Nella personalissima top ten delle migliori bottiglie che io abbia potuto sin qui stappare, almeno metà sono vini di produttori (in genere piccoli) che hanno abbracciato la biodinamica. Altri sono nelle posizioni immediatamente successive. Attenzione: non li ho scelti perché erano bio-qualcosa, quei vini. Spesso li ho tastati e poi bevuti insieme ad altri della stessa area d'origine, ma ottenuti da vigne coltivate in maniera convenzionale. In molti casi, solo dopo ho saputo che quelli che mi piacevano venivano da uva coltivata in biodinamica. Ergo: credo che al vigneto le pratiche steineriane facciano bene, e che consentano di dare ottima uva (e basse rese, ma senza forzature), che nella mani di qualcheduno che in cantina ci sa fare è materia prima strepitosa per degli splendidi vini.
Detto questo, ci sono però poi i biodinamici che mi fanno incavolare. Sono quei parvenue che comprano composti biodinamici e li irrorarno sulle vigne e che per questo - visto che va di moda, e che fa vendere - si definiscono biodinamici. Ritengo che chi imbraccia la filosofia - perché questo è, altroché - della biodinamica debba invece adottare uno stile di vita, più che una pratica agronomica, e che debba essere coerente, perché non gliel'ha mica detto il medico. La scelta impone la coerenza.
Mi piace l'idea dei biodinamici, quella che vede nel vigneto un corpo vivo complesso, nel quale la pianta dev'essere in comunione con il cosmo, il suolo e il sottosuolo. Mi piace l'idea che la microfauna che sta sottoterra debba essere rispettata come la vigna, come le piante che affiorano. Non a caso molti tra i cultori della biodinamica utilizzano il cavallo per i lavori nel vigneto, piuttosto che pesanti trattori: perché anche il suolo e il sottosuolo vanno rispettati, e non li si può violare con il peso opprimente dei mezzi meccanici.
Bene, questo mi piace. Ma non mi piace invece chi se ne frega, e per dirsi biodinamico gli bastano le fatture d'acquisto dei preparati da irrorare.
Cito un caso. Di un'azienda presso la quale sono stato in visita tempo fa. Azienda biodinamica, secondo espressa dichiarazione. Bene: mi hanno fatto vedere la cantina e anche il dinamizzatore (ci vuole, ecchécavolo, in un'azienda biodinamica che si rispetti). Poi siamo andati nei vigneti. Li abbiamo percorsi in lungo e in largo, passando tra i filari. A piedi, a cavallo? Macché, col Bmw X5 dell'azienda. Bella macchina, ma del peso (compresi noi a bordo) di circa tre tonnellate. E questi qui che schiacciano la terra passandoci sopra con una macchina da tremila chili sarebbero biodinamici?
Penso che il problema sia il solito italianismo.
RispondiEliminaOvvero, vai in Francia, bevi dei grandi vini, e alla fine chiedi al produttore cosa ne pensa della biodinamica. Il produttore ti risponde che coltiva da anni in biodinamica, senza averlo premesso.
Con molti Italiani invece, la prima cosa che ti vien detta è che il vino è biodinamico (forse non l'azienda e la mentalità). E questi vini non sempre risultano grandi.
Così come i francesi ti portano a vedere le vigne e gli italiani invece ti portano in cantina a vedere le nuove attrezzature che hanno appena comprato. Stessa cosa.
RispondiEliminaMi sembra doveroso mettere anche qui i miei commenti postati su FB.
RispondiEliminaPenso che l'incoerenza regna sovrana... la biodinamica per me è oltre una filosofia di vita, e' sposare una serie di valori che hanno a che fare anche con la spiritualità. Mi è venuto in mente il video dei Genesis "Jesus He Knows Me" solo che al posto dei televangelisti abbiamo i biodinamici del caso. E comunque se si vede un SUV come clienti dovremmo avere la coerenza - nostra - di chiedere "e questo suv che c'entra con la biodinamica?"
Brava Lucia, esatto: dobbiamo avere questo genere di coerenza. Invece trppe volte si crede alle favole e si vuole perfino crederci. Ma quando il re è nudo, allora occorre dirlo, che è nudo.
RispondiEliminaHo letto La Rivoluzione del filo di paglia di Fukuoka. Grande agronomo e grande libro. Fukuoka era contro la chimica. Coerentemente, viveva in una capanna senza luce e acqua corrente, e coltivava con un bastone e un falcetto. Non invito i produttori a fare altrettanto. Ma a riflettere su quanta chimica e quanta energia da petrolio c'è nella loro vita prima di dire che non usano la chimica. E magari a non mettere i loro vini biodinamici in una bottiglia da un chilo vuota, perchè il cosmo non ne gode.
RispondiEliminaBellissimo libro, Maurizio. Bellissimo. E bell'invito il tuo.
RispondiEliminaCaro Angelo, non hai capito: l'attrezzatura che hai visto serviva per dinamizzare con poche gocce di benzina centinaia di litri d'acqua: con questa poi viene alimentato il SUV.
RispondiEliminaQuindi non è un X5 tradizionale, ma ad acqua dinamizzata, che praticamente è acqua, ma che il motore riconosce come benzina....
Max
ach, so!
RispondiEliminaCiao Angelo, non ti leggo frequentemente, ma questo titolo mi ha "fulminato", perchè più volte ho parlato di questo argomento, proprio accostando il suv alla biodinamica.
RispondiEliminaPremettendo che ritengo sia doverosa un certa dose di incoerenza (i proclami puristi in qualche modo mi spaventano), non posso che trovare proprio nella prima chiave di lettura del Sig. Stefano Menti il signirificato fondamentale, che poi è quello che hai proposto tu fin dall'inizio: siamo spesso nel campo della trovata commerciale, della differenziazione ad uso e consumo dell'immediato ritorno economico.
Ritorno economico che non intendo demonizzare, ci mancherebbe altro, ma che magari vorremmo provenisse da una sorta di merito legato ad una convinzione ben più radicata di quella della convenienza dell'utim'ora.
Tu il vino ed i produttori italiani ormai li conosci bene. Da molti anni, sei venuto a "scovarci" tutti quanti o quasi, sia i più famigerati sia i più nascosti e ti sarai accorto che, con le numeroso e fortunate eccezioni, finiamo spesso per perderci di fronte alla percezione di una via facile ed immediata, dimenticando l'importanza della convinzione e della credibilità.
Parafrasando il Sig. Menti una seconda volta, il vino dovrebbe essere buono in primis, almeno per chi lo sta gustando nel momento in cui sceglie d'esprimere un'opinione ed in seconda battuta dovrebbe poter essere ancora più interessante se sostenuto da un racconto etico e convincente. Eppure, a questo punto non so se solo da noi e in tutto il mondo, mi pare che il racconto venga sempre prima e si prenda la fetta più grande di importanza. Se così è, per un consumatore è sempre più difficile orientarsi tra chi si racconta ed è ciò che racconta, tra chi si racconta magari senza essere e chi è pur non raccontandosi.
Eccellenti riflessioni, Paolo, che credo vadano approfondite. A proposito: il sig. Stefano Menti è un tuo collega, che fa splendidi bianchi a Gambellara, nel Vicentino.
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