente cambiato per i consorzi di tutela. Che non sono certo strutture di poco conto. E che avendo ora meno quattrini di prima, visto che il piano dei controlli è stato trasferito a società terze, e che con i controlli han perso i relativi incassi, dovranno darsi da fare non poco per conservarsi i propri soci, e quindi i mezzi per la sopravvivenza.
Ora, a regolare il mondo dei consorzi c’è l’articolo 17 (ohi, ohi: saremo mica superstiziosi, vero?) del decreto. E salta subito all’occhio una diversificazione fra quei consorzi che rappresentano in forma ampia la filiera produttiva, e quelli che invece han meno seguito.
Ordunque, un consorzio di tutela viene riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali se è rappresentativo di almeno il 35 per cento dei viticoltori e di almeno il 51 per cento della produzione della denominazione d’origine o dell’indicazione geografica di competenza. In tal caso, il consorzio potrà “avanzare proposte di disciplina regolamentare” del prodotto interessato, e poi “espletare attività di assistenza tecnica, di proposta, di studio, di valutazione economico-congiunturale della dop o dell’igp, “nonché ogni altra attività finalizzata alla valorizzazione del prodotto sotto il profilo tecnico dell’immagine” e poi ancora collaborare alla tutela e alla salvaguardia della dop o dell’igp “da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio”. Ma “le funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi della relativa denominazione” le potrà svolgere solo nei confronti degli associati.
Diverso è se il consorzio ha maggior rappresentatività. Se insomma il consorzio in questione ha tra i propri soci almeno il 40 per cento dei viticoltori e almeno il 66 per cento della produzione. In questo caso l’organismo consortile avrà una potestà - come s’usa dire - “erga omnes”. Insomma: le sue decisioni varranno per chiunque utilizzi la denominazione, socio o non socio che sia. E l’eserciterà, questa facoltà, nelle funzioni “di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla denominazione”.
C’è di più: un consorzione di questo tipo potrà “definire, previa consultazione dei rappresentanti di categoria della denominazione interessata, l’attuazione delle politiche di governo dell’offerta, al fine di salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto dop e igp, e contribuire ad un miglior coordinamento dell’immissione sul mercato della denominazione tutelata nonché definire piani di miglioramento della qualità del prodotto”.
Ma forse conta ancora di più il fatto che il superconsorzio avrà la possibilità di “agire, in tutte le sedi giudiziarie ed amministrative, per la tutela e la salvaguardia della dop o della igp e per la tutela degli interessi e diritti dei produttori” e “svolgere azioni di vigilanza, tutela e salvaguardia della denominazione da espletare prevalentemente alla fase del commercio”, senza sovrapporsi, ovviamente, agli organismi terzi di certificazione.
L’attività di vigilanza di cui ho appena detto consiste - dice il decreto - “nella verifica che le produzioni certificate rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari, e che prodotti similari non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni dop e igp”.
La cosa non è così banale, soprattutto se si pensa che “agli agenti vigilatori incaricati dai consorzi, nell’esercizio di tali funzioni, può essere attribuita la qualifica di agente di pubblica sicurezza”.
Apperò: se la cosa funziona, c’è aria di novità per il mondo del vino.
Photo: www.freefoto.com

29 marzo 2010

A Torri del Benaco apre il ristorante Viola: la nuova avventura di Isi e della sua brigata

Angelo Peretti
Adesso il tormentone è finito: quale e cosa sarà il "dopo Caval" lo si sa. Al posto del ristorante che lo ha portato alla stella Michelin, Isidoro Consolini apre - per Pasqua - un nuovo locale. O meglio, il nuovo locale lo aprono la moglie Violetta, l'ex secondo di Isidoro, Stefano, e Margherita, che al Caval aiutava Violetta in sala. E ovviamente Isidoro fa la supervisione, anche se lui sarà occupato presso un altro ristorante.
Certo che il futuro di Isi e della sua brigata mi sta a cuore: del resto, questo web magazine è nato come evoluzione del vecchio portale dell'associazione I Ghiottoni, che avevo fondato proprio con lui e con Flavio Tagliaferro. Certo, che m'interessa.
Il nome? Ristorante Viola. La formula mira a una cucina semplice, ma incentrata su prodotti di qualità: in ogni ricetta ci sarà almeno un ingrediente che proviene dai presìdi di Slow Food o dal commercio equo solidale.
I prezzi sono abbastanza contenuti, soprattutto se pensiamo che siamo sul lago di Garda: dai 6 agli 8 euro per gli antipasti, dai 7 ai 9 per i primi, dai 12 ai 17 per i secondi, dai 4 ai 7 per i dolci.
Qualche esempio della nuova cucina? Insalata di manzo bollito con salsa verde e pane croccante, tagliolini con ragù di oca in onto, tortelloni con formaggio monte veronese di malga, lavarello fritto con insalatine profumate al limone e mais biancoperla, bocconcini di coniglio con sale di Cervia al rosmarino e verdure, pollo arrosto con ripieno classico, gelato al caffè con crema di grappa, torta di mele rovesciata con crema inglese alla vaniglia.
In bocca al lupo.

Olio extravergine di oliva Brisighella 2009 Agrintesa

Angelo Peretti
Quella di Brisighella è dop olearia ravennate e forlivese, con l'areale di produzione che comprende le terre dei comuni di Brisighella - appunto - e poi Faenza, Riolo Terme, Casola Valsenio, Modigliana. Ed è l'oliva nostrana di Brisighella che, da disciplinare, fa e ha da fare la parte del leone nella produzione, ché la si deve utilizzare almeno al novanta per cento. Ed è pure, questa nostrana, oliva davvero interessante, capace di dare extravergini di eleganza notevole su questo tratto d'Appennino romagnolo.
Solo che raramente mi capita - purtroppo - di tastarne, d'oli di Brisighella, ché mica son prodotti in quantità così alta, e dunque li si trova soprattutto in loco.
Me n'ha offerto opportunità l'invio d'una bottiglietta del Brisighella dop della cooperativa Agrintesa, colosso dell'ortofrutta. E l'ho trovato piacevole, quest'olio.
Colorato d'una brillante, limpida tonalità gialla che sfuma nel verdino, si presenta immediatamente all'olfatto con un avvolgente, rinfrescante bouquet di fiori primaverili e di erbe di prato. E ci si accompagna un che di nocciola o di mandorla, entrambe appena raccolte, ancora verdi. E una vena sottile sottile d'officinale e quasi di resinoso. Bei profumi.
In bocca è subito mix di dolce e d'amaro, ed è una sensazione, questa, che mi piace trovare in un olio. Ed è un continuo altalenarsi fra l'amaro che cerca di prender sopravvento - a tratti con ricordi di cardo perfino - e il dolce, soprattutto della frutta secca, che rintuzza l'attacco della vena amaricante.
Contrasta anche l'impronta della pasta, da un lato tendenzialmente morbidina e burrosetta, e dall'altro addirittura invece - positivamente - lievemente astringente. Tra il maturo e l'acerbo.
Due lieti faccini :-) :-)

28 marzo 2010

E basta con questa cucina del contrasto caldo-freddo!

Angelo Peretti
Tra le stramaledette innovazioni della cucina che si vuol definire moderna c'è anche quella dei piatti dal contrasto caldo-freddo. Oh, quanti che ne ho visti di questi artifici nell'ultima manciata d'anni nelle liste dei ristoranti che vorrebbero esser di tendenza! Sia chiaro: come sempre, c'è l'eccezione che conferma la regola, e qualcosa di interessante ho pur mangiato. Ma in genere è una tortura. Davvero: una tortura nel vero senso della parola, fisicamente.
Recente cena in un ristorante stellato dalla Michelin. Dessert in tre parti: una torta burrosa, un gelato, una specie di vin brulè nel bicchierino con cannuccia. Dico: il vin caldo non era caldo, ma alla temperatura della lava incandescente. Roba che ho avuto la lingua insensibile per un giorno intiero. Ecco a che doveva servire il gelato: ad alleviare le ustioni. Mi chiedo: e dove sta la piacevolezza in un piatto del genere? Chi gliel'ha messo in testa a chi c'è in cucina che si possa mandare in tavola una roba del genere? Ragazzi, non scherziamo: è perfino pericolosa. Avrei preso il cuoco e gliel'avrei fatto tracannare a lui quel liquido bruciante, per la miseria!
E comunque, in tanti ristoranti che si ritengono creativi la tortura del caldo e del freddo, credetemi, è costante. Peggio della rucola onnipresente di qualche anno fa. Peggio: almeno la rucola la potevi spostare, metter da parte. Qui no, o ti congeli o t'ustioni. Che poi non capisco: il troppo freddo e il troppo caldo desensibilizzano entrambi il palato. E mi spiegate che senso ha togliere sensibilità all'ospite che dovrebbe assaporare i gusti d'un piatto? Mistero.
Speriamo che si torni alla cucina-cucina. Che si torni al sapore, alla materia prima di qualità, alla lavorazione ben fatta. Che si mettano da parte gli istrionismi. Che si torni alla sostanza.
Chiedo troppo?

27 marzo 2010

Vinitaly 2010: manuale di sopravvivenza #2 - occhio ai parcheggi!

