23 giugno 2011

Esportare o disintermediare?

Angelo Peretti
Esportare o non esportare? Questo è il problema. Già, perché ci stanno facendo una testa così sul fatto che l'America è il Grande Mercato del vino e che se non sei a Hong Kong non sei nesuno e che la Cina è la Cina e che insomma bisogna esportare, solo esportare, inesorabilmente esportare, pena la morte enoica.
Illuminante è però la rilettura di un articolo che Andrea Dal Cero ha scritto per La Madia di maggio. Dice: "In un futuro prossimo le dinamiche distributive saranno in buona parte riviste: ci sarà molto da teorizzare e soprattutto da realizzare. Il frazionamento della domanda, la riduzione dei consumi e soprattutto la diminuita capacità d'acquisto del consumatore, richiedono strutture di distribuzione elastiche e ramificate sul territorio nazionale. L'offerta è grande e la domanda è specializzata: fare incontrare il consumatre con il suo vino preferito è un'arte che sta diventando scienza. Esportare, anche se inevitabile, prestigioso e lodevole, costa: se il vino si vendesse sul territorio di produzione tutto costerebbe meno e il mondo sarebbe più pulito".
Ora, vorrei fare qualche commento mio.
Dico subito che non credo si viva nel migliore dei mondi possibili, e penso anch'io che esportare sia "inevitabile", anche perché tutta la domanda di vino italiano non basta a svuotare le nostre cantine. Però, nel mentre la vedo una scelta obbligata per la grande impresa vinicola, privata o cooperativa che sia, ho dei dubbi per la piccola cantina. Credo che nel caso dei piccoli, più che "esportare", la parola d'ordine possa e debba essere "disintermediare".
I margini si stanno erodendo, i prezzi non crescono, e allora non vedo che una via: abbattere i costi. E i costi non sono quelli di produzione, visto che se si vuol competere con un'offerta spaventosa occorre che la qualità sia alta, e la qualità costa in termini di produzione. I costi che si possono ridurre sono solo quelli di distribuzione, e ci riesce solo avvicinando l'acquisto al luogo di produzione. Il mercato interno sarà anche meno profittevole, ma ha costi minori, e dunque alla lunga diventa più profittevole, se ci si organizza in questa direzione. Esportare costa tanto, tantissimo: non è che per i piccolini che non dispongono di sufficiente massa critica per beneficiare delle sinergie di scala, alla fine i costi dell'export superano i benefici?
L'ideale, poi, sarebbe vendere tutto direttamente in cantina. Ma per far questo bisogna, ancora una volta, organizzarsi. Ma prima ancora bisogna crederci. Parole come "enoturismo" sono per ora solo concetti da convegni e libri. Non c'è niente da fare: i produttori di vino ne parlano, ma poi non ci credono. Occorrerebbe cominciare ad essere accoglienti per davvero, e l'accoglienza non sta nella costruzione di una moderna sala da degustazione affacciata sui vigneti. Sta nella disponibilità verso l'ospite. Ed è un atteggiamento culturale, prima che una sommatoria di comportamenti codificati.
Disintermediate, gente.

12 commenti:

  1. esportare e' una necessita', e' una pura questione di numeri. In Italia si consumano 27 milioni di Hl e se ne producono piu' di 45. Dopo si possono fare tutte le considerazioni che si vuole, ma partendo da questo dato.

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  2. Ma non si può generalizzare. Occorre vedere "cosa" è meglio esportare.

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  3. Sono anche io dell'idea che solo l'export può far "marciare" questo settore, all'estero prezzi di vendita più alti, pagamenti anticipati, continuità di fornitura, in Italia cose impensabili.

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  4. Gianluca, ripeto il quesito che ho posto a Gianpaolo: occorre vedere "cosa" esportare (il che implica anche "a che prezzo").

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  5. Qualità a prezzi corretti e non tetrapack o bulk a centesimi di euro.

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  6. Scusate se mi intrometto.
    Da operatore dell'Export tramite e-commerce trovo molto interessante l'articolo e concordo con il Sig. Peretti soprattutto quando scrive "I costi che si possono ridurre sono solo quelli di distribuzione"
    Risolvere il problema dell'Export è difficilissimo ma fattibile, basterebbe la voglia e un impegno maggiore da parte delle cantine che desiderano farlo.
    I vantaggi più importanti sono i pagamenti anticipati e la fidelizzazione del cliente che potrebbe acquistare direttamente

    Avere un distributore sul posto può essere comodo ma svattagioso per la fidelizzazione. Una volta che il distributore decide di non trattare più il prodotto, nessuno potrà risalire ai clienti finali che invece vorrebbero continuare ad acquistare quel vino.
    Per "avvicinare l'acquisto al luogo di produzione" abbiamo uno strumento fantastico che in Italia ancora non viene sfruttato: Internet.

    Ormai il consumatore finale che usa internet vuole acquistare alla fonte qualsiasi prodotto perchè ci arriva facilmente e ha la sensazione di aver scelto e forse anche di aver risparmiato.

