Angelo Peretti
Mi è venuto in mente ieri leggendo quel che Mario Plazio scriveva su quest'InternetGourmet a proposito del Mas de Daumas Gassac e di Mondovino. Ecco: non ho mai visto Mondovino. Massì, il film-documentario di Jonathan Nossiter, presentato fuori concorso al Festival di Cannes, e che fece grande scalpore. Un atto d'accusa verso quella globalizzazione del vino, quella corsa al gusto internazionale che ha infatuato i produttori di mezzo mondo (e anche più di mezzo).
Ho però letto proprio in questi giorni "Le vie del vino. Il gusto e la ricerca del piacere", il libro di Nossiter uscito in Italia per Einaudi nella collana Stile libero extra. Vorrei dire che è un libro-documentario. Nel senso che indugia sul racconto degli incontri avuti durante la lavorazione di Mondovino. E li narra come potrebbe avvenire in presa diretta davanti alla macchina. In questo rischia d'essere autoreferenziale, e a tratti francamente un po' noioso. Però qui e là ci sono dei lampi di genialità, e non poteva essere altrimenti, sapendo l'approccio originale dell'uomo. Per cui comunque la lettura è consigliata. Anzi, per certi versi raccomandata, soprattutto per quelle pagine nelle quali Nossiter si sofferma a dare la propria interpretazione del concetto di terroir.
Ne riporto qui di seguito un paio di brani, che ritengo possano essere elementi di riflessione per chiunque ami davvero il vino.
"La difesa del terroir non è sinonimo di attaccamento reazionario e ostinato alla tradizione. Anzi. È una volontà di procedere verso l’avvenire rimanendo saldamente radicati in un passato collettivo, in cui le radici possono crescere, spingersi liberamente in superficie, nel presente, per creare un’identità ben definita e meritata”.
“Il terroir non è una cosa fissa, in termini di gusto o di percezione delle cose. È una forma di espressione culturale che non ha mai smesso di evolvere”.
“Nella misura in cui appunto né il terroir, né la natura, né gli uomini sono cose fisse, e in cui il vino stesso è destinato ad essere consumato – cioè a scomparire – un vino di terroir è per definizione una fonte di memoria indefinibile e non quantificabile. Per il più grande cruccio dei razionalisti e pragmatici di ogni campo, ossessionati dalle classificazioni e dai criteri assoluti – e per la gioia di tutti gli altri”.
Dunque, tre sono le considerazioni attorno alle quali ruota l’idea di terroir proposta da Nossiter.
La prima: il terroir appartiene ad una collettività, e quindi non ad un suolo o ad un vitigno o ad un clima, e nemmeno alla pura interazione tra questi elementi materiali, come ci vorrebbe far credere un certo razionalismo agronomico ed enologico di stampo italiano. E su questo concordo assolutamente, e ne ho scritto più volte.
La seconda: il terroir non è un concetto statico, bensì dinamico, poiché, appartenendo all’uomo e alla collettività, si trasforma con questi, così come si trasforma ciò che appartiene alla sfera della cultura. Non ci avevo mai pensato e devo rifletterci sopra parecchio. Ma è un concetto profondo. Per ora, non propongo alcuna considerazione al riguardo. Ma sono spiazzato, e amo quando un’idea è capace di offrirti un nuovo punto di vista.
La terza: il razionalismo e il pragmatismo non riusciranno mai a spiegare il terroir. Qui ovviamente sono concorde, e del resto lo si capisce da quanto ho scritto sopra.
Be’, basterebbero tre idee del genere per giustificare la lettura di un libro.
forse una delle letture sul vino che mi ha colpito di più. L'omologazione e il marketing sono il rischio (politico) che Nossiter vede nel mondo del vino. E' un grido di rabbia contro un Sistema mercificante che concatena produttori, consulenti, enologi così come gli stessi consumatori (spunto davvero interessante), colpevoli di aderire a questo modello e di farsi da esso plasmare. L'affermazione del gusto, ma di un gusto libero, sembra divenire la Resistenza contro un Totalitarismo enologico. In questo libro si parla di lotte, autodeterminazione e anticonformismo.
RispondiEliminaSe mi è consentito: 4 faccini!
Sì, concordo. Anche se lo stile documentaristico del libro l'ho trovato a tratti un po' noioso. Ottima comunque la tua sintesi. Ma il totalitarismo enologico secondo me lo si batte in una sola maniera: ripotando il vino al suo ruolo "caratteristico", che è quello di stare in tavola, col cibo, oppure essere mediatore di condivisione e convivialità.
RispondiEliminaGiusti i 4 faccini.
Circa tre anni fa ho visto questo film documentario (MONDOVINO). Lo consiglio a tutti, in primis ai vignaiuoli, ovviamente più per l'aspetto documentaristico che come film. Si capiscono molte cose sugli equilibri globali del mondo del vino.
RispondiEliminaIl film che ha scaturito la scintilla per il forte interesse verso il vino ed il suo mondo! Il libro (è un libro però!) in effetti è meno scorrevole del film ma resta una bella "poesia" in cui immergersi
RispondiEliminaCirca la prima considerazione di Angelo, devo dire che quando trovo una vigna di cinquantanni uccisa dai pallini di fucile da caccia, non rimango turbato solo per me stesso ma un po' per tutti.
RispondiEliminaInfatti quella vigna che era arrivata a produrre un'uva speciale, per replicarla (forse) e avere lo stesso prodotto, dovremo aspettare altri cinquantanni. Quindi, anche se il gruppo cacciatori mi ripagherà monetariamente la nuova barbatella, il danno fatto al terroir, che coinvolge tutti, rimane impagato.
Bravo Stefano
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