Occhio ai parcheggi per chi dall’8 al 12 aprile 2010 visita a Verona la quarantaquattresima edizione di Vinitaly, organizzata da Veronafiere.
Quest'anno nelle strade attorno alla Fiera è stato istituito il disco orario di un'ora (soltanto!) tra le 8 e le 19 (il perimetro è quello comprendente stradone Santa Lucia, via Golosine, via Po, largo don Giovanni Calabria, via dell’Industria, via Monfalcone, via Centro, via Volturno, via Scuderlando, viale dell’Agricoltura, viale del Lavoro, via Scopoli, viale della Fiera). Sul sito del Vinitaly si avverte che "se la sosta oltrepasserà il termine di un'ora la polizia municipale provvederà alla rimozione forzata del veicolo".
I visitatori della Fiera possono utilizzare i posti auto delle ex Officine Adige (vicino al casello autostradale di Verona Sud), dell’ex Mercato Ortofrutticolo P3 (di fronte al quartiere fieristico), il parcheggio degli ex Magazzini generali e dello Stadio. Il parcheggio dello Stadio purtroppo non sarà disponibile domenica 11 aprile e verrà sostituito con quello di Verona Mercato (vicino all’uscita di Verona Nord).
Il parcheggio dello Stadio è gratuito: da lì si va in Fiera con una navetta a pagamento (1 euro a persona). La domenica, da Verona Mercato sarà pure disponibile un autobus a pagamento (1 euro a persona) per arrivare in Fiera. La navetta dal parcheggio dell’ex Officine Adige è gratuita.

26 marzo 2010

Manifesto 2010: dite la verità sul vino

Angelo Peretti
Ho già avuto altre volte occasione di riprendere gli editoriali che Matt Kramer (è lui nella foto qui accanto) firma su Wine Spectator. Già, quando m'arriva a casa la rivistona a stell'e strisce, ammetto che la prima cosa che vado a leggere è proprio il suo pezzo. Sono un suo fan, insomma.
Stavolta, sul numero di marzo, pubblica il suo "Manifesto 2010". Che invita i vigneron alla trasparenza. Chiedendosi: "Perché le aziende vinicole sono così riluttanti nel dire come fanno i loro vini? Colpa vostra, vedete".
Già, per farla breve e sintetizzare un po' a modo mio, è così che dicono i produttori, secondo Kramer: "Non diciamo di più perché la gente non capirebbe". Oppure: "Alla gente non interesserebbe". E invece capirebbe, oh, se capirebbe, e gl'interesserebbe. Perché? Perché, scrive l'editorialista di WS, le cose stanno così: "Nell'epoca dei web site, dei blog e delle applicazioni dello smartphone, l'abilità di raggiungere un pubblico non mediato da, be', gente come me, è senza precedenti. Diteci cosa fate e perché lo fate. Non siamo stupidotti come sembriamo".
E che cosa dovrebbero mai dire i produttori a quei finti scemolotti dei loro clienti? Parecchie cose, che non sono però quelle - o non tanto quelle - che gli iper-razionalisti vorrebbero a mo' di lista degli ingredienti sulle etichette. No, dovrebbero dire la verità, per esempio, su quant'alcol c'è davvero in bottiglia, ché la normativa permette di essere un po' troppo flessibili: mezzo grado di tolleranza da noi, perfino un grado e mezzo negli Stati Uniti quando si dichiarano meno di quattordici gradi (ed è una follia). Oppure spiegare se si sono adottate tecniche di dealcolizzazione, qualunque essa sia. Ovvero se si sia ritoccata l'acidità, e come. E via discorrendo. Tutte informazioni interessanti, ma mica per far le pulci alle aziende e alle loro pratiche di cantine. Semplicemente perché è bene dire, così come è bene sapere.
Ecco, quest'è una cosa che effettivamente il mondo del vino non fa: dire cosa succede in cantina. Spiegare, parlare, comunicare. Non per giustificare, ma per informare. Per creare un clima di fiducia. Per non trattare il cliente da stupidotto, perché sì, nell'epoca di internet, c'è sempre più gente che la sera smanetta sulla tastiera. E magari può scopriore segreti inconfessabili per chissà quale via. Meglio giocare d'anticipo. La trasparenza oggi può essere una buona pratica di marketing.

25 marzo 2010

Vinitaly 2010: manuale di sopravvivenza #1 - come si entra

Dall’8 al 12 aprile 2010 a Verona c'è la quarantaquattresima edizione di Vinitaly, organizzata da Veronafiere.
Gli organizzatori sono ottimisti: "I segnali che arrivano - spiegano in un comunicato stampa - sono positivi e l’aspettativa è di confermare l’equilibrio di visitatori raggiunto nel 2009 con 151 mila presenze delle quali il 30% provenienti da 112 Paesi. Anche il numero di espositori è in linea con il 2009, mentre è aumentata la superficie espositiva netta, che raggiunge quest’anno i 98 mila metri quadrati".
Ufficialmente, Vinitaly è aperto esclusivamente agli operatori specializzati e la registrazione è obbligatoria, ma si può fare anche on line.
L'ingresso "sarebbe riservato" ad appartenenti alle seguenti categorie: GDO, grossisti import-export, rivenditori food, bar, ristoranti, hotel, catering, enoteche, wine bar, sommelier, enotecnici, produttori di enotecnologie, produttori di olio e vino, stampa specializzata, autorità, istituzioni. Dico "sarebbe riservato".
In ogni caso, possono entrare solo i maggiorenni: non è permesso l’ingresso ai minori di 18 anni neppure se accompagnati.
Il biglietto giornaliero costa 40 euro (35 se si prenota on line). L'abbonamento alle cinque giornate del Vinitaly costa 80 euro (online 70).
Dal giovedì alla domenica c'è orario continuato dalle 9.30 alle 18.30. Il lunedì (ed è una novità) l'apertura è fino alle 16.30.

8-10 aprile 2010: VinoVinoVino a Cerea (Verona)

VinoVinoVino, l'appuntamento annuale con il Consorzio Viniveri e La Renaissance des Appellations, si rinnova all'AreaExp La Fabbrica di Cerea, vicino Verona, per i giorni 8, 9, 10 aprile 2010: un'occasione per conoscere ed assaggiare la produzione di oltre 130 cantine provenienti da tutta Italia ma anche Francia, Slovenia, Austria ed altri.
Viniveri è un Consorzio di viticoltori che hanno deciso nel 2004 di unirsi nel nome dell'amore e del rispetto per la terra.
La Renaissance des Appellations è un’associazione di vignaioli creata da Nicolas Joly nel 2001. Attualmente raggruppa oltre 160 produttori da tutto il mondo che pensano ed agiscono sul terreno comune dell’agricoltura biodinamica.
Durante VinoVinoVino 2010 sarà possibile acquistare alcune tra le più rare etichette del panorama enologico naturale tra gli scaffali dell’Enoteca che rimarrà aperta al pubblico durante l’orario della manifestazione.
Quando: da giovedì 8 a sabato 10 aprile, dalle 10.00 alle 18.00
Dove: AreaExp La Fabbrica, Via Libertà 57, Cerea (Verona)
Costo: euro 20,00

24 marzo 2010

Pauillac 1988 Château Colombier-Monpelou

Angelo Peretti
Ecco, quando bevo vini così, un po' ne gioisco, e un po' mi c'incavolo. Ne gioisco, perché è un gran bel bere. M'incavolo, pensando a quanto sia difficile trovare vini altrettanto longevi dalle nostre parti e anche a come le mode filo-parkeriane abbiano alterato gli stili, favorendo la concentrazione alla beva, la struttura alla finezza.
Bottiglia di Pauillac, annata 1988, confine fra la tradizione e lo stile simil-californiano. Produttore uno semisconosciuto per i più - ma in realtà referenziato - Château Colombier-Monpelou. "Affidabile con buoni standard" lo definisce il vate Hugh Johnson. In origine, leggo sull'utilissimo volumetto che David Peppercorn ha dedicato qualche anno fa ai vini di Bordeaux, era la vigna migliore della locale cooperativa. Poi venne comprata, nel 1970, da Bernard Jugla, proprietario di Château Pédesclaux. "Un buon, onesto, robusto Pauillac, che ha una certa eleganza e un frutto succoso e piacevole", annota Peppercorn.
Be' non mi verrebbe descrizione migliore in ordine al frutto. Con tutto quel mirtillo che ti ritrovi al palato, frammisto peraltro a delle belle vene terrose.
Che ci sia una qualche prevalenza di cabernet sauvignon te n'accorgi fin da subito. E resti piacevolmente colpito dalla giovinezza, dalla freschezza dei sentori varietali, dopo venti e più anni.
Ecco, dove li troviamo, qui da noi, vini che dopo vent'anni siano ancora dei giovinetti? Non dico "vini che abbiano resistito", ma dico invece che appaiano giovanissimi, come questo in effetti.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

23 marzo 2010

Asti Metodo Classico De Miranda 2002 Contratto

Angelo Peretti
Ci sono vini che per loro intrinseca vocazione fanno discutere, e non se ne può fare a meno di chiacchierarci sopra quando se ne stappa una bottiglia. E spesse volte sono proprio questi i vini che più intrigano, e che più son prossimi a descrivere quel misterioso concetto che è il terroir.
Per me, a questa categoria appartiene l'Asti (spumante) De Miranda, che in casa Contratto si fa col metodo classico.
Sissignori, è un vino per certi versi spiazzante. Non foss'altro perché di solito l'Asti lo si fa in autoclave, mica facendogli prendere spuma in bottiglia. E invece questo non solo prende rifermentazione nel vetro, ma fa addirittura la prima, di fermentazione, in legno, e ci sta qualche mese (com'è ovvio che sia per un metodo classico). Ma è chiaro che non è tutta e solo qui, la ragione del contendere.
Gli è che il De Miranda è vino che supera, bypassa le convenzioni e gli stereotipi astigiani. Porgendosi insieme con dolcezza ed eleganza, con carattere e morbidezza, con personalità e carezza, e dunque non ci entri subito in sintonia, e ti costringe a concentrarti nell'assaggio o nella bevuta. In più, è bolla che affronta gli anni con una certa nonchalance.
Ho bevuto di recente una bottiglia del 2002: vino perfetto in quanto a cremosità del perlage e dell'assieme e convincente assai per giovinezza del frutto. Ed erano tra il frutto esotico e l'erba officinale le sensazioni che ho avvertito, in perfetta continuità, al naso e alla bocca.
E al palato ecco, di più, la brioche ripiena di confettura d'albicocca e poi la nocciola langarola.
Ma è stato soprattutto il velluto della struttura a impressionarmi.
A proposito: De Miranda è il nome del vigneto, sulle colline di Canelli, e anche quest'indicazione del cru distanzia quest'Asti dalla media.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

