Angelo Peretti
Agostino Vicentini è un tipo entusiasta. O meglio, magari a prima vista ti può sembrare un po' orso, ma poi ci parli assieme e te ne fai l'opinione che sì, è proprio un entusiasta. E il suo entusiasmo è quello del vignaiolo che si è fatto da sé, e che volle, e sempre volle, e fortissimamente volle - per dirla con l'Alfieri - emergere come produttore soavista di livello, e c'è arrivato ad esser riconosciuto come uno dei bei nomi del Soave anche se ha cantina Colognola ai Colli (in verità, frazione di San zeno) e mica nelle nobilissime plaghe dei cru di Soave e Monteforte d'Alpone. E gli son fioccati addosso negli ultimi anni i tre bicchieri e le corone e insomma il variegato palmares delle guide, e meritatamente, a mio vedere.
Ora, gli è che all'Agostino i premi sono arrivati in virtù del suo Soave Superiore Il Casale, strapremiato, mentre l'altro suo bianco soavista, il Terre Lunghe, ha recitato sempre un po' la parte del fratellino minore, magari anche perché costa ben meno dell'altro, ed ha anzi prezzatura da vino popolare. Ma al telefono stavolta l'ho sentito, l'Agostino, così entusiasta per come sta venendo fuori il Terre Lunghe dell'ultima vendemmia, il 2010, ancora in vasca, che non ho proprio potuto esimermi dall'assaggio. En primeur, come dicono i francesi.
Il problema è che l'assaggio non si è rivelato tale, e si è invece trasformato in bevuta di un paio di bicchieri uno in fila all'altro, ché questo è un Soave che si fa bere.
Se non mi sbaglio, e credo di non ricordare male, nel Terre Lunghe c'è dentro, insieme alla garganega, un po' di trebbiano di Soave. E volete che vi dica? Nel 2010 il trebbiano soavese ha tirato fuori probabilmente il meglio di sé. E magari è solo un abbaglio, ma qui dentro, in questo Terre Lunghe del 2010, l'imprinting del trebbiano ce lo sento, e mi piace sentircelo, con quell'affilata vena minerale che già è sottesa e quella florealità così avvincente. Ed è un connubio intrigante quello tra il frutto (la mela croccante, da garganega) e appunto il fiore (bianco) che salta fuori all'assaggio. Ed è piacevole, poi, la pienezza fruttata mediata da una freschezza quasi salina (l'acidità delle annate piovose, come il 2010, appunto, che garantisce lunghe durate al vino di chi si è impegnato in vigna e in cantina).
Certo, l'assaggio da vasca, col vino ancora lontano dall'imbottigliamento, non è test probante di per sé, ma mi pare che 'sto Soave prometta bene. Ed anzi mi spingo a dire che il passaggio al vetro non potrà che dargli ulteriore bellezza, permettendogli di smussare certi angoli ed ingentilirsi. E insomma: credo che lo berrò ancora, il Terre Lunghe 2010, e aspetto volentieri che ne esca la bottiglia.
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