3 febbraio 2008

Ruberpan, ovvero del rosso che ha lo stile d’un bianco

Angelo Peretti
Ammetto che ero scettico. Quando venni a sapere che il Leonildo Pieropan re del Soave comprava terra a Illasi per piantarci vigne da vin rosso, avevo più di qualche dubbio. Che il Nino sia il più grande fra i bianchisti d’Italia, per me è cosa scontata, e il suo Calvarino - l’ho detto più volte e lo riaffermo - è l’unico italico bianco che metterei a confronto, per continuità d’annate belle e per capacità d’invecchiare, co’ grandi di Francia e di Germania. Ma da lì a esser capace di fare anche i rossi ce ne passa.
E invece non avevo fatto i conti con certi fattori.
Il primo: quando uno è bravo, è bravo. Il secondo: quando uno ha stile, quello stile lo sa mettere in tutto. Il terzo: il Nino ha figli grandi, che hanno la personalità loro e la libertà (e l’intelligenza) per cercar la loro strada. E il mix ha un che d’esplosivo. Se ci si aggiunge, di più, una convinzione che in famiglia talvolta rasenta la testardaggine, che mica sempre - badate - è cosa negativa, allora il gioco è fatto. E infatti...
Metti una sera al Dodici Apostoli, ristorante nel cuore di Verona, casa di Giorgio Gioco, ottanta-e-passenne maestro mio e di chissà quanti che hanno scritto e scrivono di cibo & vino. E ambientaci lì l’anteprima de’ rossi d’Illasi targati Pieropan. E son quattro annate, fin qui: il 2003 è la prima, il 2007 la più recente, ovvio. E in nessuna la vigna s’è salvata del tutto dalla grandine e dal vento, ché la, sul Monte Garzon, terra di Cellore d’Illasi, quando l’aria tira non scherza mica. Eppure il vino lascia il segno.
Direi che anzi lo stile - quello stile di casa Pieropan, che ho detto e che mette in primis pulizia e freschezza - è inconfondibilmente quello. E dunque il vino mira sì alla concentrazione, ma mai cedendo dal lato della beva. Ed è una sorta di quadratura del cerchio, e se funziona è quasi rivoluzionaria, questa formula, in terra valpolicellista. Già, perché Cellore è terra doc della Valpolicella che s’usa dire allargata. E le vigne piantate son quelle valpolicellesi: e dunque corvina veronese e corvinone e rondinella e un pelo di croatina. E son vigne giovani, e se tanto mi dà tanto, quanto saranno a maturità, cosa ti tireranno fuori i Pieropan da quelle terre?
Per intanto, si son tirati fuori loro. Dalla doc. Han scelto d’uscire non col Valpolicella - e men che meno con l’aborrito Ripasso - ma con un igt, che valpolicellista è dalla testa ai piedi, ma che rifiuta la denominazione. Per scelta familiare e direi per malessere nei confronti di quell’indeterminatezza che oggi sembra esistere sull’idea stessa del Valpolicella. E malessere è, in effetti, se arrivano a dirti che magari non escludono un giorno di farci il doc, ma che adesso no, non se ne parla.
E dunque il vino del Monte Garzon si chiama Ruberpan. Ruber che significa rosso, Pan che è il dio dei boschi e anche il suffisso della casata. E nelle annate giuste, e solo quelle, si chiama anche, questo sì doc, Amarone, e per ora è solo il 2006.
Ma, attenti: è igt, d’accordo, il Ruberpan, ma è anche inconfondibilmente valpolicellista in tutto e per tutto. E anzi potrebb’essere - e inevitabilmente sarà - un benchmak, un riferimento, un modello per chi volesse d’ora innanzi fare un rosso di Valpolicella da uve fresche, senz’appassimento. Coll’affinamento in legno che mira un po’ a domare la spinta acida, senza però mai del tutto sopirla. «Non abbiamo voluto fare un vino da palestra», dice Andrea, figlio agronomo di Nino. «Come per i bianchi - aggiunge Leonildo -, anche per i rossi abbiamo puntato a fare non un vino fine a se stesso, ma da pasto, che si sposa con la cucina, che si beve a tavola».
Certo, aggiungo, che uno che può permettersi di far scelte del genere perché si chiama Pieropan, e dunque il brand, il marchio, il nome è in grado di prevalere perfino all’etichetta. Ché altrimenti sarebbe mica facile spiegare alla gente in giro per il mondo quell’acidità, quella freschezza che ti trovi in bocca insieme al frutto sì tondo e bello e maturo e croccante. Sarebbe difficile, intendo, spiegare il perché d’un carattere simile - e farlo accettare - senza dire che ha l’imprinting del rosso valpolicellista senza esser Valpolicella doc. Ma il marchio è marchio, e dunque dov’è il problema?
Ora, due parole sui vini, di cui uno solo è in commercio, il Ruberpan 2003. Gli altri usciranno quando saranno pronti. Abbiamo chiesto: quando? E la risposta è stata proprio quella: quando saranno pronti.
Ruberpan 2003 L’unico, dicevo, che già potete trovare in circolazione. Al naso ha la ciliegia sotto spirito e memorie balsamico-officinali e qualche vena sottile di bella terrosità, perfino, e accenni di cannella. E in bocca c’è continuità. S’avverte il calore dell’annata (che si traduce in una qualche spinta alcolica) e la giovinezza della vigna (che induce una qualche brevità del vino). Ma è vino che si beve con piacevolezza comunque, e se questa è la premessa...
Ruberpan 2004 È ancora nel legno. Andrà in bottiglia più avanti. Propone ora gran frutto rosso, surmaturo direi. E cenno di fruttino in confettura. E spezia, pepe soprattutto. Ed ha bocca densa e sontuosa eppure anche freschissima e nervosa e slanciata e insomma tanto valpolicella style. E insomma ha sì struttura, ma conserva beva pienissima. Ed ha lunghezza.
Amarone della Valpolicella 2006 Il 2006 è l’anno dell’Amarone, mica del Ruberpan. Ché, hanno spiegato i Pieropan, l’uva era spargola e dunque adatta all’appassimento. E dunque ci han provato. E ha naso di già adesso molto bello di ciliegia e fruttini rossi e confettura e tanta spezia. In bocca è fresco, e lo stile è ancora quello: marchio di casa. Epperò è dolce parecchio, ma don’t worry - dicono - ché l’Amarone ogni anno tende a rifermentare un po’, e duqnue prima che sia pronto alla bottiglia, lo zuccherò brucerà ancora, evolverà. Tanto, c’è tempo.
Ruberpan 2007 Fatto con l’uva salvata dalla grandine, sul lato del vigneto meno esposto. Ed è vino ancora in fasce, ovviamente. Eppure ha di già frutto ben delineato. E insomma, promette bene. Ed ha freschezza perfino più nervosa de’ fratelli dell’annate precedenti. E spezia intrigante. Insomma: c’è continuità.
Ora, non voglio esser troppo entusiasta, ché è meglio attenderli al varco, dopo la bottiglia e l’affinamento, e dunque se ne riparlerà in futuro. Ma scettico non son più, vivaddìo.

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