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7 marzo 2012

Il Passito della Rocca

Mario Plazio
Vino passionale e vissuto questo Passito della Rocca, fin dal colore intenso e ambrato.
Vorticoso nei profumi di caramello, fichi secchi, frutta candita, caffè in polvere, orzo e dal particolare sentore di tartufo e idrocarburi.
La ricchezza del palato è equilibrata dalla acidità ancora pungente, mentre la dolcezza sembra domata dal passare degli anni.
Un bel vino insomma, che ho abbinato a uno splendido dolce siciliano a base di frutta secca, ma che vedrei anche in abbinamenti più inconsueti. La sua dolcezza non eccessiva lo rende infatti adatto anche ad incontri con formaggi stagionati, fegato grasso o piatti complessi.
Passito della Rocca 1999 Pieropan
Due faccini e mezzo :-) :-)

29 febbraio 2012

Il Costozza del 2001

Mario Plazio
Un’azienda, quella dei Conti da Schio, che, colpa mia, ho perso di vista negli ultimi anni.
Questo Rosso del 2001 mi colpì alla sua uscita, e si beve molto bene in questo momento.
Un po’ classico e un po’ moderno, ha un nasino che non scherza. È infatti viscerale, odora di carne affumicata, tartufo nero, catrame e frutta secca, mentre il legno conferisce aromi di goccia di pino.
Al palato non ha un peso eccessivo, e questo non è sicuramente un limite, rimanendo piuttosto godibile.
Se devo trovare un limite è quello di una mancanza di complessità, risulta alla fine dei conti (da Schio… mi si perdoni la battuta) abbastanza monocorde.
Acidità e tannini non fanno mancare la loro presenza.
Costozza Rosso 2001 Costozza Conti da Schio
Due - faccini :-) :-)

28 febbraio 2012

Il Monte Carbonare

Mario Plazio
Da sempre il Monte Carbonare delle sorelle Tessari è uno dei miei bianchi preferiti.
L’annata 2006 è sorprendentemente chiusa, ancora molto giovane e bisognosa di affinamento.
Appena aperto il vino è sulfureo, mentre coi minuti arriva la classica nota di mandorla amara e un tocco di frutta esotica molto discreto. Fine e minerale in bocca, scorre che è un piacere. Piace l’assenza di spigoli e l’equilibrio dell’alcol, sempre più difficile da trovare nelle bottiglie prodotte in questi anni di grande maturità.
Una conferma.
Termino con un piccolo suggerimento: andatevi a prendere l’annata 2009.
Soave Classico Monte Carbonare 2006 Suavia
Due faccini e mezzo :-) :-)

25 febbraio 2012

Pieropan e una bella idea di Valpolicella

Mario Plazio
Chi mi conosce e ha avuto modo di leggere qualche mia elucubrazione su InternetGourmet, avrà probabilmente notato il grande rispetto e l’ammirazione che nutro per Nino Pieropan e per i suoi vini.  Grandi bianchi che rispecchiano al meglio il territorio, o meglio, i territori di Soave. Altrettanto sinceramente ho sottolineato le perplessità suscitate dai primi rossi prodotti in terra di Valpolicella, troppo anonimi e politically correct per un vignaiolo di questo calibro.
Quando Nino mi ha consegnato la nuova annata di Ruberpan, mi ha raccomandato di assaggiarlo con attenzione, in quanto a suo avviso era finalmente vicino all’idea che lui e i suoi figli Andrea e Dario avevano rispetto alla Valpolicella. La curiosità era ovviamente notevole.
Voglio subito confessare che finalmente ho trovato un vino al di sopra delle mie aspettative. Come da copione sfodera una pulizia e una confezione impeccabili. I profumi sono caratteriali e vanno dalla ciliegia al melograno e fino agli agrumi. La bocca è invitante, croccante e fresca, con un tannino maturo ma ancora deciso. Un vino da attendere ma a cui è difficile resistere, tutto impostato sulla piacevolezza senza rinunciare alla complessità e alla profondità.
Una perfetta trasposizione del territorio, senza ammiccamenti all’amarone o sdolcinature del tutto inutili. L’invecchiamento dei legni di affinamento e la maggiore età delle vigne hanno sicuramente la loro influenza. Se posso azzardare un paragone direi che non siamo lontanissimi dalla Borgogna, fatte salve le diversità.
Per me è un vinino, anzi un grande vinino.
P.S.: date anche una occhiata all’Amarone 2008.
Valpolicella Superiore Ruberpan 2009 Pieropan
Tre faccini :-) :-) :-)

