Angelo Peretti
C'erano una volta i correttori di bozze. Proto, li chiamavano. Erano i tempi in cui i giornali e i libri non si facevano col computer. Così quegli oscuri lavoranti di tipografia passavano e ripassavano i testi per trovare errori e svarioni. E avevano due ossessioni: la gestione dei righini e gli a capo. Nel primo caso, era ritenuto un affronto alla professione lasciare una riga solitaria alla fine o all'inizio della pagina: le vedove e le orfane, le chiamavano. Nell'altro caso, andavano alla caccia di quelle involontarie paroline scostumate che inavvertitamente fossero nate dalla divisione sillabica. Ché era inammissibile che una riga cominciasse con sesso (per esempio dalla spezzatura di pos-sesso o con-sesso) e men che meno - figurarsi! - con fica (per esempio dalla suddivisione di magni-fica, quali-fica, speci-fica).
Mi son venuti in mente vedendo l'etichetta d'un vin dolce della zona di Lison, Veneto orientale. Il Terra di Bonifica di Toni Bigai. Che scrive, birichino a di poco: Ter - a capo - Ra di - a capo - Boni - a capo - Fica. Una svista dovuta al fatto che non ci son più i proto d'una volta? Macché, non ci credo. Perché poi leggi la contr'etichetta, e vedi che è tutta giocata sulla provocazione.
Dice così: «Terra di bonifica è un vino dolce ottenuto da uve bianche Picolit e Tocai, prodotte in zona non vocata, frutto di una lunga fermentazione in barrique, vuole contrastare l'egemonia e la presunzione di chi solo si fregia di una zona vocata. Inizio a produrre vino dolce, punto d'arrivo per un vero enologo, "questa è la mia opinione e io la condivido.» Geniale.
Ora, di Toni Bigai non so praticamente null'altro. Mi si dice che è eclettico personaggio del vino che vuol rilanciare la sua terra, quella "non vocata" di Lison, appunto. E che per questo s'è messo in proprio, affrancandosi dall'azienda paterna. E, avendone tastati i vini, condivido il termine usato da Vini d'Italia, la guida del Gambero Rosso & Slow Food: rusticità.
E il Terra di Bonifica? Vino strano, inconsueto. Al naso ha toni quasi di lieviti: mi ricorda, che so, le birre bianche del Belgio (che poi è la stessa nota che ho incontrato in un altro vino dello stesso produttore: si chiama A Mi Manera, "alla mia maniera", un bianco da uve, mi pare, di tocai, picolit, malvasia e chardonnay, ma mi potrei sbagliare). In bocca ha vaghe e piacevoli vene aromatiche e andamento burroso e bella sapidità che aiuta la beva. Passito personalissimo. Fatto davvero "alla sua maniera". Nella mia scala di piacevolezza, gli darei due lieti faccini :-) :-)
Aggiungo: chi ha la possibilità, li tenga d'occhio i vini di Toni Bigai. Potrebbe sorprendere.
Sia chiaro: è solo una mia opinione, ma va da sé che io la condivido...
Beh, se per attirare l'attenzione bisogna giocare sempre e cmq sugli ammiccamenti, partiamo male. Roba vecchia. Che funziona sempre, dirai tu. Certo, rispondo, ma che personalmente non mi predispone ad un assaggio sereno.
RispondiEliminaPerciò, se mai un giorno mi capiterà di assaggiare questo vino, spero che sia in un tasting alla cieca. Ché certi "trucchetti" da vecchia osteria mi irritano, maldispongono e allontanano. A prescindere.
Alla cieca, alla cieca.
RispondiEliminaIl vino è interessante, e se il buon giorno si vede dal mattino, potranno nascere belle cose da quelle parti.
Senza però il bisogno di essere troppo originali (e alla fin fine incomprensibili) in etichetta. Per esempio, mi sarebbe piaciuto di più leggere qualcosa su quel "terroir non vocato".
L'ho bevuto da amici, lho trovato splendido.
RispondiEliminachi mi aiutaa trovare il sito della cantina?
grazie!
lucy
Che mi risulti, la cantina non ha sito.
RispondiEliminaBuongiorno a tutti il sito è www.amimanera.it
RispondiEliminaIl vino va assaggiato assolutamente assieme agli altri sia bianchi che neri !! Posso indicare l'indirizzo mail della cantina info@amimanera.it il sito è www.amimanera.it e va ricercato senza passare da google o altri motori di ricerca.
RispondiEliminaeccelllente il lison
RispondiEliminavalerio