13 luglio 2011

Trentinità gastronomica ben raccontata

Angelo Peretti
Estate, e si gira per le vacanze. Chi scegliesse il Trentino, sappia che ha una lettura da fare. Un ricettario. Nuovo. Di cucina tradizionale, a volte sapientemente riadattata. Si chiama "Cucina trentina. I prodotti tipici e le ricette della tradizione" e nasce da una coedizione della Casa Editrice Panorama e di Terra Ferma. Costa 12 euro, che non è grande spesa. Ha foto grandi e descrittive, opera di Cristiano Bulegato. I testi sono di due giornalisti che stimo e che ho l'onore di contare fra gli amici: Giuseppe Casagrande e Nereo Pederzolli. Ho condiviso più volte con loro la tavola e la bottiglia. Trentini entrambi, ovviamente. Il primo all'Adige per una vita, l'altro in Rai.
Ecco, se ci son due giornalisti e due persone che difficilmente avrei pensato di veder firmare un libro insieme sono il Giuseppe e il Nereo. Che son così diversi l'uno dall'altro. Il primo ha l'aria del lord inglese o del signore germanico, posato, pacato, conciliante, sempre a puntino. L'altro è vulcanico, a tratti bizzoso come un cavallo, perennemente in tenuta da trekking. Eppure eccoli qui a co-firmare il libro della loro trentinità enogastronomica.
Giuseppe Casagrande parla di cucina e di prodotti: la polenta di Storo, la carne salada, gli strangolapreti, lo smacafàm e il tortèl de patate, i formaggi e via discorrendo. Nereo Pederzolli dice di vino: il Trentodoc, il Teroldego Rotaliano, il Marzemino, la Nosiola, il Müller Thurgau. Di entrambi son da memorizzare i capitoletti introduttivi delle rispettive materie: Casagrande spiega come quella trantina sia "una cucina di frontiera", Pederzolli disserta di "viti e vini del Trentino".
Ovviamente, diversi sono gli stili descrittivi. Che riflettono gli opposti caratteri dei due. E dunque la prosa di Giuseppe è distesa, riflessiva, didascalica. Quella di Nereo è scoppiettante.
Un assaggio (e mai termine fu più adatto) degli stili lo posso dare citando gli incipit delle rispettive trattazioni.
Scrive Casagrande: "Semplice, schietta, genuina, ma soprattutto ruspante: sono gli aggettivi che meglio di altri identificano la cucina trentina. Una cucina che per secoli ha dovuto fare i conti con le ristrettezze economiche di un territorio aspro e difficile (dal punto di vista geografico, ma non solo) e che - anche per queste ragioni - è stata etichettata come 'povera'".
Scrive Pederzolli: "In alto, talmente in quota che più su non vive. La vite, sulle Dolomiti, è uno dei più importanti indicatori ambientali. Sancisce limiti, scandisce il territorio. Senza tentennamenti. È la pianta che meglio interpreta la fatica dei montanari. Gente che dalla propria vigna ha sempre ricavato sollievo non solo economico".
Credo bastino queste citazioni, queste prime poche righe delle rispettive narrazioni, per convincere che vale la pena rintracciare il libro. Ma poi c'è il ricettario, che mette appetito. Ricette, dicevo, quasi tutte di tradizione, interpretate da vari ristoratori tridentini. Canéderli in brodo, crostini di milza in brodo, mòsa, polenta smalzada, tonco de pontesèl, sguazét. Mi viene fame.

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