Mauro Pasquali
Chi pensa alla Borgogna generalmente va subito con la mente al pinot nero e ai suoi Grand Cru, ottenuti da questo straordinario ma scorbutico vitigno. Poi, subito dopo, il pensiero corre ai grandi bianchi di Borgogna, in primis allo Chabils, nelle sue varie declinazioni. Infine, pochi arrivano (e hanno potuto assaggiare) alla Borgogna minore, ma che poi tanto minore non è: la Côte Chalonnaise e quello scrigno di Premier Crù che è Montagny. Qui, partendo da meno di 3 ettari di vigneto a soli 18 anni, dopo gli studi a Beaune, Stephane Aladame ha lentamente ma costantemente ingrandito il suo scrigno (perché tale è) fino agli attuali 7 ettari dei quali ben 6 in Premier Cru. E chi conosce la Borgogna sa cosa questo significhi.
Oggi, a neppure quarant’anni, Stephane è uno dei grandi alfieri dello chardonnay di Borgogna, riconosciuto tale non solo in Francia ma ovunque sono stati assaggiati i suoi vini. Ecco: lui è rimasto quel ragazzo di diciott’anni, quasi timido e più avvezzo a parlare con le sue viti che in pubblico. Lascia volentieri la parola ai suoi vini che, in verità, molto hanno da dire.
Agricoltura biologica da una decina d’anni, vigne di diverse età (da venti a novant’anni), per un totale di circa 40.000 bottiglie, uso di legno (ovvio in Borgogna) ma anche di acciaio: questo è Stephane Alamande. E la sorpresa maggiore è proprio l’uso molto parco del legno e una lenta ma convinta conversione alle botti grandi e all’acciaio. Tanto che il vino che più mi è piaciuto della breve ma intensa degustazione, è proprio uno chardonnay che il legno non lo ha visto.
Cremant de Bourgogne Blanc Domaine Stephane Aladame
L’unico vino fatto con uve non di proprietà. Ancora per poco, perché dalla prossima annata anche questo Cremant sarà interamente prodotto con lo chardonnay che Stephane produce.
Naso complesso con profumi forse compressi ma con evidente e forte mineralità. In bocca entra morbido tanto che non gli daresti i soli 6 grammi/litro di zuccheri residui. Buona sapidità e grande salinità. Finale morbido ma pulito e di buona lunghezza.
Due beati faccini :-) :-)
Montagny 1er Cru Découverte 2009 Domaine Stephane Aladame
Il frutto tropicale è evidente ma la cosa che stupisce di più è la grande freschezza e salinità, accompagnate da note minerali e notevole sapidità. Il vino che mi è piaciuto di più: fresco, pulito, lungo. Uno Chardonnay che invoglia a bere il secondo bicchiere. E, poi, anche il terzo.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Montagny 1er Cru Les Maroques 2008 Domaine Stephane Aladame
Grande complessità e profumi che spaziano dalla frutta gialla alla speziatura. La nota salina, caratteristica dei vini di Stephane Alamande, ritorna marcata ma non prepotente. La fermentazione e la permanenza in legno del 30% del mosto si sente ed è evidente, non perfettamente bilanciata dal rimanente che ha sostato solo in acciaio. Da riassaggiare dopo la sostituzione della barriques con le botti grandi.
Un faccino e quasi due :-)
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19 gennaio 2012
10 gennaio 2012
Trentodoc: la verticale e l'intruso
Mauro Pasquali
Del Trentodoc è persino superfluo parlare: più di un secolo di storia e quasi dieci milioni bottiglie prodotte all’anno parlano da sole e raccontano della prima doc italiana di un metodo classico, di tanti produttori, piccoli e grandi e di un vitigno principe: lo chardonnay che ormai caratterizza in modo quasi monotono un’intera regione.
Sono passati ormai dieci anni da quanto la Cesarini Sforza, fra le prime aziende a credere nel Trentodoc metodo classico, è entrata in quel colosso della cooperazione vitivinicola che è il gruppo LaVis. Dieci anni durante i quali mantenendo la sua autonomia, Cesarini Sforza ha potuto attingere a quell’immenso patrimonio di terreni vitati del gruppo LaVis.
Le vigne sono situate nella zona a nord di Trento, sulle colline che fiancheggiano il corso del torrente Avisio e in Val di Cembra e sfruttano appieno le caratteristiche morfologiche e climatiche della zona, permettendo di ottenere uve adattissime alla spumantizzazione.
Dopo dieci anni dall’acquisizione da parte del gruppo LaVis, ecco l’occasione di una verticale che parte da molto lontano, quando Cesarini Sforza era ancora autonoma e che mi ha dato diverse conferme e qualche piacevole sorpresa.
Trento Millesimato 1992 Cesarini Sforza
Nasce lontano, quasi vent’anni fa questo Trento doc. Soprattutto, nasce lontano come tecnica produttiva e composizione: 100% chardonnay e una maturazione sui propri lieviti del vino base per sei mesi. Poi, senza fermentazione mallolattica, la messa in bottiglia, per sboccarlo quasi vent’anni dopo. Il risultato è un prodotto straordinario, equilibrato, armonico. Il naso si apre con una leggera (!) nota ossidativa, un che di croissant all’albicocca. In bocca la sapidità, nonostante l’età, è notevole, come pure l’eleganza. Una lunghezza che sembra non finire mai, chiude una bocca pulita e piacevole.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Millesimato 1999 Cesarini Sforza
Sette anni più giovane e l’ingresso del pinot nero per il 20% caratterizzano questo millesimato, nettamente meno elegante del precedente ma, comunque, con una bella mineralità e salinità. La malolattica è svolta completamente e si sente in bocca, dove i toni morbidi prevalgono. Un vino, oserei dire, quasi “muscoloso”
Due beati faccini :-) :-)
Trento Tridentum 2001 Cesarini Sforza
Cambia il nome e, pur mantenendo uve e percentuali del precedente, lo chardonnay sembra prevalere aromaticamente, apportando un frutto tropicale quasi invadente mentre un che di affumicato avvolge la bocca. Chiude sfuggente, quasi metallico. Sicuramente un vino giunto alla fine della sua vita.
Un faccino di stima :-)
Trento Tridentum 2002 Cesarini Sforza
L’annata, fredda e piovosa, ha influito sul risultato finale. Il naso elegante e fine nasconde una bocca vagamente anonima e corta. L’acidità, nonostante l’annata, è poca e la sapidità si fa desiderare. Sorge un dubbio: e se fosse ancora troppo giovane? Troppo contrasto tra il naso e la bocca, come se quest’ultima non esprimesse ancora tutto il potenziale. Vorrei riprovarlo fra tre-quattro anni.
Due faccini di stima :-) :-)
Trento Tridentum 2004 Cesarini Sforza
Naso complesso ed elegante. Una bocca piena. Un prodotto interessante, evoluto ma, probabilmente, con poca vita davanti a sé. Buon finale pulito e pieno.
Un faccino e quasi due :-)
Trento Tridentum 2005 Cesarini Sforza
Annusandolo e assaggiandolo continuava a tornarmi in mente qualcosa che non riuscivo a individuare. Poi l’illuminazione: sono tornato al Millesimato 1992 e vi ho ritrovato lo stesso filo conduttore. Un naso complesso e armonico. Una bocca sapida e piena. Un grande vino oggi ma con una prospettiva di vita davanti a sé paragonabile a quella del primo campione. Da riprovare, perché no?, tra dieci-quindici anni.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Aquila Reale 2004 Cesarini Sforza
L’intruso. O, meglio, l’evoluzione. Il vino (100% chardonnay) fa la malolattica in legno. E si sente nella vaniglia forse un po’ eccessiva. Anche il liqueur d’expedition è forse un po’ invadente ma è questione di gusti per chi, come me, predilige i pas dosè. Il naso sa di agrumi canditi. E poi vaniglia e leggerissima speziatura. In bocca prevalgono sapidità e acidità. Un vino interessante ma, come dire, in divenire. Da riprovare nelle prossime annate, una volta messi a punto alcuni particolari.
Un faccino e quasi due :-)
Del Trentodoc è persino superfluo parlare: più di un secolo di storia e quasi dieci milioni bottiglie prodotte all’anno parlano da sole e raccontano della prima doc italiana di un metodo classico, di tanti produttori, piccoli e grandi e di un vitigno principe: lo chardonnay che ormai caratterizza in modo quasi monotono un’intera regione.
Sono passati ormai dieci anni da quanto la Cesarini Sforza, fra le prime aziende a credere nel Trentodoc metodo classico, è entrata in quel colosso della cooperazione vitivinicola che è il gruppo LaVis. Dieci anni durante i quali mantenendo la sua autonomia, Cesarini Sforza ha potuto attingere a quell’immenso patrimonio di terreni vitati del gruppo LaVis.
