1 gennaio 2006

Il sisàm

di Angelo Peretti

Il piatto classico preparato in riva al Garda con le alborelle essiccate è il sisàm, spesso attribuito, secondo le categorizzazioni in voga, alla fattispecie della "cucina povera".
A prima vista una simile attribuzione potrebbe sembrare corretta, considerata la semplicità della preparazione e degli ingredienti e l'essere stato il sisàm in uso fra le genti davvero derelitte dell'area gardesana, tramandandosi di generazione in generazione (e dunque di miseria in miseria). Ma forse questa è solo una delle facce della medaglia.
Volendo fornire una ricetta "classica" del sisàm è d'obbligo rifarsi al "Benaco" di Floreste Malfer: "Soffritto l'olio con molta cipolla, si immettono le alborelle e si rosolano fino al rosso: poi si allunga il tutto con aceto e acqua e si serve dopo un'ora di lenta bollitura" (Malfer 1927: 216). E la tradizione dell'alto Garda veronese voleva pure che il sisàm perfetto riuscisse solo con certe particolari cipolle che si andavano d acquistare la mattina del 25 di luglio, festa di San Giacomo, in contrada Calino di Gargnano, sulla riviera bresciana del lago.
È interessante peraltro osservare come una variante in uso a Brenzone preveda - e si tratta di un "indizio" preziosissimo - anche l'uso dello zucchero. In particolare ci rifacciamo alla versione che ci aveva fornito un pescatore di Castelletto, Francesco Gaioni, detto Belòtti, in occasione della raccolta delle elaborazioni gastronomiche gardesane confluite nel fascicolo "Pesci, pesca e cucina del lago di Garda", oppure quella riferitaci nella stessa circostanza da un altro pescatore professionista brenzonese, Franco Zamboni, detto Pechìno (Bianchini et al. 1986: 42). Secondo Belòtti lo zucchero era da utilizzare "per togliere l'acidità". Il che ha del vero. In cucina, infatti, lo zucchero viene spesso utilizzato allo scopo di attenuare i sapori acidi e quindi ben si presta a "smorzare" la forza dell'aceto utilizzato per la preparazione del sisàm.
Ma l'"indizio" di cui si parlava non sta in questa caratteristica, bensì nel fatto che l'uso dello zucchero in abbinata con l'aceto introduce il concetto dell'agrodolce tipico della più antica tradizione gastronomica italiana. Il connubio agro?dolce è, nella storia della cucina, "più precoce in Italia che non in Francia e ovunque contraddistingue, più o meno presto, la ricerca gastronomica medievale, in particolare nel delicato equilibrio delle salse" (Redon - Sabban - Serventi 1994: 39).
Per la verità il contrasto agro-dolce nella cucina italiana del Medioevo é stato mutuato dagli usi gastronomici d'età romana. Tanto che se al moderno zucchero sostituiamo il dolcificante del passato, ossia il miele, troviamo che questo formava con cipolla ed aceto una terna presente addirittura nel "De re coquinaria" di Apicio, testo fondamentale non solo perché offre un quadro della cucina "ricca" dei tempi di Roma, ma anche perché su di esso sembra essersi sviluppata la successiva gastronomia "di corte" dell'età medievale.
Ebbene, quel trattato riporta, nel libro nono e nel decimo, alcune salse da pesce nelle quali è quasi costante, insieme alla sovrabbondanza di altri profumi, la triade cipolla? miele? aceto. In particolare è di notevole interesse una "salsa per sarde" per la quale si prescrive di usare "pepe, ligustico, menta secca, cipolla cotta, miele, aceto ed olio (Apicio 1990: 221). Togliete ligustico e menta ed avrete, incredibilmente, gli ingredienti del sisàm. Se sostituite le erbe della ricetta apiciana con alloro e salvia otterrete, grosso modo, la ricetta del Pechìno, che vuole i seguenti ingredienti: "g. 100 di agole secche, kg. 1 cipolle preferibilmente bianche, ½ l. di olio extravergine di oliva, 1 foglia di alloro, 3 foglie di salvia, 1 chiodo di garofano, poco rosmarino, 1 cucchiaio di zucchero, ½ bicchiere di aceto, ½ bicchiere di vino bianco, sale". La preparazione è questa: "Imbiondire le cipolle tagliate grossolanamente a pezzi nell'olio extravergine di oliva con alloro, salvia, garofano e rosmarino. Salare quanto basta ed aggiungere l'aceto, il vino bianco, lo zucchero, le agole, private della testa, tagliate a pezzetti e ammorbidite con olio su graticola o piastra ben calda. Lasciar cuocere a fuoco lentissimo per almeno un paio d'ore" (Bianchini et al. 1986: 42).
Si potrebbe dunque esser portati a pensare di inserire il sisàm in uso sul Garda nel numero, invero abbastanza limitato, dei piatti che possono vantare origine antica. Ma certo non basta un cucchiaio di zucchero insieme con l'aceto a suffragare la nostra tesi. Tuttavia, se ci rifacciamo all'analisi linguistica di Pino Crescini e al suo "Vocabolario dei pescatori di Garda", notiamo che il termine che identifica il nostro piatto sembrerebbe derivare dal latino volgare "incisamen", che sta a significare un insieme di cibo tagliuzzato (Crescini 1987: 142).
