14 luglio 2009

C'era una volta il Durello

Mauro Pasquali
Questa è una favola e, come tutte le favole, dovrebbe avere un lieto fine. Ma qualche volta anche le fiabe non finiscono proprio così bene. Il finale di questa fiaba non è ancora scritto e forse non lo sarà mai. Ognuno è libero di immaginarlo lieto o triste. Da parte mia vi è, al momento, una grande paura: che il Principe Azzurro non giunga in tempo per svegliare Biancaneve.
Esisteva una volta, sui monti che fanno da confine fra le province di Vicenza e Verona, un'uva che dava un vino aspro, acido, quasi imbevibile. Non per nulla l'uva aveva diversi nomi, ma tutti richiamavano le sue caratteristiche: cagnina, rabiosa, durasena, caina, quasi a voler indicare, e così era, un'uva scorbutica, difficile da trattare e da vinificare. Il vino che se ne otteneva, dicevano i contadini, aveva “garbo”, intendendo con questo non la gentilezza, bensì l'esatto opposto.
Poi arrivarono dei vignaioli che cominciarono a capire la durella e a trattarla meglio. Cominciarono a farla maturare e, soprattutto, cominciarono a vinificarla nel modo che le è più congeniale, spumantizzandola. Sì, perché la durella ha naturalmente un'acidità fra le più alte delle uve conosciute e questo la rende oltremodo adatta ad essere spumantizzata, sia che si produca un metodo classico, sia che si opti per un più veloce charmat.
Queste persone non dimenticarono, poi, che il durello era anche un vino di tutti i giorni, da pasto, e cominciarono, pian piano, a migliorare anche il vino fermo, rendendolo bevibile e gradevole al palato.
E venne la stagione d'oro del Durello: inizialmente tre, quattro produttori, poi, via via sei, sette, dieci. Oddio, non numeri grandi come altre zone, ma pur sempre bei numeri per il Durello. Numeri interessanti anche commercialmente, sull'onda di un prodotto che, finalmente, usciva dal limbo dei pochi appassionati e cominciava a farsi conoscere al grande pubblico. E, soprattutto, un prodotto che manteneva intatte la propria personalità e le proprie caratteristiche.
Poi... poi arrivò qualcuno che cominciò a pensare che, forse, il Durello era ancora troppo “rustico”, con troppa personalità per piacere a tutti e, per poter fare un ulteriore salto di vendite e volle renderlo più “facile”, più internazionale (ahi, ahi, ecco che ricadiamo nel solito vizio italico di inseguire le mode). E il Durello si trovò così, di punto in bianco, ad essere trasformato in una brutta copia di altri prodotti, riducendosi ad essere né carne né pesce. Si trovò a competere con altri spumanti e, nella smania di rincorrerli e di ritagliare per sé uno spazio nel loro mercato, cominciò a snaturarsi, ad ammiccare alla dolcezza, a diventare ruffiano, lui che ruffiano e facile non era mai stato.
E arriviamo ai nostri giorni. Il Durello giace, come Biancaneve, apparentemente morto. Forse arriverà qualcuno che, come il Principe Azzurro risvegliò Biancaneve, risveglierà il Durello e lo porterà a vivere nel suo castello incantato e gli darà nuova vita. O, forse, il principe azzurro, non arriverà mai e Biancaneve si sveglierà attorniata dai sette nani e continuerà, per tutta la vita, a fare da serva ai simpatici minatori.

9 commenti:

  1. Ciao mauro, sono Alberto Tonello, concordo sull'idea della favola che hai scritto, non nello sviluppo della storia però. Non trovo giusto non fare nomi e congnomi di chi ha compiuto l'operazione internazionalizzazione del Durello, o meglio chi l'ha fatta in modo becero, al punto da riuscire a produrre bottiglie che vengono vendute a 2 euro alla bottiglia. Non tutti i produttori sono così e io un nome lo voglio fare, ma ne potrei fare anche altri, Marcato. Chi lavora bene, fatica a fare un metodo classico di grande struttura e raffinatezza e vuole tenerlo in bottiglia anni perché arrivi a dare il meglio di sè è giusto che sia riconosciuto e non mescolato ai "furbetti della vigna". Ciao

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  2. Generalmente le favole hanno un lieto fine, di quello ch scrive Mauro Pasquali c'è del vero, ma perchè allora non svegliare Biancaneve.....
    indire una riunione fra i pochi produttori del Durello ( incece di Duellare) e parlare con loro.

