10 agosto 2010

Soave Classico Alzari 2004 Coffele

Mario Plazio
Difficile l’arte di affinare i bianchi in legno. In realtà sono ben poche le bottiglie italiane di questo tipo che riescano a cogliere nel segno e a lasciare un ricordo positivo.
Anzi, devo ammettere che ho ricordi tutt’altro che lusinghieri dei tanti vini che mi è capitato di bere, e che l’apporto del rovere è quasi sempre devastante per l’equilibrio del vino.
La garganega è un’uva delicata, che gioca le sue carte sul terreno delle sfumature, e per questo poco incline a digerire legni di piccole dimensioni.
L’Alzari di Coffele è un vino che affronta la questione con eleganza, e in talune annate ha dimostrato quantomeno di saper digerire il rovere con una certa disinvoltura.
Questo 2004 non è forse il migliore che ho assaggiato. È tutto impostato sulla morbidezza, sui toni di buona maturità forniti da una ottima materia prima.
Manca però lo slancio, la luce, nonostante la presenza di aromi di agrumi è poi dominato dalla sensazione di mela cotta e di mandorla.
Discreto il finale che però avrebbe bisogno di maggiore eleganza.
Continuo a preferire il grande Ca’ Visco…
Un faccino :-)

5 commenti:

  1. Automaticamente penso al post di qualche giorno fa, quando si parlava del Calvarino...

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  2. Acciaio versus legno. La soluzione è: acciaio. Ma senza andare al Calvarino, basta guardare al Cà Visco, sempre di Coffele, ed a come l'anima delle colline del Soave sappia esprimersi perfettamente, senza l'intervento del rovere.

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  3. Un anno fa assaggiai il Gambellara Classico annata 2008 di Grandi Natalina, con un affinamento post fermentazione in botte grande. Mi piacque molto, anche se quella leggera vena tannica della botte un po' astringeva. Comunque molto buono.
    Di recente l'ho riassaggiato. La parte tannica è sparita, il colore è bello dorato a mio avviso anche per l'aiuto del legno e il vino è ancora molto buono.
    L'ho confrontato con il ns. Riva Arsiglia 2008 solo acciaio. Due espressioni di Gambellara diverse, due sottozone diverse, due strutture diverse ma comunque entrambi buoni.

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  4. La botte grande in effetti da dei risultati molto buoni, penso al Trebbiano di Valentini o al Villa Bucci Riserva (certo, grandi vini da grandi uve) che hanno un rapporto col legno tutt'altro che scontroso. E' il legno piccolo che ancora non ci appartiene, dico ancora perchè in Francia dove con le barrique convivono dalla notte dei tempi arrivano alcuni tra i più grandi vini del mondo. Rimango dell'idea che legno grande, piccolo e acciaio siano soltanto degli strumenti, sta alla sensibilità del vignaiolo riuscire ad usarli per sottolineare la qualità della materia prima. Il problema nasce quando il legno è utilizzato per raggiungere modelli di largo consumo, che spesso portano a risultati che possono piacere o meno, ma sono senza dubbio omologanti.

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  5. Da qualche parte, in cantina, il vino bisogna pur metterlo. Serve un contenitore. Che può essere di legno, di metallo, di cemento, di argilla. L'importante è che sia, appunto, un contenitore, non un insaporitore. Nella maniera più assoluta.

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