Angelo Peretti
Ultima puntata del mio personale excursus tra le cose lette o sentite a Vinitaly, e faccio riferimento in particolare al dibattito sull'andamento del mercato italiano. E dall'inchiesta voluta da VeronaFiere sull'argomento son venute fuori - era inevitabile - parecchie ovvietà, ma anche degli spunti di riflessione notevoli. A volta anche delle affermazioni per me un po' sorprendenti. Ora, non so se quanto si legge in un comunicato stampa di Vinitaly corrisponda esattamente al suo pensiero, ma la frase attribuita alla gamberista Eleonora Guerini m'ha fatto sobbalzare sulla sedia. La frase è questa: "Per Eleonora Guerini bisogna scrollarsi di dosso quel complesso di inferiorità che impedisce di comunicare la qualità dei vini italiani, in questo momento secondi a nessuno, ma bisognerebbe anche che i produttori smettessero di pensare ai propri vini come a un alimento, visto che per i consumatori non lo è più".Come come come? Per i consumatori il vino non è più un alimento? E sulla base di cosa si fa un'affermazione del genere? Certo, per gli enosnob il vino è soprattutto oggetto di godimento o status symbol. Ma per la gran parte dei consumatori il vino è ancora un pezzo di desco quotidiano. Sennò come lo spiegheresti che il vino più venduto in Italia è il Tavernello? Quello mica lo si compra per farci bella figura con gli amici a cena, e neppure per favorire la conversazione, e men che meno come istrumento di meditazione colta. Nossisgnori: lo s'acquista per berlo mentre si mangia. Come alimento. E questo vale per la stragrande maggioranza del vino italiano. Ed è una fortuna che sia così. Ed anzi, invito gli enostrippati a far marcia indietro e a riportare il vino là dove sta benone: in tavola. Come alimento. Piacevole. Da condividere. Elemento di convivialità.