Le vigne sono situate nella zona a nord di Trento, sulle colline che fiancheggiano il corso del torrente Avisio e in Val di Cembra e sfruttano appieno le caratteristiche morfologiche e climatiche della zona, permettendo di ottenere uve adattissime alla spumantizzazione.
Dopo dieci anni dall’acquisizione da parte del gruppo LaVis, ecco l’occasione di una verticale che parte da molto lontano, quando Cesarini Sforza era ancora autonoma e che mi ha dato diverse conferme e qualche piacevole sorpresa.
Trento Millesimato 1992 Cesarini Sforza
Nasce lontano, quasi vent’anni fa questo Trento doc. Soprattutto, nasce lontano come tecnica produttiva e composizione: 100% chardonnay e una maturazione sui propri lieviti del vino base per sei mesi. Poi, senza fermentazione mallolattica, la messa in bottiglia, per sboccarlo quasi vent’anni dopo. Il risultato è un prodotto straordinario, equilibrato, armonico. Il naso si apre con una leggera (!) nota ossidativa, un che di croissant all’albicocca. In bocca la sapidità, nonostante l’età, è notevole, come pure l’eleganza. Una lunghezza che sembra non finire mai, chiude una bocca pulita e piacevole.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Millesimato 1999 Cesarini Sforza
Sette anni più giovane e l’ingresso del pinot nero per il 20% caratterizzano questo millesimato, nettamente meno elegante del precedente ma, comunque, con una bella mineralità e salinità. La malolattica è svolta completamente e si sente in bocca, dove i toni morbidi prevalgono. Un vino, oserei dire, quasi “muscoloso”
Due beati faccini :-) :-)
Trento Tridentum 2001 Cesarini Sforza
Cambia il nome e, pur mantenendo uve e percentuali del precedente, lo chardonnay sembra prevalere aromaticamente, apportando un frutto tropicale quasi invadente mentre un che di affumicato avvolge la bocca. Chiude sfuggente, quasi metallico. Sicuramente un vino giunto alla fine della sua vita.
Un faccino di stima :-)
Trento Tridentum 2002 Cesarini Sforza
L’annata, fredda e piovosa, ha influito sul risultato finale. Il naso elegante e fine nasconde una bocca vagamente anonima e corta. L’acidità, nonostante l’annata, è poca e la sapidità si fa desiderare. Sorge un dubbio: e se fosse ancora troppo giovane? Troppo contrasto tra il naso e la bocca, come se quest’ultima non esprimesse ancora tutto il potenziale. Vorrei riprovarlo fra tre-quattro anni.
Due faccini di stima :-) :-)
Trento Tridentum 2004 Cesarini Sforza
Naso complesso ed elegante. Una bocca piena. Un prodotto interessante, evoluto ma, probabilmente, con poca vita davanti a sé. Buon finale pulito e pieno.
Un faccino e quasi due :-)
Trento Tridentum 2005 Cesarini Sforza
Annusandolo e assaggiandolo continuava a tornarmi in mente qualcosa che non riuscivo a individuare. Poi l’illuminazione: sono tornato al Millesimato 1992 e vi ho ritrovato lo stesso filo conduttore. Un naso complesso e armonico. Una bocca sapida e piena. Un grande vino oggi ma con una prospettiva di vita davanti a sé paragonabile a quella del primo campione. Da riprovare, perché no?, tra dieci-quindici anni.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Aquila Reale 2004 Cesarini Sforza
L’intruso. O, meglio, l’evoluzione. Il vino (100% chardonnay) fa la malolattica in legno. E si sente nella vaniglia forse un po’ eccessiva. Anche il liqueur d’expedition è forse un po’ invadente ma è questione di gusti per chi, come me, predilige i pas dosè. Il naso sa di agrumi canditi. E poi vaniglia e leggerissima speziatura. In bocca prevalgono sapidità e acidità. Un vino interessante ma, come dire, in divenire. Da riprovare nelle prossime annate, una volta messi a punto alcuni particolari.
Un faccino e quasi due :-)
21 dicembre 2011
Il vino che è stato e che sarà
Mauro Pasquali
La garganega è un vitigno eclettico e sorprendente. Pensi sia adatta solo a vini freschi e di grande sapidità e te la ritrovi dolce e suadente nel recioto passito. La immagini appassita e fermentata a lungo in quel capolavoro che è il Vin Santo di Gambellara e poi la scopri, inaspettata e quasi “nordica” nelle vendemmie tardive che alcuni produttori cominciano a sperimentare, riprendendo, di fatto una antica tradizione: la garganega era l’ultima uva ad essere vendemmiata, ad ottobre, quando ormai tutte le altre uve avevano ormai completato la fermentazione.
Virgilio Vignato, ben supportato dalla moglie Mariucia e dai figli Ilario e Vincenzo continua a sperimentare e selezionare le uve per produrre dei cru di cui va giustamente fiero. Così, passo dopo passo, anno dopo anno, nascono questi piccoli gioielli. Piccoli nel numero delle bottiglie prodotte ma grandi nella qualità dentro le bottiglie.
Immediatamente ti spiazza: l’ho definito Gambellara atipico ma per esaltarne le caratteristiche positive, magari tutti i Gambellara fossero così. Il naso di frutta tropicale, soprattutto frutto della passione, nasconde una prepotente nota minerale che, gradualmente, prende il sopravvento. La bocca, piacevolmente sapida e con un leggero retrogusto di mela renetta preclude al ritorno delle note tropicali. Chiude lunghissimo con una piacevole nota di mandorla amara.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
In bocca entra con una nota di mandorla dolce e si apre con una bella sapidità. Una bocca piena, di frutta matura chiude con una notevole lunghezza. Anche in questo caso il consiglio: avere la pazienza di aspettare che il vino si perfezioni ulteriormente. Ancora qualche mese in bottiglia non guasterebbe, anzi!
Due beati faccini :-) :-)
Dopo un quarto d’ora escono sentori di pietra focaia e sasso moro, il basalto di cui il terreno di Gambellara è ricco. Una leggera tannicità preclude a un finale pieno, quasi grasso. Peccato che non ce ne sia più!
Tre beati faccini :-) :-) :-)
La garganega è un vitigno eclettico e sorprendente. Pensi sia adatta solo a vini freschi e di grande sapidità e te la ritrovi dolce e suadente nel recioto passito. La immagini appassita e fermentata a lungo in quel capolavoro che è il Vin Santo di Gambellara e poi la scopri, inaspettata e quasi “nordica” nelle vendemmie tardive che alcuni produttori cominciano a sperimentare, riprendendo, di fatto una antica tradizione: la garganega era l’ultima uva ad essere vendemmiata, ad ottobre, quando ormai tutte le altre uve avevano ormai completato la fermentazione.
Virgilio Vignato, ben supportato dalla moglie Mariucia e dai figli Ilario e Vincenzo continua a sperimentare e selezionare le uve per produrre dei cru di cui va giustamente fiero. Così, passo dopo passo, anno dopo anno, nascono questi piccoli gioielli. Piccoli nel numero delle bottiglie prodotte ma grandi nella qualità dentro le bottiglie.
Gambellara Capitel Vicenzi 2010 Virgilio Vignato
Un vino che sarà. Non è ancora in commercio e il consiglio è tenerlo in cantina ancora un anno, per completarne l’evoluzione e portarlo in vendita nel momento in cui sarà, credo, al suo massimo. Nasce da una selezione dei migliori grappoli dell’appezzamento collinare Monte Alto e prende il nome da un capitello che sorge vicino alla casa di famiglia.Immediatamente ti spiazza: l’ho definito Gambellara atipico ma per esaltarne le caratteristiche positive, magari tutti i Gambellara fossero così. Il naso di frutta tropicale, soprattutto frutto della passione, nasconde una prepotente nota minerale che, gradualmente, prende il sopravvento. La bocca, piacevolmente sapida e con un leggero retrogusto di mela renetta preclude al ritorno delle note tropicali. Chiude lunghissimo con una piacevole nota di mandorla amara.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Garganega del Veneto Caliverna 2010 Virgilio Vignato
L’idea di produrre una Garganega da vendemmia tardiva nasce nel 2008, complice una delle più belle annate degli ultimi anni per questo vitigno nel territorio di Gambellara. Ora è quasi pronto questo 2010 che si presenta subito con un bel biglietto da visita: un naso che richiama i grandi vino del nord. La pietra focaia, un che d’idrocarburi e gomma vulcanizzata ti avvolgono immediatamente e, poi, lasciano gradualmente il passo ad una grandissima mineralità.In bocca entra con una nota di mandorla dolce e si apre con una bella sapidità. Una bocca piena, di frutta matura chiude con una notevole lunghezza. Anche in questo caso il consiglio: avere la pazienza di aspettare che il vino si perfezioni ulteriormente. Ancora qualche mese in bottiglia non guasterebbe, anzi!