    Paolo Menapace

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  3. Bella proposta, Paolo. Io ci sto, e credo anche Mauro. A dopo la vendemmia?

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  4. Credo che l'idea di Paolo Menapace si ottima. Lasciamo i vignaioli cominciare e finire la vendemmia, augurandoci che si ricordino cos'è il durello. Poi vediamo di riunirli e parlare con tutti loro.

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  5. Intrigante come cosa. Se la organizzate verrò di sicuro. Ma una cosa mi sfugge: lo scopo dell'incontro, o meglio cosa si vuole dire ai produttori. Io nel Durello vedo gente che lavora bene e altra che lavora meno bene. Vedo bottiglie che mi piacciono e altre che non mi piacciono. Vedo produttori che mi stanno simpatici e altri che sono al limite dell'antipatia. E di conseguenza mi regolo nelle mie bevute e nei miei acquisti. Difficile pensare di dire a un produttore che il suo vino è "sbagliato" quando magari i numeri gli danno ragione. Non lo fa nemmeno il Consorzio

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  6. Un amico mi ha telefonato per dirmi che non tutti quelli che hanno letto il mio post (il primo della lista per intenderci) hanno capito bene cosa volessi dire e da che parte stavo. Porca miseria mi sono detto, per un giornalista non riuscire a spiegarsi bene è un gran problema, quindi sono andato a rileggermi l'intervento, che in effetti avevo scritto di getto e senza rileggerlo, ma mi pare chiaro.
    In caso contrario sarò elementare. 1) Concordo sullo scritto di Mauro nella sostanza. 2) Gli "contesto" simpaticamente di non aver fatto nomi e del caso anche cognomi di chi "internazionalizza-imbastardisce" il Durello. 3) Dico questo perchè NON TUTTI i produttori di Durello snaturano quella che è una delle uve meglio vocate alla spumantizzazione di classe e quindi fare di tutta un'erba un fascio, non rende giustizia a chi lavora bene. 4) Chi lavora bene? Alcuni sicuramente e tra questi MARCATO a mio avviso ha messo a segno la miglior performance di crescita negli ultimi anni. Pur partendo da una buona base, ha affinato, ha lavorato in vigna e in cantina, ha scelto di lasciare il vino in bottiglia, sui lieviti, di aspettare, sapientemente. E i risultati si vedono già, ma si vedranno sicuramente anche in futuro. Oltre a MARCATO, a cui dico bravo (perché il Durello a me piace, lo considero uno spumante dalle grandissime potenzialità inespresse, almeno sino a qualche anno fa, perchè oggi si possono bere delle grandi bottiglie di spumante del 1995, si si avete letto bene), ci sono anche altri, pochi, produttori che hanno intrapreso la strada della qualità. Chi ha letto nel mio primo intervento una critica a Marcato (boh) o ai produttori che fanno qualità, spero sia stato accontentato, stavolta credo prorpio di essere stato chiaro, ai limiti dello spot direi.
    Alberto Tonello

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  7. Al limite dello spot. Se Paolo Menapace organizzerà l'incontro-degustazione, potresti esserci anche tu, Alberto.

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  8. Verrò con piacere fatemi sapere.
    Ciao, Angelo
    Alberto Tonello

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  9. Sono affezionato al Durello,non foss'altro per l'affetto e i ricordi che ho in Lessinia,a Cerro,a Bosco.
    Sabato,allora,gita per pranzo e sosta a Corbiolo.Nella scarna ma economica carta non figura alcun Durello,che compare dopo la mia richiesta.E' il 2003 di Fongaro,boccia n.5175,imbottigliato il 14/06/04 e sboccato il 12/01/07.La voglia di accompagnarlo ai piatti della Lessinia è tanta e lo faccio aprire,anche se i 22,00 euro richiesti potrebbero smorzare entusiasmi ed affievolire ricordi...
    E' grasso,rotondo,quasi opulento,con note lievitose,di pan brioche e biscotti.La sapidità è racchiusa nella bollicina,poi svanisce con essa.L'acidità è più pungente che rinfrescante,un elemento a sè,che non regala agilità alla beva,che risulta banale e stancante.
    E il Durello,dov'é?
    E' raro che un vino mi induca tristezza.Questo c'è riuscito.E mi dispiace.

    Marco Bianchi.

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