Angelo Peretti
Coup de théâtre. Francese. La versione italiana - colpo di scena - non rende bene. Ché è qualcosa che ha a che fare proprio coll’essere istrione, con quel saperti ipnotizzare che hanno certi prim’attori in teatro, sul palcoscenico.
Ecco, il coup de théâtre è arrivato quand'ormai credevi che la rappresentazione (e che rappresentazione!) fosse bell’e finita, e al mattatore e all’intera compagnia bastasse soltanto presentarsi in passerella a raccogliere l’applauso, scrosciante, dato che lo spettacolo era stato ammirevole.
Invece no, invece ecco l’apoteosi. Angelo Gaja, ché è di lui che sto parlando e dell’epica degustazione che s’è svolta al Vinitaly per dare avvio alle feste dei centocinquant’anni del marchio di famiglia, ha dato il la alla figlia primogenita Gaia. E questa eccola presentare, coll’ausilio delle immagini proiettate ai due lati del palco, tutta una serie d’altre donne del vino. Per dire: da Elisabetta Foradori ad Anna Bologna a Marilisa Allegrini a Francesca Planeta. E poi è toccato a lui, le Roi, e anch’egli a chiedere il battimani per altri uomini del vino italiano: da Giorgio Rivetti a Nicolò Incisa della Rocchetta, da Maurizio Zanella a Romano Dal Forno, a Josko Gravner perfino. Con standing ovation per Domenico Clerico, presente in sala, commosso fino ad aver gli occhi lustri (testimonio: ero a due posti di distanza).
Ora, che dire? Grandissimo, Gaja. Che unisce il bel gesto con la strategia di marketing, l’omaggio ai concorrenti con la più raffinata tecnica di comunicazione. Se cita i grandi, la percezione è che lui è più grande dei grandi, o no? Se esalta gl'italiani del vino, lui s'accredita come capofila dell'italianità enoica.
Ora, si dica quel che si vuole d’Angelo Gaja, ma a Verona, a quest’ultimo Vinitaly, ha dato una gran lezione. Straripante col microfono in mano. E sornione. Con una spalla elegantissima come Jancis Robinson, raffinata wine writer britannica, capace di buttar lì poche domande, ma quelle giuste, che poi lui, il Re, usa a pretesto per parlare e parlare e parlare in un inglese un po’ rigido, ma diretto.
Ah già, dimenticavo: tutto in inglese l’evento. E anche questo è stato show. Così come il (fastidiososissimo) braccialetto stile nursery che t’hanno messo al polso all’ingresso, per bloccare ogni possibile intrusione (i più, in sala, pagavano, e si son raccolti oltre 25mila euro per un ospedale). Così come lui and family (moglie e figli) schierati sull’uscio a dar la mano a ogni entrante e poi rischierati sul palco, uno in fila all’altro, tutti a prender la parola.
Grande show. Ma denso di contenuti, anche.
Ecco qualche Gaja pensiero qui sotto, giusto per assaggiare.
“Siamo artigiani. Essere artigiani significa anche non imbottigliare i vini delle annate non perfette, non crescere di dimensione, non coprire tutte le fasce di prezzo”.
"Sono considerato uno dei responsabili dei prezzi alti del vino italiano, ma quando si è veri artigiani non si può inseguire l'industria”.
“Se il vino è popolare nel gusto, ma perde il suo radicamento con la tradizione, vino e zona saranno perdenti”.
“La perfezione non è da considerare un valore assoluto, perché il vino perfetto molte volte viene fatto in cantina, manipolandolo”.
“Abbiate fiducia nell’Italia. Il grande numero dei produttori oggi presenti in Italia non è un segno di debolezza, ma di forza. Produciamo volumi di vini eccellenti anche nelle cooperative. E c’è un grande numero di artigiani che sono ambasciatori dell’Italia”.
“Occorre definire l’identità: i vini devi assaggiarli e capire che vengono da un posto ben preciso, dal Piemonte, non da qualunque parte del mondo. E devono riflettere l’azienda: devono essere Gaja”.
Opps! I vini.
Già, i vini assaggiati. Pardon, bevuti, ché mica li ho lasciati lì nel bicchiere (non dovevo neppure guidare...). Be', i vini li racconto magari domani.
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