21 dicembre 2011

Il vino che è stato e che sarà

Mauro Pasquali
La garganega è un vitigno eclettico e sorprendente. Pensi sia adatta solo a vini freschi e di grande sapidità e te la ritrovi dolce e suadente nel recioto passito. La immagini appassita e fermentata a lungo in quel capolavoro che è il Vin Santo di Gambellara e poi la scopri, inaspettata e  quasi “nordica” nelle vendemmie tardive che alcuni produttori cominciano a sperimentare, riprendendo, di fatto una antica tradizione: la garganega era l’ultima uva ad essere vendemmiata, ad ottobre, quando ormai tutte le altre uve avevano ormai completato la fermentazione.
Virgilio Vignato, ben supportato dalla moglie Mariucia e dai figli Ilario e Vincenzo continua a sperimentare e selezionare le uve per produrre dei cru di cui va giustamente fiero. Così, passo dopo passo, anno dopo anno, nascono questi piccoli gioielli. Piccoli nel numero delle bottiglie prodotte ma grandi nella qualità dentro le bottiglie.
Gambellara Capitel Vicenzi 2010 Virgilio Vignato
Un vino che sarà. Non è ancora in commercio e il consiglio è tenerlo in cantina ancora un anno, per completarne l’evoluzione e portarlo in vendita nel momento in cui sarà, credo, al suo massimo. Nasce da una selezione dei migliori grappoli dell’appezzamento collinare Monte Alto e prende il nome da un capitello che sorge vicino alla casa di famiglia.
Immediatamente ti spiazza: l’ho definito Gambellara atipico ma per esaltarne le caratteristiche positive, magari tutti i Gambellara fossero così. Il naso di frutta tropicale, soprattutto frutto della passione, nasconde una prepotente nota minerale che, gradualmente, prende il sopravvento. La bocca, piacevolmente sapida e con un leggero retrogusto di mela renetta preclude al ritorno delle note tropicali. Chiude lunghissimo con una piacevole nota di mandorla amara.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Garganega del Veneto Caliverna 2010 Virgilio Vignato
L’idea di produrre una Garganega da vendemmia tardiva nasce nel 2008, complice una delle più belle annate degli ultimi anni per questo vitigno nel territorio di Gambellara. Ora è quasi pronto questo 2010 che si presenta subito con un bel biglietto da visita: un naso che richiama i grandi vino del nord. La pietra focaia, un che d’idrocarburi e gomma vulcanizzata ti avvolgono immediatamente e, poi, lasciano gradualmente il passo ad una grandissima mineralità.
In bocca entra con una nota di mandorla dolce e si apre con una bella sapidità. Una bocca piena, di frutta matura chiude con una notevole lunghezza. Anche in questo caso il consiglio: avere la pazienza di aspettare che il vino si perfezioni ulteriormente. Ancora qualche mese in bottiglia non guasterebbe, anzi!
Due beati faccini :-) :-)
Garganega del Veneto Caliverna 2008 Virgilio Vignato
Il vino che non è più: di questa prima annata ne furono fatte davvero poche bottiglie. Peccato perché ora, a tre anni dalla vendemmia, si esprime al massimo della sua piacevolezza e maturità. Al naso una leggera speziatura di noce moscata (il vino non ha fatto legno!) apre a note di frutta tropicale matura con venature balsamiche.
Dopo un quarto d’ora escono sentori di pietra focaia e sasso moro, il basalto di cui il terreno di Gambellara è ricco. Una leggera tannicità preclude a un finale pieno, quasi grasso. Peccato che non ce ne sia più!
Tre beati faccini :-) :-) :-)