Due beati faccini :-) :-)
Garganega del Veneto Caliverna 2008 Virgilio Vignato
Il vino che non è più: di questa prima annata ne furono fatte davvero poche bottiglie. Peccato perché ora, a tre anni dalla vendemmia, si esprime al massimo della sua piacevolezza e maturità. Al naso una leggera speziatura di noce moscata (il vino non ha fatto legno!) apre a note di frutta tropicale matura con venature balsamiche.Dopo un quarto d’ora escono sentori di pietra focaia e sasso moro, il basalto di cui il terreno di Gambellara è ricco. Una leggera tannicità preclude a un finale pieno, quasi grasso. Peccato che non ce ne sia più!
Tre beati faccini :-) :-) :-)
6 agosto 2011
Ludwig Pinot Nero Alto Adige 2006 Elena Walch
Mauro Pasquali
Per me che amo ben pochi Pinot Neri italiani e, quei pochi, tutti provenienti da Mazzon, una piacevole conferma, questo Pinot Nero di Elena Walch. D’altronde siamo a Glen, pochi chilometri da Mazzon e, sebbene le due località siano separate dalla vallata di Molini, godono più o meno della stessa esposizione e, forse, della stessa composizione del terreno.
La scheda del vino recita: vigneti a 650 metri con esposizione sud-ovest, pergola di 38 anni e guyot di 9, maturazione per 14 mesi in barriques parzialmente nuove.
Ecco: il risultato è quello che mi aspetto da un Pinot Nero. Un bel colore trasparente, quasi scarico con venature granate. Un naso che si apre, quasi ritroso, con erbe aromatiche di campo, un che di balsamico, piccoli frutti rossi e, poi, cuoio, liquirizia, cacao ma in modo non invadente, giocando più sui toni dell’eleganza che della forza.
La bocca è piacevolmente equilibrata, a esaltare un’alcolicità non eccessiva, la sapidità e l’acidità. Il bel frutto croccante e la speziatura riempiono piacevolmente il palato e rimangono in bocca molto a lungo. Bel finale asciutto e pulito.
Un vino pronto, da bere con piacevolezza oggi, ma con una bella aspettativa di vita davanti a sé.
Due beati faccini :-) :-)
Per me che amo ben pochi Pinot Neri italiani e, quei pochi, tutti provenienti da Mazzon, una piacevole conferma, questo Pinot Nero di Elena Walch. D’altronde siamo a Glen, pochi chilometri da Mazzon e, sebbene le due località siano separate dalla vallata di Molini, godono più o meno della stessa esposizione e, forse, della stessa composizione del terreno.
La scheda del vino recita: vigneti a 650 metri con esposizione sud-ovest, pergola di 38 anni e guyot di 9, maturazione per 14 mesi in barriques parzialmente nuove.
Ecco: il risultato è quello che mi aspetto da un Pinot Nero. Un bel colore trasparente, quasi scarico con venature granate. Un naso che si apre, quasi ritroso, con erbe aromatiche di campo, un che di balsamico, piccoli frutti rossi e, poi, cuoio, liquirizia, cacao ma in modo non invadente, giocando più sui toni dell’eleganza che della forza.
La bocca è piacevolmente equilibrata, a esaltare un’alcolicità non eccessiva, la sapidità e l’acidità. Il bel frutto croccante e la speziatura riempiono piacevolmente il palato e rimangono in bocca molto a lungo. Bel finale asciutto e pulito.
Un vino pronto, da bere con piacevolezza oggi, ma con una bella aspettativa di vita davanti a sé.
Due beati faccini :-) :-)
8 luglio 2011
Di vermentino e altri vitigni
Mauro Pasquali
La Sardegna è (giustamente) nota per il suo mare e le sue spiagge, che nulla hanno da invidiare ad altrettanto famose destinazioni esotiche. Purtuttavia la Sardegna che amo è diversa, per lo più sconosciuta e poco frequentata se non da coloro che hanno avuto la fortuna di scoprirla. In ogni caso, come condannare, soprattutto d’estate, coloro che non sanno resistere al richiamo di bianche spiagge e mari cristallini? Ecco, quindi che, dopo un’intensa giornata passata in mare o in barca, pare quasi un miraggio un calice di vino bianco secco e fresco, da accompagnare a piatti di pesce, spesso, ma (ahimè) non sempre, freschissimo e ben fatto.
Per una volta, quindi, non parlerò della Sardegna che più amo, quella dell’interno, legata ai pastori e a una cucina “terricola”, dove agnelli, pecore, maialini e formaggio la fanno da padrone. Piatti con i quali, ovviamente, si beve Cannonau, Cagnulari, Carignano, Monica: vini rossi, intensi e inebrianti come il paesaggio della Barbagia, del Logudoro, della Gallura, dell’Ogliastra, del Sulcis.
Per una volta racconterò della Sardegna più immediata e facile, di quella legata alle coste e alla sua cucina, quasi tutta d’importazione e così poco sarda. Una cucina che ha nel pesce e nei crostacei (spesso pescati molto lontano dalle coste sarde) gli ingredienti principe. E come non parlare, a questo punto del vino che li accompagna quasi immancabilmente? Quel Vermentino che, normalmente servito a temperature polari, è comunemente apprezzato più per la sua temperatura che per le sue qualità enologiche? Ovvio che non sempre (per fortuna) è così e la riprova è la sequenza di Vermentini che ho avuto occasione di assaggiare di recente. Cosa dire: una qualità media buona, con punte di eccellenza (anche se il vino che più mi è piaciuto, il Capichera, pur essendo vermentino in purezza, non si fregia della docg e neppure della doc, per scelta del produttore) e qualche perplessità per delle bottiglie un po’ troppo orientate sul “gusto internazionale”, con qualche ammiccamento piacione e qualche cedimento alla dolcezza che, francamente, in un Vermentino non mi aspetto.
Un ultimo appunto sull’Iselis, dove l’uva nasco è quasi in purezza: molto interessante la scelta di Argiolas di cimentarsi in un prodotto dove il vermentino dona freschezza ed acidità ad una base con notevole struttura e stoffa.
Vermentino di Gallura Superiore Aghiloia 2010 Cantina del Vermentino
Naso complesso con sentori di mandorla amara. Bocca fresca e vellutata. Finale secco e pulito
Due beati faccini :-) :-)
Vermentino di Gallura Funtanaliras 2010 Cantina del Vermentino
Naso di fiori bianchi d’acacia e mela cotogna, vaghi accenni di mandorla amara. Bocca asciutta, morbida e pulita.
Un faccino :-)
Vermentino di Sardegna Costamolino 2010 Argiolas
Naso sottile, teso e al tempo stesso delicato. In è bocca secco e gradevole con buona sapidità. Finale asciutto.
Due faccini :-) :-)
Vermentino di Sardegna Tyrsos 2010 Contini
Profumi delicati di fiori bianchi e mandorla amara. Bocca sapida con buona acidità. Sconta un finale vagamente ammiccante nella dolcezza.
Un faccino :-)
Vermentino di Sardegna Donnikalia 2010 Ferruccio Deiana
Naso un po’ chiuso, vaghi sentori di mandorla. Una bocca secca e sapida ma che non mi ha entusiasmato.
Un faccino scarso :-)
Vermentino di Sardegna Pariglia 2010 Contini
Profumo intensi, morbidi, con vaghi sentori di frutta bianca. Bocca fresca e sapida, con finale forse un po’ troppo ammiccante.
Un faccino :-)
Vermentino di Sardegna Mattarriga 2010 Chessa
Naso floreale e di mandorla. Bocca fine e morbida caratteristica. Buon finale amarognolo.
Un faccino :-)
Isola dei Nuraghi Iselis Bianco 2009 Argiolas
Uve nasco con saldo di vermentino. Affina due mesi sulle proprie fecce e una piccola parte fermenta in barrique. Naso di fiori gialli e frutta tropicale con piacevole nota muschiata. In bocca gradevolmente sapido, quasi salato di salgemma, leggermente amarognolo, con un bel finale lungo e teso.
Due beati faccini e quasi tre :-) :-)
Isola dei Nuraghi Capichera 2009 Capichera
Vermentino in purezza. Naso complesso e ampio di erbe aromatiche e frutta gialla, melone e ananas in primis. Note evidenti di pietra focaia. Una bocca tesa, secca, viva: si apre con frutti gialli maturi e conclude lunghissimo con grande mineralità e sapidità.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
La Sardegna è (giustamente) nota per il suo mare e le sue spiagge, che nulla hanno da invidiare ad altrettanto famose destinazioni esotiche. Purtuttavia la Sardegna che amo è diversa, per lo più sconosciuta e poco frequentata se non da coloro che hanno avuto la fortuna di scoprirla. In ogni caso, come condannare, soprattutto d’estate, coloro che non sanno resistere al richiamo di bianche spiagge e mari cristallini? Ecco, quindi che, dopo un’intensa giornata passata in mare o in barca, pare quasi un miraggio un calice di vino bianco secco e fresco, da accompagnare a piatti di pesce, spesso, ma (ahimè) non sempre, freschissimo e ben fatto.