Le argomentazioni di Crescini sembrano implicitamente avvalorare, insieme al riferimento all'agro-dolce, l'ipotesi di una origine abbastanza antica del piatto. Cercandone dunque traccia nei ricettari tardo-medievali, la ricerca trova esito positivo prestando attenzione ad un ricettario manoscritto d'area veneziana, probabilmente trecentesco, conservato presso la Biblioteca Casanatese di Roma, nel quale si legge la ricetta di un "cisame de pesse quale tu voy": "Toy lo pesse e frigello, toy zevolle e lessale un pocho e taiale menude, po' frizelle ben, poy toli aceto et aqua e mandole monde intriegi, et uva passa, e specie forte, e un pocho de miele, e fa bolire ogni cossa insema e meti sopra lo pesse" (Faccioli 1987: 77). Che sia un progenitore del nostro piatto? È possibile. Da "cisame" a sisàm, seguendo il percorso indicato dal Crescini, la strada è breve. Ci limitiamo ad annotare che cipolle, aceto e miele ci sono, mentre l'uso delle spezie rimanda ai chiodi di garofano usati a Brenzone dal Pechìno.
Traccia del "cisame" la troviamo in altri trattati antichi. Per esempio nel "Libro novo" di Cristofaro di Messisbugo, scalco e amministratore ducale presso la corte degli Estensi nella prima metà del Cinquecento. Scrivendo di una "cena di carne e pesce" imbandita nel 1529, il Messisbugo menziona fra le varie portate della "seconda vivanda" un prodotto tipicamente gardesano: il carpione. Ma il particolare interessante è che questi salmonidi benacensi erano per l'occasione fritti e "coperti di cisame" (Messisbugo 1557: 17). E con questo dobbiamo molto probabilmente intendere coperti d'una "salsa in agrodolce", come dice Emilio Faccioli (Faccioli 1987: 77). Una salsa da pesce, cioè, rifacendoci alla ricetta trecentesca, realizzata con aceto, cipolla e miele, più, magari, altri ingredienti, secondo i precetti, già visti, del trattato veneziano o del testo di Apicio. E forse è solo un caso che i carpioni fritti provenienti dal Garda, magari dono dei due ambasciatori veneziani ospiti quel giorno in casa d'Este, fossero stati serviti con il "cisame" che ci ricorda un altro piatto benacense. Ma quanto meno la narrazione di quella cena cinquecentesca ci offre un ulteriore elemento a favore di una probabile origine antica e tutt'altro che "povera" del "cisame", da cui probabilmente, come variante certamente più popolare e semplificata, possibile sia arrivato il nostro sisàm.
L'indizio da cui trae origine quest'ipotesi sta, come s'è detto, in una "variante dolce" in uso a Brenzone: quella dello zucchero. Ma non è casuale che proprio in terra brenzonese si sia potuta conservare la versione originaria del piatto, quella cioè più antica. Questo tratto di riviera settentrionale, infatti, è stata per lunghissimo tempo pressoché isolato dal resto del lago: la stessa strada Gardesana è stata costruita solo negli anni Venti. Proprio questo isolamento potrebbe aver favorito la mancata "contaminazione" degli usi più schietti delle popolazioni che hanno originariamente "colonizzato" un territorio a dir poco "selvaggio".
Agli inizi del Quattrocento l'umanista Guarino Veronese si spingeva a dire che "se la vicinanza del Benaco non li mitigasse alquanto, quei luoghi sarebbero inabitabili e non direi che lì fosse territorio veronese ma che il territorio veronese lì finisse" (Devoti 1997: 77). A parziale conferma di quest'originalità di Brenzone quale campo di ricerca delle più antiche tradizioni gastronomiche benacensi, abbiamo visto sulla seconda parte de "La cucina tradizionale del lago di Garda" come proprio qui persista l'uso di una polenta carbonéra che trae probabile origine dai traffici intercorrenti fra le opposte sponde lombarde e venete, quando l'alto lago poteva comunicare solo per via d'acqua. La polenta brenzonese è testimonianza viva di questi arcaici traffici, derivando direttamente dalla polenta taràgna lombarda. Ma è anche probabile indizio di come sia avvenuto anticamente il popolamento di alcuni tratti originariamente quasi inabitati di costa orientale: via lago, dalle valli lombarde all'alta e isolata riviera veronese.
Ora ecco il sisàm, cucinato dai pescatori di Brenzone - e solo da loro sull'intero lago - con una variante agrodolce che prevede lo zucchero e che sembra rifarsi a quella dei ricettari veneziani del Trecento. D'una Venezia dove, peraltro, il sisàm è oggi sconosciuto.
Angelo Peretti

Testo tratto dalla serie "La cucina tradizionale del lago di Garda" di Isidoro Consolini, Angelo Peretti e Flavio Tagliaferro (edizioni associazione I Ghiottoni, Torri del Benaco)

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