7 gennaio 2009

Amarone, non pervenuto

Angelo Peretti
Che succede all'Amarone? Il vinone figlio dell'appassimento valpolicellese ha avuto in questi anni il vento in poppa. E il mercato pare resti posizionato sul buono. Con successo di vendita tuttora notevole in America, nel Canada, in Scandinavia, in Giappone. Eppure...
Eppure l'Amarone è il grand'assente dalla top 100 di Wine Spectator, la rivistona statunitense del vino, che dichiara orgogliosamente (e ci mancherebbe!) duemilioni e 476 mila lettori (il dato, certificato, è della primavera del 2008).
Fra i migliori cento vini dell'anno, secondo l'influentissimo wine magazine a stell'e strisce (beccatevi un punteggio oltre i 90 centesimi sulle loro pagine e vedrete gli ordini impennarsi), ci son quindici etichette italiane: sette son toscane (tre Chianti, tre Supertuscan, un Nobile), tre piemontesi (Barolo), due Friulane (bianchi), uno a testa per la Sicilia (un rosso igt), la Campania (una Falanghina) e il Veneto (un Soave). Amarone, non pervenuto.
Ma non basta. L'ultimo numero di Wine Spectator, quello che va da metà dicembre a metà gennaio e riporta la top 100, pubblica anche tre pagine intiere delle "highest-scoring releases of 2008", i vini insomma che han preso le valutazioni più alte sui vari numeri della rivista. E anche lì manca l'Amarone, mentre spopolano toscani e piemontesi, ma non solo.
Ma come, il super-rosso valpolicellista non è il vino preferito dagli yankees come ci han sempre predicato in questi anni? Evidentemente no, almeno per la critica vinicola. Il mercato amaronista continua ad andar bene, pare, ma per vini che giocano sul muscolo e sulla potenza come l'Amarone, la visibilità internazionale è importante. Esser trendy è vitale, ché quest'è soprattutto vino da special occasion. E se Wine Spectator comincia a snobbarti, qualche rischio ci può anche essere. Che stia cambiando la moda?

6 commenti:

  1. non è che adesso i produttori li fanno mediamente meno Parkerizzati, e di conseguenza,non essendo tali non possano essere considerati "vini" da W.S.?
    Max Perbellini

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  2. Meno parkerizzati? Direi proprio di no: colore, alcol, tannino, zucchero...
    Credo che Wine Spectator stia gradualmente cambiando orientamento. Nell'ultimo anno per esempio ha dedicato un paio di volte la copertina ai crispy wines, ai vini "croccanti", più freschi (acidi) rispetto al passato. E dedica sempre più spazio ai bianchi altrettanto (e più) freschi e minerali: tanta Germania, tanta Austria.
    E poi un conto è Robert Parker, un conto Wine Spectator.

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  3. Posso avanzare un'ipotesi più maliziosa? budget e ancora budget. Se sei un inserzionista "affezionato" un occhio di riguardo per te possono avercelo. Se non lo sei (inserzionista magari sì, ma affezionato e assiduo mica tanto), ah, beh, allora...basta un leggerissimo spirar di vento (il cambiamento d'orientamento di cui parli e che è innegabile) che la vela gira subito. Facilmente e velocemente.

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  4. @Lizzy
    Potrebbe anche essere (tutto è possibile al mondo), ma non mi pare che il Soave investa su WS, e un Soave (tra l'altro un "base"!) è nella top 100. Di recente ti leggo parecchio pessimista sulla "moralià" della comunicazione vinicola. Ma non credo che le ragioni mercantili siano sempre e solo alla base delle scelte redazionali. E non per buonismo. Vedi, a mio avviso una testata giornalistica non arriva ad avere più di 2 milioni di lettori (WS è ben oltre) basando la propria azione sugli accordi pubblicitari. Per arrivare a simili traguardi occorre individuare delle idee, creare una chiara linea editoriale, assumere autorevolezza e trovare un pubblico sempre più vasto che ti segua. E questo non è certamente possibile farlo a suon di redazionali a pagamento, perché in quel caso non trovi certo 2 milioni di creduloni che ti seguano. Il lettore il vento lo fiuta subito, anche perché i soldini per comprare il giornale li tira fuori lui. Semmai, quando hai assunto una tale visibilità, la pubblicità arriva da sola: chi non vorrebbe esserci sulle pagine più lette al mondo? Esattamente il contrario di quanto accade con troppe miniriviste nazionali. Piuttosto, mi pare che WS stia cercando ormai da un paio d'anni di sviluppare una nuova linea di pensiero, che ruota attorno ai concetti di terroir (per gli americani!), di crispy wines, di vini "croccanti", freschi, acidi, e di conseguenza di "cool climate wines", di vini dei climi freddi. Un percorso che giudico molto interessante. E che non mi pare sia stato sin qui sviluppato dalle testate del vecchio mondo.

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  5. Avete mai provato inviare un campione a Wine Spectator è una cosa impossibile, solo alcuni ben introdotti hanno diritto alla degustazione, ho qualche dubbio sulla sua attendibilita.
    Ciao Mirko da lla valpolicella

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  6. @Mirko
    Non lo metto in dubbio. Anzi, ne sono certo. Peraltro, WS ha più volte dichiarato di dedicare attenzione ai vini che fra le loro caratteristiche abbiano anche quella della "availability", ossia della reperibilità, e questo per una rivista americana vuol dire reperibilità sul mercato americano. Dunque, ritengo sia più facile accedervi per le aziende che abbiano distribuzione negli Usa. Ma questo non cambia nulla rispetto a quanto scrivo, perché in passato (anche l'anno scorso) di Amaroni nelle graduatorie di WS ce n'erano, e distributori e distribuiti c'erano e ci sono ancora.

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