20 luglio 2008

Il sogno d’un Sud a Sommacampagna

Angelo Peretti
Il bello di poter scrivere, e soprattutto direi di poter scrivere di vino, è che a volte ti capita di vivere delle emozioni. Una l’ho potuta assaporare qualche giorno fa a Sommacampagna, in quel luogo di quiete a due passi dal casello dell’autostrada che è la casa di Carlo Nerozzi, leggi Le Vigne di San Pietro.
Ordunque, Carlo e il suo socio Giovanni Boscaini, entrato nel team aziendale un annetto fa portando in dote vigneti in Valpolicella, m’aspettavano per una colazione insieme, conversando di vino. E ho scoperto un insospettato Nerozzi gourmet. Ma l’emozione - ché è di questo che voglio parlare - è arrivata alla fine, quando in tavola sono arrivate due bottiglie. L’una del 1993, l’altra del 1995.
Quella del ’95 è stata una vendemmia particolare alla Vigne di San Pietro. Vabbé, i tre bicchieri del Gambero Rosso & Slow Food qualcuno dice che non ti cambiano la vita, e magari è proprio così, però credo facciano piacere. E Carlo il premio tribicchierato l’ha ottenuto con l’edizione ’98 della guida, con un vino, appunto del ’95. Quel vino era il Sud, un passito da uve di moscato coltivate a Sommacampagna. Venne fatto solo quell’anno.
Ebbene: era tanto, tanto tempo che non mi capitava più di provarlo, quel passito. L’ultima volta che l’ho bevuto credo sia stato qualche mese dopo l’uscita della guida. Il posto lo ricordo: il Giardino delle Esperidi a Bardolino. E dunque vedermene stappare una bottiglia m’ha fatto davvero gioire. E il vino è tuttora straordinario. Ma il bello non era finito.
Assieme al Sud, Carlo ha portato in tavola un’altra bottiglia. Altro formato: 750 (il Sud era nella mezzina da 375). Etichetta bianca con un cigno disegnato. Nome del vino: O Canto do Cisne, il canto del cigno. Annata 1993. Si leggeva: «Vino dolce per cuori delicati prodotto con una moscato, vinificato solo per chi è amico, da Carlo e Sergio Nerozzi». In tutto, cinquecento bottiglie, mai messe in commercio: la mia era la numero 458.
Che cos’hanno in comune questo sconosciuto Canto do Cisne e l’applaudito Sud mai più rifatto? Che sono l’uno figlio dell’altro. Che sono anche l’una l’omaggio d’un figlio al padre scomparso, che aveva sognato un vino speciale.
Spiego.
Il ’93 è stato l’anno in cui Sergio Nerozzi, padre di Carlo, è mancato. Ma era stata sua l’idea di cavar fuori dall’uve di moscato delle Vigne di San Pietro un vino speciale. L’uva veniva raccolta, fatta appassire e poi selezionata grano per grano. Per ricavarne la dolcezza senza impurità di sorta.
Nel ’94, Carlo decide di fare a modo suo: nasce il Due Cuori, passito di moscato, e Due Cuori si chiama tuttora il vin bianco dolce delle Vigne di San Pietro.
Nel 1995 però c’era voglia di sperimentare. Carlo decide allora di non far pulire l’uva dagli acini botritizzati. Viene pigiato tutt’assieme. Ne esce un moscato d’impronta quasi siciliana. Ecco perché gli viene dato il nome di Sud. E quel vino vince i tre bicchieri.
Si somigliano, oggi, quei due vini? Il Canto e il Sud, intendo? Per certi tratti, direi proprio di sì.
Il Sud del ’95, certo, è denso, concentratissimo, caldo, quasi oleoso. Mentre il Canto del ’93 è più deboluccio in quanto a struttura: vino fragile, lo definirei, com’era fragile Sergio a quel tempo. Ma entrambi, ecco, hanno un tratto aromatico distintivo. Anzi, due: l’albicocca essiccata in primissimo piano e, sotto, un’elegante vena officinale che direi di mentuccia.
Oh, poi, sia chiaro, il Sud vince in complessità: è vino solare, ha vene di frutto tropicale, cenni di noce, ricordi di nocciolo di pesca, memorie di miele. Ha più alcol (15 gradi, contro i 12,5 del prototipo). E sfoggia un’ampiezza e una lunghezza che si ricordano e avvincono. E una freschezza quasi inaspettata con quella dolcezza. Ma, si sa, è proprio l’equilibrio fra zuccheri e acidità - questa è almeno la mia opinione - che fa buono un passito.
Ma il Canto e il Sud son padre e figlio. E il Sud è il vino del figlio che ha voluto reinterpretare a suo modo il sogno del padre.
Poi basta. Poi Carlo è tornato a fare il Due Cuori. Meno mediterraneo, più nordico. Buonissimo, certo, ma concettualmente diverso: vira sull’agrumato.
Il Sud? «Magari deciderò un giorno di aver voglia di tornare a farlo» dice. La vigna di Moscato, del resto, lì a Sommacampagna c’è sempre. Non si sa mai.

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