1 gennaio 2006

La piccola antologia dei sapori del Garda

di Angelo Peretti

L'onesto piacere del carpione

Fra i testi più noti della letteratura "gastronomica" italiana c'è il quattrocentesco "De honesta voluptate et valetudine" di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. Vi si tratta anche del carpione, ma sbaglia il Platina quando sostiene che qui "più che altrove" se ne pesca, perché questo salmonide vive invece solo nelle acque gardesane. Il passo è nella pregevole traduzione italiana di Emilio Faccioli per Einaudi.

"Mi stupisco che niente di scritto intorno ai carpioni abbia lasciato Plinio, il quale molto spesso fa menzione del Benaco, celeberrimo lago del territorio veronese, nel quale più che altrove si pescano i carpioni. Questi pesci si cucinano come si preferisce. Per conservarli a lungo, non appena pescati si devono mettere sotto sale per due giorni, poi si friggono nell'olio finché sono ben cotti. In questo modo si possono conservare anche per un mese, sebbene siano meno gustosi e meno salutari, e persino di più, se sono stati cotti due volte, come altri pesci; ma se non vengono fritti non sarà possibile conservarli così a lungo".

Una frittura "maccheronica"

Sul Garda, a Toscolano, venne stampata un'edizione cinquecentesca delle "Macaronee" del monaco-poeta Teofilo Folengo, alias Merlin Cocai, famoso per usare la "lingua maccheronica", metà latino e metà dialetto. C'era, su quel volume, un epigramma tutto dedicato al Benaco ed alle gran fritture di pesce che si possono gustare sulla riviera, cotte con l'olio gardesano nelle padelle provenienti da Brescia. Eccone una versione italiana.

"Come sa far tutto a puntino la natura, come tutto procede bene quando ci pensa lei! C'è un lago in Italia, che adesso si chiama di Garda, le cui acque balzan su come quelle del mare in tempesta. Si mangia sempre buon pesce da quelle parti: sardéne, anguille, carpione, tinca, trote. Ma senza il palladio liquore che valgono i pesci? Che valgono se non friggono nell'olio in una nera padella? Ecco perché tutt'intorno le rive sono cariche d'olivi e perché la vicina Brescia fornisce i suoi vasi di ferro. Nascono dunque qui, insieme, olio, pesce, pescatore e perfino la stessa padella che serve a friggerlo, il pesce".

Olio multiuso

Fra le cose mirabili del Garda, Bongiani Grattarolo, autore d'una cinquecentesca "Historia della Riviera di Salò", ci mette anche l'olio tratto dalle olive coltivate in terra benacense. Un prodotto sopraffino in cucina, ma anche adatto ad altri usi.

"Ci si colgono poi Olive di cui si spremono Ogli piu purgati, e piu odorosi, che quei di Piceno, di Ficione, di Venapro, e di Atene medesima, non solo per acconciar l'insalate, o per frigger i Pesci, e molte altre vivande: ma per le medicine cosi semplici, come alterate da fiori, da herbe, da radici, e da gomme, e da altre droghe. Massimamente quel che viene spremuto dall'olive prima che si facciano bollire, al qual dicono oglio Vergine. Questi danno commodità à gli huomini, & alle donne di leggere, studiare, scrivere, filare, tessere, cucinare, & far altre facende di notte, e di giorno ancora nei luoghi oscuri, senza che offendano la testa col mal'odore, o macchino le persone, e le cose di fastigi".

Non saper che anguille pigliare

È nel 1662 che a Mantova, "appresso gli Osanna, Stampatori Ducali", viene pubblicata "L'arte di ben cucinare" di Bartolomeo Stefani. Vi si parla di parecchi prodotti gardesani, com'è il caso delle anguille, per le quali s'apre una disputa: meglio quelle del Garda, di Comacchio o del Po?

