4 gennaio 2012

Signori champagnisti, adesso esagerate!

Angelo Peretti
Che io sia un fan scatenato dello Champagne credo sia abbastanza noto a chi mi legge. Ma quand'è troppo è troppo, accidenti! Nel senso che nella difesa ad oltranza della loro peculiarità, gli champagnisti mi pare stiano proprio esagerando.
Leggo sul numero di dicembre della Revue du Vin de France una notiziola - giusto un trafiletto nella colonna delle brevi - nella quale si dice che gli Champenois (ossia i produttori di Champagne) continuano la marcia verso la difesa del loro nome, il che, mi permetto di chiosare, è cosa buona e giusta. Epperò, scrive la Revue, "l'ultima vittima in ordine di tempo, è la denominazione Fleurie-en-Beaujolais, per il suo storico lieu-dit Champagne". Ora, va chiarito che il lieu-dit - o anche un climat - è qualcosa di simile ad una piccola sottozona. Un lieu-dit, un "luogo detto", un "posto che si chiama" insomma, è un'area ben specificata nella quale storicamente vengono vini dal carattere spiccato di territorio, che per questo sono identificati facedo riferimento a quel particolare pezzo di terra. Insomma, una bella cosa, e nel Beaujolais, dalle parti di Fleurie, c'è un "posto che si chiama" Champagne dove da sempre si fa un Fleurie particolare, e alcuni produttori della zona lo scrivono sull'etichetta dei loro rossi a base di gamay. Ora, gli champagnisti sostengono che quelli di Fleurie non possono usare quel nome, Champagne. E io dico: non vi pare di esagerare? Ma che fastidio vi dà se c'è un rosso del Beaujolais che viene da un pezzetto di terra che da quelle parti chiamano Champagne? Cari maestri della bollicina, così non va. E invece loro insistono: "Les Champenois demandent son interdiction", scrive la Revue.

5 commenti:

  1. è quasi come se i piemontesi non lasciassero più usare la parola Lacrima di Morro d'ALBA. Oppure se i toscani non volessero usassimo più la parola Vin Santo.

    Si, anche per me stanno esagerando.

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  2. Certo che stanno esagerando... Comunque, noi dai francesi non dovevamo copiare i vini, ma dovremmo finalmente copiarli nel fare marketing. Lasciamogli esagerare e ... impariamo! Andreas

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  3. E' vero che la cosa è un po' esagerata. Però però credo che questo puntiglioso attaccarsi anche al più misero cavillo nasconda una parte di verità da non sottovalutare. La difesa della tradizione, della "francesità" (ad esempio nelle partite di tennis sono bandite le parole in inglese), sono un corollario della difesa della cultura e di tutto quello che gli ruota intorno. Noi abbiamo rinunciato troppo presto a difendere la nostra italianità. Se anche noi fossimo stati un pelino più sciovinisti, forse, non ci saremmo fatti scappare il tocai. O forse non avremmo permesso che la pizza diventasse un cibo americano, o che il caffé ormai nel mondo sia sinonimo di Starbucks. Non è che siamo noi i polli? e che l'apparente intransigenza francese non sia alla fine funzionale alla difesa del proprio patrimonio? A proposito: il climat Champagne origina dei gamay molto rotondi e profondi, strutturati e avvolgenti. Ne ho giusto qualche bottiglia. Prosit

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  4. Vero Andreas, dovremmo copiarli nel fare marketing. Il problema è che in Italia il marketing territoriale è argomento di convegni, e ne parlano professori ed esperti ben pagati dagli enti pubblici, ma poi all'atto pratico quasi nulla si fa: pare che il convegno lavi ufficientemente la coscienza...

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