Angelo Peretti
Il tema è sempre quello: la sostenibilità. Parola magica. Se non fai viticoltura sostenibile, non vali niente. Se non fai vino sostenibile non sei nessuno. La nuova liturgia è questa. Sia chiaro: sono per le politiche sostenibili, sotto il profilo ambientale, umano, economico. Ma non deve diventare una moda. Invece lo sta diventando.
Ho sentito uno dei profeti della sostenibilità affermare che i cittadini vogliono che venga coniugata la sicurezza alimentare con la sicurezza ambientale. Bravo. Però.
Il però è che tutto questo ha un costo. Economico. Ma di questi tempi mi sembra che pochi siano in grado di permetterselo, questo costo. Dunque, mi sa di demagogia. Ti racconto la storia della sostenibilità e poi ti propino il prodotto industriale. Sano, sicuro. Impersonale.
Il fatto è che se fai vino - o qualunque altro bene agroalimentare, sia chiaro - nel pieno rispetto della sostenibilità, fai una bella cosa, ma fai una cosa cara. Cara di prezzo, intendo, perché cara di costi di produzione. Costosa. Dunque, solo chi ha quattrini può permettersi di comprarlo, quel vino, quel bene. Ma ad avere quattrini è sempre meno gente, perché così si vuole, perché i ricchi devono essere pochi. Dunque, non ci credo alle politiche di sostenibilità ad ampio spettro, alla sostenibilità di massa. Non ci credo perché non puoi produrre a costo elevato e vendere a prezzo basso. Perché altrimenti fallisci. Ma se invece i conti riesci a farli quadrare lo stesso, allora c'è qualcosa che mi rende sospettoso. Il rischio è quello delle scorciatoie. Per esempio gli ogm sono una scorciatoia. Massiva, per certi versi perfino sostenibile (maggiore resistenza alle malattie significa minore uso di fitofarmaci: è sostenibilità anche questa). È lì che ci vogliono portare? Credo di sì.
Ci porteranno lì prendendoci per necessità. Temo che questo sia il disegno. Per questo occorre eliminare quello che sin qui hanno chiamato il ceto medio. S'è deciso che non serve più. Che anzi è pericoloso, perfino destabilizzante. Ci si deve tornare a dividere fra ricchi - pochi, dicevo, sempre più pochi e più ricchi - e poveri. S'è deciso che il divario deve aprirsi sempre di più. È questa l'essenza del progetto neoliberista.
S'è deciso che la libertà d'impresa non va più bene perché non è funzionale all'interesse delle multinazionali ed anzi ne disturba il dominio. S'è deciso che la libera attività della piccola impresa dev'essere gravata di lacci e laccioli, strozzata dalla burocrazia e dagli adempimenti formali, salassata da un fisco vorace, soggetta alla pressione costante e opprimente di una macchina pubblica implacabile nell'esigere il formalismo fine solo all'applicazione di nuove, irritanti, inutili sanzioni. S'è deciso che il welfare pubblico è non già un lusso, come ci raccontano, bensì un inciampo per le privatizzazioni che concentrano il controllo della sanità e della previdenza nelle mani di pochi. S'è deciso che il mais, la soia, il riso, il frumento devono avere pochi, onnipotenti padroni. Se controlli quelli, allora controlli anche la pasta, il pane, ma pure la carne, il latte (gli animali li devi nutrire). Di pochi deve essere il controllo dell'acqua. Anche il vino segue lo stesso destino, fatto da vigne tutte uguali, che producono uva tutta simile per fare vini su domanda, gestiti da pochi operatori che agiscono su larghissima scala. Anche per il vino, come per qualunque bene si debba usare per vivere, tutto deve concentrarsi sotto il controllo di pochi soggetti. Che daranno un nuovo ordine globale a questo povero mondo.
Sostenibilità, la chiamano, ed è un bel nome: suona bene, piace, ed è per questo che mi fa paura.
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