22 marzo 2010

Alcol a 1,5: via la macchina anche se è in leasing

Angelo Peretti
Ohi, ohi: questa che ho letto su Italia Oggi è una faccenda rognosetta. Comincio dalla fine, che è quel che conta: si sa che se mentre si guida si viene fermati e si ha un valore alcolemico superiore a 1,5 (o anche se si è provocato un incidente), la legge prevede il sequestro del mezzo e la sua confisca, con conseguente messa all'asta. Fino ad ora, si pensava che la confisca scattasse solo se il veicolo risultava di propietà del conducente. Ma non, ad esempio, nel caso d'una macchina in leasing. Adesso invece non c'è niente di fare: anche l'auto in leasing può esser sequestrata.
Debora Alberici ricorda su Italia Oggi che "la macchina in leasing, aziendale e non, può essere sequestrata per guida in stato di ebbrezza anche se chi è al volante al momento dell’infrazione, di fatto, non è il proprietario".
A stabilire questo principio è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10688, pochi giorni fa. Dice che “è legittimo il sequestro di un veicolo il cui conducente, sorpreso alla guida di quel veicolo in stato di ebbrezza ai sensi dell’art. 186, comma secondo, lett. c), del codice della strada, ne abbia la disponibilità in forza di un contratto di leasing. Infatti, tenuto conto della natura e degli effetti di un contratto di leasing, non v’è dubbio che un bene detenuto in forza di tale contratto 'appartiene' al soggetto al quale è stata attribuita la materiale disponibilità del bene stesso: ed invero, 'appartenenza' non significa astrattamente proprietà di una 'res', ma sostanzialmente diritto di goderne".
Ecco: prendetene - prendiamone - nota.

21 marzo 2010

I problemi del vino: quando la preoccupazione arriva tardi

Angelo Peretti
Non c'è dubbio: per il vino son tempi duri. Per la produzione. Ma anche per l'appassionato. Le cause? Tante. E provo a descriverle ritagliando e incollando qualche frase da un articolo che mi è stato da poco segnalato.
Vi si dice che la disaffezione verso il vino di motivi ne ha parecchi, e che le magagne dei vigneron ne hanno altrettanti.
Per esempio, "una giurisprudenza che nasconde tanti tranelli e che costringe vignaioli e produttori a vere e proprie acrobazie per non cadere nella trappola di violazioni sempre presenti e che impone il ricorso, sempre costoso, a consulenze di vario tipo per uscire indenni dal dedalo delle disposizioni".
Poi, "una burocrazia che vincola un po' tutti a noiose e sovente inarrivabili procedure" e ancora "i pesanti balzelli che ne derivano".
Di nuovo, "il 'terrorismo' della classe medica che agita lo spauracchio di malanni spesso inesistenti". E avanti, "la conseguente tendenza, quasi una moda ormai, a diete esasperate contro quel chiletto di peso in più che è sempre attribuito, in primis, al consumo del vino".
Si continua con "le violente campagne di varie leghe che combattono, a volte senza indulgenze e senza molta obiettività, l'uso dell'alcol dimenticando volutamente di operare il giusto distinguo fra superalcolici e vino assunto con giusta moderazione".
Si prosegue con "la sordità, a livello governativo, verso i problemi di una equilibrata campagna di educazione e informazione".
Ancora, ecco "una classe giornalistica che non si fa scrupolo di denunciare momenti e situazioni che mortificano il vino, e chi lo produce, a volte soltanto per soddisfare pruriti sensazionalitici, altre per distrarre l'opinione pubblica dai ben più drammatici momenti e situazioni che nascondono il volto della droga e della mafia".
E in più, la questione dei controlli col "palloncino" antialcol sulle strade.
Direte: ovvio, son questi alcuni dei problemi maggiori.
Dico: ovvio. Ma il fatto è che l'articolo l'ho trovato sul numero di novembre-dicembre del 1988 della rivista "Il Vino". La firma: Isi Benini, che del magazine era fondatore e direttore.
Sono passati più di vent'anni e siamo ancora al punto di allora, o forse peggio. E salta evidente all'occhio come il mondo vitivinicolo poco o nulla abbia saputo fare per arginare problemi già ben tracciati due decenni fa.
A proposito: il pezzo era stato scritto perché si parlava, appunto, di introdurre i controlli alcolmetrici nel codice della strada. Idea dei ministri Ferri e Santuz. Magari non ce li ricordiamo neppure, ma oggi i vignaioli son qui che si preoccupano. Tardi.
Photo: www.freefoto.com

19 marzo 2010

Elogio del vinino: il 10 aprile se ne discuterà a Vinitaly, perché non venite a trovarmi?

Angelo Peretti
Opperbacco, adesso rischio che mi dicano che sto esagerando. Ve la ricordate la faccenda dell'Elogio del vinino, ovvero il mio Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere? Ebbene, dopo che il vinino ha girato in lungo e in largo sul web, ecco che adesso approda alla maggiore kermesse enologoca nazionale: il Vinitaly. Sissignori, ci sarà un convegno sul vinino. O meglio, più che di un convegno spero si tratti di una conversazione, e tecnicamente sarà infatti una "degustazione-dibattito", ché il vinino non vuole formalismi, ma condivisione gioiosa. Ecco: mi piacerebbe si trattasse soprattutto d'una modalità di compartecipare un'idea. E l'idea è quella, appunto, della piacevolezza dei vini che nascono per essere beatamente, gioiosamente, giocosamente bevuto a tavola, e mica per forza nei convivi formali, ma invece soprattutto nella quotidianità. Con un piatto di pasta, una grigliata di carne, o anche solo un tozzo di pane e una fetta di salame. Vini da compagnia. Vini semplici ma non banali.
Se andate a vedervi le pagine web ufficiali del Vinitaly, leggerete questa presentazione per l'appuntamento in fiera: "Molto probabilmente si dovrà trovare loro un nome più immediato e accattivante, ma i 'vini da bere', che gli appassionati sul web hanno definito 'vinini' per contrapposizione al concetto di 'vinone', sono la più sincera espressione della nostra cultura e tradizione. Il dibattito-degustazione porrà quindi l'attenzione sia sui caratteri che contraddistinguono questa tipologia di vini (l'immediata godibilità, l'attitudine alla convivialità, la vocazione a servire il cibo, il legame col territorio di provenienza, la reperibilità e accessibilità d'acquisto, la sostenibilità dello stile di vita a essi associato) sia sulle corrette modalità di valutazione e di comunicazione. Il tutto presentato in modo informale e leggero, ma non banale: come questi vini, appunto!" E non credo di dover aggiungere altro.
Detto questo, slcune informazioni - come dire - teniche.
La prima: a propormi di realizzare l'evento è stata Santa Margherita, una delle aziende leader del mercato italiano del vino. E ringrazio. E dico anche che mi han fatto l'onore di scrivere che la faccenda è loro e mia, cioè di Santa Margherita SpA e di Angelo Peretti - InternetGourmet.
La seconda: il titolo ufficiale dell'incontro è "Bere col sorriso ovvero Elogio della piacevolezza del vino".
La terza: la data è quella si sabato 10 aprile.
La quarta: si comincia alle ore 11 e si andrà avanti per un paio d'ore, degustazione giocherellona compresa.
La quinta: saremo alla sala A del Palaexpo A2 (al primo piano).
La sesta: insiema me ci saranno Fabio Piccoli, giornalista, e Lorenzo Biscontin, direttore marketing di Santa Margherita.
La settima: la partecipazione è aperta e gratuita, ma bisgna accreditarsi e dunque si prega di farlo scrivendo una mail a gagliardi@gagliardi-partners.it, oppure telefonando al numero 049 657311.
L'ottava: se ci venite, è evidente che ne sarà felice.
La nona: chi volesse rileggersi l'Elogio del vinino, può cliccare qui.
La decima: chi volesse rileggersi gli Appunti per una estetica del vinino, può cliccare qui.
E comunque, lunga vita al vinino.

18 marzo 2010

19 marzo: congresso e conferenza con Slow Food del Garda Veronese a Bardolino

È convocato per venerdì 19 marzo, alle ore 19, presso il ristorante Il Giardino delle Esperidi, il congresso delle condotte Slow Food del Garda Veronese e della Terra dei Forti, in preparazione al Congresso nazionale: i soci sono invitati a partecipare.
Sempre venerdì 19 marzo, ale ore 20.45, sempre a Bardolino, presso la sala civica dell'ex chiesa della Disciplina, Slow Food si presenta nell'ambito della rassegna Pensoverde organizzata dal circolo di Legambiente Amici del Garda in collaborazione con l’associazione Amici del Territorio di Bardolino.
Intervengono Angelo Peretti, fiduciario di Slow Food per il Garda veronese, e Marco Brogiotti, governatore di Slow Food del Veneto: al centro dell'incontro la filosofia del “buono, pulito e giusto”, alla ricerca del gusto e della biodiversità.