13 dicembre 2011

Colfóndo: le bottiglie

Angelo Peretti
Dicevo ieri della questione - come dire - filologica del colfóndo, quella tipologia di Prosecco che è frizzante - non spumante - e che resta sui lieviti, sur lie come dicono i francesi, e che è dunque torbida, perché è "con il fondo", e questo è il suo bello. Dicevo che è una tipologia che sta suscitando crescente interesse da parte di chi beve e anche, evidentemente, di chi produce. Insomma, c'è un rinascimento del Prosecco col fondo, pardon, colfóndo, e quest'è un bene, perché più si reinterpreta la tradizione - modernamente, senza difetti enologici - meglio è per chi ama il vino di terroir.
Devo dare ora un paio di suggerimenti - come dire - tecnici per chi voglia approcciare la tipologia. Primo: spesso - ma non sempre - il colfóndo è col tappo a corona, e piantiamola di pensare che il tappo buono sia solo chiuso con il sughero, ché corona e vite sono splendidi. Secondo: prima di stappare, mettete la bottiglia - delicatamente! - a testa in giù, in modo che il fondo - i lieviti - di disperda nel vino. Sennò, fate gli gnorri, versate il vino ai vostri commensali e tenete per voi l'ultimo bicchiere, quello più torbido, più giallastro, pieno di lieviti, che è il bicchiere migliore.
Detto questo, non ho invece dato alcun "consiglio per gli acquisti", o meglio, "per la bevuta". Dunque, provvedo ora, con quattro colfóndo che ho tastato di recente e che non mi dispiacerebbe ora avere con un panino caldo e una qualche fetta di soppressa trevigiana (quella trevigiana, dico, perché è senz'aglio).
Prosecco Treviso L'Essenziale Ruge
L'ultimo nato, da parte di Andrea Ruggeri, consulente e produttore. Vino tesissimo. Che sa di Prosecco appena lo versi nel bicchiere, con quei profumi netti di pera. Si strabeve.
Due lieti faccini :-) :-)
Frizzante Naturalmente Casa Coste Piane
L'archetipo, il precursore e, in certa qual misura, il mito. Lo versi, lo bevi e magari non t'impressiona, abituato come sei ad altri Prosecchi. Poi ti trovi che hai finito la bottiglia in un lampo.
Due lieti faccini :-) :-)
Prosecco Superiore Asolo Colfóndo Bele Casel
Luca Ferraro e la sua interpretazione del Prosecco con il fondo: di fatto, oggi il benchmark della tipologia. Si apre gradualmente verso un frutto croccante, netto. Una beva che non passa inosservata.
Due lieti faccini :-) :-)
Colli Trevigiani Col Fondo Selezione Zanotto
Un frizzante fatto con l'uva glera, quella del Prosecco, e che si beve, si beve, si beve. Floreale, tanto. E c'è memoria di fieno secco. E fruttino bianco. Piacevolissimo vino mosso.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

9 dicembre 2011

Il Prosecco di Carpenè Malvolti

Angelo Peretti
Oh, il fenomeno Prosecco è di quelli che fanno discutere, con tutte quelle bollicine nordestine che ormai te le ritrovi dovunque: all'ora dell'aperitivo le ho viste di recente imperversare a Napoli come a Catania. Il Prosecco "tira" e non c'è bar o bottega che venda bottiglie che possa prendersi il lusso di non averlo. Magari anche un paio.
Ecco, a proposito di Prosecco e di valanghe di bolle, questa qui è stata una piacevole e inattesa (e casuale) riscoperta: il Prosecco di Carpenè Malvolti.
Il marchio è di quelli che han fatto la storia del vino e mi ricordo 'ste bottiglie ai banchetti di nozze d'un bel po' di tempo fa, quando con la torta si stappava il Prosecco, che faceva a pugni con la crema, ma vabbé. Insomma, per farla breve è successo che al supermercato ho comprato una bottiglia del Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene appunto della Carpenè Malvolti, aziendona storica del mondo prosecchista. Il vino è il docg, in versione extra dry. Credo proprio esca in numeri piuttosto consistenti: mi pare di aver letto da qualche parte che l'azienda complessivamente produce più di cinque milioni di bottiglie, che sono decisamente un bel po'.
Perché l'ho presa, 'sta bottiglia? Semplicemente perché mia figlia voleva qualche bottiglia di Prosecco per farci lo spritz con gli amici (già, lo spritz: i ragazzi non bevono altro e così pure i turisti che vengono a far le vacanze dalle mie parti, soprattutto i tedeschi), e allora ho comprato un po' questo e un po' quello, giusto per togliermi la curiosità e assaggiare una volta tanto le portaeree del Prosecco da grande distribuzione.
Be', volete che vi dica? Ha superato la prova.
Colore tra il bianco quasi carta e il verdolino. Naso poco appariscente, ma comunque sul tono della mela verde. In bocca una bella tensione, una linea fruttata sottile sottile (in sintonia con l'olfatto) ma ben modulata, una bolla gestita a dovere, una succosità di tutto rispetto e anche una morbidezza per nulla sopra le righe
Ebbene: me ne son bevuto tre bicchieri uno in fila all'altro. Vabbé che faceva caldo e che il Prosecco era bello freddo, ma mi pare che il test abbia dato esito positivo. Senza l'ausilio dell'Aperol e senza finire nello spritz: non mi par poco.
Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Carpenè Malvolti
Due lieti faccini :-) :-)