Per una volta, quindi, non parlerò della Sardegna che più amo, quella dell’interno, legata ai pastori e a una cucina “terricola”, dove agnelli, pecore, maialini e formaggio la fanno da padrone. Piatti con i quali, ovviamente, si beve Cannonau, Cagnulari, Carignano, Monica: vini rossi, intensi e inebrianti come il paesaggio della Barbagia, del Logudoro, della Gallura, dell’Ogliastra, del Sulcis.
Per una volta racconterò della Sardegna più immediata e facile, di quella legata alle coste e alla sua cucina, quasi tutta d’importazione e così poco sarda. Una cucina che ha nel pesce e nei crostacei (spesso pescati molto lontano dalle coste sarde) gli ingredienti principe. E come non parlare, a questo punto del vino che li accompagna quasi immancabilmente? Quel Vermentino che, normalmente servito a temperature polari, è comunemente apprezzato più per la sua temperatura che per le sue qualità enologiche? Ovvio che non sempre (per fortuna) è così e la riprova è la sequenza di Vermentini che ho avuto occasione di assaggiare di recente. Cosa dire: una qualità media buona, con punte di eccellenza (anche se il vino che più mi è piaciuto, il Capichera, pur essendo vermentino in purezza, non si fregia della docg e neppure della doc, per scelta del produttore) e qualche perplessità per delle bottiglie un po’ troppo orientate sul “gusto internazionale”, con qualche ammiccamento piacione e qualche cedimento alla dolcezza che, francamente, in un Vermentino non mi aspetto.
Un ultimo appunto sull’Iselis, dove l’uva nasco è quasi in purezza: molto interessante la scelta di Argiolas di cimentarsi in un prodotto dove il vermentino dona freschezza ed acidità ad una base con notevole struttura e stoffa.
Vermentino di Gallura Superiore Aghiloia 2010 Cantina del Vermentino
Naso complesso con sentori di mandorla amara. Bocca fresca e vellutata. Finale secco e pulito
Due beati faccini :-) :-)
Vermentino di Gallura Funtanaliras 2010 Cantina del Vermentino
Naso di fiori bianchi d’acacia e mela cotogna, vaghi accenni di mandorla amara. Bocca asciutta, morbida e pulita.
Un faccino :-)
Vermentino di Sardegna Costamolino 2010 Argiolas
Naso sottile, teso e al tempo stesso delicato. In è bocca secco e gradevole con buona sapidità. Finale asciutto.
Due faccini :-) :-)
Vermentino di Sardegna Tyrsos 2010 Contini
Profumi delicati di fiori bianchi e mandorla amara. Bocca sapida con buona acidità. Sconta un finale vagamente ammiccante nella dolcezza.
Un faccino :-)
Vermentino di Sardegna Donnikalia 2010 Ferruccio Deiana
Naso un po’ chiuso, vaghi sentori di mandorla. Una bocca secca e sapida ma che non mi ha entusiasmato.
Un faccino scarso :-)
Vermentino di Sardegna Pariglia 2010 Contini
Profumo intensi, morbidi, con vaghi sentori di frutta bianca. Bocca fresca e sapida, con finale forse un po’ troppo ammiccante.
Un faccino :-)
Vermentino di Sardegna Mattarriga 2010 Chessa
Naso floreale e di mandorla. Bocca fine e morbida caratteristica. Buon finale amarognolo.
Un faccino :-)
Isola dei Nuraghi Iselis Bianco 2009 Argiolas
Uve nasco con saldo di vermentino. Affina due mesi sulle proprie fecce e una piccola parte fermenta in barrique. Naso di fiori gialli e frutta tropicale con piacevole nota muschiata. In bocca gradevolmente sapido, quasi salato di salgemma, leggermente amarognolo, con un bel finale lungo e teso.
Due beati faccini e quasi tre :-) :-)
Isola dei Nuraghi Capichera 2009 Capichera
Vermentino in purezza. Naso complesso e ampio di erbe aromatiche e frutta gialla, melone e ananas in primis. Note evidenti di pietra focaia. Una bocca tesa, secca, viva: si apre con frutti gialli maturi e conclude lunghissimo con grande mineralità e sapidità.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
10 giugno 2011
Friuli Venezia Giulia: non solo vino
Mauro Pasquali
Vi sono tre piante che caratterizzano più di altre l’areale mediterraneo: la vite, il leccio e l’ulivo e tutt’e tre crescono in zone a clima temperato caratterizzate da inverni miti. La vite, in verità, si è molto ben adattata anche in climi rigidi, mentre le altre due specie, forse più delicate, forse meno adattabili, non hanno goduto della stessa possibilità. Parrà quindi molto strano trovare dei lecci a Osoppo, una trentina di chilometri a nord di Udine, ben al di fuori di quello che abitualmente è considerato un “ambiente mediterraneo”. Eppure quei lecci che troviamo sul Colle di Osoppo non sono l’unica testimonianza di mediterraneità del Friuli: nella stessa Osoppo ma anche poco più a sud, a Buttrio e Cividale del Friuli o a est, a Nimis, non è infrequente imbattersi in oliveti coltivati, testimonianza di una produzione di olio d’oliva, altra caratteristica del mondo mediterraneo, non legata al semplice consumo familiare.
In Friuli Venezia Giulia si dice olio extravergine d’oliva e subito si pensa al Carso, al golfo di Trieste. Eppure anche là, sulle colline a ridosso di Udine cominciano a farsi strada alcuni piccoli produttori di qualità. Oddio, i numeri non sono sicuramente quelli delle grandi estensioni delle regioni centrali e meridionali d’Italia ma, se la qualità non si misura a quintali d’olio bensì in base al risultato ottenuto, con un occhio o forse anche tutt’e due alla integrità e salvaguardia del territorio, ecco: gli oli di queste zone che ho potuto assaggiare recentemente, nulla hanno da invidiare ad altri e ben più famosi prodotti “mediterranei”.
Cinque oli rappresentativi di tre delle quattro province della regione. Uno di questi può fregiarsi della dop Tergeste, che caratterizza la produzione di alcuni comuni della provincia di Trieste e impone l’uso per almeno il 20% della cultivar bianchera, specie locale diffusa anche in tutta l’Istria. Tutti, dop o meno, sono caratterizzati, pur in un’annata non felice come il 2010 per la produzione di olio d’oliva, da un buon risultato qualitativo.
Olio extravergine di oliva - Castelvecchio - Sagrado (Gorizia)
Profumi delicati di frutto e ortaggi freschi, con vaghi ricordi di nocciola. Bocca inizialmente dolce con amaro e piccante sullo sfondo. Finale di oliva e mandorla mature. L’olio che, forse, più ha scontato l’annata infelice e la raccolta in parte tardiva.
Un faccino :-)
Olio extravergine d’oliva - Fior Rosso - San Dorligo della Valle (Trieste)
Grande pulizia al naso con sentori di ebra fresca, foglia di pomodoro, mela verde. In bocca gioca fra dolcezza e amarezza con prevalenza di quest’ultima, mentre la piccantezza rimane sullo sfondo. Finale gradevole e pulito con richiami alla noce.
Un faccino, quasi due :-)
Olio extravergine di oliva - Venturini Remo - Osoppo (Udine)
Olio fruttato medio con sentori di cardo, foglia di pomodoro e vaghi accenni di mandorla verde. In bocca equilibrio fra dolcezza, amarezza e piccantezza, con leggera prevalenza di quest’ultima. Nel finale bel ritorno della mandorla verde con finale pulito.
Un faccino :-)
Olio extravergine d’oliva - Petrossi - Nimis (Udine)
Due giovani ragazzi per un buon olio ma che, soprattutto, fanno ben sperare per il futuro dell’olivicultura in Friuli. La bianchera è evidente ma rimane quasi inespressa causa la giovinezza delle piante. Un olio equilibrato, con piacevoli sentori di cardo, foglia d’oliva. Finale molto gradevole e lungo.
Un faccino, quasi due :-)
Tergeste dop Lenardon - Lenardon - Muggia (Trieste)
Naso fruttato intenso (la bianchera in purezza è evidente) con ricordi di forglia di pomodoro e mela. Entrata potente con una bella amarezza che subito si fa notare e con la piccantezza che emerge graduale ma decisa. Note di carciofo, foglia di pomodoro per un finale di noce e nocciola straordinario. Un grande olio con un retrogusto che lo fa ricordare anche a distanza di molto tempo.