Etichette e terroir

Angelo Peretti
Conversavo - on line - un paio di sere fa con Pasquale Brillante, delegato dell'Associazione italiana sommelier per l'area dei Comuni vesuviani. Parlavamo di etichette. Ché nel settore Pasquale ha lanciato di recente una bell'idea (e di bell'idee ne mette in campo spesse volte). L'idea è un concorso, che ha chiamato "etichetta brillante". Si è svolto di recente presso l'antico pastificio Afeltra, mito della pasta di Gragnano.
Gli dicevo che, sì, ultimamente di bell'etichette se ne vedono in giro parecchie. L'arte del packaging si è evoluta assai. E gli studi grafici realizzano piccoli, talvolta. Che però spesso sono senz'anima. Come diceva Cocciante, bella senz'anima è, molte volte, l'etichetta d'oggidì.
Personalmente, credo che un'etichetta dovrebbe raccontare, se può, se ci riesce, il vino e il suo terroir, inteso come assieme di uva, terra, clima, persone, comunità, culture. Il vino e la terra e il produttore, insomma: ecco gl'ingredienti. Che si possono modulare a piacimento, d'accordo. E mica mettendoli assieme tutti. Ma questo vorrei interpretare nel disegno di un'etichetta. E vorrei interpretarlo intuitivamente, senza dover leggere il libretto delle istruzioni. Sennò a che serve?
Certo, un bel vestitino è meglio di certa paccottiglia, e dunque un'etichetta ben composta graficamente veste una bottiglia meglio di cert'ignobili biglietti stampigliati che non ti fan venir voglia d'assaggiarlo neppure quel vino. Epperò è un'occasione perduta, se si guarda solo alla forma e non alla sostanza.
Capisco le esigenze di chi è distribuito nella gdo, e dunque ha bisogno di colore ed originalità per far vedere il proprio prodotto sullo scaffale, e portar lì la mano di chi passa col carrello. Ma la piccola azienda? Chi glielo fa fare di metter sopra al vetro un'algida forma geometrica colorata?
Un'occasione perduta, ripeto: ecco cos'è un'etichetta che non racconta, non parla. Un'etichetta che non cerca di narrare il pensiero, il sentimento, oppure il luogo, la tradizione. Il genius loci. Il terroir. E si finisce (finisco) sempre per parlare di questo benedetto terroir.

Champagne Extra Brut Rosé Saignée de Sorbée Vouette et Sorbée

Angelo Peretti
Oh, l'ineffabile bellezza del pinot noir. Ecco, chi ama il pinot nero con le bollicine, si segni questa bottiglia: se ne innamorerà, ci scommetto. O almeno, io me ne sono innamorato di questo Champagne di Vouette et Sorbée.
Sta scritto in etichetta: saignée. Che sta per salasso. Significa che si vinifica in rosso, normalmente, e poi di vino se ne toglie una parte, la si salassa dalla massa. I rosé si sanno o così, o con la vinificazione in rosa (con parziale contatto fra mosto e bucce) delle uve a bacca nera.
Questo è un salasso da uve di pinot nero, provenienti da campi condotti secondo il metodo biodinamico.
Il vino è d'un rosato carico, cerasuolo. Brillantissimo. Cristallino.
Al naso che sia pinot nero non ne hai il minimo dubbio: fragolina di bosco, fragola matura. E un che di speziato. Elegantissimo e avvincente. Giusto perché vedi la spuma nel bicchiere e le bolle che salgono come microscopiche perle, sennò diresti che quest'è proprio un rosso borgognone.
In bocca trovi conferma dell'indole del pinot nero. E la fragola sembra quasi quella delle gelatine di frutta. Ed è vino avvolgente. E c'è cremposità. Eppure anche bella struttura, e personalità in rilievo, e persistenza di tutto rispetto. E quel fruttino che si distende: che piacevolezza.
Un amore. Un po' costosetto: 46 euro più iva se l'acquistate on line.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

17 marzo 2010

Valpolicella Classico Superiore I Cantoni 2006 Novaia

Angelo Peretti
Anche nei giorni - che comprendo, ma che pure spero si stiano, come mi pare, estinguendo - dell'ubriacatura filo-parkeriana tutta marmellata e alcol e tannino, la vallata di Marano è rimasta la più identitaria nel mondo produttivo della Valpolicella.
In piena area classica, propone, quando davvero i vignaioli interpretano il terroir - e qui in genere lo fanno -, dei vini mai troppo carichi nel colore, mai troppo azzardati nell'alcol, mai troppo densi nel frutto. Insomma, confermo: vini di terroir, e non è mica poco.
Nella parte alta della valle c'è l'aziendina della famiglia Vaona. Si chiama Novaia. E Marcello Vaona è uno dei giovinotti che rappresentano la nuova generazione valpolicellista: parlateci, se volete conversare con uno entusiasta della sua terra.
Ora, dico che se cercate un Valpolicella Superiore che si faccia bere e che esprima la sua terra d'origine, questo I Cantoni - il nome è quello del vigneto - può fare al caso vostro. Ed è fatto, questo rosso valpolicellese della val di Marano, con quella tecnica dell'appassimento breve - in questo caso una trentina di giorni - che a mio avviso rappresenta un filone di notevole interesse, e che va approfondita ancora.
Il vino ha colore sì scuretto, ma non impenetrabile, ed anzi cristallino.
Profumi sì fruttati, ma per nulla marmellatosi, ed anzi ben - elegantemente - integrati dalla spezia e dal fiore essiccato.
Bocca sì vellutata e morbida, ma per nulla aggressiva, e l'alcolicità - coi suoi tredici gradi e mezzo - mi sembra molto ben integrata.
Insomma: sa stare bene in tavola, e se ne beve volentieri il secondo bicchiere.
Due lieti faccini :-) :-)

16 marzo 2010

Monte Ceriani: la garganega, la mineralità, la personalità

Angelo Peretti
Capiamoci: la garganega questi scherzi te li fa. Soprattutto se l'uva - quest'uva che ha fatto grande il Soave - viene da collina alta, da suoli difficili, e magari - magari! - se ne estrae tutto, anche l'anima. Lo scherzo te lo fa, ché ti sembra sempre di sentirci il legno, il rovere, il tino, e invece vedi poi che è tutt'acciaio.
Ecco, il Monte Ceriani è un Soave di quelli in cui l'anima malandrina della garganega ti può giocare scherzi di questo genere, ché ti vien da dire che è bianco che ha visto legno e invece è tutt'acciaio, e se non ti rassicurano che è proprio proprio soavese, magari ti vien perfino da pensare a qualche chardonnay borgognone o giù di lì.
Il Monte Ceriani è il Soave dei fratelli Castagnedi della Tenuta Sant'Antonio. Famosi per i rossi, ma sempre più attenti alla garganega bianchista. Ceriani è località in comune di Colognola ai Colli, duecento metri d'altezza, piante trentenni, coltivate a pergola. Leggo che si vinifica in acciaio, ovviamente a temperatura controllata, e si fa pressatura soffice e si lavora in riduzione, saturando coll'azoto, e si fa batonnage sempre nell'inox fino ad aprile con dei miscelatori fatti apposta. Insomma: si cava fuori tutto quel che si può cavare dalle fecce, quelle che s'usan definire fini.
Che se ne trae? Se ne ricava un bianco che è uno schiaffo in faccia a quelli che non credono che esista il concetto di mineralità del vino. E come te li spieghi, allora, quei sentori di grafite (mai usata una matita?), di selce (mai provato a picchiarla col martello?), insomma, quei toni che non sono né frutto, né vegetalità, né animalità? E dunque vien da doire che sono mineralità di terroir.
Ecco: se cercate bianchi minerali, provate il Soave Monte Ceriani. Vino mica di quelli facili e piacioni, nossignori. Bianco che t'impegna e ti sfida.
Ora, di questo bianco dei Castagnedi ne ho potute stappare, una in fila all'altra, le ultime tre annate uscite sul mercato: il 2008, il 2007 e il 2006. Trovandole l'un l'altra in sintonia. E sempre con quei mineralismi che ne marcano il passo. Coll'ultima annata che prende il volo.
Adesso dico comunque un po' meglio com'è andata.
Soave Monte Ceriani 2006 Tenuta Sant'Antonio
Ci vuol tempo e pazienza perché nel bicchiere la florealità si faccia spazio dietro e dentro a quelle memorie minerali così intense. E c'è nota di fieno, e di frutto giallo. In bocca è assieme polpa e anche freschezza quasi salina. E c'è considerevole lunghezza materica. Con quel frutto che rotola, sospinto dall'acidità. E un assieme che evoca il burro. Vino di sostanza, di carattere, ma anche d'eleganza.
Due lieti faccini :-) :-)
Soave Monte Ceriani 2007 Tenuta Sant'Antonio
L'impronta minerale predomina all'olfatto, costante. Ci avverti, sotto, il fiore giallo, che ancora deve farsi largo. In bocca, la freschezza è vibrante, scattante, a tratti quasi tagliente. Il frutto è denso. Tropicaleggiante: papaja, mango, ananasso. La polpa fruttata è persistente, lunghissima, quasi masticabile. Anche qui è dunque sostanza, ricca.
Due lieti faccini :-) :-)
Soave Monte Ceriani 2008 Tenuta Sant'Antonio
Direi ch'è l'annata più completa, e anche quella dove la garganega si fa più riconoscibile. Inconfondibile all'olfatto con quel suo fruttato così netto. Con quel frutto giallo stramaturo - intendo - e quasi macerato. E il fiore essiccato. E il minerale, consueto, che vi s'interseca. La bocca è esplosiva di frutti e di freschezza. C'è la polpa usuale e la lunghezza.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

