Angelo Peretti
Qualche giorno fa commentavo l'indagine che il Vinitaly ha lodevolmente scelto di condurre nelle scorse settimane sull'andamento del mercato del vino in Italia. Intervistando vari esponenti della produzione e della comunicazione. Dicevo io, commentando, che c'è a mio avviso una maniera sola di far tornare seriamente la gente al vino, ed è quello di parlargliene nella più assoluta semplicità, parlando come t'ha insegnato tua madre, e facendoglielo assaggiare, 'sto benedetto vino.
Temo che questa maniera di parlare i cosiddetti comunicatori del vino l'abbiano smarrita per strada da lungo, lungo tempo, e forse anche in questo sta parte della disaffezione che un sacco di gente ha verso il vino, giudicato troppo elitario. Insomma, la casalinga di Voghera e il sciùr Mario, impiegato di banca, non comprano più il vino al ristorante perché hanno una fifa boia di sbagliare, di farsi prendere in giro solo perché non sanno come si fa a pirlare intorno il bicchiere. Al massimo arrivano a dire se gli piace o no (che poi bisognerebbe spiegargli che invece hanno capito tutto e che è questa la vera essenza della degustazione: dire se quel vino ti piace oppure no, e se ti piace è buono e se invece non ti piace allora per te non è buono, punto a basta).
Quasi a riprova del fatto che c'è una spaccatura fra il linguaggio della gente comune e quello dell'esperto, ecco che nell'indagine del Vinitaly sui perché della crisi del mercato italiano del vino leggo il commento di un critico di settore, Luca Maroni, che dice che serve “un Rinascimento culturale agricolo e naturalistico del nostro Paese – dice il giornalista Luca Maroni -, attraverso un progetto strategico che divulghi l’Italia del vino e degli alimenti come un fenomeno e spettacolo naturalistico, esempio di bellissime umanità virtuosamente applicate”. Ecco, se la dici alla casalinga di Voghera, una cosa del genere, stai fresco che compra ancora una bottiglia di vino.
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