Angelo Peretti
Mi ha preso un coccolone quando, sul Corriere Vinicolo d'inizio luglio, ho letto questo titolo: "Elogio del vino da bere". Ché chi mi segue da qualche tempo lo sa che per il sottoscritto il fatto che il vino "si faccia bere" e non solo degustare è condizione assolutamente rilevante. Al punto da lanciare su quest'InternetGourmet un "elogio del vinino", ossia un "manifesto per la piacevolezza del vino da bere".
Ora, che l'house organ dell'Unione Italiana Vini proponga urbi ed orbi una titolazione del genere non mi par cosa da poco. Anche se col mio "elogio" questo non ha proprio nulla a che vedere. Invece, il pezzo è dedicato all'ottantesimo genetliaco di uno dei maestri del vino italiano: Giorgio Grai (è lui nella foto), cui rendo omaggio anch'io.
L'articolo-intervista a Grai è di Bruno Donati. E qui di seguito vorrei riporta un paio dei botta & risposta del pezzo. Perché credo siano parola da pensare, da meditare.
Chiede dunque l'intervistatore: "Lei produce vini poco alcolici e di rilevante longevità. Come si fa?"
Risponde Grai: "È l'uovo di Colombo, non esistono segreti. Ma è anche la cosa più difficile per un enologo: interpretare l'annata, la materia prima e proiettare il tutto nel futuro. Ogni annata è diversa, devi capirla. E devi preparare vini facili da bere, buoni da subito ma che durino negli anni".
Prosegue Grai: "Oggi la gradazione elevata è un elemento negativo e controproducente. Soprattutto, è un elemento che ne pregiudica tanti altri. Surmaturazioni e maturazioni tardive aumentano il contenuto zuccherino a scapito della piacevolezza del colore, dei profumi e degli aromi. Un ottimo vino va dagli 11,5 ai 12,5 gradi alcolici. La vigna deve produrre il giusto da sé, senza bisogno di intervenire con il diradamento. Che senso ha imbottire la scrofa di ormoni perché partorisca 12-14 lattonzoli e poi eliminarne quattro? Lasciamo fare alla natura".
Ma prima c'è un'altra domanda con la quale Donati ha stuzzicato Giorgio Grai. Questa: "Il gusto cambia col tempo, negli anni?"
Giorgio Grai ha risposto così: "Non il gusto, le mode. Il buono rimane buono, l'incompetenza del consumatore spesso si fa abbagliare, si lascia attrarre dalle mode. Il vino che vale sempre, che dà grandi emozioni, è quello intrasferibile, che appartiene alla zona, al territorio, al cielo. In tedesco si dice Heimat, termine non traducibile in italiano: non è patria, è più casa, luogo natio. È il posto di appartenenza, odore di famiglia, delle nsotre correnti d'aria. Dove ritrovi te stesso".
Ecco, sì, questo è il senso del vino.
Belle parole, quelle di Grai. Bravo Donati che le ha portate sulla carta. Non credo proprio di poter aggiungere altro.
Concordo anch'io con le parole del Signor Grai. Penso che la coerenza non sia mai demodé.
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