"Molte contese vi sono intorno all'Anguilla, circa la preminenza. Comacchio vorrebbe la gloria di produrre le più delicate. Il Lago di Garda anch'egli gagliardamente s'oppone per portarne il vanto. Il Po' anco esso contrasta per questa faccenda. Io però non voglio hora decidere la lite, accioche queste acque quando havessero da me sentenza contraria, con l'orgoglio dell'onde loro non sommergessero le mie ragioni. Dico solo per l'esperienza ne tengo, che tutte sono buone, in particolare arosto, polverizate con pane, polvere di canella, mastice, e zuccaro, servite calde".

La trota più prelibata

Nel 1786 approdò sul Garda uno dei più grandi nomi del firmamento letterario europeo: Johann Wolfgang Goethe. Di quel viaggio lo scrittore tedesco ci ha lasciato ricordo prezioso nel suo "Italienische Reise". Ed è sotto la data del 12 settembre che Goethe ha annotato il suo incontro col Benaco, "questo maestoso spettacolo della natura". Soffermandosi anche sulla cena servitagli da un albergatore di Torbole, in un passo che leggiamo nella versione italiana, apparsa nel 1907 a Napoli, di uno dei più grandi traduttori goethiani: Eugenio Zaniboni.

"L'albergatore mi partecipò, con enfasi tutta italiana, che si sarebbe stimato felice di potermi servire la trota più prelibata. Queste trote son prese vicino a Torbole, dove il fiume scende dai monti, e nel punto in cui esse tentano di salire a ritroso. L'imperatore ricava da questa pesca mille fiorini per il solo appalto. Non si tratta veramente di trote; queste di Torbole sono grandi, del peso talvolta di cinquanta libbre e picchiettate per tutto il corpo fino alla testa; ma il sapore, fra quel della trota e del salmone, è delicato e squisito".

Tartufi per l'impero

Si deve a Giuseppe Franco Viviani la pubblicazione di alcune relazioni, conservate presso l'Accademia d'Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, sulla situazione del territorio veronese al tempo della fine della Repubblica di Venezia. In quella indirizzata all'Accademia in data 3 agosto 1791 dal nobile Agostino Pignolati a proposito di Caprino, ai piedi del Baldo, si legge qualche notizia del tartufo.

"Le colline egualmente ubertose di grani sono anch'esse spezialmente ove la terra, è bell'armenica come lo è tutta la campagna, oppura ove è argillosa, non tanto però ove è cretacea, ma tutte essendo di viti, di pochi gelsi, ed ulivi impiantate sono dall'industria, e notabile dispendio a tal segno rese ubertose, che puossi mettere in questione, se più renda la campagna, o le colline in proporzione di terreno, ed oltrecciò sono anco arricchite de' preziosi tartuffi, li quali a preferenza d'ogni altro luogo e vicino e lontano sono ad onta di esorbitante prezzo ricercati, e spediti in lontane regione, e la imperial mensa di Germania per cinque, o sei mesi dell'anno viene ogni giorno imbandita di questo prelibatissimo frutto di Caprino".

Feigen! Feigen!

È una sorta di guida turistica scritta a mo' di diario quel volume "Il lago di Garda" che vide la luce nel 1873 a firma di Enea Bignami. E vi si ironizza sulla passione dei visitatori tedeschi per i fichi.

"S'intende come dai Cimbri in qua abbia sempre fatto gola ai Tedeschi questa bella contrada, ma ciò che più li attira, la cagione precipua delle invasioni barbare non l'hanno avvertita nè gli antichi nè i moderni filosofi della storia; ed io, l'ho scoperta stando in piazza di Riva! Non è l'aria temperata, non le acque azzurre, non la vite, non i lauri e nemanco il limone in fiore; nulla di tutto ciò: è il fico fresco! Feigen! Feigen!, gridano entusiasti i biondi uomini, le bionde donne ed i biondi bimbi all'aspetto, del mai veduto fico fresco! E sono da compatirsi; in vita loro non hanno mangiato che fichi secchi! Avviene come di chi non avesse veduto in fatto di fanciulle, che delle mummie d'Egitto; figuratevi le smanie nel vedere la prima donna viva!"

