Visualizzazione post con etichetta VINI - LOMBARDIA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta VINI - LOMBARDIA. Mostra tutti i post

7 dicembre 2011

Lambrusco, viva lo scagarun!


Angelo Peretti
Antefatto. Sto tornando da Bologna, ho fame. Siccome sono entrato in territorio mantovano, perché non cercare un posto per mangiare un po' d'agnoli in brodo? Esco dall'autostrada e punto in direzione di San Benedetto Po, così ne approfitto anche per vedere l'abbazia di San Benedetto in Polirone, di cui ho letto tanto nei testi di storia. Sulla piazza dell'abbazia - la piazza s'intitola a Teofilo Folengo, frate scrittore buongustaio, quello che col Baldus inventò il latino macaronico - s'affaccia il ristorante Scacciapensieri. Entro: hanno gli agnoli in brodo e anche i tortelli di zucca. Affare fatto.
Col cibo dei mantovani ci vorrei anche il vino della terra virgiliana, e dunque Lambrusco. Eppoi mi piace fare il bevr'in vin col Lambrusco versato nel brodo degli agnoli, che così diventa violaceo e fruttato. Tra le opzioni disponibili mi oriento sul Rosso dei Concari di Lebovitz, che conosco e che mi piace. La signora, gentilissima, in sala mi porta la bottiglia, ma prima di stappare butta lì: "Non è che vuole Al Scagarün?".
Detta così, a bruciapelo, la domanda mi mette un attimo in imbarazzo. Scagarün non è che sia vocabolo così tanto, come dire, appetitoso. Mi verrebbe da tradurlo con qualcosa come scagazzone, e non è bello nella sala d'un ristorante. Ma la signora mi soccorre e mi spiega che in dialetto mantovano lo scagarün è lo sporcaccione e il vino i Lebovitz l'hanno chiamato così perché è così denso di colore che si sporchi la tovaglia o la camicia fai fatica a pulirli.
Vada per Al Scagarün, allora. E benedetto la proposta dell'ostessa: 'sto rosso frizzante mantovano l'ho trovato proprio buono. Morale della favola: finito di pranzare e visitata l'abbazia, ho puntato la macchina in direzione di Governolo e sono andato dai Lebovitz a compramene una scatola.
Sul sito aziendale leggo che è fatto con un uvaggio di quattro uve lambrusche: Ruberti per il 45 per cento, Maestri per il 30, Marani il 20 e il resto Ancellotta.
Nel bicchiere è viola scuro impenetrabile, e dopo che hai bevuto il vetro rimane colorato. La spuma è giocosa, gioiosa. Al naso e in bocca ha il fruttino, la mora, la prugna, la ciliegia, la marasca, l'amarena. Il fondo è morbido senza cedere alla stucchevolezza. L'alcol non è altissimo: sugli 11 gradi. Si beve che è un piacere. Nel suo genere, è un gioiellino. Evviva i vini da bere. Magari, ecco, magari cambiandogli l'etichetta: questa qui non mi piace, ma pazienza.
Provincia di Mantova Lambrusco Al Scagarün Lebovitz
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