15 marzo 2010

Xenium Brut Rosé Metodo Classico Domini Dauni

Angelo Peretti
Ordunque. So che non si dovrebbe mai cominciare con un "ordunque" o con un "quindi", ma qui mi viene così. Ordunque: se mi avessero detto che avrei apprezzato e conseguentemente ed indirettamente - per quel che conta - approvato l'idea di piantar pinot nero in Puglia per farci dello spumante, be', chi me l'avesse detto l'avrei preso per un contaballe. E invece eccomi qui a scrivere che ho bevuto una bolla rosé fatta in terra d'Apulia con l'uva borgognona e che mi è piaciuta. Vedi tu, è proprio vero: mai dire mai.
L'azienda intanto: si chiama Domini Dauni ed è a San Severo, nel Foggiano. Non ve ne so dir molto, se non che ne ho virtualmente incontrato il titolare e un collaboratore su Facebook, che è una piazza appunto virtuale, on line, sulla quale mi piace ogni tanto andare a girovagare per far quattro chiacchiere. Si parlava della questione del vinino e del mio Elogio dei vini da bere, e mi si diceva della loro riscoperta del bombino. E mi han proposto d'inviarmi una campionatura, della quale ha fatto parte anche questo rosé metodo classico fatto, appunto, col pinot noir.
Ordunque (ripeto): 'sto rosé pugliese m'è piaciuto.
Vinificato in acciaio, sta poi sui lieviti per i classici due anni. La mia bottiglia aveva sboccatura del dicembre 2009.
Nel bicchiere ha un colorino lievissimo di buccia di cipolla: più che d'un italico rosato ha la tonalità di certi Champagne che non sai mai bene se siano davvero rosé o se per caso abbiano confuso l'etichetta.
Al naso sottili ma eleganti profumi floreali.
In bocca è proprio crema. La bollicina è minuta, soffice. C'è fragranza. E morbidezza. E ancora florealità delicata e fruttino minuto (fragolina, melagrana, ribes) e mela croccante.
Ne bevi un bicchiere ed un altro ed un altro. Una bella scoperta.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-) :-)

14 marzo 2010

Ma Isi che farà? Il Caval chiude, ma...

Angelo Peretti
Sapendo che son dello stesso comune e che gli sono amico, sono in tanti a domandarmelo: "Ma Isi che farà?"
Isi è Isidoro Consolini, chef e patron del ristorante Al Caval, il secondo locale della sponda veronese del lago di Garda - a Torri del Benaco - ad aver ottenuto la stella Michelin. O meglio, era. Perché il Caval ha chiuso e non riapre più. Già, è proprio l'ora delle chiusure dei ristoranti stellati. Un po' ovunque. E il "mio" lago non fa eccezione, insomma.
La notizia dello stop al Caval s'è diffusa in fretta, ma sempre con commenti a mezza voce, ché non si riusciva a capire se fosse vera o se si trattasse di una bufala. Dico: è vera.
E dunque Isi che farà?
Isi sta lavorando ad un nuovo progetto. Al momento non posso dire di più: lui mi ha confidato cos'ha in mente, ma non m'ha detto di renderlo pubblico. Dico solo che il Caval ha chiuso e al suo posto riaprirà un nuovo locale, basato su una nuova filosofia in termini di offerta, di proposta, di servizio. Dico filosofia, più che tecnica.
In questi giorni se passate di lì potreste trovarlo, Isi, che fa l'imbianchino, il carpentiere, il falegname. Non lo vedevo così preso da tempo. Eppure in cucina non ci sarà lui, ma Stefano, il suo ex vice. Lui andrà a ritemprarsi altrove. Ma dietro le quinte ci sarà comunque la sua conduzione. Appena possibile sarò più completo.
Intanto, in bocca al lupo.

13 marzo 2010

Le vecchia legge 164 è andata in soffitta

Angelo Peretti
Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo che riforma la vecchia legge 164 del 1992, quella che disciplinava il mondo del vino in Italia. “L’approvazione del nuovo decreto legislativo per la tutela delle DO e IG dei vini, rinnova il quadro normativo del settore vitivinicolo dopo ben 18 anni", dice il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Luca Zaia.
Bene che l'approvazione sia arrivata prima delle elezioni regionali, ché c'era il rischio che, diventando Zaia il nuovo governatore del Veneto, il suo successore dovessere ricominciare tutto daccapo. La nuova ocm europea del vino ha preso avvio il primo di agosto dello scorso anno, e la modifica della 164 sarebbe stata addirittura necessaria da subito, ma alla fin fine sinora il comparto ha resistito, e adesso ha finalmente una rinnovata regolamentazione. Ma sarà vera gloria? Per trarre un giudizio, aspetto di poter leggere il decreto nella sua completezza.
Intanto, mi limito a riprenderne "i principali contenuti" così come riportati dal sito internet del Ministero: "l’introduzione di strumenti di semplificazione amministrativa per gli svariati adempimenti procedurali a carico dei produttori vitivinicoli; la promozione di un elevato livello qualitativo e di riconoscibilità dei vini a denominazione di origine e a indicazione geografica; la trasparenza e la tutela dei consumatori e delle imprese rispetto ai fenomeni di contraffazione, usurpazione e imitazione; la ridefinizione del ruolo del Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini; la revisione del sistema dei controlli e del sistema sanzionatorio, sulla base di criteri di efficacia ed effettiva applicabilità".
I contenuti, così come sono espressi nel succinto comunicato ministeriale, dicono poco: ripeto, è meglio aspettare il testo completo.

Viticoltura: è ora di tornare indietro

Angelo Peretti
Se l’ho capita bene, la parola da ricordare è acrotonia. Si tratta di quell’atteggiamento fisiologico per il quale una pianta tende a privilegiare, nello sviluppo, le sue parti apicali, quelle estreme, più in alto. Succede con le liane. E con le vigne, che sono liane, appunto, e ne hanno l’indole. Voi lasciatela andare, la vigna, e quella s’allunga verso l’alto finché può, finché trova qualcosa a cui abbarbicarsi.
Ecco, il problema è questo: ci siamo dimenticati che le vigne vengono dal bosco, sono liane rampicanti, addomesticate fin che si vuole, ma intimamente sempre selvagge. Le abbiamo volute costringere in spazi ristretti, convinti che piantarne tante e tante, strette l’una all’altra, allineate lungo dei fil di ferro, ci fornisse uve, e conseguentemente vini, di maggior qualità. Applicando il modello bordolese a suoli e climi e culture che con la terra bordolese nulla hanno a che vedere. E così oggi, dopo un ventennio e più di filari e filari, ci troviamo con dei vini che sembrano sempre più delle marmellate alcoliche e con delle vigne che muoiono dopo quindici anni, che disseccano, che vengono attaccate dal mal dell’esca. E si cerca di fare retromarcia.
Della faccenda, che è serissima e sta creando problemi notevoli ai viticoltori di mezz’Italia e più, si è discusso ieri in un convegno di notevole valore presso la sede della Bellavista, griffe di Franciacorta, ad Erbusco. Titolo: “Riflessione sul deperimento precoce dei vigneti italiani”. Relatori, il professor Attilio Scienza dell'università di Milano, eppoi Marco Simonit di “Preparatori d’uva”, Laura Mugnai dell’università di Firenze, il vivaista Peter Gutmann e l’agronomo di casa Fabio Sorgiacomo. In sala, un paio di centinaia di produttori provenienti da mezzo nord Italia. Attentissimi. E ne valeva la pena, di stare attenti.
La questione, se dico esattamente cercando di semplificare al massimo, è sostanzialmente questa: a forza di potare e potare per far stare la vite dentro alle innaturali dimensioni del filare, della spalliera, se ne induce una progressiva e per certi versi rapida morte, di fatto occludendo quelle “tubazioni” naturali che portano vita ai tralci e all’uva. Invece la vigna ha bisogno di svilupparsi, perché tende a scappare, geneticamente memore della sue origini. È la violenza della potatura che costituisce il fattore scatenante dei crescenti fenomeni di essiccamento che si notano nei vigneti. Occorre allora rivedere drasticamente i sistemi di potatura, perché questa sua naturale vocazione non venga soffocata e dunque non se n’abbiano danni irreversibili. Così potremo tornare ad avere vigne che resistono quaranta, cinquant’anni, e costituiscono un patrimonio autentico per una cantina.
Insomma: ci siamo sbagliati tutti, e bisogna far dietrofront. In maniera intelligente, ma bisogna tornare indietro. E rivalutare il valore della potatura: se si taglia correttamente, la vite ha vita lunga, altrimenti muore in fretta. I vecchi l’avevano capito, avevano intuito la “psicologia” della vita e l’assecondavano. Con domesticazioni, chessò, ad alberello, a pergola. Invece nell’ultima ventina d’anni ha prevalso il razionalismo produttivo. Abbiamo pensato un po’ tutti che la qualità si avesse aumentando il numero di ceppi per ettaro. La natura, come sempre accade quando si cerca di sovvertirne le regole, s’è ribellata.
Ecco, son questi i discorsi che mi piacciono, son questi i temi della “naturalità” che privilegio. Non m’importa granché dei tanti discorsi sui vini più o meno “naturali”. La naturalità è in vigna. Ridando equilibrio a quell’essere vivente che è la vite. Che ci ripagherà. Con l’uva migliore possibile.
Che dire ancora, se non ringraziare Vittorio Moretti e lo staff di Bellavista che le riflessioni (e le sperimentazioni) in materia – molto più profonde e tecniche di quel che ho cercato di raccontare in queste righe – le ha messe a disposizione di tanti produttori? "Abbiamo voluto creare insieme una giornata di approfondimento e riflessione su questo tema - dice il direttore di Bellavista, Mattia Vezzola, enologo dalla profonda vocazione agronomica - che possa unire le esperienze di molti produttori e di molte aziende agricole italiane per meglio comprendere il futuro dei nostri vigneti". Bravi.