24 novembre 2011

Piccinin, è nata una stella

Angelo Peretti
Non ho il piacere di conoscere personalmente, per ora, Daniele Piccinin, proprietario viticoltore come scrive lui (piccolo, cinque ettari, suppergiù diecimila bottiglie in tutto) in San Giovanni Ilarione, nell'est veronese, e seguace di Angiolino Maule, con tanto di dedica al maestro sulle controetichette dei vini. Non ho il piacere di conoscerlo, ma chi lo conosce me ne parla un gran bene. E siccome è seguace di Maule, è ovvio che conduca le vigne in biodinamica. Non ho il piacere di conoscerlo, dicevo, ma posso dire una cosa: è bravo, accidenti se è bravo. Sissignori, è nata una stella, credetemi.
Leggo che è giovane, un trentenne, e che prima di darsi alla vita del vigneron ha gestito un ristorante. Chi è stato a vedere la vigna mi dice che è protetta dal bosco, e che lui la biodinamica l'ha abbracciata come una scelta di vita, mica per una strategia di business. Leggo e sento questo, ma in fondo non me n'importa più di tanto di leggere e sentire 'ste cose, perché io mi fido solo dei vini e se mi piacciono mi piacciono e sennò niente. Ma dopo che ho tastato i vini, ebbene sì, sono convinto, e su questo nome mi ci gioco quella poca reputazione che ho.
Certo, i rossi hanno le riduzione dei rossi in biodinamica e i bianchi hanno la doratura dei bianchi in biodinamica: però dategli il tempo di aprirsi e vanno giù un bicchiere dietro l'altro. A proposito: naturalmente, non sono mica filtrati. E sui prezzi non se la tira come fa invece qualche altro bio-qualcosa, e anche questo è bello. Poco belle, invece, e decisamente, le etichette: Daniele, si può far meglio, accidenti.
Adesso, due righe sui vini. Nell'ordine in cui, in date diverse, li ho bevuti.
Rosso dei Muni 2009 Daniele Piccinin
Cabernet e merlot. Il naso subito è chiuso e s'apre pian piano ed ecco il frutto rosso, maturo. In bocca è fruttato (fragola, marasca) e fresco e financo acidulo, epperò è anche vibrante e ricco e selvatico e sul finale perfino floreale.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Pinot Nero 2009 Daniele Piccinin
Uva ostica. Il vino ha grande freschezza, e dinamicità e slancio. Ovvio, occorre aspettare che s'apra, ma quando s'apre ha beva succosa e freschissima e fruttatissima (la fragolona matura), restando comunque a tratti selvaggio.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Montemagro 2009 Daniele Piccinin
Bianco dorato da uve autoctone di durella. Secco, teso, tagliente. Ha carattere e freschezza acida ch'è tipica del vitigno e vene minerali che parlano del territorio. Direi che mira a raccontare la terra e la vigna, più che a piacere per forza.
Un faccino e quasi due :-)
Bianco dei Muni 2009 Daniele Piccinin
La durella incontra lo chardonnay. Bianco dorato. Della prima uva c'è la tesissima freschezza, dell'altra il frutto giallo maturo. Il finale è asciuttissimo, perfino tannico. Il frutto è croccante, la vena officinale avvincente. Gran lunghezza.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

