30 gennaio 2009

Tappo a vite per sette in Alto Adige

Angelo Peretti
Che io sia tra i fan dei tappi a vite di nuova generazione l'ho detto e scritto più volte. Da tempo.
Sono straconvinto che, almeno per i bianchi e i rosati, ma anche per certi rossi, il tappo a vite integrato nella capsula sia la soluzione ottimale. Ché il vino si conserva più fresco, più nervoso, più scattante, più sul frutto. E ormai qualche anno d'assaggi (e bevute) di splendidi Sauvignon neozelandesi e Riesling tedeschi e Grüner Veltliner austriaci, tutti in tappo a vite, me n'ha fatto persuaso.
In Italia, si sa, le cose si muovono con lentezza. Conservatori e ritualistici come siamo. Eppoi abbiamo perfino i disciplinari che non lasciano sempre grandi margini di manovra. E arriviamo all'assurdo che da parte ministeriale si vieti il tappo a vite sui vini che riportano in etichetta la dicitura Classico.
Non è un caso che, da noi, all'avanguardia nell'utilizzo delle nuove chisure siano gli altoatesini. Pardon, Südtiroler. Che, respirando aria mitelleuropea, son probabilmente più aperti all'innovazione. Ed hanno insomma minori pregiudizi o preconcetti.
Ora, gli è che un drappello di valentissimi produttori sudtirolesi han deciso, tutti insieme, di passare al tappo a vite. E i nomi son di quelli qualitativamente di rilievo: Unterort, Falkenstein, Kuenhof, Kobler, Thurnhof, Unterhofer, Laimburg. Gente che il vino lo sa fare benone. E che produce alcune delle più belle bottiglie del nord.
Addirittura, han realizzato, a firma congiunta, un fogliolino che inseriscono nelle casse delle loro bottiglie, per spiegare. "Siamo lieti - dicono in un italiano così così e che non tocco - che possiamo presentare nostri vini con una capsula a vite. Questa capsula rappresenta una chiusura che combina contemporanamente bellezza estetica e modernità. Secondo esperienze pluridecennali i vini imbottigliati con la chiusura a vite maturano in modo ottimale, perché il vino si sviluppa di più per le interazioni delle oltre 2000 componenti, piuttosto che per il lento ingresso dell'ossigeno attraverso il sughero".
Ecco, io non so bene la storia delle duemila componenti, però credo che abbiano ragione sul fatto che la capsula a vite (definizione corretta: è una vera e propria capsula saldata sul collo della bottiglie, eppoi "tappo a vite" sa troppo di bottiglione da scaffale di quart'ordine) sia una chiusura ottimale. E mi domando cosa cavolo aspettino altri a far la stessa scelta. E cos'aspettino soprattutto i signori gestori di wine bar, enoteche, bar, trattorie, ristoranti eccetera eccetera ad optare per le bottiglie imbottigliate con la vite. Che magari avranno bisogno d'un minuto d'ossigenazione appena aperte (un minuto, mica di più), ma non fanno rischiar praticamente nulla al cliente. Sia in termini di odori di sughero e di marciumi vari, sia in quanto ad ossidazioni.
D'accordo, non ci sarà più il rito della stappatura. Ma quante rogne in meno! Eppoi chi la boccia non la finisce la può tranquillamente richiudere col tappo a vite e portarsela via senza (quasi) il pericolo d'innaffare i tappetini dell'auto.
Suvvia: cerchiamo di non esser scioccamente schizzinosi, e convertiamoci a questa nuove capsule. Funzionano.

11 commenti:

  1. Articolo [molto] bello e [molto] condivisibile.
    Molti produttori, almeno qui in Umbria, vedono la vite come un qualcosa di esotico, le cui caratteristiche sono tutte da provare..
    Il fatto che durante l'annuale settimana bianca con la famiglia [per dire] si possano imbattere in queste chiusure farà progressivamente cambiare loro idea. Ne sono certo.
    Un caro saluto.

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  2. Grazie. Speriamo che man mano cresca la consapevolezza che le ritualità sono un conto, e non sempre portano con sé valori positivi, mentre la qualità garantita ai consumatori è altra faccenda.

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  3. Condivido in pieno, però devo dire, da produttore che ha cominciato a usare la vite da qualche anno, che le resistenze da parte della ristorazione e anche da parte dei locali alla mescita sono notevoli. Mentre le vendite su alcuni mercati stranieri sono aumentate (USA in primis) l'Italia continua a opporre resistenza e l'equazione vite=bassa qualità rimane valida in assoluto o quasi. Il problema quindi per noi aziende è se rischiare un calo delle vendite per essere dei precursori di un sistema innovativo. La mia idea era di aggiungere altri due vini a quelli che produciamo già con lo Stelvin ma per il momento, mio malgrado, ho messo l'idea in naftalina. La cosa più paradossale è che l'uso di un buon tappo a vite è più costoso di alcuni tappi in agglomerato disponibili sul mercato. Vaglielo a spiegare ai ristoratori, osti e mescitori che preferiscono bottiglie con tappi in pseudosughero, che le colle si usano per produrli sarebbe bene che non entrassero mai in contatto con il vino. I danni di un cattivo tappo vanno al di là del semplice sapore di tappo (ma questo è un argomento più complesso magari da sviluppare con più calma)
    Cordiali saluti e grazie per l'intervento sul tappo, pardon, capsula a vite.
    Umberto Cosmo

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  4. Grazie.
    Credo che qualche responsabilità ci sia anche da parte di chi comunica il vino. Mi sento, per ora, un po' solitario su questa linea. Come se l'integrità del vino dopo che è stato messo in bottiglia non fosse questione d'importanza vitale. O forse è che amo più i bianchi e i rosati che non i rossi, e dunque magari ho un pelo d'attenzione in più per questo.
    Spero che il dibattito s'incrementi. Credo sia l'unica maniera di convincere ristoratori e mescitori vari almeno a provare.

