30 novembre 2011

Il gaglioppo e il Cirò

Angelo Peretti
La Calabria è, per me, un mistero immensamente vago. Mai stato. Pochi i vini bevuti. Sono peraltro, quando m'è possibile reperire quella buona, calabro-dipendente per via della 'nduja, quel pirotecnico, morbido salume calabrese fatto con le parti più grasse del maiale e col peperoncino che là è piccante assai e saporitissimo.
Da più di un anno, a proposito della Calabria enoica, leggo delle polemiche scaturite dalla decisione di modificare il disciplinare del Cirò, aprendo le porte ai vitigni internazionali, cabernet in primis. Pensare che la cabernettizzazione del Cirò sia la soluzione ai tanti problemi della viticoltura locale è, a parer mio, un'idea sbagliatissima. Un'illusione coltivata in tante parti d'Italia tra la seconda metà degli anni Novanta e l'inizio del secolo nuovo. Un'idea fallimentare. Ora, con vent'anni di ritardo, ecco che riaffiora in Calabria, generando tardive fallaci illusioni. Sono convinto che anzi che produrrà danni ulteriori ad un comparto che non mi pare stia vivendo momenti di grazia, e che la grazia probabilmente non l'ha mai vissuta, coi contadini che non sanno più a che santo votarsi. Ma votarsi al santo cabernet è errato, e se ne sono già accorti i vignaioli di tant'altre parti d'Italia, prima dei calabresi.
Di recente ad una manifestazione di settore ho avuto modo di tastare una serie di rossi calabri nei quali le uve autoctone erano mischiate, appunto, col cabernet, e il risultato è stato deludentissimo. Vini enologocamente corretti, certo, ma concettualmente vecchi almeno - appunto - di vent'anni e per di più senz'anima, senza personalità, o meglio, portatori di quell'anonimo carattere che connota i vini internazionali, e dunque irrimediabilmente perdenti, ché se si fa vino uguale identico a quello di mezzo mondo, alla fine per venderlo hai una soluzione soltanto: sbracare sul prezzo, riducendo il viticoltore ad ulteriore miseria.
Eppure la Calabria del Cirò avrebbe avuto - ed ha - una strepitosa carta da giocare, ed è il gaglioppo, l'uva locale. Penso che, se han deciso di cabernetizzarla, da quelle parti ci credano poco. Però ho paura che il problema è che, oltre a non crederci, su quell'uva ci abbiano investito poco, ché invece, quand'è ben gestita, offre vini di fantastico carattere, modernamente antichi.
Lo dico perché di recente ho avuto modo d'assaggiare due volte - ed in entrambi i casi altro che assaggiare: me lo son bevuto - il Cirò Rosso Classico Superiore 2009 di un'azienda che si chiama 'A Vita e che usa solo e soltanto gaglioppo e che fa agricoltura biologica e che alla Calabria e alle sue autoctonie mi pare ci creda. Ed è, questo loro Cirò, un vino avvincente, coinvolgente, intrigante, affascinante. Austero e bevibilissimo, nobile e popolano insieme. Colore scarico. Naso che rimanda alla buccia dell'arancia, al cedro, alla spezia (tanta), al fruttino macerato. Bocca succosa e tesa. Bel tannino, epperò per nulla aggressivo. Si beve che è un piacere. Si beve e si ribeve.
La strada giusta è questa qui.
Cirò Rosso Classico Superiore 2009 'A Vita
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

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