7 novembre 2011

La veneticità e la freschezza

Angelo Peretti
Veneticità: che strana parola, che strano concetto. L'appartenenza al Veneto. C'è una veneticità culturale? Credo di sì, anche se questo magari non è il posto adatto per discuterne. Credo, peraltro, che esista una veneticità vinicola, un tratto distintivo che accomuna il settore del vino nella regione. O meglio: credo che i tratti distintivi riguardino da un lato il modello vitivinicolo veneto - incomprensibile se non vi si dà una lettura antropologica o sociologica, e prima o poi forse ne scriverò - e dall'altro i vini stessi. E per i vini intendo il loro stile, il loro approccio organolettico.
Ad esempio, la veneticità dei rossi la trovo nella loro freschezza e in una speziatura piuttosto marcata. E questo a prescindere dalla zona o dal vitigno. Un rosso veneto è un rosso fresco e speziato. Vale anche per le migliori espressioni dell'Amarone, quelle più rispettose della storia e del terroir: rossi concentrati, sì, ma certamente anche freschi, dalla spiccata nota acida e dall'intrigante vena speziata. Ecco, questa è veneticità dei vini rossi.
Mi venivano alla mente queste considerazioni bevendo i due rossi dell'azienda agricola Costozza dei Conti da Schio. L'azienda, storica, è a Costozza di Longare, nel Vicentino, Colli Berici. Villa splendida, cantine scavate nella roccia, vetuste.
Ho stappato i due Cabernet del 2007. Quello sotto la doc dei Colli Berici è fatto tutto col cabernet franc. L'altro è un igt del Veneto ed è cabernet sauvignon. Il primo, il doc, fa 13 gradi di alcol, l'altro addirittura 15. Il primo punta di più alla beva, l'altro alla concentrazione, ma senza eccedere. Eppure hanno un tratto distintivo comune: la freschezza, che fa sì che a un bicchiere ne segua un secondo e poi un terzo e che comunque il vino accompagni con nonchalance un pasto intiero. Ecco: due Cabernet intrisi di veneticità. A questo pensavo, godendomeli. Sì, godendomeli.
Un dettaglio mi ha lasciato perplesso: tappi corti, piccoli. Chiusure per vini da bere immediatamente: invece meritano buon affinamento.
Qui sotto qualche nota d'assaggio.
Colli Berici Cabernet 2007 Costozza
Al naso c'è il frutto rosso e c'è una spezia ampia e avvincente e c'è una lieve, rinfrescante vena verde. In bocca è beva e spezia ancora e sale e frutto. Si beve che è un piacere.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Cabernet Sauvignon del Veneto 2007 Costozza
Frutto più denso, spezia più pepata. Bocca più tonda, e l'alcol è abbastanza in rilievo, epperò è compensato dalla freschezza, appunto, e la densità non è pesante.
Due lieti faccini :-) :-)

5 luglio 2011

Taibane 1999 La Biancara - Angiolino Maule

Mario Plazio
Un vino che in Italia difficilmente ti capita di incontrare. È una vendemmia tardiva, una tipologia tipicamente nordica che pochi si sono peritati di affrontare per la scivolosità dell’argomento. È facile infatti cadere nel banale, nello zucchero residuo usato per incontrare il gusto del consumatore senza però il giusto equilibrio che costituisce la magia delle grandi vendemmie tardive.
Angiolino Maule si è cimentato nell’arduo compito solo quando le annate lo hanno consentito. Mi ricordo a proposito il millesimo 1991, credo la prima annata di Taibane. Poi poche altre uscite, il 1996 e questo 1999.
Il mosto ha fermentato spontaneamente in botte grande per alcuni anni (3 o 4, non ricordo con precisione), il vignaiolo diceva che il vino doveva farsi senza fretta.
E noi siamo contenti di avere aspettato a lungo perché ci troviamo di fronte ad un liquido assolutamente originale.
La sensazione più evidente è quella di frutta, ma di una consistenza meno “artificiale” rispetto a quanto siamo abituati a trovare nei vini convenzionali. Il naso è tutto pesca, condito da un pizzico di esotismo e da aromi di pepe bianco e zenzero. L’ossidazione è leggera, in sottofondo, e serve ad accompagnare il fluire dei profumi. La dolcezza è solo accennata, è più una morbidezza che ricorda nuovamente la frutta molto matura. Il finale è asciutto e tannico e fortemente connotato dalla mineralità che ben esprime il territorio. Io lo berrei anche così, per esaltarne la complessità. Si presta però anche ad una cucina speziata o autunnale a base di funghi.
Tre faccini :-) :-) :-)