12 marzo 2010

Avanti, Savoia! Evviva il Lugana del Lombardo-Veneto

Angelo Peretti
Ehilà, leghisti fautori della secessione, ehi voi, nostalgici dell'Italia ante unificazione: c'è chi vi supera e vi lascia al palo, adesso. Il governatore (e candidato Pd) del Piemonte, Mercedes Bresso, ha tirato fuori un'idea che qui, sul "mio" lago di Garda, permetterebbe di rinverdire i tempi del Lombardo-Veneto, ed è curioso che la cosa abbia origine nella capitale dei Savoia.
Orbene, che ha detto la Bresso? Che bisognerebbe - lo scrive La Prima di WineNews - "riunire sotto il nome Piemonte tutte le doc e docg della Regione, per avere più forza sul mercato e far conoscere il territorio all’estero".
Evviva evviva: se l'idea dovesse avere altro seguito nel mondo della politica potremmo dunque avere un Piemonte Barbaresco un Toscana Brunello di Montalcino, un Marche Verdicchio dei Castelli di Jesi, un Campania Fiano di Avellino e...
E qui sul Garda un Lombardo-Veneto Lugana, visto che la doc luganista è un po' di qui e un po' di là dal confine. Avanti, Savoia!

11 marzo 2010

Quel buon Teatro di Claudio non ancora scoperto dalle guide

Angelo Peretti
Giuro: è un mistero. Non riesco a capire come, dopo un paio d'anni d'attività, le guide gastronomiche - quelle che recensiscono i ristoranti - non abbiano ancora scoperto l'Hostaria del Teatro, in un vicoletto del centro storico di Castiglione delle Stiviere, provincia mantovana, ma di fatto una sorta di enclave del Garda sui colli virgiliani: da Desenzano ci metti un quarto d'ora appena.
Eppure Claudio Truzzi, lo chef e patron del posto, omone grand'e grosso, è proprio bravo. Ecco, magari avrà - così mi dicono - un suo caratterino, ma cuochi col caratterino ne ho conosciuto tanti e poi tanti. Magari dovrà anche fare una più precisa scelta di campo fra territorio ed extra-autoctono. Ma garantisco: è proprio bravo. E il locale è carino, con i tavoli - pochi - ben distanziati, e quella sua strana forma allungata e le travi e la cucina a vista. Insomma: ci si sta bene.
Che poi in ogni caso quel che ti colpisce di più è la cucina. Ben fatta, di sostanza senza rinunciare a esser creativa.
Prendiamo uno dei "classici" (lo posso definir così?) di Claudio: il tonnato inverso. Niente salsette assurde, sia chiaro, niente destrutturazioni. Semplicemente un vitello tonnato rovesciato nelle materie prime: un trancio di tonno (una scaloppa dice lui) con salsa di vitello. Notevole.
La mantovanità l'ho poi trovata interpretata con misurata fantasia in una soffice frittatina coi saltarèi, i gamberetti di fosso. Eppoi in un cremoso, avvincente risotto di zucca con la scorza di limoni di Gargnano e gamberi cotti al vapore, il tutto irrorato con un filo di buon extravergine. E ancora in qualche modo si rifà ai riti culinari dell'area anche quel sapido piatto di bigoli con le alici e la scarola in agrodolce, che non sai se definirlo rustico e maschio od elegante e intrigante, e magari è tutto questo assieme.
Ecco: questa credo sia la prospettiva migliore della cucina di Claudio, quella su cui ritengo possa e debba articolarsi un intelligente percorso personale.
Poi ci son le sue passioni, come le capesante proposte in più maniere, piacevoli, ma che francamente col posto poco ci azzeccano. Vabbé
Chiudo dicendo della carta dei vini: be', se volete sbizzarrirvi con qualcosa di sfiziosetto, ce lo trovate, e senza svenarvi. Sappiate che lui, Claudio, ama in particolare gli chardonnay che vengon di Borgogna, ma senza esagerare.
Oh, dico: se vi capita di vederla in menù, la mela renetta cotta nel burro di malga e profumata al Calvados, be', prendetela come dessert: se ci capito di nuovo, faccio il bis.
Il prezzo? Contenuto: non c'è il rischio di farsi spennare. Affrettatevi, prima che il posto lo scoprano le guide.

Blogger & Vinitaly: Santa Margherita ne fa entrare trenta

Angelo Peretti
Chi possiede la tessera dell'Ordine dei giornalisti difficoltà ad entrare a Vinitaly non ne trova: magari un po' di coda all'ufficio accrediti, ma niente di che. Però per chi invece scrive di vino come blogger, senza tessera da pubblicista o da professionista, be', le cose si complicano.
Allora per i blogger senza tessera riprendo qui una cosa che ho trovato sul sito internet di Santa Margherita: la celebre azienda vinicola dice di essere "convinta che gli autori di blog che nutrono una vera passione per il vino e per l’eno-gastronomia in generale siano uno dei punti di riferimento dell’informazione e della cultura del settore". E dunque "mette a disposizione dei blogger italiani del food&wine 30 accrediti per l’edizione 2010 di Vinitaly".
Come fare? Ecco le istruzioni per l'uso: "I primi 30 blogger che invieranno una email indicando il proprio blog all’indirizzo a.ugolini@santamargherita.com, riceveranno l’accredito per accedere all’evento più importante dell’enologia italiana. Il requisito richiesto è avere un blog che parla di vino e/o cibo, attivo da almeno sei mesi e aggiornato con frequenza mediamente settimanale".

10 marzo 2010

Elogio del vinino: è sul Corriere Vicentino

Angelo Peretti
Era da un po' che non ne parlavo più del mio Elogio del vinino, ossia del Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere. Adesso ci torno con questo post che ha un titolo che sembra una rima. Perché Mauro Pasquali, che scrive anche su quest'InternetGourmet, l'ha ripreso, l'Elogio, sul Corriere Vicentino.
Dice Mauro: "Angelo Peretti è un amico oltre che collega e fine conoscitore di vini e oli. A lui il merito, per primo, di aver infranto un tabù: basta con i vinoni muscolosi e concentrati che più che berli, si degustano. A lui il merito di aver redatto il Manifesto del Vinino che sottoscriviamo". E segue, appunto, il testo dell'Elogio.
Ora, ringrazio Mauro, ovviamente, e m'autogratifico con le sue parole.
Dico di più: sta per venir fuori qualcosa d'interessante, a proposito del vinino. Di più non posso dire, per ora. Dico solo che se passerete dalle parti del Vinitaly...

9 marzo 2010

Ma per la cucina la parola d'ordine è "rassicurare"

Angelo Peretti
Che ci sia la crisi magari qualcuno si sforza per farci intendere che non è vero, e invece è vero sì. Ce n'accorgiamo tutti che ci tocca . chi più, chi meno - tirar la cinghia. E tra le categorie che se n'accorgono c'è anche quella de' ristoratori, che vedono i tavoli sempre meno affollati. Del resto, se non c'hai quattrini, la prima cosa che tagli è la cena fuori il fine settimana.
Orbene, è evidente che in un simil contesto la categoria ristorativa si trova un po' spaesata, e molti non sanno a che santo votarsi. E qualcheduno dei miei amici ristoratori s'è votato anche a me, che santo proprio non sono, limitandomi all'aver nome di Angelo.
Insomma, mi si domanda come avrebbe da essere una cucina che oggi sappia cogliere le attenzioni dei residui buongustai. Ovvio che formule magiche non ne ho, ché se le avessi magari farei il ristoratore anch'io. Però una mia idea la illustro. Ed è questa: la cucina d'oggi ha da essere in primis rassicurante.
Viviamo tutti nello stress che più stress non si può. Cosicché quando ci si siede finalmente al tavolo d'un ristorante lo stress lo si vorrebbe tagliar fuori. Ma cert'invenzioni di cucina degli ultimi anni sono invece ansiogene, con quei loro cerebralismi e tecnicismi schiumettosi e sifonati. Una cucina che non ti rilassa, che non ti mette a tuo agio. Magari buonissima, splendidamente tecnica e perfino saporitissima, ma che necessita di pensare, di meditare, di capire. E allora no, allora rinunci. Relax ci vuole, e rassicurazione.
Cosa intendo? Intendo che non è il momento dei cerebralismi, ma della solidità radicata nella tradizione, nei gusti di casa, nelle memorie affettive. E dunque è l'ora d'una cucina che sia, appunto, cucina. Leggera e di sostanza insieme, ben presentata ma senza vezzi artistoidi. Che non induca a pensrci troppo su. E mica vuol dire far cucina d'osteria, nossignori. Piuttosto, vuol dire ripescare nella classicità, nella tradizione vera - popolare o borghese che sia - e nel riproporla con la mediazione delle migliori tecniche d'oggidì.
Sia gloria a una grande e soavissima pasta e fagioli, a un vitello tonnato di grande materia, a un arrosto che doni fragranza e leggerezza. Giusto per dire. Rivisti e reinterpretati fin che si vuole. Ma riconoscibili. Senza destrutturazioni cervellotiche e schiumosi funambolismi. Con sostanza, invece.
Rassicurare in primis: che il vitello sappia di vitello, che il gambero sappia di gambero. Se vi par poco.

