Angelo Peretti
Di solito non accetto che un vino finisca amaro. Qualcuno parla di retrogusto amarognolo come d'un carattere tipico. E per forza che è retro, il gusto amaro: la sensazione amara la percepisce la parte finale della lingua, altroché se non sta al retro. Gli è che solitamente associo il sentore amaricante a una qualche imperfezione di cantina, ed hanno un bel dirmela che è questione di terra o di terroir.
Stavolta però - e credo sia l'eccezione che comunque conferma la regola - mi tocca contraddirmi. E dico che di questo rosso di Botticino, paesello bresciano famoso sino ad ora più per le cave di marmo che per il vino, ma probabilmente destinato a sovvertire i luoghi comuni e diventar terra enoica di bel profilo, m'è invece piaciuta quella vena amara di mandorla che accompagna a lungo il palato, e l'accarezza, e l'allunga, fondendosi col frutto e rendendolo più profondo, più austero. Direi perfino dandogli quel tono demodé di decadenza che mi piace invece ritrovare in certi rossi.
Fatto con la barbera (un quaranta per cento) e poi col marzemino (trenta), con sangiovese (venti) e con la schiava gentile, ha naso "antico" di frutto stramaturo (retaggio del caldo del 2003) e petali essiccati. Ed ha spezia, e perfino un che, appena appena, di vinoso.
In bocca, ho detto, ancora frutto rosso ipermaturo e mandorla, masticata a manciate.
Due lieti faccini :-) :-)
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