11 giugno 2011

Soave Classico Monte Fiorentine 2008 Cà Rugate

Mario Plazio
Da sempre il Monte Fiorentine è per me un punto di riferimento per i bianchi di Soave e, aggiungo, per i bianchi italiani in generale. Questo 2008 è a mia memoria uno dei più eleganti e slanciati che mi sia capitato di bere. Questo senza incappare in magrezze o mancanze di polpa.
C’è poco da dire: ha uno stile lineare, pulito e conferma la sua razza assoluta. Ancora molto giovane, esibisce però fin da subito il lato minerale del suo carattere, e affianca tutta una serie di aromi che non debordano mai nell’eccesso di maturazione o nelle scorciatoie di una tecnica fine a se stessa. Il naso propone mandarino, pesca, salvia e dopo qualche ora anche una bella nota terrosa che ne aumenta la profondità. Asciutto e sapido si fa bere che è un piacere, e questo penso sia un gran complimento per qualsiasi bottiglia.
Tre faccini :-) :-) :-)

30 maggio 2011

Soave Colli Scaligeri Vigne della Brà 2008 Filippi

Mauro Pasquali
Risulta un po’ strano, in una zona dove la monocultura viticola ha occupato tutti gli spazi utili, trovare estesi boschi che lambiscono i vigneti. E, si badi bene, non solo in quelle zone dove piantare vigne risulterebbe arduo o quantomeno antieconomico: anche in zone dove altri viticultori non ci penserebbero due volte a sbancare il terreno per farne nuovi vigneti, la famiglia Filippi continua a voler preservare la biodiversità, salvaguardando il bosco.
La Brà è una zona della doc Soave caratterizzata, quindi, da una forte compenetrazione fra vigneto e bosco, ma anche da un’altitudine che fa del vigneto di Filippi il più alto in assoluto della doc. Tutto questo, unito a una splendida esposizione a sud-ovest, all’età delle vigne (circa sessant’anni), permette di ottenere questo cru, uno dei più interessanti di tutta la doc. La coltivazione, biologica, è a pergola veronese e la particolare composizione del terreno (un misto di argilla, basalto e calcare) permette di ottenere delle uve cariche di mineralità e florealità  al tempo stesso. La garganega riesce a esprimersi al meglio, anche grazie alla lavorazione che evita eccessivi traumi all’uva, sfruttando i dislivelli presenti in cantina per i travasi. Dopo una fermentazione innescata esclusivamente da lieviti autoctoni, il vino matura quasi due anni in acciaio e viene imbottigliato senza filtrazione né chiarificazione.
Un vino di colore giallo paglierino carico, che esprime complessi profumi minerali, quasi di zolfo, con note di fiori bianchi, erbe aromatiche e frutta a polpa bianca. In bocca entra con una grande sapidità e mineralità, si fa notare per la grande struttura e conclude con notevole persistenza.
Tre beati faccini :-) :-) :-)

21 maggio 2011

Colli Berici Merlot Campo del Lago 1997 Villa Dal Ferro Lazzarini

Mario Plazio
Forse questo vino a qualcuno dirà poco, ma si tratta di una etichetta storica per il vicentino e per il Veneto.  Il Campo del Lago è uno dei pochissimi rossi che vanta una lunga tradizione, e godeva già di grande reputazione quando la stragrande maggioranza dei vignaioli odierni ancora portava i pantaloni corti e forse non pensava nemmeno di produrre vino.
Questo ’97 è estremamente intrigante, a metà tra il frutto giovanile e l’età della saggezza. Dei bordolesi possiede quell’aplomb che solo a loro appartiene, la classe di chi si può permettere di non fare niente per emergere, che non ha bisogno di farsi notare. Gli aromi vanno dal tartufo al caffè, al cacao, fino ad arrivare al cuoio e all’iris. La finezza setosa che pervade il palato se ne frega di tutti i merlot toni fruttosi e morbidoni. È un vino che si beve, lungo, sapido, composto, senza alcuna esagerazione. E poi anche minerale (catrame) e impalpabile nei tannini.
Dopo un giorno è ancora migliore, profuma di confettura di fragole, di ferro e spezie. Direi che mi ricorda un bel Saint Emilion, di quelli di una volta, fatti senza i concentratori e senza i consigli di Parker.
Purtroppo non so che fine abbia fatto questa cantina, che mi pare abbia conosciuto qualche passaggio a vuoto negli ultimi anni. Naturalmente sono pronto a smentire, anzi spero proprio di farlo.

