27 giugno 2011

E se anche nel vino il meglio fosse nemico del bene?

Angelo Peretti
Sul numero di giugno, la Revue du Vin de France pubblica un articolo di Olivier Poels che fa meditare. Si tratta di alcune sue "Riflessioni sul Bordeaux" che però potrebbero esser valide - e lo sono - per molte altre regioni vinicole al mondo, Italia compresa ovviamente. L'occhiello spiega già tutto o quasi: "La qualità dei cru non è mai stata così buona. Ma sembra che si sia imposta a discapito della diversità" e, accidenti, che sia la rivistona francese a parlar chiaro sui Bordeaux è già di per sé una notizia interessante. Ma il tema, dicevo, è universale: in tante aree vinicole gli standard qualitativi son certamente cresciuti, ma questa crescita ha portato a una diffusa omologazione produttiva, che ha fatto affievolire e a volte smarrire le mille sfaccettature del terroir.
L'autore del pezzo fa riferimento agli assaggi delle settimane bordolesi di presentazione della nuova annata e dice che, certo, la qualità generale dei vini prodotti non è mai stata così elevata, e così pure i prezzi, e l'ambiente non è mai stato così euforico. Ma anche a fronte di una situazione così idilliaca non si può fare a meno di sollevare qualche domanda. "L'uniformazione delle tecniche - si chiede -, il ricorso ai medesimi enologi o consulenti, la medesima ricerca estetica del profilo gustativo del vino non conducono Bordeaux verso un'armonizzazione generale? Una sorta di livellamento verso l'alto, che cancellerà tutte le imperfezioni, le originalità, in breve, ciò che costituisce la personalità di un cru".
Un signor interrogativo, questo qui, che - insisto - potrebbe essere riportato anche su altri ambiti territoriali, mica solo a Bordeaux.
"Degustare l'uno in fianco all'altro - aggiunge Poels - quindici Pauillac o venticinque Saint-Émilion ne è la perfetta illustrazione. Diventa praticamente impossibile identificare i cru. Lo scarto qualitativo che li separa si misura ormai, si può dire, in centesimi di secondo". E ci tiene a precisare che il suo non è mica un discorso reazionario, e che certamente non si rimpiangono i tempi del brettanomyces o delle acidità volatili mal gestite o degli acini poco maturi. "Certamente no" dice. Però mano a mano i vini si son fatti troppo simili l'uno all'altro. E in fondo al suo pezzo, Poels ricorda quel che diceva Voltaire: "Il meglio è nemico del bene", e dice che dopo aver degustato qualche centinaio di Bordeaux dell'eccellente annata 2010 è difficile non sottoscrivere quest'adagio.
Ecco, sì, temo anch'io che il meglio a tutti i costi finisca per essere nemico del bene, mica solo a Bordeaux. E nel mondo del vino la ricerca sfrenata all'ottimizzazione enologica ha finito molto spesso per portare a fare i vini con lo stampino. Ottimi tecnicamente e anche igienicamente, ma tante volte senz'anima. Fatti in fotocopia. Vini Rank Xerox. Siamo sicuri che è proprio questo che vogliamo?

4 commenti:

  1. Io iniziai(anche su consiglio di Angiolino Maule) a vinificare con l'aiuto di un bravo enologo. L'enologo mi stava simpatico e mi piaceva ma i vini non mi davano l'emozione che cercavo. Incominciai gradatamente e poi definitivamente a lavorare senza l'aiuto dell'enologo.
    Cerco che i miei vini non siano difettosi, ma non voglio siano uguali a nessun altro vino.

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  2. Io sarei un pò più preciso nei termini: la tecnologia o ottimizzazione è lo strumento da guidare. L'enologo o tecnico che sia, incluso il produttore, è la mente che guida gli strumenti, materia prima inclusa. La differenza la fa la passione e la dedizione: conosco enologi che pensano al vino sin dall'impianto della vigna, degustano ogni singola barrique e provano infinite combinazioni di taglio prima di portare in bottiglia. Ma vengono pagati di conseguenza. Conosco situazioni in cui all'enologo si vuol pagare il minimo per poterlo consultare, oppure dove si paga molto per averne la sola firma. Va da sè che la fotocopia degli schemi operativi è il risultato ovvio...
    A parte questo, se volete esplorare biodiversità ed espressioni vitigno+territorio assai differenziate, provate a vinificare con criterio, ma senza l'aggiunta di solfiti!
    Poi mi direte....
    Lunedì vado a Saint Emilion ad assaggiare barriques a Cheval Blanc.
    Poi vi riferirò...

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  3. Grazie dell'intervento, Marco. Certo, nel mondo del vino, come in ogni altro settore, "la differenza la fa la passione", ma nel vino in particolare la fanno anche le diverse situazioni che hai bene sintetizzato. Aspetto le notizie su Cheval Blanc.

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