Angelo Peretti
Ho accennato ieri all'oca in onto, che è presidio veneto di Slow Food: carne d'oca conservata nel grasso dello stesso animale. Poco lontano dalle mie parti, a Valeggio sul Mincio, un tiro di schioppo dal lago di Garda, la stessa usanza gastronomica porta il nome di ochéti. La mia ipotesi è che si tratti d'una tradizione che attesta la persistenza di culti pagani.
L’oca si uccideva in novembre. A Valeggio e in tante parti del Veronese, il giorno di santa Caterina, il 25 di novembre: "A Santa Caterina se copa l’ocatina" diceva il proverbio. Ma santa Caterina secondo me c'entra poco. Perché trovo più interessante pensare a un paio di settimane prima: 11 novembre, san Martino.
In terra veneta nel giorno di san Martino s'usava mangiare un galletto: "A san Martìn se màgna el galéto". Ma in Emilia invece - lo ricorda il marchese Vincenzo Tanara nel Seicento - a san Martino si mangiava l’oca, perchè "essendo egli stato un Vescovo vigilantissimo, li Cristiani per solenizzar la di lui festa con allegrezza, alludendo a questa virtù, mangiano l’oca". E che le oche abbiano carattere guardingo è noto: ricordate gli schiamazzi che fecero quando i Galli tentarono d'espugnare il Campidoglio?
Ora, mi domando: e se vi fosse stata una traslazione dell’usanza di un paio di settimane? Se cioè il galletto dei veneti altro non fosse che un relitto di un’usanza più antica, e cioè quella di cucinare l’oca a san Martino? Usanza poi traslata fino a santa Caterina? Della cosa non ci sarebbe da stupirsi: santa Caterina, martirizzata con la ruota, è patrona dei mugnai, gente che aveva dimestichezza coi corsi d’acqua, e sul Mincio, a Valeggio, c'erano parecchi mulini. E sui corsi d'acqua s’allevavano le oche. E dunque i mugnai possono essersi "appropriati" dei riti di san Martino in favore della loro protettrice.
L’insistenza su san Martino è motivata dal fatto che l’iconografia del santo è accompagnata proprio da un’oca. Il che ha una spiegazione leggendaria: si dice che furono questi animali a rivelare con le loro strida il luogo dove s’era nascosto il Santo quando non voleva accettare l’elezione a vescovo.
Non solo: m'intriga il fatto che il giorno di san Martino fosse il primo del calendario rurale: vi si stipulavano i contratti di mezzadria. Per i contadini, insomma, la festa di san Martino era un vero e proprio "capo d’anno". E secondo Alfredo Cattabiani questo capo d’anno rurale "si riallaccia al Samuin celtico che durava per una decina di giorni".
Ora, i Celti consideravano l'oca un animale sacro, simbolo del "messaggero dell’Altro Mondo". Oche addomesticate, intoccabili, erano presso i santuari. E cos'è la stessa conchiglia dei pellegrini cristiani di Santiago de Compostela, in origine santuario celtico, se non la stilizzazione d'una zampa d'oca?
Ma torniamo al messaggero celtico. Cattabiani dice che era un dio cavaliere che portava una mantellina corta e montava su un cavallo nero. San Martino è un cavaliere che monta un cavallo bianco, e ha una mantella corta: la medesima immagine, il medesimo rito traslato dal paganesimo al cristianesimo. Eccoci qui: il culto di san Martino si diffuse nelle Gallie perché la sua immagine ricordava il dio cavaliere dei presistenti riti pagani. E l'animale sacro a quel dio cavaliere era l'oca, e san Martino è raffigurato con l'oca. E a san Martino si mangia l'oca in onto, gli ochéti.
L’oca ammazzata e consumata oppure posta sotto grasso in novembre, in concomitanza o quasi con la festa di san Martino, mi pare dunque rimandi a un’antica tradizione precristiana, a remoti riti celtici. L’ipotesi è affascinante, ammettetelo.
Ipotesi affascinante e cibo eccellente!!!
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