Frittata e sardelle per vincer la paura

Brutta avventura quella che tocca a Bardolino al protagonista delle "Confessioni di un italiano". La sua compagna di viaggio, Aglaura, in un momento di sconforto si butta dalla Rocca. Per fortuna la caduta è fermata dai cespugli e lui può salvarla. La malinconia passa poi davanti al caminetto, mangiando. Ecco un "assaggio" delle pagine di Ippolito Nievo. Con l'Aglaura che fa onore alla tavola.

"L'Aglaura, non trovando di suo grado le trota, si mise alla padella a sbattervi le ova; io credo che la povera trota fosse ignominiosamente calunniata pel ruzzo ch'era saltato alla donzella di cavarsi questo capriccio. Io ammirava a bocca aperta. China col ginocchio sul focolare, col manico della padella in una mano, e il coperchio nell'altra che le difendeva il viso dal fuoco, ella pareva il mozzo d'un bastimento levantino che si ammanisce la colazione. La fritta riuscì eccellente, e dopo di essa anche la trota si vendicò del sofferto dispregio facendosi mangiare. Le sardelle adoperarono del loro meglio per entrare anch'esse dov'era entrata la trota. Infine non rimasero sui piatti che le reste".

Bevitori benacensi

Nel "Benaco" di Giuseppe Solitro, stampato sul finire dell'Ottocento, si parla anche, con meticolosa attenzione, della viticoltura gardesana. Finendo col soffermarsi sui "Benacensi bevitori eccellenti".

"I Benacensi preferiscono - ed è naturale - il loro vino a quello d'ogni altra regione. Trincano volentieri e copiosamente, veri figli di Roma antica, giovani e vecchi; i primi per render più gagliardo il sangue e crescer vigore, i secondi per medicina all'età, perché sanno che il buon vino è la poppa dei vecchi.
Nelle annate abbondanti, subito dopo la vendemmia, quando il vino non è ancor vino ma mosto, il popolo cionca l'allegro liquore nelle tradizionali scodelle, mandandolo giù come medicinale a finir la bollitura nel ventre, e di mano in mano che le scodelle si vuotano, i fumi salgono al capo, e impacciano le lingue, e annebbiano i cervelli e fan vacillare le gambe".

La sera c'era sempre la minestra

David Herbert Lawrence fu sul Garda fra il 1912 ed il 1913. Di quel soggiorno ha lasciato memoria nel suo "Twilight in Italy", dove dice anche d'una semplice cena a Gargnano. La traduzione italiana è quella di David Mezzacapa apparsa presso Newton Compton.

"Nel grande solaio della serra andavo spesso a scrivere. Lassù, a grande altezza da terra, dal lato aperto si dominava il lago, e al di là la montagna nevosa nel bagliore del crepuscolo. Le vecchie stuoie, le assi, gli attrezzi fuori uso dell'antico lavoro creavano ombre nel luogo deserto. Poi dal dietro, dall'alto della casa, giungeva il richiamo: Venga, venga mangiare! Si mangiava in cucina, col caminetto dove bruciava l'ulivo e l'alloro. La sera c'era sempre la minestra. Poi si facevano giochi, o si giocava alle carte; e giocavano tutti. Oppure si cantava, con una fisarmonica, e a volte c'era un contadino che scendeva dai monti e portava la chitarra".

Il pesce provvidenza

"Il Benaco" di Floreste Malfer, edito nel 1927, è di grande valore scientifico e piacevolissima lettura. E vi si "riabilita", fra l'altro, la "sardéna" (alosa), ingiustamente sottostimata da molti.