    Bisogna affrontare in maniera molto seria il discorso dell'enoturismo pensando a quanti turisti arrivano nelle cantine e vorrebbero acquistare sul momento; il problema è come portarlo a casa in aereo o con il bagagliaio pieno, ma soprattutto da casa una volta che hanno finito il prodotto che hanno assaggiato e "scoperto".
    Questo fatturato (potenzialmente enorme) è del tutto perso perchè il produttore non è in grado di poter consegnare a domicilio soprattutto ai privati.

    I problemi li conosciamo: accise, logistica, trasporto per quantità troppo piccole.

    Di certo non pubblicizzerò in questa sede la mia azienda, ma noi abbiamo risolto questo problema per diversi Paesi in Europa effettuando consegne a domicilio e sgravando la cantina della gestione accise. Ora stiamo pensando ai Paesi ExtraCEE. Lo abbiamo comunicato alle cantine in diverse regioni d'Italia le quali ci hanno risposto con grande entusiasmo, tanto da non poter gestire tutte le richieste. Il problema che però stiamo riscontrando è la lentezza dei produttori piccoli e grandi, nel mettere in pratica questo progetto, che in realtà non richiede ne investimenti nè burocrazie, ma semplicemente buona volontà.

    Lo strumento che presentiamo è nuovo e veloce. Va promosso ai clienti anche dalla cantina stessa. Non è importante solo la vendita sul momento delle 2 o 6 bottiglie, ma anche pensare a come raccogliere i dati del cliente (e-mail o telefono) per vendergliele anche a distanza, fare materiale cartaceo da distribuire in azienda (soprattutto per chi ha strutture ricettive) per annunciare al cliente il servizio.
    Insomma, io trovo che le cantine siano lente in questo e mi piacerebbe non essere il solo a sollecitare i produttori.
    Presto la distribuzione dei vini cambierà, lo vediamo anche da come si muove il mercato dei parallelisti, anche le cantine famose non controllano più il mercato tramite le esclusive. Internet sta cambiando molte cose e chi rimarrà indietro continuerà a vendere il proprio vino agli imbottigliatori per pochi centesimi al litro per svuotare le cantine.
    Svegliamoci!

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  7. @Gianluca. Credo che il vino che voresti mandare all'estero non sia esattamente "il vino" (nella sua generalità) che viene prodotto in Italia: non dimentichiamoci che il vino italiano "di qualità" (e per questo intendo genericamente quello a denominazione) non è tutto il vino italiano, anzi! E che anche il resto va venduto, altrimenti l'equazione presentata da Gianpaolo nel primo commento non regge.
    @Anonimo. Be', l'azienda puoi dircela: un approfondimento può essere interessante. Grazie in ogni caso per l'intervento e il tatto dimostrato.

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  8. @Angelo Peretti allora grazie per la richesta
    di approfondimento, mi farebbe molto piacere.
    I nostri contatti sono su www.winexplorer.it
    Siamo a disposizione
    A presto :-)
    FerandoWine

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  9. Per una piccola cantina, il mondo del'export è una giungla. Circolano faccendieri, truffatori, pseudpbuyers, (come ci sono pseudogiornalisti). E i costi? Una cosa da incubo. I prezzi che si ottengono? Non ne parliamo neanche...
    Fanno presto a parlare quelli che dicono,"ma come, non esportate?"

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  10. @Fabio. Ti capisco, e condivido. Ovvio, per una piccola cantina. Le grandi chiaramente non possono evitare di esportare, ma per le piccole la soluzioni - se sono in grado di farlo - è disintermediare.

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  11. Chiedo scusa ad Angelo se non sono piu' intervenuto. Il mio primo intervento voleva solo dire che l'export e' puramente una questione aritmetica, visti i numeri. Cosa esportare? Io partirei prima dal cosa produrre. Vi sono sue tipi di vino: il vino artigianale e il vino industriale. La maggior parte del vino prodotto e' il vino industriale, perche' ha bisogno di volumi alti, economie di scala, marketing, ecc. Senza dare un giudizio di merito, uso i termini in modo fattuale, neutrale. Il vino artigianale deve, in un certo senso, non essere prodotto per un mercato di riferimento, deve esprimere il territorio e la personalita di chi lo produce. Il vino industriale deve avere dei target, un mercato di riferimento. In Italia esistono moltissime produzioni potenzialmente interessanti per questo settore, che e' in mano spesso al Nuovo Mondo. Richiede modernita', conoscenza dei mercati, attenzione verso il cliente (spesso grandi catene di supermercati). Qui siamo deboli, e questo e' il vino che andrebbe esportato e valorizzato e che potrebbe portare a casa qualche miliardo di euro in piu'.

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  12. Perfettamente d'accordo, Gianpaolo. Aggiungo che proprio per i motivi che hai illustrato non vedo motivo fondato per la diatriba troppe volte esistente in Italia, soprattutto nel mondo del wine blogging, fra il vino artigianale (dipinto a volte come il "bene assoluto") e quello industriale (che ovviamente viene a fare la parte del "male assoluto"). Si tratta di prodotti diversi, destinati a mercati diversi, che possono portare in forma diversa reddito al mondo vitivinicolo. Senza contare che se si fa bene il vino industriale, è possibile che questo porti nuova utenza alla produzione di vino artigianale.

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