Angelo Peretti
Riprendo solo ora, con enorme ritardo - ma mica ci si riesce a tener dietro a tutto - un bel servizio che La Revue du Vin de France ha dedicato, sul numero di novembre, al tema della botte vecchia, che risulterebbe assai meglio di quella nuova per far grandi vini.
"L'affinamento in botti nuove - si chiede l'autore dell'articolo, Roberto Petronio - è talvolta presentato come una specialità francese, ma è realmente così?" No, non è così, o almeno non lo era fino all'infatuazione per le tendenze modaiole americane filo-parkeriane. Lo testimonia madame François dell'omonima tonnellerie, tra le più importanti al mondo: "Alla metà degli anni Settanta - dice -, le botti nuove non si vendevano più in Francia. Senza la forte domanda degli americani, le nostre bottaie chiudevano baracca". Insomma: la moda delle barrique nuove l'hanno imposta gli americani già dall'inizio degli anni Ottanta. E anche in Francia, come, ancor più massicciamente, in Italia, ci si è adeguati. Dipingendo le botti vecchie come foriere d'ogni male e d'ogni difetto olfattivo e gustativo del vino. "Dagli alla botte vecchia!" era, e in molti casi ancora è, soprattutto in Italia, lo slogan corrente.
Invece ora ci si accorge che non è propriamente così, e che la botte vecchia fa il vino meglio della nuova, se il vino ha sostanza e carattere di suo e non necessita dunque di essere "aromatizzato" col sentore di quercia o di vaniglia e d'essere rinforzato con tannini che nulla hanno a che spartire con l'uva.
Per dimostrare che botte vecchia fa buon vino, la Revue ha intervistato quattro nomi di punta tra i vigneron transalpini, tutt'e quattro affezionati all'uso dei legni vetusti.
Emmanuel Reynard di Château Rayas, mito dello Châteauneuf-du-Pape, non ha dubbi: "Le botti nuove non sono che un maquillage aromatico". Pierre Clape, autore di punta del panorama del Cornas (rosso di riferimento per chi ama il syrah), spiega che "a condizione d'essere vigili sull'igiene, nel fusto vecchio non ci sono più batteri di quelli che ci sono nella barrieu nuova" e aggiunge: "Per invecchiare un vino, la barrique nuova è incostante. Ci sono troppe differenza da una tonnellerie all'altra. Mascherano l'espressione del nostro aspro terroir".
Laurent Ponsot produce Borgogna a Morey-Saint-Denis. "Il vino si ossida più lentamente nei vecchi tonneaux", sostiene. E dice che se per duemila anni il vino s'è fatto col legno vecchio, perché mai bisognerebbe cambiare adesso? Solo perché con la barrique nuova si prenderebbero cinque centesimi in più di valutazione? Ed anche Thierry Matrot, che fa Puligny-Montrachet e Mersault, bianchi borgognoni, è deciso nella sua posizione: "In un fusto di dieci anni l'annata viene più rispettata".
Ecco, si tratta di testimonianze importanti, di gente che in fatto di vino sa il fatto suo. Da seguire. A condizione che se ne accetti il vero ammonimento: il rispetto assoluto per il terroir e per l'annata. Questo fa la differenza, solo questo.
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