5 dicembre 2011

San Giobbe e il Pinot Nero

Angelo Peretti
C'è stato un tempo che in campagna si tirava avanti allevando i bachi da seta, e così ai margini delle corti rurali o delle vigne si piantavano i gelsi, che facevano le foglie di cui son ghiotti i bruchi. Era così importante quell'integrazione di reddito proveniente dai bachi che occorreva votarsi a qualche santo perché la bachicoltura ne avesse protezione, e in Brianza si scelse san Giobbe, e non so per quale motivo, e probabilmente nemmeno m'interessa tanto saperlo. Sta di fatto che 'sta storia del protettore dei bachicoltori l'ho letta andando a vedere il sito d'una piccola azienda brianzola che si chiama La Costa e che sta a Perego, provincia di Lecco, e che da qualche tempo ha rivitalizzato quella tradizione enoica che in zona era andata perduta.
Ne parlo non perché ci sia andato in visita, ma perché invece m'è capitato di berne un vino agli Stati Generali del Pinot Nero che si son tenuti qualche settimana fa in Oltrepò Pavese, e quel vino m'ha decisamente incuriosito. Già, un Pinot Nero brianzolo del 2008 che si chiama San Giobbe, quel Giobbe dei bachi da seta di cui ho letto sul sito aziendale.
Ora, cosa gliel'abbia fatto fare a 'sta gente di cimentarsi proprio con una brutta bestia come il pinot nero credo che sia destinato a restare tra i misteri immensamente vaghi del mondo dei vigneron. Però il risultato è buono.
Leggo ancora sul sito dell'azienda che mediamente d'uve di pinot nero lì se ne fanno otto etti per pianta e che si vinificano poi in parte in acciaio e in parte in tini di rovere da vent'ettoliti e poi l'affinamento avviene nella tina di rovere da quindici e da vent'ettolitri e poi ancora per sei mesi in vasca di cemento.
Ha colore, questo 2008, tra il rosso scarico e l'aranciato, ed è colore tipicamente pinonerista, dunque. E anche il naso è tipico, con quel fruttino e quella venatura speziata, cui si somma un curioso, invitante accenno agrumato. In bocca ecco che subito è rustico, perfino quasi scorbutico, e vorrei dire, con una parola contadina, "aspro", ed è un'asprezza che ricorda quella dell'arancia bionda, e dunque ecco tornato l'agrume che avevo già colto all'olfatto. Ma poi invece t'avvince la beva, che è notevole. E il frutto maturo. E quel ricordo di tamarindo e di rabarbaro. Vino curioso, anomalo, che probabilmente sa invecchiare bene qualche annetto, e infatti è per ora ancora giovanissimo. Concludo dicendo che è stata la sorpresa inattesa della giornata trascorsa in Oltrepò e che è un Pinot Nero mica da degustazione, ma da bere in compagnia, ed è un complimento.
Pinot Nero San Giobbe 2008 La Costa
Due lieti faccini :-) :-)

2 luglio 2011

Lugana Terre Bianche 2009 Citari

Angelo Peretti
Che Citari, a San Martino della Battaglia, sia una delle più interessanti realtà - come dire - "emergenti" del territorio del Lugana, non è una novità. E questo Lugana Terre Bianche del 2009 me lo conferma ulteriormente, tant'è che ormai la tentazione è quello d'annoverare stabilmente questo marchio fra i miei personali top luganisti.
Che freschezza che ha questo bianco!
Ha naso di camomilla, che è poi sentore tipico del terroir di San Martino, ed anzi lo trovai gli anni scorsi - quand'ebbi occasione d'assaggio - tipicissimo dell'eccellente San Martino della Battaglia, a base d'uva di tocai (nome proibito), che Citari ha prodotto, e non posso che ribadire ancora una volta che quella di San Martino è una denominazione assolutamente sottostimata rispetto agli effettivi potenziali qualitativi.
Torno però al Lugana. Dicevo della camomilla. Poi, offre profumi d'altri fiori primaverili e di pera.
Bocca tesissima, fresca, salina, dritta, pulita, lunga. Assaggio citrino, con l'aggiunta del mango.
Buono.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