8 marzo 2010

Il futuro del vino? Nelle mani dei produttori

Angelo Peretti
Nei giorni scorsi sono entrato più volte in tema ocm vino. Traduco: ho scritto di quelle che sono le mie personali impressioni sulle novità - a mio sentire potenzialmente radicali - che la nuova legge quadro comunitaria sul vino - l'organizzazione comune di mercato - potrà apportare allo scenario produttivo vitivinicolo italiano, a cominciare da una possibile-probabile avanzata dei vini da tavola, fino alle criticità che potrebbero incontrare le doc che si basano sui cosiddetti vitigni internazionali.
Ora eccomi a fare un'affermazione che qualcheduno potrebbe giudicare anche ovvia, scontata, lapalissiana, ma che temo così non sia.
L'affermazione è questa: il futuro delle doc è nelle mani di produttori.
Mi si obietterà: e nelle mani di chi vuoi che fosse prima dell'ocm vino? Rispondo subito: nelle mani dei commercianti in primis e dei produttori poi, che non è la stessa cosa.
Il produttore è quello che fa prima di tutto uva, e poi che magari ci fa anche il vino, trasformando le uve dei propri vigneti o quelle dei conferitori (è il caso delle cantine sociali).
Il commerciante, l'industriale, è quello che compra vino già fatto e lo fa imbottigliare con la propria etichetta, oppure addirittura lo imbottiglia sotto la private label di qualche catena di supermercati.
I secondi, i commercianti, finché c'era la vecchia regolamentazione che in qualche maniera favoriva i vini doc - per la semplice ragione che sui vini da tavola non si potevano indicare i vitigni e soprattutto l'annata - le doc, magari a malincuore, le sostenevano, facendone appunto commercializzazione. Ora, con le nuove regole, chi glielo fa fare? Possono tranquillamente mettere l'annata sull'etichetta di un vino da tavola, e se questo è fatto con uva internazionali, possono anche indicare il vitigno. Che vuoi di più dalla vita quando la concorrenza la giochi tutta sui prezzi marginali?
Con un'eccezione: i commercianti vendono quel che si vende da sé, e dunque se una doc è "richiesta" dal mercato perché ha appeal, perché è attrattiva, allora continueranno a soddisfare la domanda, comprando e intermediando cisterne di vini doc. Se invece la doc non è di per sé attrattiva, e per venderla occorre investirci in comunicazione, pubblicità, marketing, allora taglieranno i costi, e l'abbandoneranno, scegliendo strade più convenienti.
Dunque, occorre che chi produce uve e vini doc - e dunque i vignaioli, i piccoli e medi produttori e le cantine sociali - facciano finalmente squadra e investano - come ho detto - in comunicazione, pubblicità, maketing. Altrimenti rischieranno che il vino gli resti in casa. E prima o poi saranno costretti a cambiar mestiere ed estirpar le vigne. Tanto il commerciante un cabernet o uno chardonnay a basso costo lo potrà trovare dove vuole.
Mi si dirà: ovvio. Nossignori, così ovvio non è, perché è faccenda che presuppone un salto culturale radicale da parte della cosiddetta filiera vitivinicola. E anche - se non soprattutto - da parte del mondo deu consorzi di tutela, che pure rischiano, se non si adattano rapidamente al cambiamento, di far la fine dei dinosauri: estinti. Ma cambiar la mentalità di una conunità, di una società, non è così facile. No, non lo è proprio. Eppure bisogna.
Photo: www.freefoto.com

7 marzo 2010

Wine Bar dei Frescobaldi - Fiumicino (Roma)

Angelo Peretti
Ebbene sì, quando, per tornare a Verona la sera, prendo l'Alitalia delle 21 e qualcosa all'aeroporto di Fumicino, mi fermo prima a mangiare un boccone al Wine Bar dei Frescobaldi. Dentro all'aeroporto, intendo. Di wine bar della celebre casa toscana ce ne sono un paio. Di solito preferisco quello installato nell'area B, un po' più appartato, e se ho tempo vado lì anche se dovessi avere il volo che parte dall'altra parte. E scelgo i tavolini verso il corridoio. Manie mie.
La preferenza è per la tartare di chianina, accompagnata da verdure fresche e sott'olio. Costa 18 euro - che non è pochissimo - ma ti risolve la cena prima del volo. A volte - non so come mai - la condiscono in maniera un po' piccante, ma preferisco quand'invece è proprio nature, come qualche sera fa: eccellente, appena tagliata. Mi si dice che la carne viene dalle tenute dei marchesi de' Frescobaldi pur'essa.
Quella stessa sera l'ho associata a un bicchiere di Nipozzano, il Chianti Rufina Riserva, che per me resta sempre un bel rosso toscano (e a 7 euro a bicchiere è un po' caruccio, accidenti).
Altra annotazione positiva per la crostata di visciole: un po' dolcina, ma una fetta ti tira su dopo una giornata romana.
Aggiungo; servizio rapido, cortese ed efficiente.
Poi, l'imbarco: arrivederci e grazie - good bye thank you, com'è scritto sullo scontrino.
Wine Bar dei Frescobaldi - Aeroporto Leonardo Da Vinci - Molo T1B - Fiumicino (Roma)

6 marzo 2010

Salento Bianco Finis 2008 Vetrère

Angelo Peretti
La prima cosa che devo dire è quella meno simpatica, e cioè che sarebbe ora che chi fa le etichette di un vino non pensasse solo all'estetica, ma che si facesse anche leggere, perché io qui appunto sull'etichetta leggo che il vino si chiama Finis, mentre sulle guide di settore mi dicono che è invece il Finis Terrae, e sul sito internet mi confondono ancora di più le idee, perché c'è una foto di una bottiglia con scritto sopra Finis Terrae, ma invece la scheda parla del Finis e basta. E se ci si decidesse a chiamarlo in una maniera sola? E comunque, io scrivo Finis come l'ho letto, e peraltro aggiungo - sempre letto - che è un igt del Salento, bianco.
Detto questo - che andava detto, opperbacco - dico (quante volte l'ho usato, fin qui, il verbo dire?) che se lo trovate, 'sto bianco salentino, be', provatelo, perché credo che - come me - non resterete delusi.
Fa tredici gradi virgola sei (indicato con giusta pignoleria in etichetta) eppure dell'alcol non te n'accorgi, ché c'è una freschezza gradevolissima.
Lo fanno con tre uve: chardonnay, verdèca e malvasia, eppure i toni dell'internazional borgognone chardonnay non li avverti (chi mi conosce sa che non li amo molto).
Al naso il frutto tropicaleggia.
In bocca è polposetto, vagamente aromatico, fruttatissimo (e ancora filo-tropicale, ma mai sopra le righe) e - appunto - molto fresco, e la freschezza dà slancio ad un assieme che tende al morbido.
Una buona scoperta.
Due lieti faccini :-) :-)

5 marzo 2010

La Meridiana - Saint-Pierre

Angelo Peretti
Ci sono stato quest'estate. Volevo scriverne. Poi purtroppo m'è passato di mente. Ritrovati gli appunti, eccomi qui a rimediare, perché per chi avesse voglia di fare una visita alla Valle d'Aosta, quest'alberghino di Saint-Pierre - pochi chilometri dopo Aosta - può essere un'interessante sosta.
La Meridiana - ovvero, alla francese, l'Hotel du Cadran Solaire - è proprio accanto alla strada, all'ultimo limite del comune di Saint-Pierre lungo la strada che conduce verso Courmayeur, uscita Aosta Ovest. Poche camere - una quindicina -, arredate con legni antichi, una diversa dall'altra. Sul tavolino, frutta fresca.
La colazione mattutina è nella saletta tutta legno e ninnoli, e c'è da bearsi d'un buffet valligiano di notevole fascino e abbondante scelta. Formaggi valdostani di piccoli produttori, salumi locali (un cartello indica la provenienza), miele della vallata, succhi di frutta della cooperativa del paese (mele, frutti di bosco), altri nettari della zona, confetture fatte in casa, castagne sciroppate, yogurt, pane saporito, uova, torte casalinghe, biscotti del forno, cereali. Era una tentazione, quel buffet.
Se avrete per le mani il depliant, badate che il ristorante dell'albergo è ancora indicato, ma invece non è più attivo.
La Meridiana - Château Feuillet, 17 - Saint-Pierre (Aosta) - tel. 0165 903626

4 marzo 2010

Olio extravergine di oliva monovarietale Casaliva 2009 Valerio Giacomini

Angelo Peretti
So che fa olio. Ma chi sia Valerio Giacomini, perché faccia extravergine, quale storia abbia, se possieda tradizione ovvero se sia neofita, non ve lo so dire. So solo che è a Bogliaco, capitale velica della sponda bresciana del lago di Garda (ed è - questa - frazione di Gargnano). E so - per averlo provato - che ha fatto un bell'extravergine di sola varietà casaliva, l'oliva regina del benacense laco.
Di colore verde brillante di buona intensità, brillante, offre all'olfatto note abbastanza marcate di erbe di campo, eppoi tracce di pepe, di rafano e di broccolo, di rucola.
In bocca ha personalità piuttosto spiccata fin dal primo impatto. La piccantezza è vivace, netta, senza mediazione, pepatissima. Una bella freschezza erbacea dà slancio ad una pasta di non grandissimo impianto, ma di notevole carattere. La piccantezza prosegue a lungo, a tratti quasi buciante. Il finale è pressoché tannico. Ha ricordi di menta e di eucalipto. Emerge nel finale la frutta secca.
Magari gioca sulla potenza più che sull'eleganza, ma ha un carattere molto vivace.
Due lieti faccini :-) :-)

3 marzo 2010

Sfide di cantina, sfide di vigneto

Ho avuto, l'altra sera, una conversazione telematica su Facebook con una vignaiola, Carolina Luna Gatti, aziend'agricola Lorenzo Gatti, 5 ettari di vigna coltivata col sistema a bellussi, a raggera (vedi la foto) - agricoltura "naturale": letame, rame, zolfo - nella zona del Piave.
Carolina è attiva sul web: Fb, Vinix, il blog Rabosando. L'invitavo a esser - on line - più diretta, spontanea. A raccontare sé stessa, le sue giornate in vigna e in cantina. Perché è questo che nessun comunicatore saprà mai descrivere davvero d'un vignaiolo e del suo mestiere.
L'ho, insomma, sfidata.
Mi ha risposto con un post già in serata. Ed ecco, sì: è esattamente quel che vorrei leggere sul diario d'un vigneron. Mi ha dato il permesso di riprenderlo qui su InternetGourmet, quel suo post. Il testo è quello che segue: buona lettura.
Angelo Peretti

“Mi piace chi mi sfida.
Il mio vino mi sfida ogni vendemmia, ed io sfido lui.
A volte vinco io, altre volte vince lui. A volte facciamo pari.”
l'enologa.