18 maggio 2011

Gambellara Classico La Guarda 2009 Casa Cecchin

Mauro Pasquali
Oddio, adesso chissà cosa dirà l’ingegner Renato, Cecchin per chi non conosce di Durello e Monti Lessini. Già, perché l’ingegner Renato è giustamente famoso per essere stato il pioniere della rinascita (o nascita?) del Durello: quando nessuno credeva in quello splendido vitigno, lui, caparbiamente, lo difese e lo promosse. Oggi i risultati gli danno ampiamente ragione.
Non di Durello, tuttavia, voglio parlare oggi e, proprio per questo mi aspetto da lui una tirata d’orecchi. Oggi l’argomento è il Gambellara, vino spesso bistrattato e posto in secondo piano rispetto al più famoso ed ingombrante vicino: il Soave. Un Gambellara particolare, prodotto da Casa Cecchin e in cui (seconda tirata d’orecchi) lo zampino è più della figlia Roberta che del padre Renato. Un Gambellara che nasce nella zona di Agugliana, frazione di Montebello Vicentino e non lontano da quell’antico vulcano, il Calvarina, che tanto ha segnato con i suoi basalti il territorio circostante e ha permesso di ottenere dei vini carichi di mineralità e sapidità che quasi non t’aspetti in un territorio del nord. Agugliana è una frazione che gode di un microclima straordinario: grazie alla sua altitudine riesce ad emergere quasi sempre dalle nebbie invernali, evitando pericolosi ristagni di umidità; è magnificamente esposta sia al vento che al sole e questo permette una ottimale maturazione delle uve: la garganega, in questo caso, riesce ad esprimere il meglio di sé, come in questo Gambellara Classico La Guarda 2009.
L’uva è raccolta tardivamente e, dopo la pigiatura, il mosto rimane sulle proprie bucce alcune ore. Matura solo in acciaio, a contatto per alcuni mesi con le fecce nobili ed esce, dopo un periodo di affinamento in bottiglia, generalmente un anno dopo la vendemmia.
La raccolta tardiva è evidenziata da un bel colore giallo paglierino intenso, con sfumature dorate. Al naso la mineralità ben si amalgama con netti profumi di frutta gialla. Emerge gradualmente una bella vena balsamica.
La bocca evidenzia una grande struttura, dove la mineralità a poco a poco volge verso note di mandorla che lasciano un piacevole retrogusto amarognolo accompagnato da una grande persistenza.
Due beati faccini :-) :-)

15 maggio 2011

Frizzante Naturalmente Casa Coste Piane

Mario Plazio
Chi ha detto che il Prosecco è buono solo fresco (inteso imbottigliato da poco tempo)? L’assaggio del prosecco “con i fondi” di Loris Follador, amico vignaiolo e filosofo (spero non si arrabbi per la definizione), conferma che non esistono regole, o almeno che queste sono fatte per essere smentite.
Il Frizzante Naturalmente è un Prosecco rifermentato in bottiglia che ha aperto una strada oggi fin troppo battuta, sappiamo come le mode possano creare mostri, come il sonno della ragione.
Ma com’è il nostro vino dopo una paio d’anni di cantina? Le note evolute sono evidenti, il vino è quasi fragile, delicato. Spicca una bella morbidezza che diventa velluto al palato. Gli aromi sono più decisi, c’è il miele, accanto ai fiori e alla macchia mediterranea, e una mineralità balsamica che sfuma negli idrocarburi. Complesso e salino, è un vino atipico che acquista una nuova dignità nello scorrere del tempo.
Tre faccini :-) :-) :-)

26 aprile 2011

Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Primario Ruge

Angelo Peretti
Ecco, questa è una bella novità. Già, novità novità. Nuova azienda, primo imbottigliamento. Un Prosecco Superiore di Valdobbiadene di quelli che non ti dimentichi, se ti piacciono le bollicine.
Si chiama Primario e non ho la minima idea del perché. L'azienda che lo produce ha per nome Ruge. Ruggeri è il cognome della famiglia. A fare il vino è Andrea Ruggeri (è lui nella fotina), che è anche tra i collaboratori di Federico Giotto.
Detto questo, eccomi al vino.
Entra in bocca con un'atipica, inusuale, convincente mandorla. E poi esplode la mela croccante. E la bolla è bene integrata in una struttura di tutto rispetto. E il finale vira verso una composta morbidezza cremosa.
Un Extra Dry che sa stare in tavola, eccome. Senza sdolcinature, senza mollezze, senza cedimenti. Con carattere.
Buona la prima.
Se vi capita, bevetelo. Se non vi capita, andate a cercarlo, ché ne vale la pena. E se non vi piace, son qui a pagare dazio.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