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  5. grazie angelo per aver trattato una tematica importante ed anche per aver ripreso una foto del mio sito!
    comunque c'è da aggiungere che con l'annata 2007 altri hanno allargato il nostro giro: il kränzlhof (f. pfeil), il villscheiderhof (f. hilpold) e tiefenbrunner.
    quest'ultimo, giustamente, a tappato in questo modo il suo vino forse più caro ma certamente più ricercato: il müller-thurgau feldmarschall.
    infatti se uno è convinto della chiusura alternativa deve cominciare ad introdurlo col vino più prezioso. perchè lì un gusto di tappo arrecca il danno maggiore e perchè solo così si aiuta alla capsula a vite di uscire dall'angolo dei vini di bassa qualità.
    io non ho esitato a chiudere in questo modo la mia riserva di merlot.

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  6. Sono arcidaccordo. Avete mai provato ad aprire una bottiglia di Mouton Rothschild per il pranzo di Natale che sa di tappo e non averne una in sostituzione? Come operatore vorrei portare la testimonianza, per il servizio al ristorante ho trovato molto gradita la chiusura con il tappo di vetro. Forse il tappo a vite, per il momento è più adatto ad un utilizzo per il consumo domestico.

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  7. Sono contentissimo della testimonianza di Armin Kobler e dell'anonimo ristoratore: avanti, con coraggio, senza preconcetti.
    Io sono e resto per la capsula a vite, con cui ormai ho preso confidenza da circa cinque anni, bevendo soprattutto bianchi neozelandesi.
    Credo meno nel tappo in vetro, che forse (forse) è più elegante, ma che mi rasserena meno in termini di potenzialità di chiusura.
    In ogni caso, la questione resta quella: mediamente il tappo in sughero arreca troppi problemi, e comunque due bottiglie dello stesso vino tappate col sughero evolvono in maniera diversa anche in pochi mesi. E perché dunque affidare alla casualità di un tappo un lungo lavoro di progettazione di un vigneto e di un vino?

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  8. Caro Angelo, grazie per il tuo contributo ad una discussione che manifesta per l'ennesima volta la scarsa cultura del vino che riscontriamo nel nostro paese. Mi fa piacere che un gruppo di produttori altoatesini abbia avuto questo intelligente coraggio; a loro aggiungo l'amico Franz Haas che mi ha regalato due bottiglie di Manna tappate nei due modi e nello stesso tempo per verificare lo stato del prodotto a 6 mesi dall'imbottigliamento; sicuramente lo stelvin mantiene il carattere fruttato e forse sposta in avanti "l'apertura" del vino; ma come tutti gli strumenti, vanno sperimentati e bisogna saperli usare, da parte nostra di produttori e da parte di chi il vino lo propone e lo consuma; speriamo che questi illuminati esempi e le tue comunicazioni riescano a fare breccia.

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  9. Collaboro in qualità di appassionato e sommellier (non professionista) nel ristorante multietnico di mia moglie, dove la cantina è impostata su proposte enologiche provenienti da tutto il mondo...rilevo la difficoltà diffusa nell'accettare la chiusura Stelvin, che è diffusissima ad esempio nelle bottiglie sudafricane, australiane e neozelandesi; cerco di spiegare che la capsula a vite è qualcosa di altamente tecnologico, e che garantisce standard di qualità costanti. Purtroppo la cosa che manca è la gestualità del tirebouchon, non a casa i paesi produttori dove troviamo minore diffusione dello Stelvin sono proprio Italia e Francia, dove lo stappare una bottiglia a volte è vissuto come una liturgia assoluta.

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  10. @ Carlo. Grazie del contributo. Mi piacerebbe provarlo il doppio Manna: è da questi raffronti che ci si fa un'idea davvero.

    @ Stefano. Intanto, dovresti dirmi dov'è il ristorante, ché se passo di là vengo a bermelo io qualcuno dei tuoi vini in tappo a vite. Poi, concordo: mica facile vincere il conservatorismo e il preconcetto del vecchio mondo vinicolo. Ma cambierà.

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  11. se bisogna preservare la ritualità basta che qualche azienda progetti uno svita-tappi per lo stelvin che abbisogni della stessa gestualità del cavatappi tradizionale, credo sia solo un discorso di quarti d'ora e poi il mercato saprà darci anche questa risposta.

    Faccio notare che oltre allo stelvin esiste, e qualcuno lo sta sperimentando (Walter Massa in primis), anche uno speciale tappo in simil silicone con anima rigida e uno speciale film applicato nell'estremità a contatto con il vino.
    Si è bevuto il moscato di Walter Massa con tappo sughero e tappo "speciale" e la differenza è stata notevole a favore di quest'ultimo.

    My two cents

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