28 marzo 2009

Poveri i miei rosé: qui va a finire peggio che con l'olio

Angelo Peretti
Ma sì, avanti, liberalizziamo: cosa gliene frega alla fin fine alla gente che il vino sia buono? Il business è quel che conta, altroché. E chi si sbatte per far qualità, per rispettare il territorio e le sue tradizione, ma che vada a farsi benedire!
Non vorrei fossero questi i pensieri che passano per la testa agli eurogovernanti. Perché a veder quel che stanno combinando con le produzioni agricole, e col vino in primis, vien da inorridire. Liberismo sfrenato: è questa la regola.
Pensate all'ultima innovazione: consentire che si mettano assieme vini bianchi e rossi per farne un altro dal colore rosa. Va di moda il vino rosato? E allora facciamolo rosato. Et voilà: il rosé miscelato è bell'e pronto! Rosé giusto nella tinta, sia chiaro. Chi se n'importa se non ha per nulla la fragranza e la freschezza d'un rosato di quelli veri?
Già, ché con le nuove regole degli eurolegislatori, all'annate non si fa proprio riferimento. Avete un rosso che non riuscite più a piazzare? Un bianco che neanche se lo regali? Un fondo di magazzino qualunque? Fateci un miscuglio e il gioco è fatto. Alla faccia del consumatore, alla facciaccia del vignaiolo.
Dicono, a motivazione: ma gli australiani lo fanno già, e allora c'è concorrenza sleale, ché in Cina il mercato se lo beccano tutto loro. E allora avanti: se lo fanno loro, facciamolo anche noi. Spero che domani gli australiani non si mettano a fare i vini che sanno di "tutti i gusti più uno", alla Harry Potter, ché sennò ci metteremmo a rincorrerli anche noi. Ricordo solo, per inciso, che il professor Silente, prendendone una di quelle caramelle, si beccò quella al sapore di cerume...
La cosa che più mi fa specie è che ad aver avuto qualche dubbio su questa scoperta siano stati solo i francesi. Italia e Spagna han detto ok: ma ci pensate? Sul Garda, in Abruzzo, nel Salento c'è una tradizione straordinaria in fatto di vini rosati. Ecco: il sapere accumulato nel tempo, le fatiche di vigna e di cantina, tutto spazzato via in un attimo.
O meglio, no: al danno ci si aggiunge la beffà. Ché gli eurosapienti, visto che qualcuno se l'è presa male per questa storia degli pseudorosé, han tirato fuori dall'eurocilindro magico un'altra ideona: i rosati veri in etichetta scriveranno "metodo tradizionale". Gli altri, invece, potranno far quello che vogliono. Col risultato che il consumatore non capirà niente di niente, ma in compenso chi ha sempre fatto rosato coi sacri crismi dovrà ristampare tutte le etichette. Avanti così! I piccoli vigneron non ci stanno più dentro coi loro bilanci familiari? E allora aumentiamogli le spese, facciamogli buttar via tutte le etichette: che se le ristampino, così si rimette in moto l'economia. O che stiano zitti: tanto loro non se li fila nessuno.
Mi par di rivedere un film già visto: quello dell'olio.
La sapete, vero, com'è la storia dell'olio? Ve la riassumo qui sotto.
Se l'olio lo fai con le olive, allora in etichetta lo devi chiamare così: "Olio extravergine di oliva olio di oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive ed unicamente mediante procedimenti meccanici". Già, tutta questa pappardella qui per dire: l'ho fatto con le olive.
Se invece l'olio lo fai coi processi chimici, allora puoi scrivere: "Olio di oliva".
Che dite: è truffa? No, è legge.
Ecco, coi rosé finirà alla stessa maniera. Il bello (bello?) è che l'Italia ha detto di sì.

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