Ho scritto questo ad un webnauta, persona che scrive di cibo e vino, che stimo per la semplicità con cui racconta del vino e del cibo, che mi ha “sfidato” a scrivere di più delle nostre fatiche.
Accetto la sfida e provo a scrivere qualcosa di “mio” e “nostro”.
L’altro giorno guardavo le bellussere e mi chiedevo che annata ci aspetterà: scrutavo il cielo, guardavo i fossi pieni d’acqua e guardavo i tralci: le gemme iniziano a gonfiarsi, sentono la primavera che arriva a dispetto di questo tempo che ci regala sole a singhiozzo.
Per terra qua e la spuntano le margherite, tra i tralci secchi che leveremo appena asciugherà un po’ il terreno.
Guardavo tutta questa meraviglia e chiedevo di avere un’annata come il 2008, l’annata perfetta per quello che riguarda la simbiosi di noi umani con loro viti: uve sane, polpose, profumate, che han dato dei signori vini. Nonostante la grandinata in fioritura.
Sarà così? Non lo so, ma vorrei tanto… Grandinata esclusa!
Lo vorrei per tutte le fatiche che facciamo ogni giorno, per i calli che ci fa la potatura in inverno, o l’uso del badile in estate, per le mani colorate di nero in vendemmia e le ore passate ad osservare le vasche che fermentano scrutando il momento ottimale per travasarle ed abbassare la temperatura del mosto che diventa vino.
Lo vorrei per tutte le carte che devo fare, che sia un’annata buona o meno buona, e per i relativi incazzamenti quando sbaglio a fare qualcosa.
Comunque sia, che sia un’annata come il 2008 o meno, sarà un successo! Perché come sempre ci metteremo tutta la passione e l’amore possibile, tutto il sudore ed i sorrisi che ci usciranno.
Detto questo, questa serata per me vignaiola/cantiniera si conclude con un buon sonno ristoratore, perché domani si pota!
Carolina Luna Gatti

2 marzo 2010

Ma che ci fa un ragazzino di dieci anni in discoteca?

Angelo Peretti
Tg1 Rai prima serata del primo marzo. Massimo ascolto. Passa un servizio da Rimini. Dice che al bar di una discoteca hanno scovato dei minorenni che bevevano alcolici. Fra di loro un ragazzino di dieci - dico: dieci! - anni.
Bene ha fatto la Squadra Mobile riminese a condurre il blitz: questo va fatto. E meno male che hanno parlato solo di alcol, genericamente: per una volta niente vino, ché in disco, be', di vino ne gira gran poco. Tutti beveroni alcolici, altroché. Ma una notizia del genere, c'è da starne certi, è di quelle destinate a incentivare la campagna proibizionista, e così alla fine chi sarò a rimetterci le penne? Ma chiaro: chi a cena beve un paio di bicchieri di vino con gli amici e diventerà così un mezzo delinquente.
Permettete che mi chieda invece se, avendo agenti disponibili, non sia meglio mandarne qualcheduno in più proprio nelle discoteche? Qui sì che si fa prevenzione, e se proprio si deve far repressione, allora la si faccia verso chi guadagna quattrini a palate infrangendo la legge e il buon senso, ché tutt'e due son violati se dai disinvoltamente da bere alcol a dei ragazzi, pur di far soldi.
E concedete anche che osservi che se c'era un ragazzino di dieci anni, quel benedetto ragazzino qualcuno l'avrà pur fatto entrare in quel locale. E certamente sarebbe gravissimo se - dico se - gli avessero anche fatto bere alcol, ma l'interrogativo è - prima di tutto - un altro: che ci fa un ragazzetto decenne in discoteca?
Altro che 0,50 di tasso alcolemico. Qui è questione di civiltà.

1 marzo 2010

Chicotot e l'eleganza del pinot noir borgognone

Angelo Peretti
Metti un pranzo a casa di Franz Haas. E dopo aver degustato otto annate di Schweizer (ne ho parlato di recente), metti che ti arrivino nel bicchiere altri cinque Pinot Noir di quelli canonici: roba borgognona, da Nuits-Saint-Georges. Cinque vini di Georges Chicotot (ma oggi vinifica la moglie Pascale). Da segnare nel calendario come data benigna e propizia.
A parlare degli Chicotot è Gianni Fabrizio, attuale curatore della guida Vini d’Italia del Gambero Rosso, ma grand’innamorato della Borgogna, dove va in media quattro-cinque volte l’anno. I vini li ha presi lui direttamente in azienda. Ed è un’azienda sui generis, se la confrontiamo con i canoni italiani: sette ettari vitati in totale, da cui s’ottengono ben dodici diverse etichette per un totale di appena trentamila bottiglia. Le vigne hanno in media 65 anni (in media: là mica espiantano, ché si limitano a sostituire il ceppo che eventualmente non ce la faccia più). Vinificazione ipertradizionale: pensate, le uve, spesso non diraspate, si pigiano coi piedi, e – adesso cito pari pari le parole di Gianni – “dopo una naturale macerazione a freddo, la cui durata può variare da quattro giorni ad una settimana, si innesca lentamente (vasche di cemento non smaltate), senza alcuna aggiunta di lieviti selezionati, la fermentazione alcolica. Durante queste fase che, con i tempi di macerazione prefermentativa, può dilungarsi fino ad oltre tre settimane, vengono effettuate solo follature manuali. Il vino appena ottenuto viene subito posto in affinamento in barrique, solo in piccola parte nuove, dove resterà per un tempo variabile da 14 a 16 mesi. La fermentazione malolattica avviene naturalmente in legno, senza mai forzare i tempi. Quindi in certe annate fredde può anche svilupparsi l’estate successiva alla vendemmia. Durante tutto il periodo di permanenza in rovere, ogni barrique viene assaggiata una volta a settimana; eventuali travasi vengono fatti solo se necessari. Alla fine dell’affinamento, il vino viene imbottigliato senza chiarifiche né filtrazioni”.
Sembra il racconto d’una enologia antica. Invece è modernissima. E i vini sfoderano eleganza.
E adesso qualche riga sui vini tastati (pardon: bevuti). Le bottiglie son quelle della foto, che m’ha fornito Gianpaolo Giacobbo, e lo ringrazio.
Nuits-Saint-Georges Plantes au Baron 2007 Georges Chicotot
Un village, mica un crû. Un brillante, chiaro color porpora: ecco, questo è il Pinot Nero. Al naso un frutto affascinante e maturo: lampone, fragola, nitidi. In bocca è giovanissimo, col tannino un po' rugoso, e il frutto che sgomita per farsi avanti. Non è pronto da bere, ma ha eleganza da vendere.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Nuits-Saint-Georges Les Charmottes 2006 Georges Chicotot
Altro village. Colore e naso ricordano il precedente: indubbiamente Pinot Noir. Bella spezia, pepe. Pian piano, eccolo metter fuori un frutto maturo, seducente. C'è polpa, sostanza, eppure anche eleganza, beva, Il tannino è in rilievo, ancora rusticamente, ma il frutto è fascinoso. Lungo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Nuits-Saint-Georges Plates au Baron 2005 Georges Chicotot
Terzo village. Wow! Che fruttino che ci trovi all'olfatto! Lampone stramaturo, soprattutto. E una spezia dolce, avvolgente. In bocca è freschezza, snellezza, eleganza. Vino di carattere, con quel tannino che gratta. Eppure anche di piacevole, succosa beva. Sul fondo, tracce officinali.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Nuits-Saint-Georges 1er Cru Les Rues de Chaux 2001 Georges Chicotot
Un crû. Il colore resta, come negli altri, brillante e porporino. Ma al naso il frutto s'è integrato perfettamente con la spezia. In bocca ecco il velluto e il frutto maturo e il tannino che s’integra e freschezza. Essenziale, quasi austero, apparentemente esile, ma di grande piacevolezza. Un gioiello.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Nuits-Saint-Georges 1er Cru Les Vaucrains 1973 Georges Chicotot
Un crû trentaseienne, piccola annata e grande terroir. Al naso è straordinaria la memoria officinale, mentolata. Spezia. Un che di terroso. In bocca è di gran fascino. Il tannino ancora integro, una freschezza in bel rilievo, le erbe officinali che avvolgono, il frutto rotondo, maturo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)