6 agosto 2010

Garda Classico Groppello Maim 2003 Costaripa

Angelo Peretti
Vediamo un po': cosa apro oggi a tavola? Me lo son chiesto passando in cantina in questi giorni. E in fondo a un scaffale ho ritrovato una bottiglia del Maim del 2003: Garda Classico Groppello, dice l'etichetta.
Il Maim di quell'annata lo amai da subito, ma poi non ebbi più occasione di tastarlo. Strano me ne fosse rimasta una bottiglia. Lo ricordavo vino elegante assai, nel contesto dell'area d'origine, la Valtènesi. E c'era ovviamente dietro ottima mano in cantina, e del resto il Ma dell'intitolazione sta per Mattia, che è poi il Mattia Vezzola ch'è anche general manager di Bellavista, in Franciacorta, mentre l'Im sta per Imer, il fratello, che all'epoca conduceva insieme l'aziendina di famiglia, Costaripa, a Moniga del Garda.
Mi son detto: perché non riprovarlo ora 'sto Maim? E dunque, stappiamo.
Il colore m'ha lasciato da subito un po' perplesso: tendeva un po' al brunito, e dunque temevo l'ossidazione. Invece, porto il bicchiere al naso, ed ecco il frutto ben saldo, magari un po' surmaturo e sulle tracce delle frutta cotte, ma del resto il 2003 è stato così, assolato.
In bocca è velluto. Davvero. Niente dell'asperità dei vini a base di groppello. Invece, proprio, tannino levigato e frutto rotondo, con venature decadenti di fiori appassiti e spezie. E, sì, curiosamente, quella sensazione ch'è tipica dei ceppi d'ulivo spaccati.
La cosa più impressionante è stato berne quel ch'era rimasto il giorno dopo: note balsamiche fascinose di mentiuccia, origano, erbe alpestri insieme alla cannella, al chiodo di garofano, alla prugna cotta.
Ecco, sì, se in Valtènesi si possono far vini così, viva la Valtènesi.
Due lieti faccini :-) :-)

3 agosto 2010

Rosso di Valtellina 2004 Ar.Pe.Pe.

Mario Plazio
Un vino che ti predispone fin dal colore, rubino senza alcuna forzatura cromatica. E che sia aperto e solare pur provenendo dalla Valtellina non è per niente paradossale
Il rosso base di questa interessantissima azienda lombarda va diritto per la sua strada con una imbarazzante naturalezza.
Il naso trabocca di aromi semplici ed immediati: fiori, affumicato, arancia rossa, ciliegia e radici. Dopo qualche ora si permette perfino una piccola nota ferrosa.
La beva è croccante, leggermente vegetale ma mai scontata. I tannini sono vellutati e la lunghezza adeguata.
Un vino a tutto pasto a prezzo di svendita.
Cercatelo.
Un faccino e mezzo, quasi due :-)

1 giugno 2009

Botticino La Foja 2003 Emilio Franzoni

Angelo Peretti
Di solito non accetto che un vino finisca amaro. Qualcuno parla di retrogusto amarognolo come d'un carattere tipico. E per forza che è retro, il gusto amaro: la sensazione amara la percepisce la parte finale della lingua, altroché se non sta al retro. Gli è che solitamente associo il sentore amaricante a una qualche imperfezione di cantina, ed hanno un bel dirmela che è questione di terra o di terroir.
Stavolta però - e credo sia l'eccezione che comunque conferma la regola - mi tocca contraddirmi. E dico che di questo rosso di Botticino, paesello bresciano famoso sino ad ora più per le cave di marmo che per il vino, ma probabilmente destinato a sovvertire i luoghi comuni e diventar terra enoica di bel profilo, m'è invece piaciuta quella vena amara di mandorla che accompagna a lungo il palato, e l'accarezza, e l'allunga, fondendosi col frutto e rendendolo più profondo, più austero. Direi perfino dandogli quel tono demodé di decadenza che mi piace invece ritrovare in certi rossi.
Fatto con la barbera (un quaranta per cento) e poi col marzemino (trenta), con sangiovese (venti) e con la schiava gentile, ha naso "antico" di frutto stramaturo (retaggio del caldo del 2003) e petali essiccati. Ed ha spezia, e perfino un che, appena appena, di vinoso.
In bocca, ho detto, ancora frutto rosso ipermaturo e mandorla, masticata a manciate.
Due lieti faccini :-) :-)

