Angelo Peretti
Su un'autorevolissima testata com Il Sole 24 Ore, Nicola Dante Basile c'informa che al quarto posto fra i vini più venduti al mondo c'è il Tavernello. Proprio lui, "il vino in brick di cartone poliaccoppiato Tetra Pak": fra Italia e un'altra quindicina di paesi se ne piazzano qualcosa come 140 milioni di confezioni.
Mi vien da sorridere quando, trovandomi a criticare la spregiudicata ruffianeria di certe bottiglie, mi si obietta che "però vendono e dunque son buone". Mi si dice: "Se i consumatori premiano quella bottiglia, allora è buona". In questi casi, rispondo immancabilmente che se il successo commerciale è sinonimo di bontà, allora il Tavernello è in assoluto il miglior vino d'Italia. Forse del pianeta intiero. E del resto anche tecnicamente sa il fatto suo. Quel che non avrà mai - e che non può e neppure vuole avere - è la personalità, la rispondenza a quel che in Francia chiamano terroir. Eccola qui la differenza.
Ma non mi si dica che il vino buono è quello che vende di più, se non si è disposti a cantar le lodi del Tavernello.
Nessun commento:
Posta un commento