"Sulla saporosità delle carni dell'alosa, non abbiamo quel tributo di lodi che sempre accompagnano la trota e il carpione, nè al suo nome ci coglie quel senso di culinaria ammirazione che ci fa inarcare le ciglia. Il lago, lago, gridato per le vie di Verona, o il garda, garda, echeggiante per le vie di Brescia sono piuttosto l'effetto di un'offerta conveniente, e per la modicità del prezzo e per la mole del pesce, atta a soddisfare la numerosa famiglia, piuttosto che quella di un boccone prelibato. Con tutto ciò non possiamo esimerci dal dichiarare che l'alosa nostra completa, con la trota ed il carpione, la triade eletta dalle carni saporose e gentili e che se lungi dalle sue acque non arriva ad essere un piatto veramente eccellente ciò è dovuto al fatto che essa tramonta col giorno. Si potrebbe anzi dire che bastano poche ore, oppure basta che venga un po' strapazzata, perché ad essa, come in tali casi fa il pescatore, si debba preferire qualunque altro cibo. Dev'esser cucinata appena presa e mangiata con l'inseparabile polenta".

L'Arcadia e la tavola

Riccardo Bacchelli tracciò nel 1952 un ricordo delle vacanze giovanili passate a Garda. Confessando che "fra tante ragioni più elevate d'ammirazione e d'affetto per Garda, c'entra pure un peccato di gola, che si volge in riconoscenza verso i pescatori della Corporazione, per le eccellenti prede che essi fanno, con tanto industriosa passione artigiana, nelle acque del lago". E se da un lato emergeva la "gardesana Arcadia dei miei sogni e ricordi", dall'altro ecco la suggestione della tavola imbandita dalla Signora Gonda.

"Fatto sta che i miei ricordi, anzi le mie sensazioni gardesane, sono come intrise d'una luce di letteratura e di storia, tenue, fuggitiva, non approfondita, ma neanche sciupata, dallo studio critico ed erudito. E viene dalle nostre conversevoli passeggiate e sedute conviviali, sicchè Garda storica e letteraria, insomma, la nostra Arcadia gardesana, non mi si disfocia dal ricordo degli uccelletti e del carpione, e delle sardelle, maestrevolmente cucinati dalla Signora Gonda, e del prelibato vin di Capre o dei Mirabei".

Bibliografia

I brani dell'antologia sono tratti da:
B. PLATINA, Il piacere onesto e la buona salute, a cura di E. Faccioli, Einaudi, Torino 1985, p. 244
B. GRATTAROLO, Historia della Riviera di Salò, Brescia 1599 (rist. Ateneo di Salò, Salò 1978), p. 29
B. STEFANI, L'arte di ben cucinare, Mantova 1662 (rist. Forni, Sala Bolognese 1983), p. 44
E. ZANIBONI, L'Italia alla fine del secolo XVIII nel "Viaggio" e nelle altre opere di J.W. Goethe. Il Trentino, Ricciardi, Napoli 1907, riprodotto in Goethe: il Viaggio in Italia e i grandi traduttori del Garda trentino, a cura di A. Tonelli, M. Marri Tonelli e S. Carloni, Comunità del Garda, Gardone Riviera 1986, p. 115
E. BIGNAMI, Il Lago di Garda, Milano 1873 (rist. Sardini, Bornato 1975), pp. 48-49
G.F. VIVIANI, Il territorio di Caprino alla fine del sec. XVIII (2° parte) in Il Baldo n. 5, Centro Turistico Giovanile, Caprino Veronese 1994, p. 107
I. NIEVO, Le confessioni d'un Italiano, Mondadori, Milano 1988, p. 665
G. SOLITRO, Benaco, Devoti, Salò 1897 (rist. Ateneo di Salò, Salò 1977), p. 245
D.H. LAWRENCE, Viaggio in Italia, Newton Compton, Roma 1984, p. 90
F. MALFER, Il Benaco, Verona 1927 (rist. Forni, Sala Bolognese 1977), pp. 156-157
R. BACCHELLI, Italia per terra e per mare, Mondadori, Milano 1962, p. 308
La versione italiana dell'epigramma di Teofilo Folengo è di Angelo Peretti; per l'originale si veda T. FOLENGO, Macaronee minori, a cura di M. Zaggia, Einaudi, Torino 1987, p. 510

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