23 marzo 2009

Valtellina Superiore Sassella Riserva Stella Retica 2004 ArPePe

Angelo Peretti
Il nebbiolo di montagna. Chiavennasca, lo chiamano da quelle parti: terra di Valtellina. Da una dell'aziende tra le più tradizionaliste che ci siano nella tradizione di cantina non solo di Lombardia, ma dell'Italia tutta. L'ArPePe di Arturo Pelizzatti Perego.
Mi dicono che 'sto 2004, che ha fatto un paio d'anni nel legno grande, uscirà ufficialmente a Vinitaly: un buon motivo in più per andare a tastarlo alla kermesse veronese.
Ho avuto la fortuna di provarlo, dunque, in anticipo. Fortuna, ho detto: gran bella bottiglia.
Nebbiolo che più nebbiolo è difficile. Già dalla tonalità: lieve e granata e trasparente e traslucida come ha da essere, senz'alcun doping colorista.
Il naso è fruttino: la marasca, il ribes, direi. E la fragola stramatura. Eppoi la spezia fine.
In bocca è nuovamente tripudio di piccol frutto. E torna la speziatura. E vi si aggiunge memoria di cuoio. E vena terrosa.
Bellissimo vino, fascinoso, decadente e moderno insieme.
Mi dicon che in cantina, a privato, viene sui 13 euro: li vale tutti.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

30 dicembre 2008

Franciacorta Rosé Brut Antica Fratta

Angelo Peretti
Oh, vabbè: m'espongo al rischio che si dica che m'è piaciuto 'sto rosé perché adesso il rosato va di moda e soprattutto se ha le bolle e bla bla bla.
Invece no: questo Francacorta en rose m'è piaciuto e basta. Cremoso, denso, polposo, eppure bevibilissimo ed abbinabilissimo in tavola, talché l'ho perfino rischiato con un blu di capra (intendo formaggio, erborinato).
Quello dell'Antica Fratta è oggi marchio del gruppo Berlucchi. E qui mi fermo con le cose di cantina.
Per il vino, dell'avvincente cremosità ho detto. E aggiungo che ha note eleganti di piccolo frutto di bosco e di spezia fine e di vaniglia. E la bolla è sottile. E l'acidità perfettamente integrata nel corpo.
Me n'hanno offerta una bottiglia degli amici per Natale: bel regalo.
Aggiungo: la boccia che ho stappato era stata aboccata nel 2007, e non è info da poco.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

10 settembre 2008

Valcamonica Rosso Baldamì 2006 Rocche dei Vignali

Baldami_2 Angelo Peretti
La giovanissima e montanara igt della Valcamonica dovrà magari trovare col tempo una sua precisa fisionomia, però qualche bella bottiglia ce l’ha.
È il caso di questo Baldamì 2006 delle Rocche dei Vignali, che leggo essere una cooperativa (credo piccoletta, ché non ci sono gran vigne da quelle parti) nata appena nel dicembre del 2003.
Leggo altrettanto che questo rosso è fatto con uve di marzemino per metà, di merlot per un terzo e per il resto d’altri e non specificati vitigni.
E visto che son di lettura, eccomi a vedere anche ch’è fatto in acciaio: nove mesi d’affinamenti, si dice.
Ordunque, il vino l’ho trovato fruttato e canforato insieme, al naso, acoll’aggiunta di vaghe e stuzzicanti note officinali.
In bocca il piccolo frutto nero rotola che è un piacere. E il resto è frutto rosso macerato. Tannino e freschezza sono in equilibrio.
Vino succoso e di schietta personalità.
Due lieti faccini :-) :-)

Il parere contenuto in questa segnalazione è rapportato alla tipologia di vino e poggia in primis sulla piacevolezza che la bottiglia ha saputo trasmettere.
Il giudizio è dato in faccini stile sms.
- un faccino è per un vino di corretta e comunque piacevole beva
- due faccini per un vino di bel piacere
- tre faccini per i vini appaganti, le punte massime delle rispettive tipologie.