12 aprile 2011

Soave Classico Le Rive 2005 Suavia

Mario Plazio
I Soave delle sorelle Tessari sanno affrontare il tempo senza alcun timore. Continuo ad ammirare sopra tutto il Monte Carbonare e a considerare le Rive uno scalino sotto per la minore capacità di esprimere negli anni l’eleganza del terroir.
Questo 2005 è a memoria uno dei migliori millesimi delle Rive che mi sia capitato di bere. Conserva un bel naso di erbe montane, anice, mandarino e spezie dolci. Al palato l’incisività è appena cullata dall’apporto del legno, che nel finale conferisce una vena di dolcezza che a mio avviso sottrae dinamica gustativa al liquido.
È comunque una gran bella bottiglia, un Soave succoso e vivo che potrebbe andare avanti ancora per qualche anno.
Due faccini e mezzo :-) :-)

20 marzo 2011

Colli Berici Tocai Rosso Colpizzarda 2005 Dal Maso

Mario Plazio
Non ho ancora capito se il Tai Rosso (all’epoca si poteva ancora chiamarlo Tocai) è “il vino” dei Colli Berici. Certo rappresenta una opportunità da esplorare. Appunto, una opportunità. Non ancora una realtà diffusa. Si è infatti tentato di passare da anonimi rosatelli da trattoria a vini di concentrazione mostruosa, neri come la pece e dopati da dosi di legno del tutto inutili. Forse, come spesso accade, la verità è nel mezzo.
Va apprezzato comunque lo sforzo di ricerca fin qui profuso, sperando che molti altri produttori si inseriscano in questo filone apportando nuova linfa e un vitale spirito di concorrenza.
Tra i primi a credere nel progetto Tai Rosso va annoverato Dal Maso, che qui propone una versione, la 2005, dai toni muscolari. È un vino per palati robusti, dentro c’è tanto di tutto, legno, materia, confettura, alcol. Manca invece l’eleganza e la bevibilità, che speriamo arrivino dalle versioni successive.
Un faccino e mezzo :-)

24 febbraio 2011

Valpolicella Superiore La Bandina 2001 Tenuta Sant’Antonio

Mario Plazio
Da tempo si dibatte su come è o dovrebbe essere il Valpolicella. Un vino che a seconda del momento storico ha cambiato pelle per assecondare le richieste del mercato o le tendenze più in auge. Io ho la mia idea e me la tengo. Vedo il Valpolicella come un vino flessibile, bevibile e godibile (pensiamo ad un buon Beaujolais). Sarebbe a mio avviso un perfetto complemento per la cucina di osteria (o di casa), quella fondata sui piatti di pasta e carne che difficilmente accompagni, giusto per restare in tema, con un Amarone.
La Bandina in questo senso si avvicina pericolosamente a quest’ultimo. È un vino muscolare, concentrato e denso. Va anche detto che, a differenza di etichette simili nel profilo, esibisce un modernismo non fine a sé stesso. Sa restare elegante e fresco, anche se ha una dinamica più sviluppata in ampiezza che in lunghezza.
Un Valpolicella quindi potente e di carattere, che riesce anche ad essere territoriale ed estremamente giovane a quasi dieci anni dalla vendemmia.
Due faccini :-) :-)

21 febbraio 2011

Soave Classico 2009 Prà

Mario Plazio
Impeccabile come sempre il Soave “base” di Graziano Prà. Oltre alle perfette note stilistiche che gli riconosciamo, questo 2009 unisce una notevole polpa ad una raffinata precisione nel definire l’annata e il territorio.
È un vero peccato aprire troppo presto questa bottiglia. Sicuramente nella maggior parte dei casi andrà bevuta prima che possa rivelare il potenziale di cui è dotata.
Agrumi, fieno tagliato, minerale e mandorla ne compongono l’aspetto olfattivo. Bilanciata ed appagante la beva.
Se ne avete qualche bottiglia mettetela da parte. Se ne trovate in giro prendetele e nascondetele per qualche anno. Non ve ne pentirete.
Due faccini :-) :-)