Angelo Peretti
È tempo d’olio nuovo. Gli esperti cominciano a parlare dei test sulla qualità della produzione olearia. Il che è cosa buona ed anzi sacrosanta necessità. Ma dalle mie parti, nel Veronese, gli appassionati del buon mangiare della tradizione, di test - se così li posso chiamare - all’olio nuovo, appena spremuto, quello che “raspa” ancora in gola ed è di un bel colore verde, ne fanno uno ben più invitante di quelli compiuti in asettici laboratori: ci preparano il baccalà. Perchè è convinzione comune fra i frantoiani e i gran mangiatori che solo se è eccellente l’olio nuovo riesce ad esaltarsi col baccalà, mentre in caso contrario i difetti saltano fuori nettamente.
Scientificamente, la faccenda non sta in piedi. Ed anzi può esser magari vero il contrario. Ma perché esser sempre lì pronti a far le pulci alle convinzioni altrui? Perché voler essere sempre e solo razionalisti? Qualche volta la vita va presa come viene, e il baccalà con l'olio nuovo è il benvenuto.
Il problema è semmai che i veronesi e in genere i veneti sono convinti di mangiare baccalà e invece consumano stoccafisso. In terra veneta, infatti, si attribuisce erroneamente (ma sarà mai un errore?) il nome di baccalà al merluzzo sventrato, decapitato e poi asciugato fino a farlo diventare duro come un pezzo di legno, tanto da dover essere battuto e bagnato a lungo prima di cucinarlo: lo stoccafisso, insomma. Il vero baccalà, invece, sarebbe il merluzzo conservato sotto sale, pressoché sconosciuto dalle nostre parti. Ma come scrive il "vecchio" maestro della cucina scaligera, Giorgio Gioco, “è tutta questione di intendersi”.
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