16 marzo 2008

Ma quant’è trendy fare il salutista in etichetta

Angelo Peretti
Ma il vino è un alimento sì o no? Possiamo filosofeggiarci sopra fin che si vuole, ma la risposta non può che essere affermativa: sì, è un alimento. E che alimento! E allora c’è chi solleva un problemuccio mica da niente: perché il vino può permettersi il lusso di non scrivere in etichetta i propri ingredienti? Questione di trasparenza, si dice, ma anche di tutela del consumatore e di salvaguardia della salute: miseria, quante intolleranze alimentari, quante allergie che ci sono in giro! E per fare il vino si usano anche prodotti potenzialmente delicati, come l’albumina o, che so, la caseina, o la colla di pesce.
Insomma: sta crescendo il partito di chi vorrebbe le etichette con dettaglio d’informazione. E già si è cominciato con lo scrivere «contiene solfiti». Eppoi chissà cosa verrà dopo. O meglio: lo si sa. Perché c’è chi ha già iniziato. Anche da noi. O in America, il che, senza offese per i nostrani, è ancora più significativo. Perché se la moda, o la tendenza, o l’esigenza – chiamatela come volete - si affermasse in terra americana, possiamo stare certi che poi farà breccia davvero anche da noi. Oh, sì sì.
Leggo adesso su Wine Spectator - che certo non è una rivistina, coi suoi due milioni e trecentomila lettori, spanna più, spanna meno - che in California la Bonny Doon Winery -fondata da Randall Grahm, un mito del vino a stelle e strisce (e il suo vino più mitico mi pare sia Le Cigar Volante) - da questo mese di marzo prenderà a mettere in etichetta la lista degli ingredienti. Per esempio sul The Albariño Monterey County Cà del Solo Vineyard 2007, ci sarà scritto che si fa uso di uve da agricoltura biodinamica e di anidride solforosa, ma anche che nelle varie fasi di cantina sono stati impiegati lieviti indigeni, scorze di lievito organico e bentonite.
Oh, già, la sento adesso l’obiezione: è un’operazione di marketing. In fondo, credo che l’obiezione possa essere fondata: c’è anche del marketing, dietro a quest’annuncio, che è riuscito a sfondare anche sulle colonne di Wine Spectator, proprio sotto a un altro articolo che dice che «alcuni vini rossi aiutano a uccidere i batteri nel cibo», e sapete quanto gli americani siano attenti a questo genere di cose igienico-salutistiche, salvo poi essere la patria di McDondald’s, Burger King e altre cose del genere.
Però... Però se la faccenda funzionasse, potrebbe far da traino ad altri produttori. E una volta che i piccoli avessero preso questa china, seguirebbero a ruota le industrie vinicole. E quelle son così grosse e hanno agganci così ampi in mezzo mondo, Italia compresa (giusto per dire: vi siete mai chiesti dov’è che va a finire tutto il pinot grigio che si produce nelle Venezie?), che il contagio, se così lo possiamo chiamare, potrebbe propagarsi rapidamente. E allora se ne vedrebbero delle belle. Mica scherzi.
Sicuro: una rondine non fa primavera (a proposito: arriva ‘sta benedetta primavera? non ne posso più delle costipazioni di fine inverno), e dunque il caso Bonny Doon non è tale da imporsi come fenomeno globale, epperò ricordatevi che l’ha scritto in bell’evidenza Wine Spectator, che coi suoi due milioni e passa di lettori, eccetera... Insomma: se notizie del genere trovano eco in questa maniera sul wine magazine più diffuso al mondo, vuol dire che l’argomento interessa. Un editore d’una rivista che si legge così tanto (e che dunque fa un fatturato mica da poco) non rischia una notiziola inutilmente. Soprattutto negli States, dove il business è tutto.
Dunque, prepariamoci all’attacco. Nel nome della trasparenza, del salutismo e anche di quel bel po’ di proibizionismo che si sta diffondendo anche da noi, dove bere vino è peccato mortale e invece farsi magari di certe polverine bianche è solo veniale, perché quello è più snob.
Anch’io sono per le etichette trasparenti, certo: mi piacerebbe che ci fosse scritta la provenienza - vera - delle uve. E che qualcuno me lo certificasse perfino, pensate un po’, che quelle uve vengono proprio da quella terra. Ma so che questa è una chimera. Più facile accettare di dire che c’è la bentonite, o che si sono adoperate chiara d’uovo o proteine del latte. Fa figo, essere salutisti. Tanto poi...

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