Due faccini, quasi tre :-) :-)
Vi sono tre piante che caratterizzano più di altre l’areale mediterraneo: la vite, il leccio e l’ulivo e tutt’e tre crescono in zone a clima temperato caratterizzate da inverni miti. La vite, in verità, si è molto ben adattata anche in climi rigidi, mentre le altre due specie, forse più delicate, forse meno adattabili, non hanno goduto della stessa possibilità. Parrà quindi molto strano trovare dei lecci a Osoppo, una trentina di chilometri a nord di Udine, ben al di fuori di quello che abitualmente è considerato un “ambiente mediterraneo”. Eppure quei lecci che troviamo sul Colle di Osoppo non sono l’unica testimonianza di mediterraneità del Friuli: nella stessa Osoppo ma anche poco più a sud, a Buttrio e Cividale del Friuli o a est, a Nimis, non è infrequente imbattersi in oliveti coltivati, testimonianza di una produzione di olio d’oliva, altra caratteristica del mondo mediterraneo, non legata al semplice consumo familiare.
In Friuli Venezia Giulia si dice olio extravergine d’oliva e subito si pensa al Carso, al golfo di Trieste. Eppure anche là, sulle colline a ridosso di Udine cominciano a farsi strada alcuni piccoli produttori di qualità. Oddio, i numeri non sono sicuramente quelli delle grandi estensioni delle regioni centrali e meridionali d’Italia ma, se la qualità non si misura a quintali d’olio bensì in base al risultato ottenuto, con un occhio o forse anche tutt’e due alla integrità e salvaguardia del territorio, ecco: gli oli di queste zone che ho potuto assaggiare recentemente, nulla hanno da invidiare ad altri e ben più famosi prodotti “mediterranei”.
Cinque oli rappresentativi di tre delle quattro province della regione. Uno di questi può fregiarsi della dop Tergeste, che caratterizza la produzione di alcuni comuni della provincia di Trieste e impone l’uso per almeno il 20% della cultivar bianchera, specie locale diffusa anche in tutta l’Istria. Tutti, dop o meno, sono caratterizzati, pur in un’annata non felice come il 2010 per la produzione di olio d’oliva, da un buon risultato qualitativo.
Olio extravergine di oliva - Castelvecchio - Sagrado (Gorizia)
Profumi delicati di frutto e ortaggi freschi, con vaghi ricordi di nocciola. Bocca inizialmente dolce con amaro e piccante sullo sfondo. Finale di oliva e mandorla mature. L’olio che, forse, più ha scontato l’annata infelice e la raccolta in parte tardiva.
Un faccino :-)
Olio extravergine d’oliva - Fior Rosso - San Dorligo della Valle (Trieste)
Grande pulizia al naso con sentori di ebra fresca, foglia di pomodoro, mela verde. In bocca gioca fra dolcezza e amarezza con prevalenza di quest’ultima, mentre la piccantezza rimane sullo sfondo. Finale gradevole e pulito con richiami alla noce.
Un faccino, quasi due :-)
Olio extravergine di oliva - Venturini Remo - Osoppo (Udine)
Olio fruttato medio con sentori di cardo, foglia di pomodoro e vaghi accenni di mandorla verde. In bocca equilibrio fra dolcezza, amarezza e piccantezza, con leggera prevalenza di quest’ultima. Nel finale bel ritorno della mandorla verde con finale pulito.
Un faccino :-)
Olio extravergine d’oliva - Petrossi - Nimis (Udine)
Due giovani ragazzi per un buon olio ma che, soprattutto, fanno ben sperare per il futuro dell’olivicultura in Friuli. La bianchera è evidente ma rimane quasi inespressa causa la giovinezza delle piante. Un olio equilibrato, con piacevoli sentori di cardo, foglia d’oliva. Finale molto gradevole e lungo.
Un faccino, quasi due :-)
Tergeste dop Lenardon - Lenardon - Muggia (Trieste)
Naso fruttato intenso (la bianchera in purezza è evidente) con ricordi di forglia di pomodoro e mela. Entrata potente con una bella amarezza che subito si fa notare e con la piccantezza che emerge graduale ma decisa. Note di carciofo, foglia di pomodoro per un finale di noce e nocciola straordinario. Un grande olio con un retrogusto che lo fa ricordare anche a distanza di molto tempo.
Due faccini, quasi tre :-) :-)
30 maggio 2011
Soave Colli Scaligeri Vigne della Brà 2008 Filippi
Mauro Pasquali
Risulta un po’ strano, in una zona dove la monocultura viticola ha occupato tutti gli spazi utili, trovare estesi boschi che lambiscono i vigneti. E, si badi bene, non solo in quelle zone dove piantare vigne risulterebbe arduo o quantomeno antieconomico: anche in zone dove altri viticultori non ci penserebbero due volte a sbancare il terreno per farne nuovi vigneti, la famiglia Filippi continua a voler preservare la biodiversità, salvaguardando il bosco.
La Brà è una zona della doc Soave caratterizzata, quindi, da una forte compenetrazione fra vigneto e bosco, ma anche da un’altitudine che fa del vigneto di Filippi il più alto in assoluto della doc. Tutto questo, unito a una splendida esposizione a sud-ovest, all’età delle vigne (circa sessant’anni), permette di ottenere questo cru, uno dei più interessanti di tutta la doc. La coltivazione, biologica, è a pergola veronese e la particolare composizione del terreno (un misto di argilla, basalto e calcare) permette di ottenere delle uve cariche di mineralità e florealità al tempo stesso. La garganega riesce a esprimersi al meglio, anche grazie alla lavorazione che evita eccessivi traumi all’uva, sfruttando i dislivelli presenti in cantina per i travasi. Dopo una fermentazione innescata esclusivamente da lieviti autoctoni, il vino matura quasi due anni in acciaio e viene imbottigliato senza filtrazione né chiarificazione.
Un vino di colore giallo paglierino carico, che esprime complessi profumi minerali, quasi di zolfo, con note di fiori bianchi, erbe aromatiche e frutta a polpa bianca. In bocca entra con una grande sapidità e mineralità, si fa notare per la grande struttura e conclude con notevole persistenza.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Risulta un po’ strano, in una zona dove la monocultura viticola ha occupato tutti gli spazi utili, trovare estesi boschi che lambiscono i vigneti. E, si badi bene, non solo in quelle zone dove piantare vigne risulterebbe arduo o quantomeno antieconomico: anche in zone dove altri viticultori non ci penserebbero due volte a sbancare il terreno per farne nuovi vigneti, la famiglia Filippi continua a voler preservare la biodiversità, salvaguardando il bosco.
La Brà è una zona della doc Soave caratterizzata, quindi, da una forte compenetrazione fra vigneto e bosco, ma anche da un’altitudine che fa del vigneto di Filippi il più alto in assoluto della doc. Tutto questo, unito a una splendida esposizione a sud-ovest, all’età delle vigne (circa sessant’anni), permette di ottenere questo cru, uno dei più interessanti di tutta la doc. La coltivazione, biologica, è a pergola veronese e la particolare composizione del terreno (un misto di argilla, basalto e calcare) permette di ottenere delle uve cariche di mineralità e florealità al tempo stesso. La garganega riesce a esprimersi al meglio, anche grazie alla lavorazione che evita eccessivi traumi all’uva, sfruttando i dislivelli presenti in cantina per i travasi. Dopo una fermentazione innescata esclusivamente da lieviti autoctoni, il vino matura quasi due anni in acciaio e viene imbottigliato senza filtrazione né chiarificazione.
Un vino di colore giallo paglierino carico, che esprime complessi profumi minerali, quasi di zolfo, con note di fiori bianchi, erbe aromatiche e frutta a polpa bianca. In bocca entra con una grande sapidità e mineralità, si fa notare per la grande struttura e conclude con notevole persistenza.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
18 maggio 2011
Gambellara Classico La Guarda 2009 Casa Cecchin
Mauro Pasquali
Oddio, adesso chissà cosa dirà l’ingegner Renato, Cecchin per chi non conosce di Durello e Monti Lessini. Già, perché l’ingegner Renato è giustamente famoso per essere stato il pioniere della rinascita (o nascita?) del Durello: quando nessuno credeva in quello splendido vitigno, lui, caparbiamente, lo difese e lo promosse. Oggi i risultati gli danno ampiamente ragione.
Non di Durello, tuttavia, voglio parlare oggi e, proprio per questo mi aspetto da lui una tirata d’orecchi. Oggi l’argomento è il Gambellara, vino spesso bistrattato e posto in secondo piano rispetto al più famoso ed ingombrante vicino: il Soave. Un Gambellara particolare, prodotto da Casa Cecchin e in cui (seconda tirata d’orecchi) lo zampino è più della figlia Roberta che del padre Renato. Un Gambellara che nasce nella zona di Agugliana, frazione di Montebello Vicentino e non lontano da quell’antico vulcano, il Calvarina, che tanto ha segnato con i suoi basalti il territorio circostante e ha permesso di ottenere dei vini carichi di mineralità e sapidità che quasi non t’aspetti in un territorio del nord. Agugliana è una frazione che gode di un microclima straordinario: grazie alla sua altitudine riesce ad emergere quasi sempre dalle nebbie invernali, evitando pericolosi ristagni di umidità; è magnificamente esposta sia al vento che al sole e questo permette una ottimale maturazione delle uve: la garganega, in questo caso, riesce ad esprimere il meglio di sé, come in questo Gambellara Classico La Guarda 2009.
