Angelo Peretti
Metti un caldissimo lunedì pomeriggio a Bolzano, ieri. Teatro comunale, decima edizione di Vinea Tirolensis, la degustazione annuale dei soci della Freie Weinbauern Südtirol, ossia i Vignaioli dell’Alto Adige. Piccoli vignaioli. Spesso piccolissimi: uno, due ettari in tutto. Una bella occasione per vedere cosa sta succedendo all’estremo nord.
Mi pare funzioni, quest’associazione. O almeno funziona questo meeting, che richiama sempre un pubblico attento e ordinatissimo. Magari la location non è delle più felici, e le postazioni dei produttori sono un po’ strettine, ma se si vuole assaggiare c’è tutto il tempo. E la disponibilità al dialogo è notevole da parte di (quasi) tutti gli espositori.
Provare tutto è francamente impossibile: una settantina di produttori, con una media di tre-quattro vini a testa. Quest'anno, con la presenza aggiuntiva di alcuni soci della Südtiroler Wein ed anche, extra regione, della Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti.
Comunque, dalle tre del pomeriggio alle nove di sera c’è spazio per fare un bel po’ di test.
Cerco di dare qualche impressione a caldo, vitigno per vitigno.
Blauburgunder. Non mi sono soffermato granché sul pinot nero. Credo occorrerebbero temperature di servizio più fresche. E vorrei trovarci il legno meglio integrato. Ho assaggiato con piacere il Mazzon 2007 di Gottardi. Sembra promettere bene la riserva 2006 di Brunnerhof, che uscirà a gennaio.
Kerner. Ossia Val d’Isarco. Con tanta voglia di innovare. Mettendo l’accento più sulla snellezza che sulla potenza, sulla freschezza più che sulla polpa, sulla beva più che sulla degustazione. Splendidi i vini di Nössing e Strasserhof, ovviamente 2008.
Fraueler. Ogni anno salta fuori qualche sorpresa cercando fra i micro vitigni autoctoni sudtirolesi. Stavolta la mia sorpresa è stata per lo Jera, un bianco dal vitigno fraueler, rarissimo, che fa Befehlhof in Val Venosta. Frutta secca, lunghezza. Strano bianco, di piglio antico.
Gewürztraminer. Non è tra i miei vitigni del cuore, in terra altoatesina, ma apprezzo molto che qui lo si interpreti in versione secca. Non mi ci sono molto soffermato, ammetto. Ho comunque bevuto volentieri il Feld di Armin Kobler, speziatissimo.
Lagrein. Bisognerebbe distinguere fra base, riserve e kretzer rosati. In ogni caso, ci sono dei bei rossi. Fra i base, piacevolissimi i 2008 di Rottensteiner e Pfannenstielhof. Entrambi hanno anche buone riserve 2006, com’è interessante quella del 2007 di Fliederhof. Fascinosamente giovane il 2002 di Nusserhof.
Riesling. Match tra Val Venosta e Val d’Isarco. Mi pare che in Val Venosta si guardi alla polpa e alla mineralità, mentre in Val d’Isarco la strada conduce alla freschezza. Rappresentativi, ad alto livello, dei due stili: in Val Venosta Falkenstein e Unterortl e in Val d’Isarco il Kaiton di Kuenhof e Strasserhof.
Schiave. Dovrei distinguere fra Vernatsch, Kalterersee e St. Magdalener: sempre schiave, ma diversissime come filosofia e stile. In molti casi sono stato perplesso dal lato della pulizia olfattiva. Grande beva per il Caldaro di Gruber e per il Santa Maddalena di Pfannenstielhof, vini che vorrei in tavola spesso.
Sylvaner. Speravo meglio. La ricerca quasi ossessiva della polpa non aiuta, a mio avviso. Trovo un po’ stucchevole l’emergere di certe vene tropicaleggianti. Il più elegante, e guarda caso anche il più floreale, per me è quello di Garlider. Poi, Keunhof e Zöhlhof.
Veltliner. Non sono moltissimi a lavorarlo, eppure il veltliner offre bianchi di bella personalità. Patria d’elezione la Val d’Isarco. Garlider guarda alla polpa fruttata. Nössig si orienta sulla freschezza e sull’eleganza, e preferisco nettamente questo stile. Buono Lentsch, nella Bassa Atesina.
Weissburgunder. Un po’ deluso dal pinot bianco. Vi troverei volentieri l’acidità tagliente, e invece ecco che si va alla ricerca della ricchezza fruttata, che non sembra prendere slancio. Il più equilibrato tra polpa e freschezza m’è sembrato il Castel Juval di Unterortl, notevolissimo.
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