15 giugno 2010

Giulio Cesare, il Mamertino e i conti che non tornano

Angelo Peretti
La tentazione è, evidentemente, irresistibile. Di tanto in tanto riaffiora qui e là per l'Italia l'ambizione di dare storicità a questo o quel vino. Dicendo ch'era il nettare (solitamente la parola è questa: nettare) da Tizio, da Caio o da Sempronio, e al posto di Tizio, Caio e Sempronio - che non ho mai capito chi fossero, e non m'interessa capirlo - metteteci il nome di qualche celebrità della storia antica. Celebrità, intendo, dei greci, degli etruschi, dei romani, e poi su su, fino all'età medievale e al rinascimento e all'evo moderno. Gente che in genere c'entra come i cavoli a merenda (ma, anche qui, non ho mai capito bene perché sia tanto disdicevole mangiar cavoli a merenda).
Come se nell'Ottocento non fosse arrivata quella serie di terribili flagelli delle vigne che, di fatto, estinse gran parte del vigneto autoctono, reimpiantato su ceppi americani. Talché non possiamo, oggi, avere la (quasi) minima idea di come fossero davvero i vini non dico dell'epoca augustea, ma nemmeno di duecent'anni fa. Sarà mica che i portinnesti non influiscono? E nemmeno i sistemi di coltivazione? E neppure le tecniche di cantina?
Una delle più recenti fra queste tentazioni riguarda il Mamertino doc. Siciliano. Messinese. Zona di Milazzo. Riconosciuto a denominazione d'origine nel 2004.
In occasione dell'ultimo Vinitaly un'abile - lo ammetto - campagna di comunicazione - si parlava d'un brand piuttosto noto - ha fatto scrivere qui e là: "Un brindisi imperiale: torna il Mamertino, vino preferito di Giulio Cesare!" Nientepopodimeno, si sarebbe detto negli oratori qualche annetto fa.
Ordunque, premesso quel che ho premesso, ossia che la fillossera s'è portata via la gran parte dell'italiche vigne (e dell'europee), mi domandavo allora, nei dì vinitaliani, chi se n'importasse se il Mamertino fosse stato davvero il "vino preferito" di Giulio Cesare. In primis, non basta certo quel lacerto di testo che ricorda che un vino con quel nome venne servito a un banchetto in suo onore. In secundis, non abbiamo la più pallida idea di che razza di vino si trattasse. Eppoi chi lo dice che Giulio Cesare foss'anche esperto di vino, oltre che di guerra e di politica?
Volevo scriverne allora, ma mi son trattenuto e, vabbé, ormai me n'ero fatto una ragione.
Solo che adesso ho visto girare una pagina pubblicitaria di un'azienda sicula (mica quella del comunicato di Vinitaly: un'altra) che, a proposito d'un suo Mamertino, dice: "Il nonno del nonno del nonno di mio nonno lo beveva con Giulio Cesare". Ora, permettete: i conti non tornano. Nossignori. Perché, dunque, io, mio padre e mio nonno rappresentiamo tre generazioni. Il nonno di mio nonno è indietro di altre due generazioni, e fanno cinque. Il nonno del nonno di mio nonno ne aggiunge altre due, e son sette. Poi, col nonno del nonno del nonno di mio nonno arrivo a nove, Ora, per convenzione s'usa dire che il salto di generazione avviene ogni 20-25 anni. Mettiamo 25. Moltiplicando 9 per 25 arrivo a 225 anni. Mettiamo pure che io sia vecchietto e che il primo dei miei progenitori in elenco abbia fatto la sua bevuta ad età venerabile: al massimo arriviamo a 300 anni in tutto, stando larghi. Però se andiamo indietro di trecent'anni ci troviamo intorno al 1710. E Gaio Giulio Cesare venne accoppato nel 44 avanti Cristo, mi pare. Di mezzo ce n'è un bel po'. Altro che brindisi del nonno del nonno del nonno di mio nonno.
Ma, dico io, è mica meglio concentrarsi sul vino? Il vino. E basta.

5 commenti:

  1. Bellissimo post! Premesso che concordo in tutto e per tutto, ed aggiungendoci pure il fatto che un vino apprezzato e bevuto ai tempi di Giulio Cesare non di per se dovrebbe essere, se riscoperto, apprezzato oggi (vorrei vedere chi mai avrebbe l'ardire di condire di questi tempi il cibo con il Garum...), noto anch'io questi incredibili "svarioni matematici"!
    Che sia colpa dell'utilizzo esagerato delle calcolatrici o dell'incapacità di fare i conti a mente, fatto sta che certi pubblicitari dovrebbero tornare alle elementari!

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  2. Io penso che l'autore abbia inteso dare l'idea del tornare indietro di tante generazioni fino a quella di Cesare; del resto quando si dice "te l'ho detto cento volte ..." non è che sono esattamente cento le volte che si è ripetuta una certa frase !!! In ogni caso la pubblicità non si ferma certamente di fronte a queste considerazioni anzi è proprio la peculiarità delle campagne pubblicitarie quella di confondere le carte e giocare con doppi sensi, similitudini, forzature, ecc... e molto spesso, e non condivido, cadendo nel cattivo gusto, nella volgarità, ecc...
    Questa volta non concordo con chi ha scritto prima di me.

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  3. Sono contento che condivida quanto le avevo scritto sul Mamertino a marzo tra l’altro già ripreso e pubblicato altrove da Enopress (http://www.enopress.it/new/Articolo.aspx?ArticoloID=00080M) e nella rubrica Prosit di venerdì 3 Giugno nel quotidiano l’Adige.

    Ovvio che concordo su tutta la linea

    Stia bene.


    elai.culturadelvino@libero.it

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  4. Siamo alle solite!Come sempre noi italiani ci divertiamo a farci del male.Se il Mamertino l'avvessero avuto i francesi nella zona di produzione ci sarebbero state pure le statue di Giulio Cesare con tanto di lapide riportante i versi del "De Bello Gallico" e forse avrebbero fatto pure pagare un ticket per entrare nella zona doc. E invece noi andiamo a spulciare libri e logaritmi per smontare quel pò di leggenda che si cerca di costruire attorno ad un prodotto. E' ovvio che il vino di oggi non può essere uguale a quello del Sacro Romano Impero, tutto si evolve nel tempo, specialmente i prodotti alimentari, anche lo Champagne non è più uguale a quello di Dom Perignon ! A proposito , ma sarà vera la soria del frate...? a cui i francesi hanno fatto pure la statua con la bottiglia in mano ? (Salvo Trischitta)

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  5. L'unica differenza è che i francesi non scoprirebbero "miracolosamente" di avere il Mamertino dopo averlo snobbato per secoli e secoli: avrebbero continuato a produrlo, che andasse di moda oppure no. Noi invece siamo sempre qui a cercare di tirar fuori il coniglio dal cappello dei prestigiatori di un assurdo pseudo-marketing che cerca di far leva sulle favole.

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