L’uva è raccolta tardivamente e, dopo la pigiatura, il mosto rimane sulle proprie bucce alcune ore. Matura solo in acciaio, a contatto per alcuni mesi con le fecce nobili ed esce, dopo un periodo di affinamento in bottiglia, generalmente un anno dopo la vendemmia.
La raccolta tardiva è evidenziata da un bel colore giallo paglierino intenso, con sfumature dorate. Al naso la mineralità ben si amalgama con netti profumi di frutta gialla. Emerge gradualmente una bella vena balsamica.
La bocca evidenzia una grande struttura, dove la mineralità a poco a poco volge verso note di mandorla che lasciano un piacevole retrogusto amarognolo accompagnato da una grande persistenza.
Due beati faccini :-) :-)
Oddio, adesso chissà cosa dirà l’ingegner Renato, Cecchin per chi non conosce di Durello e Monti Lessini. Già, perché l’ingegner Renato è giustamente famoso per essere stato il pioniere della rinascita (o nascita?) del Durello: quando nessuno credeva in quello splendido vitigno, lui, caparbiamente, lo difese e lo promosse. Oggi i risultati gli danno ampiamente ragione.
Non di Durello, tuttavia, voglio parlare oggi e, proprio per questo mi aspetto da lui una tirata d’orecchi. Oggi l’argomento è il Gambellara, vino spesso bistrattato e posto in secondo piano rispetto al più famoso ed ingombrante vicino: il Soave. Un Gambellara particolare, prodotto da Casa Cecchin e in cui (seconda tirata d’orecchi) lo zampino è più della figlia Roberta che del padre Renato. Un Gambellara che nasce nella zona di Agugliana, frazione di Montebello Vicentino e non lontano da quell’antico vulcano, il Calvarina, che tanto ha segnato con i suoi basalti il territorio circostante e ha permesso di ottenere dei vini carichi di mineralità e sapidità che quasi non t’aspetti in un territorio del nord. Agugliana è una frazione che gode di un microclima straordinario: grazie alla sua altitudine riesce ad emergere quasi sempre dalle nebbie invernali, evitando pericolosi ristagni di umidità; è magnificamente esposta sia al vento che al sole e questo permette una ottimale maturazione delle uve: la garganega, in questo caso, riesce ad esprimere il meglio di sé, come in questo Gambellara Classico La Guarda 2009.
L’uva è raccolta tardivamente e, dopo la pigiatura, il mosto rimane sulle proprie bucce alcune ore. Matura solo in acciaio, a contatto per alcuni mesi con le fecce nobili ed esce, dopo un periodo di affinamento in bottiglia, generalmente un anno dopo la vendemmia.
La raccolta tardiva è evidenziata da un bel colore giallo paglierino intenso, con sfumature dorate. Al naso la mineralità ben si amalgama con netti profumi di frutta gialla. Emerge gradualmente una bella vena balsamica.
La bocca evidenzia una grande struttura, dove la mineralità a poco a poco volge verso note di mandorla che lasciano un piacevole retrogusto amarognolo accompagnato da una grande persistenza.
Due beati faccini :-) :-)
22 marzo 2011
Cotes du Rhone Saint Esprit 2008 Maison Delas Frères
Mauro Pasquali
Il maestrale è un vento violento, temuto da tutti i velisti per le sue caratteristiche, che possono portare instabilità e temperature fredde. Temuto ma anche amato, al punto da dare il suo nome ad una barca a vela. In Provenza e un po’ in tutta la Francia del Sud il maestrale viene chiamato mistràl, che altri non è che la traduzione dell’antico provenzale maestral. Il mistral, provenendo da ovest, dall’Atlantico, entra nella Valle del Rodano scavalcando il Massiccio Centrale e acquista velocità, al punto da caratterizzare con tempeste di vento anche violente la zona. La zona è caratterizzata da una stagionalità delle piogge molto marcata e da temperature calde con grande insolazione.
I vigneti Saint Esprit si trovano nella parte nord del dipartimento dell’Ardèche, situato più o meno al centro della parte meridionale della Valle del Rodano. La maison Delas Frères è una grande azienda che nasce nella prima metà dell’Ottocento come négoce e che solo recentemente si è rinnovata nella direzione del rispetto della territorialità e delle caratteristiche di ciascuna zona in cui ha vigneti.
Il Saint Esprit è un syrah al 70% accompagnato da grenache al 20% e piccoli saldi di mourvedre e carignan. Il risultato è un vino caratteristico nei profumi e nel gusto cui il passaggio solo parziale in barriques non toglie freschezza e frutto.
Si apre al naso con aromi varietali dove la prevalenza del syrah si fa sentire: piccoli frutti rossi, violetta, liquirizia. Purtuttavia la grenache si nota sul fondo e marca in modo caratteristico con la sua freschezza e le sue note vinose. In bocca ampio e rotondo si distingue per la finezza e la facilità di beva. Bella lunghezza con finale asciutto.
Un beato faccino e quasi due :-)
Il maestrale è un vento violento, temuto da tutti i velisti per le sue caratteristiche, che possono portare instabilità e temperature fredde. Temuto ma anche amato, al punto da dare il suo nome ad una barca a vela. In Provenza e un po’ in tutta la Francia del Sud il maestrale viene chiamato mistràl, che altri non è che la traduzione dell’antico provenzale maestral. Il mistral, provenendo da ovest, dall’Atlantico, entra nella Valle del Rodano scavalcando il Massiccio Centrale e acquista velocità, al punto da caratterizzare con tempeste di vento anche violente la zona. La zona è caratterizzata da una stagionalità delle piogge molto marcata e da temperature calde con grande insolazione.
I vigneti Saint Esprit si trovano nella parte nord del dipartimento dell’Ardèche, situato più o meno al centro della parte meridionale della Valle del Rodano. La maison Delas Frères è una grande azienda che nasce nella prima metà dell’Ottocento come négoce e che solo recentemente si è rinnovata nella direzione del rispetto della territorialità e delle caratteristiche di ciascuna zona in cui ha vigneti.
Il Saint Esprit è un syrah al 70% accompagnato da grenache al 20% e piccoli saldi di mourvedre e carignan. Il risultato è un vino caratteristico nei profumi e nel gusto cui il passaggio solo parziale in barriques non toglie freschezza e frutto.
Si apre al naso con aromi varietali dove la prevalenza del syrah si fa sentire: piccoli frutti rossi, violetta, liquirizia. Purtuttavia la grenache si nota sul fondo e marca in modo caratteristico con la sua freschezza e le sue note vinose. In bocca ampio e rotondo si distingue per la finezza e la facilità di beva. Bella lunghezza con finale asciutto.
Un beato faccino e quasi due :-)
1 marzo 2011
Champagne Grand Cru Extra Brut Marie-Noelle Ledru
Mauro Pasquali
Ci vuole grande mestiere per saper gestire quel vitigno scontroso e difficile qual è il pinot nero. Se poi si tratta del pinot noir di Ambonnay occorre anche grande carattere e personalità, tutto quello che non manca a Marie-Noelle Ledru, vigneron capace di produrre grandi Champagne nel solco di una tradizione famigliare vecchia di sei generazioni.
I suoi Champagne sono di grande spessore e struttura, ma mai monotoni, sempre in evoluzione. Li assaggi e credi di aver colto tutto di loro. Li riassaggi dopo qualche mese (o anno) e li scopri ancora in evoluzione là dove ti parevano aver raggiunto la stabilità e la tranquillità.
Marie-Noelle fa prodotti non semplici e che, forse, non tutti apprezzano, proprio per la loro grande personalità.
Il Grand Cru Extra Brut è, di fatto, un dosage zéro dove la grande personalità del pinot noir di Ambonnay esce prepotente, nervoso e dalle mille sfaccettature.
Croissant, erbe aromatiche, piccoli frutti rossi in primi ribes nero, un che di citrino per un naso estremamente complesso.
In bocca la grandissima acidità fa da cornice ad una grande eleganza. Lunghissimo, con un piacevole retrogusto di nocciole e balsamico.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Ci vuole grande mestiere per saper gestire quel vitigno scontroso e difficile qual è il pinot nero. Se poi si tratta del pinot noir di Ambonnay occorre anche grande carattere e personalità, tutto quello che non manca a Marie-Noelle Ledru, vigneron capace di produrre grandi Champagne nel solco di una tradizione famigliare vecchia di sei generazioni.
I suoi Champagne sono di grande spessore e struttura, ma mai monotoni, sempre in evoluzione. Li assaggi e credi di aver colto tutto di loro. Li riassaggi dopo qualche mese (o anno) e li scopri ancora in evoluzione là dove ti parevano aver raggiunto la stabilità e la tranquillità.
Marie-Noelle fa prodotti non semplici e che, forse, non tutti apprezzano, proprio per la loro grande personalità.
