9 aprile 2009

Oh, quel Barbaresco del '64...

Angelo Peretti
Quasi quasi ieri, preso dal raccontare lo show di Angelo Gaja al Vinitaly, andava a finire che mi dimenticavo dei vini. Già, ché i presenti - sala gremita, e i più paganti, per beneficenza - erano lì anche per tastare dei vini, mica solo per festeggiare il secolo e mezzo di vita della cantina. E quando ti portano nel bicchiere sei vini d'annate storiche di casa Gaja, be', è mica roba da tutti i giorni.
Eccoli qui sotto.
Dicevo che poi mica li ho lasciati dentro al bicchiere: me li son bevuti. Tutti tranne uno, comunque fatto benissimo, ma non in sintonia col mio bere, e qui sotto di capirà perché.
Per ciascuno, prime righe coi commenti di monsieur Gaja, ultime righe con le mie impressioni.
Gaia&Rey 1994
Chardonnay piantato in Langa, dalla fine degli anni Settanta. Vigne da bianco in terra dove si diceva che il vino è solo rosso. “L’idea era di fare un bianco capace di essere longevo perché viviamo in una zona che fa vini longevi”.
Longevo lo è, certamente. Sorprende la freschezza. E il bell’equilibrio fra liquirizia e frutto. Impressionano polpa e persistenza. Gran bianco, l’ammetto, anche se resto bevitore ABC: anything but Chardonnay (qualunque cosa purché non sia Chardonnay).
Darmagi 1997
La storia è nota: in dialetto langarolo darmagi vuol dire “che sciocchezza!” Esclamazione che la leggenda attribuisce al padre di Angelo Gaja quando questi gli disse che voleva piantare cabernet sauvignon dove c’era sempre stato nebbiolo.
Al naso, subito, il peperone verde, anche un po’ grigliato. E sotto il frutto. Poi esce la vena di terra. In bocca una gran tensione tannica. E frutto rosso maturo maturo, eppure anche succoso. Stoffa. Lunghezza. Grand’equilibrio tra frutto e tannino.
Conteisa 1996
Nebbiolo barolista da La Morra. Prima annata il ’96: l’anno precedente, quello dell’acquisto c’era stata grandine. “La grandine lì c’è spesso: è una lezione che ci fa capire che siamo artigiani. Ma i grandi terroir sanno sempre recuperare la qualità”.
Che volete che vi dica: sarà anche un nebbiolo modernista, ma m’è piaciuto, eccome! Affascinante e complesso al naso, fruttatissimo e interminabile al palato. Frutta rossa e liquirizia e viola appassita e caffè in polvere. Bel tannino. Potenza e beva assieme.
Sperss 1989
Nebbiolo barolista da Serralunga. Acquisto nell’88. L’89 fu dunque la seconda annata. “Se il Conteisa sembra ricordare il nebbiolo della zona di Barbaresco, più floreale e sottile, lo Sperss riflette esattamente Barolo: tannino, tabacco, tartufo”.
La conferma è già all’olfatto: ritroso da subito, poi s’apre sulle note terziarie, ed è proprio tabacco e tartufo e poi terra e fiore appassito. In bocca è compatto ed elegante. Aristocratico. Infinitamente lungo. Il bicchiere vuoto è liquirizia assoluta.
Sorì San Lorenzo 1988
Un mito italiano. “È il primo single vineyard che abbiamo prodotto, ma è anche quello che invecchia di più. Il vigneto lo ha comprato mio padre dal Capitolo di Alba, dalla Chiesa. Lì c’è una vena di sabbia: è l’unica zona dove ci sia sabbia a Barbaresco”.
Più che giovane, è proprio giovanissimo. Mi verrebbe da dire perfino troppo giovinetto, ancora. E dunque s’apre con lentezza quasi esasperante all’olfatto, ma l’attendere trova ricompensa. In bocca ha gran frutto, dolce e maturo. E fiori, anche, tanti.
Barbaresco 1964
Chi altri in Italia sarebbe capace di servire un ’64 a un paio di centinaia di persone? “È uno dei vini di mio padre, è un vino di Giovanni Gaja. Il 1964, il 1990 e il 2004 sono state le uniche tre annate in Piemonte che ho visto capaci di combinare qualità e quantità”.
Posso dirlo: un’emozione. Mica solo per l’età, ché di rossi vecchiotti per fortuna ne bevo abbastanza. No, questa è stata emozione pura perché ho trovato un incredibile mix di frutti maturi e d’altri fruttini perfino asprigni. E poi rabarbaro, china, pellame.

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