18 giugno 2011

Ma lo sapete che nei vini igt...

Angelo Peretti
Si tratta di una rivista tecnica. Anzi, tecnicissima, da addetti ai lavori, e mica sempre riesco a capire tutto quel che provo a leggerci. Per esempio, sull'ultimo numero che ho ricevuto non sono riuscito ad addentrarni nella dissertazione sulle nuove tecniche di filtrazione dei vini passiti, ma io non sono certamente un enologo. Perché, ecco, sì, la rivista è L'Enologo, il mensile dell'Associazione enologi enotecnici italiani, che l'Assoenologi mi invia a domicilio, e gliene sono grato, trovandola utilissima.
Sul numero di maggio de L'Enologo c'è un interessantissimo articolo - tecnico, ovviamente - sulle risposte che l'Assoenologi ha fornito ai quesiti posti dai soci. Una delle risposte, in particolare, m'ha fatto riflettere, e credo possa essere interessante riportarla.
Ordunque, il quesito era questo: "Un vino Igt (ad esempio del Veneto) può essere tagliato con un vino rosso generico C2 (proveniente da qualsiasi regione) o deve essere tagliato con un vino rosso della stessa regione (nel mio caso con un rosso del Veneto)?"
Bella domanda, e credo che la risposta possa interessare parecchio anche i consumatori. Perché son cose a cui in genere non si pensa, ma che può invece essere utile sapere.
Ordunque, la risposta è questa: "Un vino a Igt deve essere ottenuto, per almeno l'85%, esclusivamente da uve provenienti dalla zona geografica di cui il vino porta il nome. Il restante 15% può provenire da altre zone geografiche, purché situate nel territorio italiano (Art. 6/2, Reg. Ce 607/2009).
Ora, so che qualcuno rischia di essere bazato sulla sedia: il 15% può arrivare da ogni parte d'Italia. Però il 15% non è poco, e dunque qual è la caratterizzazione geografica di un vino a indicazione, appunto, geografica?
Adesso provo a ragionare per assurdo. Prendo per esempio l'igt "delle Venezie". Già di per sé, la zona di produzione è amplissima. Comprende tutto il Veneto e poi il Friuli Venezia Giulia e anche alcuni comuni della provincia autonoma di Trento. Mica poco, ammetterete, come estensione. E dunque, un Cabernet igt delle Venezie può esser fatto, se si vuole, con uve che vengono - che so - un po' da Verona, un po' da Vicenza, un po' da Treviso, un po' da Trieste, un po' da Trento. E come se non bastasse ci si può mettere dentro anche un bel 15% di Cabernet - che so - siciliano o toscano.
Fossi un produttore e volessi darmi un'immagine di qualità, forse ci penserei su prima d'imbottigliare sotto qualche igt. Tanto vale imbottigliare a marchio proprio come vino da tavola. Pardon: vino, ché il "da tavola" non si deve più scrivere in etichetta.

4 commenti:

  1. purtroppo Angelo ci sto pensando anch'io. Che senso ha imbottigliare il vino rappresentando in etichetta una zona storicissima come il Gambellara quando puoi frazionare le annate e soprattutto esiste la doc Roma e la doc Venezia?

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  2. La doc è un valore: io ci credo, a prescindere de tante assurde denominazioni. Mi domando invece che senso abbiano, oggi, i vini a igt.

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  3. un produttore una volta ha risposto bene alla tua domanda Angelo: le IGT servono a dare al vino un nome geografico e nello stesso tempo consentire al produttore di fare quello che gli pare.

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  4. Il problema non sta sull'IGT o Doc che sia è che non c'è una legge dove ogni produttore dichiara cosa ci ha messo dentro, anzi addirittura basta un nome di fantasia ed alcuni non scrivono neanche che vitigno è.... quelli non giaceranno mai nella mia cantina.

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