Il Grand Cru Extra Brut è, di fatto, un dosage zéro dove la grande personalità del pinot noir di Ambonnay esce prepotente, nervoso e dalle mille sfaccettature.
Croissant, erbe aromatiche, piccoli frutti rossi in primi ribes nero, un che di citrino per un naso estremamente complesso.
In bocca la grandissima acidità fa da cornice ad una grande eleganza. Lunghissimo, con un piacevole retrogusto di nocciole e balsamico.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
13 febbraio 2011
Primitivo di Gioia del Colle Polvanera 16 2006 Cantine Polvanera
Il Primitivo per anni è stato usato come “vino da taglio” per irrobustire nel colore e nella gradazione alcuni poveri vini del nord, relegandolo a prodotto di “serie B” buono, tutt’al più, per un consumo locale. Poi sono arrivati i californiani, con il loro zinfandel che ha conosciuto grande fortuna e che, dopo anni, si è scoperto non essere altri che il nostro primitivo. Oggi sono due le zone pugliesi più famose per la produzione di Primitivo: Manduria e Gioia del Colle. I vini di quest’ultima area sono caratterizzati da una maggiore finezza ed eleganza rispetto a quelli prodotti a Manduria: l’altitudine e, quindi, le escursioni termiche contribuiscono ad arricchire aromaticamente questi vini e a renderli meno aggressivi.
Difficile, di primo acchito, capire che questo Polvanera 16 è un Primitivo. Tra l’altro il nome deriva dalla rispettabile gradazione alcolica che lo contraddistingue: un vino che ben s’accompagna ad arrosti e cacciagione.
Al naso ti colpisce con un’esplosione di profumi di frutta sotto spirito, confettura di piccoli frutti neri e note di grafite. In bocca entra dolce e ti avvolge morbido e caldo con eleganza. Il finale è lunghissimo, quasi interminabile.
Un Primitivo davvero sui generis, diverso da quelli cui siamo abituati.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
2 febbraio 2011
Chianti Rufina 2007 Frascole
Mauro PasqualiLa zona del Rufina non da oggi sta distinguendosi nel mare magnum del Chianti come, probabilmente, la più dinamica e, al tempo stesso, come quella dove la difesa della tipicità e della tradizione è più marcata. La valle del Sieve ed il Mugello tutto non hanno la nomea di altre zone più turistiche della Toscana ma possiedono un patrimonio unico: una biodiversità non intaccata dalla monocultura viticola: i boschi si alternano ai vigneti, l’altitudine aiuta le vigne di sangiovese ad esprimere il meglio e questo Frascole 2007 di sangiovese ne ha tanto, dentro di sé, oltre il 90% con piccoli saldi di canaiolo e colorino, due vitigni che come il sangiovese e al pari di trebbiano toscano e malvasia del Chianti hanno da sempre caratterizzato la viticultura locale.
Alla vista un bel colore rubino con leggeri riflessi aranciati. Al naso le note caratteristiche di lampone e fragola di bosco, poi viola e un accenno di liquirizia. In bocca ti colpisce subito per la sua freschezza, la sua sapidità. Il finale è lungo, lunghissimo e ti lascia la bocca pulita. Asciutta.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
24 gennaio 2011
Südtiroler Vernatsch 2009 Gumphof Markus Prackwieser
Mauro Pasquali
Quello che più mi ha colpito inizialmente di questa bottiglia è stata l’etichetta: un bell’acquerello che ritrae un borgo (presumo Fiè allo Sciliar) con una montagna sullo sfondo e una vigna con dei grappoli in primo piano.
Markus Prackwieser ha da non molti anni iniziato a vinificare in proprio, con grandi risultati, frutto della costanza e della passione che mette nel proprio lavoro. Oggi è uno dei punti di riferimento della viticultura in Alto Adige. Per scelta si è cimentato con vitigni tipici della zona, fra cui pinot bianco e nero, gewurztraminer e sauvignon. Tra tutti spicca, per territorialità e tradizione la schiava nera, in tedesco vernatsch.
I vigneti sono ripidi e situati ad altitudine variabile fra i 300 e i 500 metri. Le pendenze importanti costringono ad una lavorazione quasi esclusivamente manuale.
Questa Südtiroler Vernatsch, che viene raccolta verso metà ottobre e che fa quasi esclusivamente acciaio, con piccolo saldo di botte grande, si distingue per una grande semplicità di beva. Un bel colore rosso rubino con marcate trasparenze ben dispone all’assaggio. Il naso fa fatica ad aprirsi, resta quasi sospeso, con note di piccoli frutti rossi, accenni di viola e mandorla. La bocca, viceversa, colpisce subito per la grande freschezza e sapidità. Una beva semplice ma, al tempo stesso appagante, con un finale bello lungo. Un “vinino” che è un piacere bere con salumi e formaggi di media stagionatura ma, anche, con più impegnative zuppe di cereali o carni rosse.
Due beati faccini :-) :-)
Quello che più mi ha colpito inizialmente di questa bottiglia è stata l’etichetta: un bell’acquerello che ritrae un borgo (presumo Fiè allo Sciliar) con una montagna sullo sfondo e una vigna con dei grappoli in primo piano.
Markus Prackwieser ha da non molti anni iniziato a vinificare in proprio, con grandi risultati, frutto della costanza e della passione che mette nel proprio lavoro. Oggi è uno dei punti di riferimento della viticultura in Alto Adige. Per scelta si è cimentato con vitigni tipici della zona, fra cui pinot bianco e nero, gewurztraminer e sauvignon. Tra tutti spicca, per territorialità e tradizione la schiava nera, in tedesco vernatsch.
I vigneti sono ripidi e situati ad altitudine variabile fra i 300 e i 500 metri. Le pendenze importanti costringono ad una lavorazione quasi esclusivamente manuale.
Questa Südtiroler Vernatsch, che viene raccolta verso metà ottobre e che fa quasi esclusivamente acciaio, con piccolo saldo di botte grande, si distingue per una grande semplicità di beva. Un bel colore rosso rubino con marcate trasparenze ben dispone all’assaggio. Il naso fa fatica ad aprirsi, resta quasi sospeso, con note di piccoli frutti rossi, accenni di viola e mandorla. La bocca, viceversa, colpisce subito per la grande freschezza e sapidità. Una beva semplice ma, al tempo stesso appagante, con un finale bello lungo. Un “vinino” che è un piacere bere con salumi e formaggi di media stagionatura ma, anche, con più impegnative zuppe di cereali o carni rosse.
Due beati faccini :-) :-)
15 gennaio 2011
Offida Pecorino Ciprea 2008 Poderi Capecci
Mauro PasqualiIl pecorino, inteso come vitigno e non come formaggio, stava quasi scomparendo, relegato nelle zone montane delle Marche e dell’Abruzzo da una bassa resa che non gli permetteva di competere con altri più produttivi vitigni. Talmente bistrattato che solo pochi ostinati produttori continuavano a vinificare quest’uva e, per lo più, lo facevano producendo vini di scarso interesse e destinati ad un consumo immediato e locale.
Gradualmente, grazie all’azione di alcuni appassionati produttori, il pecorino è tornato ad essere coltivato con esiti assai interessanti.
Il Ciprea 2008 ha un bel colore tipico: brillante con riflessi verdognoli. Al naso apre sentori di frutta gialla e di salvia.
Nel bicchiere è molto lento ad aprirsi, ma quando lo fa la nota minerale esce prepotente e accompagnata da una notevole sapidità e dalla bella nota acida. Una bella e insospettabile lunghezza conclude una beva piacevole e fresca.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
12 gennaio 2011
Blanc de Morgex et de La Salle Extreme 2007 Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle
Mauro PasqualiSarà perché i vini valdostani mi portano alla mente ricordi giovanili. Sarà perché amo i vini minerali e con grande personalità e carattere. Sarà perché questo vino mi ha colpito immediatamente, alla vista con un perlage fine e persistente e al naso con un’esplosione di fiori bianchi, pera, agrumi. Sarà perché in bocca si apre con grande mineralità per poi chiudere con frutta bianca e gialla matura. Sarà per quel retrogusto di albicocca che ritorna continuo anche a distanza di tempo, ma questo Extreme 2007 mi è piaciuto, e molto.
