11 luglio 2011

Capomastro, un igt veneto

Angelo Peretti
Normalmente, ho una certa ritrosia nei confronti dei vini a igt, a indicazione geografica. Prendetelo come un mio personalissimo pregiudizio, ma ritengo che se c'è su un certo territorio una denominazione d'origine, l'impegno del produttore dovrebbe andare verso la doc, non verso l'igt. Ma ci sono, come sempre nella vita, le eccezioni. Per esempio, ti trovi per le mani una buona vigna d'una varietà che non è prevista dal disciplinare della doc, e allora che ci fai? Allora ci inventi un igt.
Dev'essere capitata grosso modo così ai Lenotti, famiglia bardolinese di produttori di Bardolino, quando comprarono una vigna a Cavaion, nell'entroterra del "mio" lago di Garda. Claudio Lenotti, figlio di Giancarlo, patron dell'azienda, mi ha raccontato che quando acquistarono quelle terre ci trovarono, oltre alle uve della doc bardolinista, anche del rebo. Per chi non lo conoscesse - e credo che parecchi possano non conoscerlo - il rebo è un vitigno che nasce dall'incrocio fra il merlot e il teroldego. Si chiama così perché a idearlo fu Rebo Rigotti, che guidava l'Istituto agrario di San Michele all'Adige, nel Trentino. Ebbene, avevano il rebo e dovevano decidere che farne, in attesa di metter mano al riassetto della vigna. Decisero dunque d'appassirlo, per dare un contributo ulteriore a un igt in stile valpolicellese. Poi però, col tempo, s'accorsero che quel rebo aveva un che di speciale, e allora decisero di cambiare rotta: un altro igt, ma stavolta da uve surmaturate in vigna. Mettendo insieme grosso modo metà rebo e metà corvina delle terre bardoliniste. E usando per la vinificazione solo l'acciaio. È così, suppergiù, che è nato il Capomastro, un igt del Veneto.
Ora, sono qui a scriverne perché del Capomastro, per motivi del tutto fortuiti, ho avuto modo di tastare, a brevissimo giro, il 2008 e il 2009, e mi son piaciuti entrambi. Colore rubino abbastanza profondo, senz'essere però cupo. Naso un po' riottoso a bottiglia appena aperta, e s'apre con lentezza, ma anche con intrigante progressione, verso il pepe e la violetta e la mora e pian piano di fa più complesso. In bocca il match lo giocano le spezie e il frutto (amarena, mora) stramaturo. Ma c'è slancio, e la freschezza tipica delle terre moreniche lacustri. E un che di selvatico e selvaggio. E comunque una notevole beva. Rustica eleganza, per nulla appariscente.
Ecco, è vino insieme complicato e bevibile. E mi spingerei a parlare financo di eleganza. Col 2008 più sulla spezia e il 2009 più sul frutto, com'è giusto che sia in due annate così differenti l'una dall'altra.
Mica son qui a dire che è il capolavoro dell'enologica venetica, però mi piace, e l'ho bevuto ben volentieri. E dopo averlo bevuto, a Claudio sono andato a chiedere il prezzo, e m'ha detto che in azienda lo vendono, a privati, attorno ai 5 euro. E io dico che trovarne di vini così. E attendo il parere di chi legge.

2 commenti:

  1. Non conosco nello specifico questo vino ma conosco abbastanza bene Claudio.

    La sua è una realtà molto importante, radicata nella tradizione ma allo stesso tempo molto dinamica e attenta ai cambiamenti di mercato.

    Claudio è persona molto disponibile ad aiutare i colleghi e a costruire partnership che rafforziono l'immagine del vino Veneto e Italiano nel mondo. Oltretutto, i prezzi che applica, sono ottimi per la qualità offerta ma, non scende mai ai livelli di rovina/mercato che gli italiani stanno applicando nei mercati internazionali soprattutto in questi tempi.

    E io dico trovarne di produttori così.

    RispondiElimina