16 gennaio 2011

L’età di lOro


Enrico Lucarini
Parrebbe volgere al termine, vivaddio. Mi riferisco a quella moda, mutuata dalla cucina indiana, di decorar dolci e dessert con foglie d’oro. Primo fu Gualtiero Marchesi, a giocare con il giallo del metallo e dello zafferano in un risotto. Poi, s’accodarono gli stellati. Liquori e altre vivande non ne passarono indenni, e la moda dilagò sempre più.
Eviterò di impantanarmi nella vexata quaestio sulla salubrità o meno di tale pratica, soffermandomi solo sull’aspetto estetico.
Ritengo che lo stupore sia uno degli ingredienti fondamentali della grande cucina (ché altro non vedo collegato a tale usanza), ma passare dallo stupire all’annoiare è passo breve.
E noia e fastidio è quello che provo quando mi è servita una pietanza “dorata”: provar a rimuovere la lamina è opera vana, tanto è impalpabile, e altro non si può fare che ammetterla nel boccone.
E questo pur basterebbe, ma la sensazione di “ecco: lo facciamo anche noi” infastidisce ancor di più. Soprattutto quando si tratta di ristorazione di alto livello. Un riutilizzo non è mai sorprendente.
Tornare quindi in uno dei posti a me preferiti e scoprire che tutti i dolci serviti sono ora gold-free è stato un gran piacere. Ché a “El celler de can Roca” c’eran caduti anche loro in passato. Ed il posto è sì un ristorante d’altissimo livello, ma è soprattutto uno di quelli che fa scuola, dove molti chef con ambizioni vanno in pellegrinaggio ad imparar nuovi sapori e nuove tecniche ed a trovar ispirazioni.
Spero che la lezione che porteranno a casa sia che è meglio stupire col sapore, e con l’ingegno com’è riuscito a fare questa composizione di Jordi (il fratello dei Roca dedicato ai “postres”), ricomponendo il gusto delle vaniglia del Madagascar con quattro elementi base (caramello, liquirizia, olive nere caramellizzate e disidratate).
Assaggi i quattro elementi, assaggi il gelato di vaniglia in fianco, e… ti stupisci.

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