Certo, lo ammetto, sono condizionato dal ricordo di questi vigneti, arrampicati a oltre 1000 metri di quota, coperti da nevi per tutto il periodo invernale, tanto da pensare come possano sopravvivere. E dal ricordo delle genti di queste zone, che si ostinano a coltivare là dove pare che sia impossibile farlo e coltivano e vinificano talmente bene da ottenere prodotti come questo Extreme 2007. Merito anche del prié blanc, vitigno che quassù si è così ben adattato da compiere l’intero ciclo vegetativo in un lasso di tempo più breve della maggior parte degli altri vitigni. Inizia a germogliare tardi, il che gli permette di sfuggire alle tardive gelate che a 1200 metri di quota in val d’Aosta sono sempre in agguato. Porta a maturazione i suoi grappoli molto precocemente per cui, anche in caso di nevicate anticipate, la vendemmia si è già conclusa. Uomo, vite, ambiente: c’è tutto il terroir valdostano in questo vino.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
12 gennaio 2010
Alto Adige Pinot Nero Filari di Mazzon 2003 Ferruccio Carlotto
Mauro PasqualiIl pinot nero è uva, ancor prima che vino, difficile e scorbutica. Necessita di clima e terreni particolari per poter esprimere il meglio di sé, oltre che di grande capacità del vignaiolo e del cantiniere. Preferisce zone fresche, con clima continentale: Borgogna, Nuova Zelanda, Oltrepò Pavese. E Alto Adige.
Ferruccio Carlotto fa parte di una famiglia che da tre generazioni coltiva uve, ma solo dal 2000 vinifica in proprio. Mazzon è una piccola collina sopra Ora ed è considerato il cru dei cru per quanto riguarda il Pinot Nero dell'Alto Adige. Qui Ferruccio e la figlia Michela riescono ad ottenere dei prodotti di assoluto livello, fra cui questo Pinot Nero 2003.
L'annata non è stata sicuramente delle più facili. Ciò nonostante questo Filari di Mazzon emerge per equilibrio e personalità. Alla vista è molto scarico, di quel colore tenue che solo i grandi Pinot Nero hanno.
Al naso piccoli frutti rossi: lamponi, fragole. Poi, ancora mirtilli sotto spirito, cacao, caffè.
In bocca entra bello asciutto e con grande eleganza. Si apre con un bel frutto croccante e una grande sapidità. Termina con una grandissima lunghezza con la bocca che rimane bella morbida a lungo.
Un Pinot Nero che ricorda i grandi Borgogna.
La foto è di Enoiche Illusioni.
Tre beati faccini pieni e convinti :-) :-) :-)
9 gennaio 2010
Collio Bianco Roncús Vecchie Vigne 2002 Roncús
Mauro PasqualiUna caratteristica contraddistingue il mondo del vino in generale: si tratta del prodotto alimentare meno chiaro, dal punto di vista etichettatura, che si conosca.
C'è l'uva, ovvio, e spesso, ma non sempre, viene dichiarato in etichetta di quale uva si tratti e in che percentuale. Poi ci sono i solfiti, anch'essi dichiarati in etichetta se superano i 10 mg/litro, ché la legge lo impone. Ma quanti? E, poi ancora: quante altre sostanze, naturali per carità, sono contenute in quella bottiglia?
Ecco, Marco Perco, titolare di Roncús, dichiara nella controetichetta tutto questo e molto altro. A cominciare dalle uve: 70% malvasia istriana, 20% tocai friulano e 10% ribolla gialla. Ma dichiara anche: 85 mg/l di solforosa totale, 4,9 di acidità, PH, zuccheri residui e così via. Se tutti i produttori avessero lo stesso coraggio, si farebbe un grande passo in direzione della trasparenza nel mondo del vino!
Il vino: cosa aspettarsi da un 2002 contraddistinto da grandi piogge e temperature basse? Siamo di fronte all'ennesima prova che non bisogna mai fidarsi delle apparenze.
Questo Roncús Bianco si presenta di un bel giallo oro, con profumi freschi di erbe aromatiche, fiori bianchi, un che di miele d'acacia.
Entra in bocca asciutto e deciso con grande sapidità ed armonia. Ti avvolge con sentori di pesca gialla, litchi, frutta secca. Alla fine ti lascia la bocca bella pulita e con un gradevolissimo retrogusto minerale.
Un grande vino che fa ricredere su quanto dichiarò tempo fa Marco Perco: “Difficile prevedere in un'annata così la durata, pensiamo sia meglio bere entro gli 8 anni, chissà...“
Tre beati faccini pieni e convinti :-) :-) :-)
30 dicembre 2009
Breganze Marzemino Terrazze 2007 Tenuta Bastia Saccardo
Mauro PasqualiSe è vero che la patria riconosciuta del Marzemino (nella sua versione ottenuta dall'uva marzemina gentile) è la Vallagarina e il suo capoluogo Rovereto, altrettanto vero è che sulle colline attorno a Breganze, l'uva marzemina si coltiva da secoli e da sempre si produce anche qui il Marzemino, anche se ormai sempre meno produttori l’hanno a listino. Ed è un peccato, ché, al pari di quanto accade nel vicino Trentino, anche sulle colline di Breganze, si ottiene un Marzemino di tutto rispetto.
Se da Breganze, ci si sposta poco più a sud, dove la pianura è caratterizzata dall'inizio della zona delle risorgive, troviamo un'unica altura che interrompe il piatto paesaggio e, su quest'unico colle, è appollaiata la Tenuta Bastia, la più piccola azienda della doc Breganze. Qui, dal 1971, Mario Saccardo produce i suoi vini, poche bottiglie ogni anno, e poche etichette, fra cui spicca questo Terrazze, marzemina in purezza.
Alla vista mi conquista con il suo bel colore rosso rubino, quasi impenetrabile. Al naso mi avvolge con un bel frutto croccante, di frutta fresca e piccoli frutti rossi. In bocca entra deciso, pieno e con una bella sapidità. Alla fine chiude con una buona lunghezza finale e un bel retrogusto di piccoli frutti rossi.
Un faccino e quasi due :-)
17 novembre 2009
Champagne Grand Cru Tradition Brut Gatinois
Mauro PasqualiAÿ è un paese di neppure cinquemila abitanti nel dipartimento della Marna. All'interno del territorio comunale, la zona dei Grand Cru è piccola piccola e la famiglia Gatinois ha la maggior parte dei propri terreni proprio qui. E proprio produce Champagne fin da 1696!
Questo Grand Cru Tradition Brut ha prevalenza di pinot nero (90%) e un po' di chardonnay(10%). Quasi un blanc de noirs.
Appena aperto non aspettatevi grandi profumi: attendete con pazienza qualche minuto e, nel frattempo, guardatene il bel colore che ricorda il paglierino della cipolla dorata. Poi, piano piano, si schiuderà in una esplosione di profumi di mela renetta e spezie, con una bellissima nota gessosa.
In bocca entra deciso, molto persistente ed estremamente pulito. La rusticità del pinot nero è evidente ma altrettanto evidente è la sua eleganza. Grande persistenza in bocca.
Due beati faccini :-) :-)
30 ottobre 2009
Romangia Rosso Tenores 2005 Tenute Dettori
Mauro PasqualiAd un amico sardo ho detto che più conosco i sardi, più amo la Sardegna. E i suoi vini. Vini non facili, proprio come i sardi. E, come i sardi, i vini di Sardegna sanno darti il meglio di sé dopo un po che li conosci, quasi volessero studiarti e valutarti, prima di aprirsi.
Ho incontrato Paolo Dettori, padre di Alessandro, su un trattore, al rientro dalla vendemmia di uno degli ultimi vigneti. E questo già mi ha predisposto favorevolmente, in un mondo dove, spesso, i produttori di vino sono più in giacca e cravatta anziché con una forbice per potare in mano. Mi ha dedicato quasi due ore del suo tempo, rubandole alla pausa pranzo, ché poi avrebbe dovuto tornare a vendemmiare. E la vendemmia, si sa, non attende.
La cantina è un inno alla tradizione: solo vasche in cemento. Dieci barriques dieci che denunciavano dal colore del legno l'età: almeno una decina d'anni. E che Paolo usa per conservare il vino che avanza quando imbottiglia una vasca di vino, anziché utilizzare cinque o sei damigiane.
In campagna l'allevamento è ad alberello, come tradizione sarda vuole. Ma, soprattutto, in campagna non vi è alcun intervento chimico, così come in cantina.
Il vino non è né filtrato, né chiarificato e la solforosa aggiunta è il minimo indispensabile per la conservazione.
L'uva è cannonau al 100% e del cannonau conserva il colore, quello vero. Se vi è capitato di berne altri, potreste rimanere sconcertati: questo Tenores racchiude in sé varie sfumature di rosso, dal rubino al granato. Ma, soprattutto è trasparente, quasi un nebbiolo all'apparenza, colore tipico del cannonau di Sennori.
Al naso si è subito avvolti da una grande complessità, con intensi sentori di frutto maturo, di spezie, di terra, polvere quasi.
In bocca entra caldo e morbido e senza quella alcolicità che ti aspetteresti da un vino che dichiara 16 gradi in etichetta. Grandissima sapidità e una sensazione quasi di salmastro fanno da sfondo al frutto maturo, alle note balsamiche e di macchia mediterranea.
Alla fine la bocca rimane bella pulita, con una grandissima lunghezza gustativa.
Un grande vino che fai fatica ad inquadrare tanto evolve nel bicchiere ma che, bicchiere dopo bicchiere, finisce velocemente, tanto è grande la beva.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
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